Capitolo 43

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Ora del cambio della guardia, per il turno notturno. Beatris non notò nemmeno quando i due gendarmi si diedero il cambio, ormai abituata a quella routine in cui stava vivendo ormai da tre mesi. Finì i suoi addominali e infine si accasciò a terra, a prendere fiato, madida di sudore. Spostò gli occhi alle sbarre alle sue spalle solo in quel momento, intercettando lo sguardo del ragazzo che aveva appena dato il cambio al suo collega.
«Se ti senti in grado di allenarti, significa che oggi ti hanno graziata dal lavoro» le disse questo, con un divertito sorriso in volto.
«Josua!» esclamò Beatris, felice di rivederlo. Tra tutte le guardie che le mandavano periodicamente, lui era decisamente il più simpatico. Forse perché era una recluta, aveva un'età più simile alla sua, o forse semplicemente perché era il più simpatico e basta. «È strano, sono effettivamente almeno tre giorni che non vengono a chiamarmi per nessun lavoro. Cominciavo a raffreddarmi, l'ultima volta che sono stata tre giorni ferma quando poi ho ripreso a fare movimento mi sono sentita una mollacciona. Ho fatto una fatica incredibile a sollevare le travi di legno per il pavimento dell'orfanotrofio di Historia».
«Ho sentito che Historia si sta dando da fare con quei bambini!» esclamò Josua.
«Già» sospirò Beatris e allungando le mano verso l'alto cominciò a fare un po' di stretching. «Non è per niente facile star loro dietro, sono delle vere canaglie».
«Li hai conosciuti?»
«Da qualche settimana, da quando abbiamo finito l'allestimento dell'orfanotrofio, mi chiama per aiutarla per occuparsene. Da sola fatica a star loro dietro, sono tantissimi, ha decisamente bisogno di una mano» inclinò la testa all'indietro e rivolse a Josua un sorriso, prima di aggiungere: «È divertente! Ogni tanto mi permettono di giocare con loro, se dico che è per tenerli impegnati».
«Ti diverti a giocare con dei bambini?» le chiese Josua, facendole un sorriso divertito. Beatris appoggiò le mani a terra, alle sue spalle, e si distese un po' all'indietro. Non rispose, ma ridacchiò felice e divertita. Lavorare, per quanto fosse faticoso, l'aveva aiutata a tenere l'umore alto, ma le volte in cui le chiedevano di fare da babysitter ai bambini erano le giornate che preferiva. Nascondino, chiapparella, il salto della corda, facevano qualsiasi cosa ed oltre a essere un ottimo allenamento per il fisico distendeva completamente tutti i nervi. Poter tornare a essere una fanciulla innocente, poter tornare a pensare solo a banalità come l'inseguire un bambino per riuscire a farlo ridere, era la medicina migliore che avessero mai potuto fornirle.
«Strano che ti abbiano permesso di interagire con dei bambini. Sei pur sempre una criminale» osservò Josua, ma Beatris non ebbe tempo di rispondere che qualcosa attirò la loro attenzione. Dei passi e una porta che veniva chiusa all'ingresso. Dalla sua cella Beatris non poté vedere subito chi stesse arrivando, ma dal rumore di passi dovevano essere almeno due o tre persone. Vide Josua spalancare gli occhi e alzarsi immediatamente in piedi. Si portò un pugno al petto, diligente e rigido come il soldatino che doveva essere, un po' timoroso in volto per essere stato scoperto a parlare con lei. Beatris restò seduta a terra, con le gambe distese davanti e la mani appoggiate dietro la schiena. Aspettò solo di vedere comparire di fronte alla sua cella quelle persone, curiosa. Era quasi sera, ma non ancora ora di cena, e non era lunedì. Era strano che venissero a trovarla. Forse le lettere?
Ma spalancò gli occhi, sorpresa, quando davanti alla porta della sua cella vide arrivare il comandante Nile della Gendarmeria, insieme a Erwin e Hanji.
«Comandante Erwin» mormorò, sorpresa. In quei tre mesi di prigionia le aveva affidato vari lavori per conto di Hanji, ma mai era venuto di persona a riportarle gli incarichi. Aveva sempre mandato qualcuno a chiamarla, a scortarla nei locali di Hanji e lì si era messa a lavorare il più delle volte con la squadra del capitano, a volte fianco a fianco con Hanji stessa. Ma ancora più strano era vedere il Comandante Nile in persona. «Che succede?»
