Capitolo 46

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Mi chiamo Grisha Jaeger, e sono un eldiano. Provengo da un luogo in cui gli umani conducono una vita agiata, fuori dalle mura. L'umanità in realtà non è stata né divorata, né distrutta. Spero con tutto il cuore che a ritrovare questo libro sarà qualcuno che appartiene al mio popolo perché qui racconterò la mia storia e la verità di questo mondo.
Sono nato a Marley, una nazione che si trova lontana, oltre il mare. Ora dovrei spiegare cos'è il mare forse... si tratta di un'enorme distesa d'acqua salata che ricopre il 70% dell'intero mondo.
A Marley io vivevo con i miei genitori e mia sorella più piccola Fay. Al tempo di questa storia, Fay aveva solo otto anni. Secondo i libri di storia diffusi in tutta la nazione, gli eldiani erano considerati un popolo di demoni, discendenti del diavolo in persona. La nostra antenata Ymir 1820 anni fa aveva fatto un patto col diavolo, aveva ottenuto così il potere dei giganti, e con quel potere aveva condotto una guerra per l'estinzione dell'umanità commettendo crimini atroci, in nome di una pulizia etnica che avrebbe lasciato in vita solo i giganti. Alla sua morte, Ymir suddivise il suo potere in nove giganti e con il loro potere fondarono l'impero eldiano, che distrusse Marley e condusse il genere umano nel baratro. Quasi sul punto dell'estinzione, ottant'anni fa, il popolo di Marley riuscì a condurre una controffensiva contro il popolo di Ymir e vinse, ottenendo il controllo dei nove giganti discendenti da Ymir e che avevano ereditato il suo potere. Riuscirono a spazzare via il terrore dei giganti, e per questo gli eldiani vengono considerati demoni. I pochi superstiti si rifugiarono in un'isola chiamata Paradis, questa isola, ma non portarono tutti con loro, dimenticandoci e lasciandoci a Marley. Per distinguerci dai marleyiani eravamo costretti a portare una fascia al braccio, e per proteggerli dalla nostra minaccia vivevamo in un ghetto di nome Liberio, lontani dal resto del mondo. Non ci era possibile uscire, senza permessi ufficiali, e nonostante il governo marleyano abbia avuto per noi la grazia, tenendoci in vita, la discriminazione non si sarebbe mai fermata. Eravamo pericolosi e per questo ci odiavano, ma noi dovevamo provare gratitudine per Marley che aveva deciso di risparmiarci invece che eliminarci definitivamente. Ci avevano dato la grazia.
Questo è quello che raccontano i libri di storia diffusi in tutto il mondo, ma io conosco la verità. L'ho solo scoperta molto tardi e non ho fatto buone scelte.
Al tempo della mia storia, quando Fay aveva solo otto anni, ci fu un giorno in cui violammo le leggi marleyane solo per il desiderio di sentirci liberi. Fay era affascinata dai dirigibili, enormi palloni che trasportano persone e che sono in grado di volare, galleggiando grazie a un gas meno denso dell'aria chiamato idrogeno. A noi eldiani, ovviamente, non ci era permesso nemmeno avvicinarci e potevamo ammirarli solo dalla nostra Liberio mentre ci passavano sopra le teste. Quel giorno, però, cedetti al desiderio di mia sorella di vederne uno da più vicino. Non pensavo ci sarebbe mai stato niente di male, volevamo solo vedere un dirigibile. Così presi mia sorella per mano e la condussi fino al fiume, fuori dalle mura di Liberio, senza il permesso ufficiale del governo. È proibito per noi eldiani uscire senza permesso, ma non facevamo niente di male. Fay sognava di poter salire su un dirigibile, un giorno...
Siamo arrivati al fiume, uscendo da Liberio con le nostre fasce ancora al braccio. Abbiamo superato persone che non facevano che insultarci, guardarci con disprezzo, solo per quella fascia. Ma ormai eravamo abituati, a casa nostra è così che funziona, è così che nasciamo. Nella miseria, per vivere nella miseria, e morire nella miseria.
Siamo arrivati al fiume e sfortuna volle che lì, a poltrire, trovammo due soldati di Marley. Ci chiesero subito i nostri permessi di uscita, che non avevamo. Le leggi sono chiare, i due soldati non si sono dimostrati ostili nei nostri confronti ma ci hanno messo di fronte alla dura realtà. Ci spettava una punizione, potevamo scegliere tra i lavori forzati o la punizione corporale. Scelsi la punizione corporale, per proteggere Fay e per proteggere la mia famiglia, mi sarei fatto picchiare solo io, che ero responsabile di quel colpo di testa. Furono freddi, per niente rancorosi, ma mi picchiarono fino a che non fu più necessario. E mentre il soldato che si chiamava Krueger mi picchiava, l'altro prese mia sorella dicendo che l'avrebbe riaccompagnata a casa. Ebbi bisogno di qualche minuto per riprendermi e nel frattempo Krueger restò al mio fianco, a fumarsi una sigaretta. E aspettò che mi riprendessi. Dissi che sarei tornato subito a casa, ma mi fermò, con gentilezza, e mi disse che già che c'ero avrei anche potuto fermarmi un po' a guardare il dirigibile. Tanto, ormai, la mia pena mi era stata data. Lo feci, restai lì per non offenderlo ulteriormente, e infine tornai a casa. E lì scoprii che Fay invece non era mai tornata. Il giorno seguente fu trovata nel fiume, completamente martoriata. I soldati di quel giorno vennero direttamente a casa nostra, a Liberio, per parlare con mio padre e gli dissero che non sapevano cosa fosse successo. Quello che aveva accompagnato a casa mia sorella disse che l'aveva portata fino alle porte di Liberio e lì l'aveva lasciata, senza andare oltre perché aveva del lavoro da fare. Sapevo che mentiva. Li avevo trovati a oziare sul fiume, non avevano niente da fare. Mia madre era sconvolta dal dolore e mio padre si umiliò davanti a loro, chiedendo scusa per un crimine che non aveva commesso, assicurando che mi avrebbe istruito meglio, per insegnarmi i nostri doveri e le motivazioni legate al rancore delle persone, affinché non commettessi più "una tale sciocchezza" come uscire per andare al fiume a vedere un dirigibile. Ricordo che sentii puro odio, per quegli uomini, ma anche verso mio padre. Ma più di ogni cosa, maledissi la mia stupidità.
Quella sera mio padre mi ripeté una storia che ormai conoscevo fin troppo bene, ma si ostinò nel ripeterla per tutta la notte. Fu sorprendentemente loquace per essere uno a cui avevano appena assassinato la figlia. Difese i suoi padroni e condannò i nostri antenati. Aveva l'aria di essere più un cane bavoso che un essere umano. Non lo ascoltai nemmeno e tentai di spiegargli ciò che era successo e ciò che avevo compreso. Gli dissi che quell'uomo mentiva, che Fay era stata assassinata, ma mio padre reagì con rabbia... e paura. Paura di essere mandato "all'altro mondo", lui e tutta la nostra famiglia. Mi disse che per lui non aveva importanza se non eravamo stati noi personalmente a commettere i crimini dei nostri antenati, perché quelli che ora ci governavano restavano comunque le vittime. E noi non potevamo fare altro che restare all'interno di quel ghetto a vivere con modestia e silenzio.
Ancora mi chiedo chi di noi due avesse torto. Ero io... o era questo mondo? Probabilmente entrambi. Sono stato sciocco e ignorante, mentre il mondo era ingiusto e crudele.
All'età di 18 anni divenni dottore, seguendo la carriera di mio padre. E quel giorno, conobbi Grice. Mi mostrò una cicatrice strana, durante una visita, e mi disse che quello era il simbolo della sua gente. Mi disse che lui sapeva con certezza che mia sorella era stata assassinata, sapeva veramente un sacco di cose. E mi disse che di tutte quelle cose ne era venuto a conoscenza grazie a una talpa infiltrata all'interno del governo, un eldiano che si fingeva un marleyano, e che si faceva chiamare "Il Gufo". Lui e quella gente avevano messo su un movimento di ribellione per il ripristino del potere eldiano. Mi invitò ad unirmi a loro. Essendo un medico e avendo un profondo rancore verso il governo marleyano, mi reclutarono immediatamente. Venni a conoscenza di tutta la verità sulla morte di mia sorella, mi dissero che era stata sbranata da dei cani appartenuti ai figli del soldato che avrebbe dovuto accompagnarla a casa. Giurai di mostrare loro chi erano i veri demoni e mi convinsi che i nostri antenati non avevano torto, nella loro guerra contro Marley. Sapevo che per riportare la giustizia a questo mondo, avrei dovuto restituire il potere a Eldia.
Il Gufo non si mostrava mai a noi, né a nessuno. Restava celato e ci forniva informazioni, armi e denaro. Ci procurò documenti storici proibiti, di cui noi eldiani non ne eravamo nemmeno a conoscenza, e dove era riportata la verità sul nostro popolo. Ymir, da quello che riuscii io stesso a interpretare, non era mai stata malvagia ma aveva usato il suo potere per rendere fertili le terre, costruire strade, erigere ponti per collegare le montagne. Portò in realtà benessere e ricchezza all'umanità. Venire a conoscenza della verità animo maggiormente i nostri animi e ci diede determinazione a portare avanti la nostra ribellione. Eravamo decisi più che mai.
Un giorno, alla nostra sede, Il Gufo ci mandò una persona. Una donna di nome Dina Fritz, ultima discendente della stirpe reale dei Fritz, il re che possedeva il Gigante Fondatore, uno dei nove, il più potente, e l'unico in grado di usarne appieno il suo potere. Il Gigante Fondatore era colui che era in grado di controllare tutti i giganti, ma Re Fritz, detentore del Fondatore, era anche colui che era fuggito sull'isola di Paradis dimenticandoci lì. Dina ci spiegò la verità sulla sua famiglia: durante la ritirata sull'isola, negli ultimi anni della guerra, una parte della famiglia reale si rifiutò di partire e lasciare soli gli eldiani rimasti a Marley. Dei discendenti di allora, lei era l'ultima superstite. La sua famiglia non aveva mai perso la speranza, e attendeva il giorno in cui Eldia sarebbe tornata al potere. Si erano nascosti perciò nel ghetto, conservando le informazioni sulla famiglia reale e sul potere dei giganti e Dina diede quelle informazioni a noi. Furono essenziali per condurci alla vittoria. Secondo i documenti, la chiave per riportare allo splendore Eldia era proprio il Gigante Fondatore nascosto nelle mura, perché con il suo potere avremmo potuto controllare tutti gli altri giganti. Ci chiedemmo come mai, con un simile potere, Re Fritz non avesse mai fatto niente per rispondere all'offensiva Marleyana e Dina ci spiegò che il motivo era il desiderio di Re Fritz a non prendere più parte alla guerra. Stufo della guerra, desideroso di avere la pace, Re Fritz aveva eretto le mura su Paradis e si era rifugiato al suo interno. E l'oppressione degli eldiani a Marley era iniziata proprio da lì, perché dimenticati e costretti a vivere assoggettati dal nemico. Perciò decidemmo... IO decisi di combattere. Decisi che saremmo venuti a Paradis, ci saremmo presi il potere del Gigante Fondatore e con esso avremmo condotto la nostra guerra, riportando Eldia al suo splendore. Avevamo Dina con noi, una volta ripreso il potere del Fondatore sarebbe bastato passarlo a lei e lei avrebbe condotto tutto il popolo eldiano alla vittoria. Il mio discorso la emozionò particolarmente e io mi sentii ammaliato dal suo candore e dal suo desiderio di riscatto del proprio popolo, il suo altruismo nel voler aiutare la sua gente. Ci innamorammo e l'anno seguente ci sposammo. Infine, fummo benedetti dall'arrivo di un figlio. Lo chiamammo Zeke.
Il tempo passò e mentre il mondo cresceva a un ritmo incessante, il movimento per il ripristino eldiano arrivò a un punto cruciale. Quell'anno, il Governo di Marley, decise di costruire il progetto "Guerrieri". Avrebbero reclutato soldati marleyani tra noi eldini, dicendo che erano venuti a conoscenza del diabolico piano di Re Fritz di usare il potere del Fondatore per combattere Marley e portare l'umanità all'estinzione. L'intenzione, da quello che dissero, era di fermarli prima che ciò accadesse. Avrebbero selezionato bambini maschi e femmine, di età compresa tra i cinque e i sette anni in buona salute, e li avrebbero sottoposti a un duro addestramento e una rigida selezione finale. Solo i meritevoli avrebbero raggiunto il grado più alto di "Guerriero" e sarebbero stati onorati dell'eredità del potere dei sette giganti che a quel tempo Marley aveva sotto il suo controllo. I prescelti sarebbero divenuti marleyani onorari e a loro e alle loro famiglie sarebbe stata concessa una vita in piena libertà, con agi e ricchezze. Non ne capivamo le motivazioni, non ci risultava che Re Fritz avesse dichiarato guerra, e le risposte ce le fornì ancora una volta Il Gufo. Secondo i documenti segreti del governo, l'intenzione di Marley era di anticiparsi in una lotta alle risorse per ingrandire il proprio dominio militare sulla nazione, contro le nazioni assoggettate, vicine. Per stare al passo con l'avanzamento tecnologico militare, ed essere sempre dominante in un'era dove il potere dei giganti sarebbe diventata obsoleta e sostituito dal combustibile e dalla tecnologia. A Paradis era noto che ci fossero ricchi giacimenti di carburante fossile, perciò l'avanzata di Marley serviva solo a quello. Ma non potevano condurre un attacco diretto a Paradis perché quando Re Fritz si rinchiuse nelle mura lasciò un messaggio, dove minacciava chiunque avesse provato ad attaccarli e intaccare la loro pace. Nel messaggio diceva che centinaia di giganti dormivano all'interno delle mura e, se li avessero minacciati, il Re li avrebbe liberati e avrebbe seminato distruzione su tutto il continente. Perciò un attacco frontale non sarebbe stato possibile e l'operazione Guerrieri serviva solo a permettere a Marley di infiltrarsi in segreto, muoversi nell'ombra, e strappare il potere del Fondatore prima che il re avesse potuto liberare una tale potenza distruttiva. Ci trovammo perciò di fronte a una minaccia. Se Marley si fosse ripresa il Fondatore, noi del ripristino della potenza eldiana saremmo stati spacciati, non potendone accedere noi stessi. Dovevamo fare qualcosa... e io avevo la risposta.
Mio figlio Zeke era perfettamente in età da arruolamento.
Gli affidammo così la speranza del nostro popolo. Gli avremmo fatto prestare giuramento all'esercito marleyano, lo avremmo reso un Guerriero, e una volta dentro le mura avrebbe preso il Fondatore per noi, portandocelo e non consegnandolo a Marley. Ma così facendo non fui meno sciocco di mio padre. Lo costrinsi a istruirsi sulla verità del mondo, lo caricai di una responsabilità enorme, presto mi dimenticai che era mio figlio Zeke e pensai a lui solo come alla speranza del popolo eldiano. Lo indottrinai e rovinai la sua vita. Sono stato sciocco, io più di chiunque altro avrei dovuto sapere quanto è sbagliato ottenebrare la mente del proprio figlio col proprio credo.
All'età di 7 anni Zeke ci tradì. Ci abbandonò per averlo esposto a un grave pericolo e scelse la cura dei propri nonni, piuttosto che la nostra. Rivelò a Marley dell'esistenza del movimento di ripristino, venimmo catturati, io, mia moglie e tutti i membri. E venimmo mandati "all'altro mondo"... a Paradis, come divoratori di umani, destinati a errare per quelle terre per l'eternità senza più una coscienza.
Venni dapprima torturato, mi furono tagliate le dita, affinché rivelassi qual era la vera identità del nostro informatore, del Gufo. Ma non lo sapevo, nessuno la conosceva, e loro andarono avanti a lungo. Fino a quando non venimmo portati a Paradis. Venimmo raccolti tutti sul muro esterno dell'isola, vicino al mare. Ci fecero inginocchiare e ci legarono, per prepararci all'esecuzione. Ma vidi un uomo tra quei soldati il cui volto mi era noto. Non riuscii a ricordarlo dapprima, ma mi interrogai per tutta la durata del nostro viaggio su dove l'avessi già visto. E quando ci radunarono sul confine esterno di Paradis, pronti all'esecuzione, me ne ricordai. Lui era Krueger, il soldato che mi picchiò sul fiume e che poi mi invitò a guardare il dirigibile insieme a lui. Riconobbi subito anche uno dei suoi colleghi, non appena mi venne alla mente quel ricordo: era il soldato che aveva ucciso mia sorella Fay. Ma non potei fare niente e dovetti assistere a quel brutale evento. Il primo a essere mandato giù fu Grice, l'uomo che mi aveva invitato nella ribellione. Non venne trasformato, ma sarebbe stato usato come esca per attirare i giganti verso le mura di Paradis e allontanarli così dal mare. Mi accusò di essere stato la causa di tutti i mali, mi chiese come fosse possibile che proprio mio figlio li avesse traditi, e mi disse che io sarei stato colui che avrebbe portato Eldia all'estinzione. E sentii che aveva ragione. Subito dopo anche il resto dei miei compagni subì quell'orribile sorte: nelle loro nuche venne iniettato il midollo spinale titanico, il liquido che porta alla trasformazione, e vennero scaraventati giù dal muro. I miei compagni si trasformarono in giganti e partirono all'inseguimento di Grice, ignorando le mie urla e le mie preghiere a fermarsi. Io venni momentaneamente risparmiato, Krueger disse che mi avrebbe voluto prima interrogare. E così assistetti al secondo evento peggiore della mia vita: al mio fianco venne fatta inginocchiare Dina, mia moglie. E anche a lei venne iniettato il midollo spinale e trasformata. Provai a chiedere perché, cercai di dir loro che lei aveva sangue reale, che poteva essere utile alla causa di Marley, che avrebbero dovuto risparmiarla, ma Krueger mi chiuse la bocca brutalmente. E capii che era stata colpa sua se anche Dina era stata condannata: avevo dato a lui le informazioni su Dina e il sangue reale, nella speranza che la risparmiassero, ma quelle informazioni non erano mai arrivate a chi di dovere. Le aveva tenute nascoste di proposito.