«Un lavoro per te» le rispose Nile. Era strano, cupo, turbato. Sicuramente, qualsiasi cosa fosse quel lavoro, non era qualcosa che gli piaceva particolarmente. Sondò le espressioni anche di Erwin e Hanji, e mentre il primo risultava sempre la solita statua di bronzo, la seconda invece sorrideva di un'allegria pimpante e palese.
«A quest'ora?» chiese, sempre più confusa. In neanche un'ora sarebbe calato il sole. Ma sapeva che fare troppe domande o tentare di ribellarsi non era mai positivo, perciò, ormai abituata a quei modi, si alzò e si avvicinò al proprio letto, dove aveva piegato la divisa da lavoro. «Datemi cinque minuti, mi cambio e sono pronta» disse, afferrandosi la vestaglia, pronta a togliersela di dosso.
«Aspetta, Beatris» la fermò Erwin. E lei si voltò a guardarlo, sempre più curiosa e confusa. «Non con quelli».
Si voltò verso Hanji che gli porse qualcosa, un fagotto. Erwin sciolse il nodo in cima e lentamente ne scoprì il contenuto. «Questa sarà la tua divisa per questa sera» le disse nell'istante in cui le mostrò ciò che avrebbe dovuto indossare per quel lavoro. E Beatris ebbe delle palpitazioni talmente forti e improvvise, da toglierle il fiato.
Erwin sorreggeva, di fronte a lei, la divisa militare completa di mantello con lo stemma delle ali della libertà. La sua divisa. Lasciò andare i lembi della vestaglia che aveva iniziato a sollevare e si avvicinò di qualche passo, tremante. Allungò una mano verso gli abiti che Erwin le stava porgendo, sentendo il desiderio di sfiorare quella stoffa, accarezzarne lo stemma. Ma la ritrasse subito, timorosa. Poteva indossare la sua normale divisa? Perché?
«Che significa?» chiese, voltandosi a guardare Nile.
«Non guardare me» le disse, contrariato. «Non è certo stata una mia trovata».
E d'istinto Beatris si voltò a guardare Erwin, sempre più sorpresa. A tratti intimorita.
«Tra meno di due ore partiremo alla volta di Shiganshina, per richiudere la breccia del Wall Maria» le disse Erwin e Beatris spalancò, se possibile, ancora di più gli occhi. Il cuore non le diede pace, le fece quasi male nel suo colpire violentemente contro la cassa toracica. «La tua presenza era fondamentale. Hai lavorato con Hanji sugli esperimenti con Eren, sai meglio di chiunque altro come funzionino le sue trasformazioni, e hai lavorato ai nostri nuovi dispositivi in prima persona, in questi tre mesi. Hanji ha bisogno di un'assistente fidata per l'esecuzione sul campo. Inoltre la tua presenza aiuterà Eren a concentrarsi maggiormente, sappiamo tutti che in caso di difficoltà tu sei l'unica che è in grado di controllarlo» quell'ultima parte era palesemente una bugia, Eren aveva imparato a controllarsi da solo già da molto tempo. La sua presenza non era assolutamente necessaria, ma questo Nile non poteva saperlo. Lui era rimasto ai vecchi rapporti, che parlavano di un Eren fuori controllo e di una Beatris che era riuscita a domarlo. Inoltre, se aveva lavorato così tanto ai dispositivi nuovi per l'armata e all'indurimento di Eren insieme ad Hanji, l'aveva fatto solo perché loro glielo avevano sempre ordinato. Almeno quattro volte a settimana era stata chiamata nel laboratorio di Hanji che la coinvolgeva in prima persona, facendole fare i lavori più delicati e intensi. E solo allora capì... era tutto stato preparato. Erwin aveva sempre richiesto che lei svolgesse quegli incarichi per Hanji, fin dall'inizio della sua prigionia, per avere poi una scusa valida da portare a giudizio per permetterle di unirsi a loro in quell'ultima e decisiva missione. L'avevano organizzato, fin dall'inizio.
«Ho fatto richiesta scritta alla Regina Historia in persona, essendo sicuramente una richiesta inusuale e d'eccezione. L'ha approvata lei personalmente. Con il benestare della Regina, dunque, ti portiamo con noi con l'ordine di salvare l'umanità e collaborare alla ripresa del Wall Maria».
Historia... ovviamente. Non era sicura di sapere perché Erwin avesse tanto voluto averla nel suo esercito, in quell'ultima delicata fase, ma poteva ben sapere quali fossero state invece le intenzioni di Historia. Forse era partita proprio da lei l'idea. Aveva chiesto a Erwin di portarla fuori con loro, e lui aveva orchestrato tutto per far in modo che potessero farlo nel rispetto della pena che le avevano dato. Si trattava sempre di lavoro forzato, in fin dei conti. Per conto del corpo di ricerca, ma era pur sempre lavoro forzato. E tutto quel lavoro manuale per costruire l'orfanotrofio, tutto quello sforzo fisico... era anche quello stato orchestrato per quella finalità? Per costringerla a restare in forma, a mantenere una buona prestanza fisica, con la scusa di costruire l'orfanotrofio l'avevano costretta a un pesante lavoro manuale così da tenersi ben allenata. Ora tutto era chiaro. Historia aveva pensato a tutto, e Erwin, per qualche ragione, era stato pronto ad assecondarla.
Erwin le porse di nuovo la sua divisa, invitandola a prenderla. «Ti diamo venti minuti per cambiarti. Torneremo quando sarai pronta».
«Lascio qui i tuoi stivali e le cinghie per l'aggancio del sistema di manovra» le comunicò Hanji, lasciando il tutto sul pavimento, dentro la sua cella. Le fece un occhiolino e infine le disse: «Ci vediamo tra venti minuti».
Beatris ebbe un fremito, sembrò rabbrividire da capo a piedi, e con uno slancio improvviso prese la divisa dalle mani di Erwin. Corse al proprio letto, ci appoggiò tutto sopra e senza dare ai comandanti nemmeno il tempo di allontanarsi cominciò a cambiarsi, dando loro le spalle. Si sfilò dal braccio la fascia di Reiner insieme alla manica della vestaglia, così che nessuno fosse riuscito a vederlo: ormai aveva imparato il movimento corretto per tenerla il più nascosta possibile, era in grado di togliersela e metterla senza che nessuno la notasse. Corse al lavandino per lavarsi rapidamente il sudore dell'allenamento di poco prima e tornò poco dopo ai vestiti poggiati sul letto. Si mise calze, pantaloni, canottiera e poggiò la camicia sulle spalle, senza infilarsi le maniche. Riprese di nascosto la fascia nella manica della vestaglia e tornò a indossarla, coprendosi dalla camicia come fosse un mantello e dando le spalle a Josua, dietro di lei. Non infilò subito la manica della camicia, ma restò qualche istante a guardare la fascia, sul suo bicipite, perfettamente aderente. Sarebbero andati a Shiganshina...
Sfiorò il tessuto rosso della fascia con la punta delle dita e sentì gli occhi inumidirsi. Proprio a Shiganshina. Dove tutto era finito e dove tutto era cominciato. Sarebbe andata a riprendere Kitty e quel disegno di Eren con la proboscide da elefante. Ed era successo senza preavviso, quando ormai aveva rinunciato all'idea che sarebbe riuscita a farlo prima di essere uscita di prigione, al compimento del dodicesimo mese. Stava per uscire, stava per rivedere i suoi compagni, stava per rivedere Eren... e insieme sarebbero andati a prendere quel disegno. E avrebbero aperto la cantina di casa sua, scoprendo la verità che suo zio aveva nascosto a tutti per tutto quel tempo. Erano troppe cose, troppe emozioni piombate su di lei troppo velocemente. Le ci volle un attimo per riuscire a metterle tutte a fuoco. Avrebbe percorso nuovamente quella strada... Laddove aveva visto il corazzato correrle incontro, laddove la paura aveva rovinato la sua vita, e aveva lasciato che sua madre morisse per proteggerla. Un lamento le uscì dalla gola e si scoprì a piangere solo quando si rese conto di una lacrima staccarsi dal suo mento e caderle dritto sul polso. Infilò il braccio sinistro nella manica della camicia, poi il destro, e prima di chiuderla sul petto si pulì il viso con una strofinata di braccio.
Josua, alle sue spalle, sospirò pesantemente. «Questa volta hanno esagerato» lo sentì mormorare. «Un conto è spostare qualche trave, un conto è chiederti di andare a morire in territorio di giganti. Non è più un lavoro forzato, è una richiesta di suicidio».
«No» rispose Beatris, con voce tremante. Si abbottonò la camicia sul petto e infine si voltò, mostrando a Josua un un sorriso disperato e felice. «Io... io sto tornando a casa».