L'ultima cosa che mi disse Dina fu che mi avrebbe trovato ovunque. Che non dovevo preoccuparmi, che ci saremmo riuniti prima o poi. Non lo dimenticherò mai. Vidi Dina trasformarsi sotto ai miei occhi e cominciare ad avanzare verso il muro di Paradis, lontano da me. Ormai l'avevo perduta per sempre. Piansi e mi sfogai, rovesciando sui soldati, soprattutto sui due che ricordavo, tutta la mia frustrazione. E quando l'uomo che aveva ucciso Fay seppe chi ero, mandò via il resto dei soldati dicendo che a me, l'ultimo superstite, ci avrebbe pensato personalmente. Solo Krueger restò.
Disse che mi avrebbe fatto lottare da uomo contro un gigante perché lo trovava divertente. Era un uomo profondamente perverso e mi dava il disgusto. Sentii la rabbia accrescere dentro me sempre più, insieme alla disperazione. Ma disse qualcosa che mi fece molto riflettere... su mia sorella, disse "Poverina. Se solo non fosse stata eldiana..."
Esatto. Se solo non fossimo mai nati eldiani...
Ci disse che eravamo mostri, sfogò su di me tutto il suo ribrezzo per la mia razza, sproloquiò su quanto loro fossero le vittime e noi i carnefici crudeli. E mentre rovesciava su di me tutta la sua insensata ostilità, Krueger lo spintonò via. Giù dal muro. E lo diede in pasto ai giganti. Lì capii... lui era il Gufo.
Lo guardammo morire e le sue urla arrivarono al mare alle nostre spalle, dove il battello con il resto dei soldati aspettava. Lo sentirono e partirono per venire a controllare, prestare soccorso. Avrebbero scoperto la vera identità del Gufo ma lui fece qualcosa di assolutamente incredibile e inaspettato. Si tagliò una mano e si trasformò, divenendo un gigante. Distrusse il battello, uccise ogni singolo soldato marleyano e affondò tutto nel mare. Come se non fossero mai arrivati lì. Una volta finito, Krueger tornò da me. Perdeva sangue dal naso, sembrava affaticato, ma si ripulì e mi liberò dalle corde che mi tenevano prigioniero. Parlammo e si presentò a me.
Il suo nome era Eren Krueger e nel suo corpo si celava il potere di uno dei nove titani. Mi raccontò la sua storia: i suoi genitori eldiani avevano vissuto la stessa oppressione che abbiamo sempre vissuto anche noi. Furono uccisi, perché facenti parte di un esercito rivoluzionario guidato da un discendente reale dei Fritz. Lui era rimasto nascosto, a casa sua, era solo un bambino al tempo e non riuscì a fare niente. Paralizzato dal terrore, sarebbe morto se non fosse stato salvato da un amico di suo padre. E da lì iniziò a meditare vendetta. Grazie a un dottore suo amico riuscì a falsificare l'esame del sangue e fingersi marleyano, si infiltrò nell'esercito e divenne così Il Gufo, con l'intenzione di continuare ciò che era stato estirpato. Una rivoluzione. Ma in tanti anni non era riuscito a fare niente se non prendere parte allo sterminio della sua stessa gente, per riuscire a mantenere la sua copertura, e questo gli portava molto rammarico. Ma ora potevamo avere una speranza. Recuperando il Fondatore da Re Fritz avremmo potuto portare il nostro popolo alla vittoria. E disse che aveva scelto me per quel compito: mi avrebbe fatto ereditare il suo gigante, così sarei arrivato sano e salvo alle mura, e mi sarei dovuto infiltrare, fingermi un eldiano di Paradis, senza destare sospetti. E al momento opportuno avrei dovuto recuperare il potere del Fondatore.
Gli feci una domanda fondamentale: perché io? Perché non poteva farlo lui? E lì mi rivelò uno dei segreti dei giganti di Ymir. Una volta acquisito il potere, a coloro che lo portano, non restano che 13 anni di vita. E lui era arrivato alla sua scadenza. Era giunto il momento di passare il potere, perché lui sarebbe morto, arrivato al suo 13° anno di possessione.

«Tredici anni...» mormorò Beatris, voltando pagina. L'angoscia le chiuse il petto, ma ormai c'era abituata. Era la stessa angoscia che la prendeva ogni volta che rileggeva quelle pagine, mai cambiava e mai era riuscita a estirparla. «Quanti anni restano?» mormorò, riportando gli occhi alla prima riga della pagina successiva. Si strinse nelle ginocchia, appoggiata contro il muro, e Kitty si schiacciò così contro il suo petto. Lo strinse con un braccio, se lo sistemò meglio, incastrato tra le gambe raccolte e il ventre. Poggiò il mento sopra la stoffa bianca del coniglio di peluche, e assorta riprese a leggere. Ma non andò oltre la prima parola.
«Stai di nuovo leggendo quel libro?» una voce attirò la sua attenzione, oltre le sbarre della sua cella. Alzò gli occhi dal libro e li puntò a lui.
«Jean!» salutò, sorpresa. Lo squadrò per qualche istante, come se non fosse in grado di riconoscerlo. Portava la divisa d'alto grado dell'esercito, con il suo giaccone verde lungo fino alle caviglie e lo stemma cucito sulla manica. Si era fatto crescere i capelli in quei quattro anni e ultimamente gli piaceva portare una leggera barbetta incolta sul mento. Diceva che lo rendeva più uomo, si sentiva più virile.
«È già lunedì?» chiese Beatris, allungandosi sul mobiletto vicino alla sua brandina. Prese il disegno di Eren da bambino con la proboscide da elefante che Eren stesso le aveva portato da Shiganshina dopo che loro erano stati nella cantina di casa sua, e lo usò come segnalibro, incastrandolo tra le pagine del libro con le memorie di suo zio Grisha. Poggiò il libro sul letto e si alzò, avvicinandosi alle sbarre.
«Hai di nuovo perso il senso del tempo?» le chiese Jean, denigrandola.
«Da qui non vedo la luce del sole, questa cella è più in profondità rispetto a quella di quattro anni fa. E ora non ho più nemmeno la concessione dei lavori forzati, sono sempre chiusa qui dentro, lo sai che fatico a tenere il conto» rispose lei e con un sorriso allungò le mani, aspettando con entusiasmo il suo regalo. Nemmeno glielo chiese, restò lì con le mani allungate in avanti, ad aspettare con ansia che le consegnasse il fagottino e basta. Jean sorrise, divertito. Era forse una delle poche gioie che le erano rimaste da quando era stata messa in prigione quattro anni prima con l'accusa di alto tradimento per aver minacciato di uccidere Hanji Zoe, ora comandante del corpo di ricerca dopo la dipartita di Erwin. E soprattutto per aver espressamente ammesso di essere dalla parte del nemico e di aver ucciso la squadra di Levi, durante la prima missione della cattura del gigante femmina. Con accuse del genere, nessun tipo di difesa era riuscita a salvarla dall'ergastolo. Era già tanto che non l'avessero condannata a morte.
Le diede il fagotto, senza farla aspettare oltre, benché fremesse dal desiderio di prenderla un po' in giro per quel suo modo di fare tanto capriccioso e viziato. Ma vederla emozionata come una bambina lo inteneriva sempre troppo e sapeva che più la faceva aspettare, più lei si faceva prendere dall'irrequietudine. Beatris sorrise entusiasta e saltellò felice fino al letto, dove ci si sedette. Aprì il fagotto e scoperchiò il bento, guardando l'omelette che lui, anche quella settimana, le aveva preparato. Si sorprese nel vederla integra e alzò gli occhi su Jean. «Non l'hanno aperta questa volta?»