Un singhiozzo la scosse e si strinse nelle spalle, premendo il polso contro gli occhi, nel disperato tentativo di asciugare le lacrime. Ma ora che Josua poteva vederla in viso capì: non stava piangendo per paura, non stava piangendo per disperazione... stava piangendo di felicità.
Si concesse qualche minuto, per sfogarsi, incapace di trattenere tutta quell'emozione. E quando finalmente riuscì a riprendersi, corse al lavandino per lavarsi il viso e sistemarsi i capelli. Indossò le cinghie per il sistema di movimento tridimensionale, gli stivali e quando Erwin tornò a prenderla, aveva appena finito di infilarsi la giacca. Prese il mantello e con un singolo fiero gesto lo indossò sopra al resto, fermandolo con cura sul collo con il bottone che portava la forma del loro stemma. Le ali della libertà.
Mai come allora per lei quelle ali avevano assunto un significato tanto intenso. Per quella sera lei avrebbe indossato le sue ali e sarebbe stata libera, talmente tanto libera da riuscire a raggiungere casa sua. Erano passati più di cinque anni da allora... Il solo pensiero la faceva tremare d'emozione.
Nile in persona aprì la sua cella e Erwin le mise una mano dietro le spalle, invitandola a seguirlo. Fu un gesto simbolico: la gendarmeria stava consegnando una criminale nella mani del corpo di ricerca. E insieme al suo comandante, uscì di prigione e raggiunse la strada. Hanji la stava già aspettando dentro a un carro, ma non uno di quelli con le finestre e la porta sbarrate. Un normale carro passeggeri, con un divanetto in pelle nera e tende verdi alle finestre. Hanji si affacciò oltre la portiera e la salutò allegra, invitandola a salire. Erwin la precedette e si voltò poco prima di entrare, notando che invece lei fosse rimasta ferma, a guardarsi attorno.
«Dove sono le guardie?» chiese, notando che non c'era nessuno lì intorno oltre che loro.
«Che c'è?!» le disse Hanji, sorridendo maliziosa. «Non ti bastiamo noi?»
«Eh?! No, certo che sì!» balbettò, imbarazzata.
«Saremo noi le tue guardie per questa notte. Avrai un'intera armata al seguito, direi che sei più che sorvegliata. La gendarmeria sarebbe stata solo d'intralcio» spiegò Erwin e le allungò una mano, per invitarla a salire. E d'istinto Beatris si guardò i polsi, rendendosi conto di un ulteriore dettaglio: non aveva le manette. Non ci aveva pensato, ma nessuno le aveva messo manette per il viaggio. Nessuno le puntava contro armi, nessuno la teneva legata, nessuno le ordinava di muoversi. E tornò a tremare, felice. Era un "lavoro forzato" solo sulla carta. Lei per quella notte sarebbe stata completamente libera.
«Allora?! Vuoi startene lì ancora per molto?» la stimolò Hanji.
«Parleremo dei dettagli del tuo lavoro strada facendo. Sali con noi, così possiamo discuterne» le disse Erwin e Beatris tornò ad alzare gli occhi emozionati a loro due. Non aspettò un solo secondo di più e corse sul carro. Si sedette di fianco ad Hanji ed Erwin le si mise davanti. Aspettarono di partire e che si fossero allontanati di almeno un paio di chilometri, prima che Erwin cominciasse a parlare.
«Mi dispiace non averti potuto anticipare niente per prepararti, ma queste erano le regole del Comandante Supremo. Spero che in questi tre mesi tu non abbia perso la tua forma fisica, sarà richiesto un bello sforzo lì fuori».
Beatris negò e sorrise timidamente. «Historia mi ha tenuta allenata».
Fu fugace, ma vide anche sul volto di Erwin nascere per un brevissimo istante l'accenno di un sorriso. Fu la sua conferma: anche quei lavori pesanti per la costruzione dell'orfanotrofio erano stati pensati con l'obiettivo di quel giorno.
«Bene» disse Erwin. «Passiamo ai dettagli della missione» aveva smesso di chiamarlo "lavoro" dal momento in cui erano rimasti soli, lontano dal corpo di gendarmeria e da orecchie esterne. Beatris se ne accorse subito. «Hai lavorato con Hanji al potere di indurimento di Eren, in questi mesi, perciò hai potuto constatare che adesso è perfettamente in grado di controllarlo. Possiamo richiudere la breccia. Ciò che faremo sarà cavalcare fino a Shiganshina con il favore dell'oscurità, per far in modo di incrociare meno giganti possibili. La roccia luminosa che abbiamo recuperato dalla grotta dei Reiss ci sarà utile per illuminarci la strada».