«Hanno chiuso di nuovo un occhio. Sono quattro anni che tutti i lunedì sventrano omelette, ormai ci hanno rinunciato a scoprire se dentro c'è qualcosa» ridacchiò Jean e si sedette sulla solita sedia, di fronte alla sua cella.
«Ti sei dato da fare anche questa volta! Ha un aspetto fantastico» gongolò Beatris felice, brandendo la forchetta. E cominciò a mangiare, voracemente.
«Non lusingarmi, lo sai che poi mi monto la testa» le disse e Beatris, con la forchetta ancora tra le labbra, rise divertita. «Ma tu ti monti la testa anche senza bisogno delle mie lusinghe!»
«Questo è vero, ma che colpa ho io se sono assolutamente fantastico» sorrise, sornione.
«Quei capelli ti stanno malissimo, ti fanno sembrare un barbone» lo lapidò Beatris, concentrata sulla sua omelette e lui sussultò, offeso:«Cosa?!»
«E dovresti farti la barba».
«Non insultare la mia barba! Mi dà prestigio, sai? Ho un sacco di donne che mi vengono dietro da quando ho cominciato a portarla».
«Cazzate!»
«Che ne sai?! Sei chiusa qui dentro, non hai prove!» le ruggì contro.
«Eren mi racconta tutto, cosa credi? Di essere l'unico che viene a trovarmi? Dice che sei sempre il solito idiota».
«Quel bastardo!»
«Mh!» squittì Beatris. «Com'è andata l'inaugurazione della ferrovia?»
«Ah!» sorrise Jean, dimenticandosi improvvisamente del piccolo battibecco appena avuto. «Molto bene! Abbiamo fatto un primo giro, partendo da Shiganshina fino al mare. Ci abbiamo messo pochissimo, è davvero incredibile».
«Mi piacerebbe vederla» mormorò, assorta. E la tristezza stritolò il petto di Jean. Beatris non lo avrebbe mai fatto, non avrebbe mai potuto vedere niente di tutte quelle cose che le raccontava ogni settimana, sarebbe rimasta chiusa in quella cella fino alla fine dei suoi giorni. Ne era consapevole, ed era terribile. Ma riuscì a mantenere la sua maschera col sorriso, per evitare che anche Beatris perdesse il suo buon umore. «C'erano anche gli Azumabito» proseguì e Beatris alzò gli occhi, curiosa: «Quelli del clan di Mikasa?»
«Esatto. Gli ambasciatori degli Hizuru, del clan medio-orientale da cui discende Mikasa».
«Sapevo che lei era eccezionale, ma addirittura una principessa...» ridacchiò e si dondolò felice sul posto. «Ha sempre avuto quel che in più».
«Già» arrossì Jean e si grattò il mento nervoso. La pensava veramente come lei, Mikasa era una dea, ma ammetterlo ad alta voce non riusciva più a farlo ormai da anni. Non appena aveva visto quanto Mikasa fosse presa da Eren aveva avuto la dignità di farsi indietro, ma non aveva smesso di pensare che fosse la ragazza migliore al mondo.
«Hai ancora una cotta per lei?» lo prese in fallo Beatris e lui sussultò, arrossendo ancora di più. «Ma di che parli?!» ruggì.
«È dai tempi dell'accademia che le sbavi dietro come un cane rognoso».
«Non è vero! Non sono un cane rognoso!»
«Ma le sbavi dietro».
«Smettila!» urlò sempre più irritato.
«Perché non riesci a negarlo?»
«Io non devo negare proprio un bel niente!»
«Un po' mi dispiace, lo sai?» continuò Beatris con innocenza, e inforcò l'ultimo boccone di Omelette. «Saresti un fidanzato perfetto. Eren invece non la considera più che una cara amica, è crudele. Se Mikasa non avesse avuto quell'idiota in testa, sarebbe stata felice insieme a te».
«Ma...» mormorò Jean, col volto in fiamme. Ma si placò, atterrito da quella specie di complimento. E non riuscì a dire altro, troppo imbarazzato e spiazzato.
«Dico sul serio. Ti conosco bene, ormai, se tratti me che sono tua amica con questa premura non voglio pensare cosa faresti con una fidanzata. Sarebbe la ragazza più fortunata al mondo» disse, assurdamente allegra.
«Piantala» sospirò e sorrise, divertito. «Così può sembrare che tu sia innamorata di me».
«Non scherziamo!» sussultò Beatris, sdegnata, e lo guardò con un'espressione sempre più disgustata, man mano che l'idea si faceva strada nella sua mente. Un'espressione che Jean colse totalmente, anche perché non si trattenne dal mostrarla. E tornò a irritarsi tanto da alzare la voce: «Cos'è quella faccia schifata?!»
«Sarebbe raccapricciante».
«Dove sono finiti tutti i discorsi su come sarei un fidanzato perfetto, eh?!»
«Ingoiati come la tua deliziosa omelette!»
«E lo ammetti tanto candidamente?!» urlò ancora, ma poi sospirò, arrendevole. E tornò a rilassarsi sulla sedia. «Sei crudele, lo sai?»
Beatris ridacchiò divertita e richiuse il Bento, ormai vuoto. Si alzò dal letto e glielo restituì, oltre le sbarre. «Era davvero squisita! Ti ringrazio».
«È un sollievo» confessò Jean. «Stamattina ho dovuto fare le cose un po' troppo velocemente, ultimamente siamo carichi di lavoro. Le cose non vanno affatto bene. Le trattative per trovare il modo di risolvere le cose con il continente pacificamente sono difficili, non riusciamo a venirne a capo. Persino tra di noi ci sono idee contrastanti e le condizioni poste da Zeke sono assurde e sensate allo stesso tempo».
Beatris si mise a sedere per terra, di fronte a Jean, con le gambe incrociate.
«Usare il progetto "tabula rasa" sembra eccessivo anche a me che sono una criminale di guerra» rispose.
«Non usare la tua condizione per fare paragoni, non hai niente a che vedere con queste cose» l'ammonì Jean. «Non hai preso buone scelte e hai commesso degli errori, ma il tuo intento è sempre stato quello di salvare quante più persone possibili. Nel profondo, hai sempre avuto buone intenzioni. È totalmente differente dal voler scatenare un'arma senza precedenti come i centinaia di giganti delle mura per dimostrare al mondo la nostra pericolosità e intimorirli a tal punto da convincerli a lasciarci in pace. Nessuno pensa mai alle vittime innocenti, di fronte alla guerra. Così diventa una lotta di potere, non di sopravvivenza».
«C'è chi pensa che anche questa sia sopravvivenza, servirà al popolo dell'isola per evitare di essere al centro del mirino di una guerra mondiale» rispose Beatris. «E poi non ho mai avute buone intenzioni io, sono sempre stata egoista e non pensavo che a proteggere le persone a me care a discapito delle vite altrui, non disegnarmi come una povera innocente vittima degli eventi, sembri un povero illuso».
«Ci sono altri modi per risolvere la faccenda, Armin pensa che si possa usare la via della diplomazia, cercare di parlare con le altre nazioni così da far capire loro che non siamo malvagi. Non so quanto possa servire, ma è sempre meglio di uno sterminio. E comunque non voglio disegnarti come una povera innocente, non sono un illuso, ma è quello che penso. Hai fatto cose atroci, è la verità, hai commesso errori che hanno portato alla morte di molte persone, ma chi di noi non ha mai puntato una pistola alla tempia di qualcuno solo perché in quel momento sentiva di non avere scelta? Alla fine... non siamo tutti un po' egoisti?»
«Una volta Erwin mi disse che non esistono ragioni nobili e chi crede di appellarsi a queste finisce col perdere la propria combattività» sospirò e abbassò lo sguardo. Erano passati anni dalla morte di Erwin, ma ancora ricordarlo le scatenava la malinconia nel petto. Lui le aveva sempre dato così tanta fiducia, non aveva mai smesso di credere nelle sue potenzialità ed era stato il primo a darle una possibilità ad ogni occasione. Forse perché erano simili, forse perché sapeva come sfruttare le proprie risorse al meglio, o forse un po' entrambe le cose. Ma Beatris non avrebbe mai dimenticato il suo sorriso sforzato dal dolore, il giorno che aveva perso il braccio: la prima cosa che aveva sentito in dovere di dirle quando l'aveva vista dopo lo scontro con Reiner era stato "Hai fatto un ottimo lavoro". Lui aveva creduto in lei e probabilmente l'aveva fatto perché era riuscito a comprenderla meglio di chiunque altro. Le aveva dato più di una sola occasione per riuscire a riscattarsi. Non lo avrebbe mai dimenticato. «Anche lui mi disse che nel profondo credeva che tutti ci muoviamo per egoismo, e che è questa la forza motrice più forte al mondo. Chi insegue i propri sogni lo fa fino alla morte, chi insegue un ideale a volte si arrende, consapevole di non esserne all'altezza. Non so se avesse ragione o meno, ma mi colpì molto al tempo».
«Erwin non sempre aveva dei modi accettabili, ha sacrificato un sacco di persone, ma alla fine era un uomo saggio e batteva tutti in capacità strategiche. Le sue scelte, per quanto discutibili, non erano mai sbagliate. È riuscito a portare a termine un colpo di stato, non dimentichiamocelo».
«Già» sorrise Beatris. «Fu una vera pazzia».
«Ma ci ha dato una possibilità».
«Forse è un bene che sia morto quel giorno a Trost, sai? Aveva grandi aspettative sul mondo... mi chiedo cosa avrebbe provato se avesse visto tutto questo con i propri occhi».
«Non saprei» sospirò Jean. «È difficile capire se una morte sia stata giusta o meno. Però sono contento che alla fine il capitano Levi abbia scelto di far sopravvivere Armin».
«Sì, anche io».
«Vedi?» le abbozzò un amaro sorriso. «Sono un egoista anche io».
«Per Erwin saresti stato una persona forte, allora» ridacchiò.
«Pensi che se ci fosse stato lui ti avrebbe fatto uscire di qua, come quando siamo andati a Shiganshina?»
«Non lo so» ci rifletté e sorrise, amaramente. «Probabilmente no. Mi riteneva utile nella guerra contro Reiner perché sapeva che lo conoscevo meglio di chiunque altro. In una situazione come questa non penso che avrebbe avuto interesse nei miei confronti. Comunque...» si stiracchiò e tornò a sorridere, tranquillamente. «Non biasimo il comandante Hanji e nemmeno il Comandante Supremo. Dopo la mia confessione e ciò che ho combinato a Shiganshina non ci sarebbero state obiezioni in grado di salvarmi. Ero colpevole su tutti i fronti».
«Mi dispiace sia andata così, con Hanji sembrava che andassi d'accordo. Ha perso molta fiducia in te» sospirò.
«Nah, io non credo. Ogni tanto viene a trovarmi, lo sai?»
«Davvero?» Jean sgranò gli occhi e Beatris annuì, allegra. «Chiacchieriamo del più e del meno, è interessata a sapere come sto. Penso l'abbia ferita molto ciò che ho fatto, ma in parte forse è stata in grado di comprendermi anche lei. Credo sia più il capitano Levi a odiarmi, ma non biasimo nemmeno lui. Non aveva fiducia in me fin dall'inizio, quando ha scoperto ciò che ho fatto alla sua squadra non c'è più stato niente che potesse impedirgli di pensare a me come a una nemica. Confesso che da una parte sono felice di essere qui dentro, queste sbarre mi proteggono dalla sua furia omicida» e rabbrividì al pensiero di trovarsi faccia a faccia con Levi. Se ne avesse avuto l'occasione, probabilmente l'avrebbe ammazzata e non sarebbe stato delicato.
«Vorrei rassicurarti anche su questo, ma confesso che ho il tuo stesso timore» ridacchiò nervoso Jean.
«E Historia, invece?» chiese Beatris, cambiando improvvisamente discorso. Il tempo a loro disposizione non era mai molto, aveva imparato a gestirlo con l'esperienza, sapeva che fossilizzarsi troppo su una sola questione le avrebbe tolto occasione di scoprire altro su ciò che succedeva fuori dalla sua cella. «Come sta?»
«È cambiata dai tempi dell'addestramento. Quando la vediamo è sempre molto cupa e seria. La responsabilità da regina deve pesarle tanto» le rispose Jean e Beatris sospirò ancora, dispiaciuta. «È anche colpa mia».
«Cosa c'entri tu in questo, adesso?» storse il naso Jean.
«Le avevo promesso che le avrei portato indietro Ymir, che avrei risolto le cose fuori dalle mura per lei. Invece quando siamo tornati da Shiganshina tutto ciò che le ho consegnato è stata una lettera d'addio e la confessione che mai sarei riuscita a sistemare un bel niente, perché sarei stata imprigionata a vita. Lei ha sacrificato molto per me, per permettermi di uscire dalle mura, avevo il dovere di rispettare il nostro accordo, e ho fallito miseramente».
«Non è stata colpa tua... perlomeno per quanto riguarda Ymir. Siamo arrivati troppo tardi».
Ma questo non l'aiutò a sentirsi meglio. «Avrei davvero voluto salvarla. Non avevamo un gran rapporto, ma quando ho avuto bisogno d'aiuto lei è stata molto gentile con me».
«Non me la immagino Ymir gentile» Jean si corrucciò in un'espressione quasi nauseata.
«Beh, a modo suo lo è stata» ridacchiò Beatris. «Mi ha dato dei buoni consigli, mi hanno aiutata molto. E comunque non meritava quella fine: non aveva un bel carattere, ma era una brava persona. Anche lei, come me, è solo stata vittima degli eventi e di un mondo troppo crudele».
«Già» sospirò Jean. «Questo mondo è davvero crudele» e ora che lo conoscevano meglio, potevano affermarlo con più convinzione. Era un mondo dove la gente veniva uccisa o maltrattata solo per essere venuta al mondo, e non c'era niente di più spietato. Sarebbero mai riusciti a uscirne?
«Voglio andarmene però con una bella notizia!» esclamò improvvisamente Jean, rompendo il silenzio opprimente che li aveva per un attimo ammutoliti entrambi. «A Shiganshina i lavori di ristrutturazione proseguono alla grande, e proprio l'ultima volta che ci siamo stati ho visto che avevano appena finito di sistemare anche casa tua».
«Davvero?!» chiese Beatris, spalancando gli occhi felice.
Jean annuì. «Adesso è come nuova. Ma verrà sicuramente messa in vendita e abitata da qualcun altro...» mormorò, grattandosi la nuca. «Scusa, volevo darti una bella notizia e invece non lo è stata. Mi sa che ho peggiorato la situazione».
Beatris negò vigorosamente con la testa e si allargò in un sorriso felice. «Affatto! Mi avrebbe pianto il cuore sapendo che sarebbe rimasta vuota per sempre, se non per i suoi fantasmi. Sono felice di sapere che qualcun altro le darà nuova vita».
Jean sorrise intenerito e infine si alzò in piedi. «Beh, la prossima volta mi racconterai qualcosa di casa tua, ok?»
«Vai già via?» gli chiese, profondamente abbattuta.
«Sì, mi dispiace. Sono riuscito a chiedere solo questa scarsa mezz'ora di permesso, ora devo tornare al lavoro. Ma oggi è lunedì, verrà qualcun altro a tenerti compagnia, tranquilla! Ho sentito Mikasa dire che sarebbe passata nel pomeriggio e Sasha voleva portarti qualcosa cucinata da Nicolò per fartelo assaggiare».
«Il cuoco marleyano?»
«Sì, esatto. È uno dei volontari. Hanno legato molto quei due ultimamente» ridacchiò e infine le fece un gesto con la mano. «Allora, ci vediamo la prossima settimana».
Beatris ricambiò il gesto e lo guardò allontanarsi di qualche passo, prima di affacciarsi oltre le sbarre e gridare: «Fammi sapere come andranno a finire le trattative!»
«Certo» e infine sparì, lungo la scalinata. Lasciandola di nuovo sola.
Era già passata mezz'ora da quando era arrivato... nemmeno se n'era accorta. Il tempo scorreva sempre troppo velocemente quando era in compagnia, e troppo lentamente quando durante la settimana era costretta a restare sola. Sospirò e si alzò da terra, tornando verso il letto. Avrebbe ripreso a leggere il libro di suo zio, per tenersi impegnata in attesa della prossima visita. Era fortunata che almeno i lunedì fossero giornate così ricche, fortunata che nonostante tutto c'era chi ancora non l'aveva dimenticata. Le permettevano di salvarsi dal baratro in cui cadeva tutte le volte che si concedeva di pensare troppo. Il libro di suo zio, i ricordi della sua infanzia, i racconti di Marley, l'aiutavano a fuggire da quella cella tanto quanto i racconti dei suoi amici: erano l'unica medicina che avesse, ma aveva letto quel libro ormai un migliaio di volte. Non sempre riusciva a più a prestarci attenzione. Ed erano passati solo quattro anni... come avrebbe trascorso il resto della sua vita?