«Abbiamo realizzato insieme le lanterne» annuì Beatris, voltandosi a guardare Hanji. Lei annuì, sorridente, ed Erwin proseguì: «Arrivati a Shiganshina chiuderemo prima la breccia esterna, e solo successivamente quella interna. Sfrutteremo le mura per arrivare da un capo a un altro, così da evitarci ulteriori scontri inutili durante il tragitto. Una volta chiuse le brecce, ci occuperemo di ripulire la città di Shiganshina dai giganti rimasti e solo una volta che sarà sicura andremo alla cantina di Eren. La pulizia del Wall Maria sarà fatta col tempo, nei giorni successivi».
«Detto così sembra anche fin troppo semplice» commentò Beatris, dubbiosa.
«Non lo è mai, come ben sai. L'imprevisto è dietro l'angolo e noi ne abbiamo in conto dai due ai quattro certi».
«Mh?» mormorò Beatris, corrucciandosi. Di cosa parlava?
«Se veramente nella cantina di Eren ci sono i segreti di questo mondo, la verità oltre le mura e la spiegazione sulla vera natura dei giganti e il loro funzionamento, è logico pensare che i nostri nemici saranno lì ad aspettarci per impedirci di arrivarci. Inoltre non sanno che, dopo che se ne sono andati, ci hai raccontato molte cose su di loro, pensano ancora che non sappiamo da dove vengano e vorranno fermarci con ogni probabilità» e Beatris spalancò lievemente gli occhi, cominciando a capire. Un nuovo timore prese a farle venire le palpitazioni.
«Reiner non ha mostrato interesse solo in Eren, quando ancora non sapevamo la sua vera identità» spiegò Hanji, più diretta. «Ma sembrava intenzionato a tenerci lontano dalla verità. Per questo ha eliminato Sawney e Bean, al tempo. Perciò è naturale pensare che voglia ancora farlo».
«Fino ad ora non si sono fatti vedere, il che è particolarmente strano. Tu lo conoscevi, Reiner ti era sembrato il tipo di persona da arrendersi?» chiese Erwin, scrutando negli occhi di Beatris.
«Voi... pensate che siano sopravvissuti dall'ultima volta?» mormorò Beatris. L'avevano lasciato in balia dei giganti comandanti da Eren, ed erano scappati prima di vedere l'esito della battaglia.
«Non è da escludere» rispose Erwin. «Inoltre il gigante Bestia, che avete incontrato fuori dal castello Utgard, era quasi sicuramente uno di loro. E non abbiamo più rivisto nemmeno lui, che non aveva preso parte alla battaglia per il recupero di Eren, al tempo. Il mio sospetto è che si siano riuniti a lui e si siano messi in salvo, sul Wall Maria. Sapevano che prima o poi saremmo andati a cercare quella cantina, esposi il piano di riconquista del Wall Maria già il giorno della cerimonia per l'arruolamento, Reiner, Bertholdt e Ymir erano presenti, allora. Sanno quanto sia importante. Probabilmente hanno deciso di aspettare che fossimo noi ad andare da loro. Tu che cosa sai dirmi, in proposito?»
«Io...» mormorò Beatris, stringendo le dita sul tessuto dei suoi stessi pantaloni. Reiner era altamente probabilmente che fosse lì, a Shiganshina, ad aspettarla. Si sarebbero incontrati di nuovo dopo così tanto tempo, da nemici, su quella stessa strada che aveva dato inizio a ogni cosa. Era diventata forte, nel frattempo, era diventata un soldato, ma come avrebbe reagito nell'istante in cui si sarebbero entrambi trovati proprio su quella stessa strada? Deglutì e cercò di mantenere il controllo delle proprie emozioni. Poteva farcela, non aveva fatto altro che lottare per quello.
«No» disse, facendo un sospiro profondo per ritrovare la calma. «Reiner non è proprio tipo da arrendersi tanto facilmente. Penso anch'io che sia probabile che si trovi lì».
«Beatris» disse ancora Erwin. «Durante la missione per il recupero di Eren sei stata fondamentale. Sei riuscita a rallentare Reiner e costringerlo ad aprire un varco per permettermi di riprendere Eren. Tu lo conosci meglio di chiunque altro, vorrei che ci prestassi ancora le tue conoscenze».