«Tredici anni...» la sua mente dirottò nuovamente a quell'informazione. La sua vita sarebbe stata lunga, anche se piena di un niente assoluto, ma sarebbe morta di vecchiaia o di noia molto prima. Comunque aveva una prospettiva di almeno altri cinquant'anni. Chi aveva ereditato il potere dei giganti non viveva invece più di tredici anni. Tredici miseri anni passati in guerra e distruzione, di cui non avrebbe nemmeno scoperto la fine, se mai ce ne fosse stata una. Spostò lo sguardo al suo braccio sinistro, dove risaltava il rosso della fascia di Reiner. Quando era stata messa in prigione le era stato tolto tutto e non era riuscita ancora a nasconderla, costretta a spogliarsi di fronte ai soldati per cambiarsi. Hanji aveva visto la foto di suo zio Grisha, a Marley, e aveva letto le sue memorie, sapeva del significato di quella fascia ed era rimasta turbata nel vedergliela addosso. Beatris non aveva più potuto mentire, le aveva detto la verità, e l'aveva pregata di lasciarle almeno quella. Aveva pianto come una bambina, in ginocchio ai piedi del comandante, implorante, e Hanji, alla fine, si era lasciata vincere dalla pietà. Gliela aveva lasciata e lei aveva smesso di nasconderla sotto i vestiti. Era inutile continuare a farlo, e in quel modo avrebbe potuto averla a portata di sguardo ogni volta che ne sentiva il bisogno, senza tentare di nascondersi. Quella fascia rappresentava il suo legame con Reiner, ed era l'ultima cosa che avrebbe mai potuto avere di lui, l'ultimo ricordo. Non lo avevano apprezzato, Hanji soprattutto, ma avevano compreso la sua disperazione. E nessuno le aveva più detto niente a riguardo.
Se la sistemò meglio sul braccio, ma fu solo un gesto di conforto, una scusa per accarezzarne la stoffa assurdamente ancora brillante. Era riuscita a ripulirla e sistemarla, dopo lo scontro con Kenny, e ora era come nuova.
Tredici anni...
«Quanto tempo ti resta ancora, Reiner?» mormorò tra sé e sé. Anche se fosse riuscita a uscire da lì, anche se per qualche assurdo motivo le fosse stato concesso mettere piede fuori, sarebbe arrivata in tempo? Sarebbe riuscita a rivederlo prima della sua scadenza? Non sapeva quando gli era stata fatta l'iniezione, non sapeva quando il suo tempo avesse iniziato a esaurirsi, non sapeva niente. Ma erano già passati nove anni da quando era arrivato a Paradis, e anche se l'iniezione gli fosse stata fatta quel giorno stesso, comunque non restavano più di quattro anni. Era un'ipotesi davvero ottimistica. Forse... in realtà era già morto. E lei non lo avrebbe mai saputo. Non l'avrebbe mai più rivisto. Qual era stata l'ultima cosa che gli aveva detto? Quali erano state le ultime parole, prima dell'addio? Si sforzò di ricordare, scavando tra le memorie, tra tutte le belle frasi che si erano scambiati quando ancora potevano passare del tempo assieme.
Ma rise, trovando il ricordo che cercava.
Ora capisci perché non uso mai le mani per attutire la caduta?!
Era stata davvero quella l'ultima cosa gli aveva detto? Una stupida battuta, sulla sua stupida abitudine di cadere sempre di faccia. Niente belle frasi di addio, niente "ti amerò per sempre", niente abbracci o frasi di conforto. Niente di rilevante. Solo un brutale tentato omicidio e una ridicola battuta senza alcun significato. Era stata quella la fine della loro insensata e drammatica storia.
Quanto era miserevole?
Sentì dei passi alle sue spalle e questo la strappò dai suoi pensieri. Si voltò, curiosa di sapere chi fosse andato a trovarla in quel momento, e si sorprese nel vedere la guardia di fronte alla sua cella rispondere a qualcosa con un cenno e andarsene. Al suo posto si mise qualcun altro che non aveva mai visto, un ragazzo nuovo, forse una recluta. E la guardò in un modo strano e intenso.
Era presto per il cambio della guardia, ormai conosceva i tempi a memoria. Strano che avessero già mandato via la precedente. Chissà come mai l'avevano fatto. Ma questa, scoprì subito dopo, non era solo. Eren comparve davanti alle sue sbarre e in pieno silenzio si mise a sedere sulla sedia che era stata messa lì apposta per i visitatori.
«Eren!» esclamò Beatris sorpresa e si avvicinò alle sbarre. «Era da un po' che non ti facevi vedere, come stai?» gli chiese, ma ebbe la sensazione che la risposta che stava per arrivarle non fosse affatto positiva. Eren era strano, aveva uno sguardo vacuo e un'espressione dura sul volto. Sembrava fosse stato svuotato di ogni cosa.
«Ho avuto delle cose da fare» le rispose e anche il tono di voce fu basso e cupo.
«È... successo qualcosa?» gli chiese, preoccupata.
«Sono successe tante cose» le rispose vago e non sembrò intenzionato ad aggiungere altro, al momento. Era strano, decisamente troppo strano. Beatris gli si mise a sedere di fronte, per terra, tornando a incrociare le gambe. E lo guardò in silenzio, preoccupata, fino a quando Eren infine non decise di parlare: «Sono qui perché devo chiederti una cosa» e spostò gli occhi al suo braccio sinistro, proprio alla fascia marleyana che lei portava al braccio. «Ho deciso di infiltrarmi a Liberio, il ghetto eldiano a Marley. Devo studiare la situazione dall'interno e incontrarmi di persona con Zeke».
«Eh?» si corrucciò, più confusa di prima. «Ti hanno ordinato di...» ma Eren la interruppe: «Non me l'hanno ordinato. È una mia iniziativa. Lo farò di nascosto da tutti quanti».
Beatris istintivamente portò lo sguardo alla guardia che ancora li guardava, di fianco alla cella. «Ma... che stai dicendo?» balbettò, sempre più agitata.
«Non preoccuparti per lui» le disse Eren, leggendo il significato di quello sguardo. Era lecito, le stava espressamente dicendo che avrebbe trasgredito gli ordini proprio di fronte a una guardia, non era sicuro. «È con me».
«Con te? Ma di che parli?! Io non riesco a capire...»
«Hanji pensa che la via migliore sia quella della diplomazia. Sta perdendo tempo nel tentativo di pensare a come convincere il mondo che noi eldiani dell'isola non siamo pericolosi, che siamo buoni, ma non riesce a capire che non c'è soluzione. Non esiste diplomazia con un mondo che da sempre tratta gli eldiani come bestie solo perché sono venuti al mondo, si sta illudendo e intanto il tempo scorre».
«Non sarai... d'accordo con l'idea di Zeke?» impallidì lei sempre di più. «Usare i giganti delle mura per commettere quelle brutalità, solo per spaventare il mondo, Eren... è da pazzi!»
«Hai letto il libro che ti ho portato, giusto? I ricordi di mio padre...»
«Sì, certo che li ho letti, ma cosa c'entra?»
«Quindi sai cosa intendo. Dimmi, cosa hai pensato leggendo di Marley? Come ti è sembrata?»
Beatris abbassò lo sguardo, mortificata, sapendo che ciò che avrebbe detto sarebbe andato a sostegno della sua teoria. Ma certo non poteva mentirgli. Le sue convinzioni erano troppo forti, per quanto non fosse d'accordo con i metodi proposti, non poteva dire che fosse felice di ciò che il mondo nascondeva veramente. Sarebbe stato palesemente falso. «Ho pensato che fosse un mondo crudele» confessò. «Trattano quelle persone come spazzatura, quando non hanno alcuna colpa. La gente di Liberio fa una vita orribile».
«Come ti sei sentita nel pensare che Reiner sia nato lì, in quel mondo?».
«Mi addolora» mormorò.
«Non provi nemmeno un briciolo di desiderio di voler cambiare le cose? Voler punire le persone che lo hanno trattato tutta la vita in quel modo? Non senti rabbia scorrerti dentro se provi a pensare in che modo ha vissuto i suoi primi dieci anni di vita? Insultato, maltrattato, indrottinato di falsità, gli hanno fatto il lavaggio del cervello, costretto a suicidarsi per meri scopi personali...»
«Eren» lo interruppe Beatris, lievemente irritata. «Stai toccando un tasto dolente».
«Lo so, era questa la mia intenzione. La gente di Marley non merita alcuna indulgenza e sicuramente bisogna fare qualcosa per cambiare la situazione, dare almeno alle prossime generazioni un mondo migliore. Impedire che quella gente possa arrivare qui e fare del nostro popolo le stesse cose che hanno fatto a quelli di Liberio, impedir loro di ucciderci anche se privi di ogni colpa».
«Adesso parli da eroe» sorrise, amaramente. «Ora riesco a riconoscerti».
«Perciò sei d'accordo con me».
«Se scatenerai la "tabula rasa" non moriranno solo i marleyani, lo sai. Farai molte vittime innocenti. E poi... mi conosci, non ho mai bramato vendetta. Non sono quel tipo di persona».
«Ma sei il tipo di persona che scende a compromessi e accetta di sacrificare qualcosa, per un bene che ritiene superiore. Per la salvezza delle persone. Non è per questo che hai ucciso la squadra di Levi?»
«Continui a girare il coltello nella piaga» si strinse nelle spalle. «Che cosa vuoi da me, approvazione?»
«No» le rispose Eren. «Ho bisogno che mi presti la tua fascia».
«Cosa?!» sussultò Beatris e d'istinto si portò la mano destra a stringersi la fascia al braccio, come a volerla proteggere. «Perché?»
«Con l'alleanza con Yelena non sarà difficile per me trovare un passaggio per Marley, lei vuole che io mi ricongiunga con mio fratello, crede fortemente in Zeke e farà tutto il possibile per portare avanti il suo piano. Ma una volta lì dovrò trovare il modo di entrare a Liberio, confondermi tra la sua gente, e avrò bisogno di una fascia marleyana anche io».
«Se hai così tanto l'appoggio di Yelena e Zeke te ne possono procurare una loro».
«Non possono. Hanno gli occhi puntati addosso, soprattutto Zeke, si accorgerebbero del furto di una fascia marleyana. C'è un limite al potere che Zeke può esercitare a Marley».
«Possono portare avanti una rivolta, creare collaborazioni con i nemici, e non posso rubare una misera fascia per eldiani?!» gli chiese, diffidente.
«A quanto pare è così» le rispose semplicemente, senza aggiungere alcuna inflessione nella voce. Non era vero, era ovvio che non lo fosse, c'era qualcosa sotto. Ma era qualcosa di talmente sospetto, da essere al limite del preoccupante. Se Beatris avesse insistito sicuramente non avrebbe ricavato alcuna informazione, ma ciò che la fermò dall'insistere fu quel senso di inquietudine e preoccupazione che continuava a minacciarla. Doveva scoprire cosa c'era sotto e forse l'unico modo per farlo era fingersi accondiscendente, così da spingerlo a parlare ancora, piuttosto che portarlo ad andarsene consapevole che non avrebbe ottenuto niente da lei.
«Perché vuoi incontrare Zeke?» gli chiese.
«Voglio solo parlare con lui di tutta questa faccenda, senza intermediari o pareri esterni. Solo io e lui, a quattr'occhi, per capire cos'abbia in mente e decidere insieme la soluzione migliore».
«E... scatenerai i giganti delle mura?»
«Non ancora. Ma prenderò una decisione dopo aver parlato con Zeke».
«Perché proprio a Liberio? Zeke può ottenere un permesso d'uscita in qualunque momento, data la sua posizione sociale, potete incontrarvi altrove».
«Sì, è così, ma senza il permesso della Regina e del Comandante Supremo non gli è permesso sbarcare a Paradis, né avvicinarsi a me. Dovrò andare a Marley e voglio approfittare della situazione per studiare il nemico dall'interno».
«Vuoi stare lì per un po'?»
«Sì, è quello che voglio. Vedere quella gente con i miei occhi, conoscere le loro abitudini, il modo di vivere... tutto. Voglio studiarli».
«Magari vedere della gente innocente ti dissuaderà dall'idea della tabula rasa. Anche Reiner e Bertholdt hanno cambiato idea su di noi dopo averci conosciuti, anche se non hanno potuto comunque fermarsi» mormorò, pensierosa.
«Esatto, vedo che hai capito. Non voglio fare lo stesso errore dei miei nemici, che ci considerano malvagi senza sapere realmente chi siamo».
«Questo discorso è già più sensato...» sospirò, ma continuò a stringersi la fascia al braccio, con fare protettivo. «Però... mi dispiace, Eren, non posso dartela».
Quella fascia era tutto ciò che le restava. Anche se poi Eren forse gliel'avrebbe riportata, solo l'idea di separarsene anche per un breve periodo la uccideva. Oltretutto Reiner poteva essere già morto e quello era l'ultimo ricordo che avrebbe mai avuto di lui. Non poteva farlo, non poteva assolutamente separarsene col rischio di perderla per sempre.
«Immaginavo avresti risposto così» commentò Eren e fu assurdamente tranquillo, come se la cosa non andasse in realtà contro i suoi piani.
«Puoi fartene dare una da Yelena e Zeke, so che puoi».
«No, non posso... ma posso farti venire con me».
Beatris spalancò gli occhi, sconvolta. «Che stai dicendo?»
«Ti infiltrerai a Liberio per me e farai da intermediario con Zeke, fino a quando non troveremo un modo per incontrarci e far entrare anche me nel ghetto».
«Eren...» balbettò Beatris, non sapendo a quale domanda aggrapparsi per prima. Era tutto così insensato, tutto così confuso. «Non capisco... perché ti servo io? Puoi trovare un altro modo per...»
«Perché avrò probabilmente bisogno di un alleato, una volta che sarò lì. Questa gente, Hanji, il resto dei nostri compagni, sono tutti annebbiati da una morale utopistica troppo accecante, non riescono a vedere oltre il proprio naso e non azzarderebbero mai una cosa del genere. Non lo accetterebbero, anche solo sentirmene parlare li metterebbe in allarme. Tu invece sei qui dentro proprio perché non hai alcuna nobiltà d'animo che ti frena, riesci ad accettare di andare oltre ciò che è giusto per arrivare a ciò che vuoi».
«Non è esattamente un complimento quello che mi hai fatto, lo sai, vero?»
«Forse, ma è la verità. Se ti dicessi che è per il bene dei nostri compagni, tu accetteresti anche di correre dei pericoli, lo hai già fatto. Hai lavorato con Reiner sapendo che era il nemico, adesso ti chiedo di lavorare con me per lo stesso motivo. Sei l'unica di cui posso fidarmi».
Per quanto fosse gratificante sapere che lui aveva così tanta fiducia in lei, il turbamento non la lasciò comunque. Tutta quella situazione era decisamente troppo sopra le righe. «Perciò non è la fascia che ti interessava, fin dall'inizio. Vuoi solo un alleato da portare con te».
«No, volevo la tua fascia e provare ad agire da solo, così sarei stato sicuro. Ma sapevo che tu non me l'avresti ceduta e a me fa comodo avere qualcuno di fidato quando sarò lì dentro».
«Chi ti dice che sono d'accordo con questa cosa? Non mi piace l'idea che potresti mettere in pericolo delle persone innocenti».
«Ma so che vuoi andare a Marley» e Beatris sentì un tuffo al cuore. Era la verità, lo desiderava con tutta se stessa. Voleva andare a Marley, a Liberio, conoscere il luogo da cui proveniva Reiner... poterlo rivedere. Era l'unica cosa che ancora riusciva a desiderare, tanto da poter fare anche una cosa come quella. Eren lo sapeva, l'aveva capito... e lo stava usando contro di lei. «Perciò verrai con me. E mi aiuterai perché farai di tutto per tenermi fuori dai guai e riportarmi indietro tutto intero».
«Sei meschino...» lo accusò, ma non riuscì a negare che avesse ragione. «Non eri così una volta, che ti è successo?»
«Io... ho aperto gli occhi» le confessò e quello fu l'unico momento in cui sembrò cedere a un minimo di emozione, abbandonando per un istante la maschera di pietra che sembrava aver indossato. «E ho capito cosa dovevo fare».
«E che cosa?» gli chiese, cercando di sondare le sue reali intenzioni. Lo sguardo di Eren si indurì e lo puntò nuovamente a lei. «Fare di tutto per salvare il popolo dell'isola».
Beatris sospirò. Stava cominciando a cedere, stava cominciando a farsi convincere. Jean ultimamente era sempre così preoccupato e le raccontava di come le cose non andassero bene, era seppellito di lavoro proprio perché non riuscivano a venire a capo della situazione. Se poteva fare qualcosa per aiutarli, perché non avrebbe dovuto? Se aveva possibilità di andare a Liberio, realizzare quel suo ultimo stupido sogno prima dello scadere dei tredici anni di Reiner, perché non avrebbe dovuto? Avrebbe dovuto passare poi il resto della sua vita chiusa in una cella, ma almeno lo avrebbe fatto con la felicità di avergli potuto dire addio decentemente e non con una ridicola battuta. Di averlo potuto vedere un'ultima volta... di essere riuscita a prenderlo, nonostante tutto, mantenendo così fede alla sua promessa. Se lui era ancora vivo, forse la stava ancora aspettando. Beatris non era riuscita a mantenere mai nessuna delle promesse fatte, non era riuscita a restare fedele a Reiner e Bertholdt fino alla fine, non era riuscita a riportare Ymir a Historia, non era riuscita nemmeno a pensare ad Armin quando aveva creduto di morire, e non sarebbe riuscita a tornare a quel lago dietro il centro d'addestramento cinquant'anni dopo e vedere la luna rosa insieme al resto dei suoi amici. Non aveva mantenuto mai nessuna promessa... ma quella, almeno quella...