«Dubito che la mia strategia di puntare sul suo affetto nei miei confronti possa funzionare due volte, se riesce a ricordarlo, comandante, poco dopo Reiner ci ha lanciato addosso dei giganti» sospirò Beatris. «Credo che abbia capito di essere stato usato e non l'abbia apprezzato particolarmente».
«Non dico di usare la stessa strategia, ma di usare le tue conoscenze su di lui contro di lui. Contro Reiner è indubbio che tu sia la più avvantaggiata tra tutti noi».
Beatris sospirò ancora e appoggiò definitivamente la schiena al sedile. Incrociò le braccia al petto e si chiuse qualche secondo in riflessione. Usare le conoscenze che aveva su di lui, contro di lui. Era sensato, ed era ciò che gli aveva permesso la prima volta di vincere quella battaglia. Lei sapeva come pensava, sapeva chi era, poteva comprenderlo. E anticiparlo.
«Capitano Hanji» mormorò, pensierosa. «Le lance fulmine... le abbiamo create insieme. Non mi ha mai detto qual era il loro scopo, però».
In realtà non credeva di aver bisogno di una vera spiegazione, l'aveva intuito già nel momento in cui Hanji aveva iniziato a coinvolgerla in quel progetto. Avevano lavorato sui frammenti di cristallo della caverna Reiss e su quello che si era rotto dal cristallo di Annie, quando l'avevano catturata. E ora che parlava con loro della possibilità di scontrarsi di nuovo con Reiner, poteva dire di avere quasi la certezza su quale fosse lo scopo di quell'arma. Ma voleva sentirglielo dire, voleva avere chiaro tutto il quadro della situazione.
Hanji si lasciò sfuggire un sospiro teso dalle narici, prima di dire: «Abbiamo cercato di ricreare una potenza esplosiva tale da abbattere il materiale con cui i giganti si corazzano. L'abbiamo testato sui frammenti di muro, su quello di Annie e i cristalli raccolti dalla caverna dei Reiss per quel motivo».
«Perciò l'obiettivo di questa missione non sarà semplicemente il recupero del Wall Maria...»
«Esatto» disse Erwin, duro e risoluto. «Dobbiamo uccidere i nostri nemici. Uccidere Reiner, Bertholdt e Ymir e tutti quelli che si metteranno contro di noi. Finché il nemico non sarà eliminato, chiudere la breccia sarà inutile perché potranno sempre trovare il modo di sfondare di nuovo il muro».
Uccidere Reiner. Lei voleva ritrovarlo, ed era disposta anche a combatterlo per fermarlo, ma ucciderlo...
«Capisco» rispose semplicemente.
«Credi di potercela fare?» le chiese Erwin e una scintilla gli bruciò negli occhi. Beatris aveva dimostrato fedeltà alla legione, era certo che non li avrebbe traditi ancora, ma non poteva rinnegare ciò che c'era stato in passato. Erwin era un uomo dalla veduta abbastanza ampia da comprendere anche una cosa come quella: nemico o meno, un amore non era mai del tutto cancellabile.
«Sono ai lavori forzati» rispose Beatris, puntando lo sguardo deciso in quello del comandante. «Eseguirò tutti gli ordini che mi verranno impartiti».
E questa volta a prendersi qualche istante per riflettere fu Erwin stesso, prima di dire con la stessa semplicità con cui aveva risposto Beatris poco prima: «Capisco».
E non aggiunse altro, dando a Beatris il tempo di pensare e mettere insieme i pensieri.
«Reiner si è dimostrato una persona molto paziente» disse infine lei, cercando di estrapolare dai suoi ricordi quante più informazioni possibili. «Ha aspettato tre anni, prima di fare la sua mossa a Trost. Tre anni in cui non ha fatto niente, se non cercare di sondare il terreno e imparare ciò che l'ambiente circostante aveva da offrirgli. Non è come Eren, non agisce d'impulso, attende il momento che a lui sembra propizio. Ho modo di credere che non sarà lì ad aspettarci in bella vista, sul muro. Ci lascerà entrare in città e aspetterà che noi ci sentiamo al sicuro per colpire quando meno ce lo aspettiamo. Bertholdt tra tutti è sicuramente il più pericoloso, il suo gigante è il più grande ed è in grado di emettere vapore ustionante, avvicinarci a lui per colpirgli la nuca è quasi impossibile. Anche da umano ha dimostrato grandi abilità, ma pecca di determinazione e intraprendenza. Aspetterà che sia Reiner a fargli un cenno, non interverrà in autonomia, ma potrebbe essere comunque il primo ad attaccare. Sia nella distruzione di Shiganshina che quella di Trost, Reiner ha mandato lui per primo. Anzi, nell'attacco di Trost Reiner non è intervenuto per niente. Tende a voler prima raccogliere informazioni, studiare la situazione e a guidare l'operazione con occhio esterno. Sì, sono abbastanza certa che non ci attaccherà immediatamente ma aspetterà di coglierci di sorpresa, studiando prima le nostre mosse. Per quanto riguarda Ymir... non so dire molto su di lei, purtroppo. Non avevamo un grande rapporto e prima del castello non sapevo nemmeno che fosse un gigante. Non l'aveva detto a nessuno, nemmeno a Historia... non riesco ancora a capire perché si sia alleata con Reiner, alla fine. Tendeva a voler pensare prima di tutto a se stessa, forse ha capito che seguire Reiner le avrebbe portato qualche sorta di vantaggio».
«Che cosa mi sai dire sui nemici oltre le mura? Ti ha accennato qualcosa su eventuali alleati? Motivazioni? Punti deboli?» continuò a chiedere Erwin.
«No» sospirò ancora Beatris. «Mi ha detto che il luogo da cui proviene si chiama Marley e che si trova oltre il mare. Mi ha detto che per trasformarsi in giganti, noi eldiani, abbiamo bisogno di un'iniezione, ma non è mai sceso nei particolari. Infatti non sapevo che tutti i giganti fossero umani, il processo tramite cui un gigante diventa capace di controllarsi lo abbiamo scoperto con i ricordi di Eren della chiacchierata tra Ymir e Bertholdt. Ma queste sono tutte cose di cui siete già a conoscenza. Ymir ha detto di aver mangiato un loro amico... e il gigante Bestia è abbastanza sicuro che sia uno di loro. Vien naturale pensare che ce ne possano essere altri, ma non ho idea di quanti siano né di chi siano. Lui continuava a dire di essere un guerriero e per questo era stato mandato qui a compiere la sua missione... probabilmente c'è una selezione, tra gli eldiani di Marley, per scegliere a chi passare i poteri dei giganti. A pensarci, lui, Bertholdt e Annie hanno dimostrato da subito capacità superiori a quelle di chiunque altro, solo Mikasa era sopra di loro. Fa pensare che abbiano ricevuto una sorta di addestramento, prima di essere mandati qui, il che ha senso. Non mandi un gruppo di ragazzini, anche se con poteri da giganti, a compiere una missione tanto pericolosa senza prima averli addestrati. Erano soldati già prima di arrivare qui. Annie, infatti, continuava a dire che le tecniche di combattimento che conosceva gliele aveva insegnate suo padre» si corrucciò, pensierosa, e non riuscì a trattenersi dal commentare, tra i denti: «Che razza di posto è Marley, se addestrano soldati già dalla tenera età?»
«Prima del loro arrivo, per cento anni non è mai stato registrato nessun tipo di attacco» commentò Erwin. «Forse il gruppo di ragazzini scelti era stata un'eccezione, una situazione specifica per compiere questa missione. Non saprei spiegarmi altrimenti perché non abbiano mai provato a sfondare le mura anche prima».
«Non saprei» rispose Beatris. «Da come ne parlava Reiner sembrava fosse una cosa normale, ma potrebbe essere solo la mia impressione. Parlava di espiare delle colpe...»
«Quali colpe?» chiese Hanji.
«Gli eldiani, mi ha spiegato, che nascono tutti dalla dea Ymir, una dea in grado di trasformarsi in gigante e che in passato ha usato questo potere per commettere atrocità contro l'umanità».
«Ymir...» mormorò Hanji, voltandosi verso Erwin. «È una casualità che si chiamino allo stesso modo?»
«Potrebbe o forse no» rispose Erwin. «Nei documenti di Ymir non risulta alcun cognome, era un'orfana che viveva per le strade. Si chiamava Ymir e basta... il che è strano».
«Credo che anche Ymir venga da Marley» commentò Beatris. «Ora che sappiamo che tutti i giganti sono umani trasformati da un'iniezione, può essere che fosse una di queste. Ma non vedo come la cosa possa esserci d'aiuto. Lei, in fondo, ha vagato per sessant'anni fuori dalle mura... non era una di loro, dubito fosse una "guerriera". Per questo non riesco a capire cosa l'abbia spinta ad accettare di seguirli. Non era una di loro... forse voleva solo tornare a casa? No, non avrebbe mai abbandonato Historia per una cosa simile».