Io ti prenderò sempre, Reiner.
«Eren...» mormorò, stringendosi nelle spalle. «Mi stai chiedendo di evadere? Come credi che possa farlo?»
«A quello non ti devi preoccupare» e Eren lanciò uno sguardo alla recluta che aveva alle sue spalle, prima di tornare di nuovo a lei. Aveva degli alleati, Beatris non sapeva quanti, non sapeva quali, e non sapeva quando avesse iniziato a farseli. Ma probabilmente erano abbastanza da permettergli una cosa come quella.
«Finirò impiccata» sospirò, rendendosi conto del terribile errore che avrebbe commesso.
«Moriresti comunque. Se continuiamo a seguire la linea di pensiero che attualmente hanno i nostri superiori, ci troveremo Marley alle porte tra non molto e verremo tutti spazzati via. Ma almeno, in questo modo, sarai riuscita a vedere Reiner almeno un'ultima volta».
Beatris sghignazzò. «Sei davvero meschino» gli ripeté. Sapeva come colpirla e come centrare i punti più fragili, era quasi terrificante. Eren restò in silenzio, senza rispondere, e lei infine sospirò. «La fascia che ho io è dei marleyani onorari, non è una fascia comune. Verrei notata subito, non passerei inosservata, faranno delle indagini su di me perché sono un volto nuovo. Immagino che non siano in molti ad avercela e quei pochi siano ben noti. Non funzionerà».
«Yelena e Zeke ci daranno una mano. Ti nasconderai fino al porto, ci imbarcheremo su una delle navi di Yelena con il suo aiuto, e una volta a Marley dirai di essere la moglie di Zeke. Non preoccuparti per i documenti, Zeke sistemerà tutto. Loro vogliono questo incontro quanto me».
E Beatris tornò a ridacchiare. «La stronzata che ti serviva la mia fascia non ha alcun senso. Se Zeke può persino contraffare dei documenti ha sicuramente il potere di trovartene una di contrabbando. Si vede che siamo parenti, entrambi non siamo capaci di inventare scuse».
«Forse è così» ma ancora non mostrò alcuna emozione e Beatris ebbe il dubbio che fosse vero o meno. Che le stesse ancora nascondendo qualcosa? Probabilmente era così, ma era sicura che non lo avrebbe scoperto continuando a fargli domande da oltre quelle sbarre. Cominciò a preoccuparsi, e una nuova idea cominciò a farsi strada nella sua mente: rinchiusa in quella cella non avrebbe potuto fare niente. Se l'avesse invece seguito accettando il suo piano avrebbe perlomeno potuto tenerlo d'occhio e impedirgli di fare sciocchezze. Non poteva affidarsi a nessun altro.
«Dovrò fingermi la moglie di tuo fratello?» chiese, inarcando un sopracciglio. L'idea non la entusiasmava affatto: anche se leggendo le memorie di suo zio aveva provato grande pena per quel figlioletto dimenticato e usato, la prima e unica volta che aveva incrociato Zeke di persona aveva tentato di rapire Eren e uccidere il resto dei suoi compagni, lei compresa. Non si erano mai incontrati prima, se non da nemici. E poi era stato lui, da piccolo, a tradire Grisha. Non era sicura della posizione di Zeke, ma sicuramente riusciva a fidarsi ancora molto poco. Non riusciva a capire come facesse Eren invece a farlo con tale tranquillità.
«Zeke dirà che vi siete incontrati quattro anni fa, prima della sua partenza per la guerra» le spiegò. «E che vi siete sposati durante uno dei suoi ultimi rientri, avvenuto proprio la settimana scorsa. Così sembrerà plausibile che nessuno ti abbia notato prima».
«G-guerra?» mormorò Beatris, confusa, e Eren annuì. «Il loro fallimento per il recupero del Gigante Fondatore ha suscitato reazioni violente nelle nazioni colonizzate sul continente, hanno capito l'indebolimento di Marley e hanno provato a colpire. I Guerrieri di Marley hanno passato quattro anni in guerra, ma pare che tra non molto dovrebbero fare ritorno. Sarà Zeke a venirti a cercare, quando tornerà, andrete a Liberio insieme e in questo modo potrai fare da intermediario tra noi due, fino a tempo debito».
«Tempo debito per cosa? Perché non potete incontrarvi subito?»
«Perché prima di prendere una decisione e discuterne con lui, voglio studiare la situazione».
Beatris sospirò e si massaggiò il collo nervosamente. «Io continuo a non capire dove vuoi arrivare».
«Non ha importanza» tagliò corto Eren e si sporse in avanti, appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia. «Beatris, allora... vuoi venire a Marley? Vuoi rivedere Reiner?»


Make a promise that i cannot regret
As long as i can see you but in segret
i'll never... l'ill never forget my feelings, no
i'll never... i'll never learn how to let you go

(Zero eclipse)


Nda.
Ehy there!!! Timeskip di 4 anni in avanti, esattamente come avviene nel manga. Le ripercussioni del comportamento di Beatris, come potete vedere, sono state abbastanza severe: le è stato dato l'ergastolo e si è salvata dalla pena capitale solo per puro miracolo (Historia forse ha messo di nuovo una buona parola per lei?). È destinata a vivere per sempre in prigione, senza poter uscire nemmeno più per i lavori forzati. Ha perso completamente la fiducia di Levi e in parte quella di Hanji, ma i suoi amici continuano a farle visita, nonostante tutto (soprattutto Jean, che non si perde neanche un lunedì <3).
È ormai arresa, anche se per salvarsi dal crollo mentale continua a prendere tutto col sorriso e si aggrappa a quelle poche cose che le sono rimaste: i suoi amici, le omelette di Jean, i racconti di ciò che accade fuori, Kitty (che è riuscita a portarsi dietro), il disegno di Eren con il naso da elefante e il diario di suo zio Grisha (che Eren le ha portato dalla cantina di Shiganshina, lasciandolo poi a lei). Grazie a quello, ormai, conosce ogni cosa... sa dove è nato Reiner, come ha vissuto i suoi primi anni, come ha fatto Eren ad ottenere il potere del gigante d'attacco, e soprattutto sa dei 13 anni. Adesso sa che non riuscirà davvero mai più a rivedere Reiner e sia per Eren che per Armin non ci sarà una lunga vita. Ma è arresa al suo destino, non può fare niente contro quello, perciò accetta tacitamente la cosa... e cerca ancora di distrarsi il più possibile per non cadere nella più totale disperazione (cosa che potete immaginare che ha fatto le prime volte. Ma son passati 4 anni, ormai si è arresa all'evidenza). Tutto ormai sembra finito... ma arriva Eren con una nuova speranza (anche se puzza terribilmente di strano. Eren è diverso e ha sicuramente qualcosa in mente). Le chiede di evadere e andare con lui a Liberio. Non sapete se Tris alla fine ha accettato, ma ancora non ha dimenticato Reiner, vorrebbe davvero rivederlo, e adesso vuole anche tener d'occhio Eren perché non le piace ciò che sta per fare. Però se accettasse non potrebbe più far ritorno a Paradis, o verrebbe definitivamente messa alla forca. È folle, sconsiderato, ed estremamente pericoloso...
Sarà rimasta la solita Tris che segue il suo cuore senza pensare alle conseguenze, o avrà imparato la lezione e deciderà di seguire gli ordini almeno una volta nella vita senza complicare ancora di più la sua posizione?

Ho fatto una promessa di cui non posso pentirmi
Finché posso vederti, anche se in segreto
Mai... non dimenticherò mai i miei sentimenti, no
Mai... non imparerò mai a lasciarti andare

È la traduzione della strofa di Zero Eclipse riportata a fine capitolo. Direi che si presta poco alle interpretazioni ed è un chiaro indizio di ciò che sta pensando di fare Tris xD

E con ciò vi lascio infine la canzone dedicata a questo capitolo :3
Una Tris che si ritrova ancora una volta a pensare a Reiner, a ciò che ha fatto, a chiedersi perché se ne sia andato, perché l'abbia lasciata lì da sola nel peggiore dei modi, nel peggiore dei momenti, a vivere quella terribile situazione in cui più di ogni altra cosa avrebbe avuto bisogno di lui, soprattutto dal momento che le aveva promesso che le "avrebbe guardato le spalle". Si chiede dov'era quando aveva bisogno di lui più di ogni altra cosa, ma non ha importanza... perché ora sta seguendo una mappa che la condurrà a lui.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinOnde histórias criam vida. Descubra agora