«Forse è stata costretta a farlo» azzardò Hanji.
«È l'unica cosa che riesco a pensare, ma non conoscendo i dettagli è difficile capire la verità. Comunque penso che se dobbiamo puntare a qualcuno per primo, quella sia proprio Ymir. Potrebbe essere quella con le motivazioni più deboli, facile da dissuadere. Così come è passata dalla parte di Reiner forse possiamo convincerla a passare di nuovo dalla nostra...» disse e si rese conto dell'azzardo che aveva fatto solo successivamente: lei aveva il compito di riportarla da Historia, doveva recuperare Ymir, non ucciderla. Non sapeva però quanto Erwin fosse d'accordo. Sembrava essere convinto all'idea dell'eliminazione.
«Avere una forza bellica maggiore potrebbe tornarci utile e Ymir può fornirci informazioni importanti» disse Erwin. «Ma non mi fiderei troppo di chi è in grado di cambiare idea con una tale facilità».
«Lei segue solo la via più conveniente per lei, basterà farle la proposta migliore».
«E per quanto riguarda Reiner e Bertholdt?»
«Non lo so» sospirò ancora Beatris. «Credo che dovremmo vedere sul momento come si comportano e valutare in base al caso. Teniamo gli occhi aperti, sicuramente osserveranno i nostri movimenti e aspetteranno il momento più opportuno per attaccare. Loro, a differenza di Ymir, hanno una volontà di roccia, soprattutto Reiner. Non si arrenderà tanto facilmente, ma se riuscissimo a piegare lui avremmo in pugno anche Bertholdt. Non si è mai mosso indipendentemente, se Reiner gli dirà di cessare i combattimenti lo farà, anche se più riluttante. O per lo meno esiterà e ci darà il tempo di colpirlo, prima che possa reagire».
«Come pensi di riuscire a piegare la volontà di Reiner?» continuò Erwin.
«Questo lo scoprirò sul momento. Non sono sicura di poter giocare di nuovo la carta dell'affetto nei miei confronti, non dopo l'ultima volta, ma posso fare un tentativo. Devo riuscire prima a studiare le sue reazioni, capire cosa gli passa per la testa. So che voleva tornare a casa a tutti i costi, ma so anche che non aveva intenzione di andarci a mani vuote. Cercheranno di nuovo di prendere Eren, se ne avranno la possibilità».
«Beatris» Erwin la costrinse ad alzare lo sguardo. «Reiner andrà eliminato» disse risoluto e definitivo, e Beatris sentì i muscoli tendersi. Lei parlava di piegare le loro volontà, convincerli ad allearsi con loro, cessare il combattimento. Non di eliminazione, non di uccisione. E la cosa non stava piacendo a Erwin, che arrivò persino ad aggiungere con forza: «Questo è un ordine».
Beatris serrò la mascella, ma non distolse lo sguardo. Se voleva risolvere la questione prima che del sangue venisse versato, doveva riuscire a convincere il comandante a tenerla in prima linea, renderla partecipe dell'operazione. Doveva agire dall'interno, e non poteva permettersi di perdere la loro fiducia. «Come le ho già detto, comandante Erwin, eseguirò tutti gli ordini che mi verranno impartiti».
Quella sarebbe stata la battaglia più dura che le fosse mai stato chiesto di combattere.

La carrozza si fermò di fronte al quartier generale di Trost. Erwin fu il primo ad alzarsi e scendere, seguito da Hanji e infine da Beatris. Il cortile era pieno di soldati intenti a mettere a punto gli ultimi preparativi per la partenza, ma la loro destinazione era il deposito di armi, dove avrebbero finito di equipaggiare Beatris.
«Spero che tu ti ricordi come si usa il sistema di movimento tridimensionale» le disse Hanji, sorridendo.
«Una volta imparato come si vola, è difficile dimenticarlo» le rispose Beatris, altrettanto sorridente. Ma poi aggiunse, più insicura, più genuina: «Spero di non essermi arrugginita».
«Faremo un paio di prove insieme, prima della partenza».
«Hanji» la chiamò Erwin, fermandosi in mezzo al corridoio. «Porta tu Beatris al deposito. Io vado a finire i preparativi».
«Ricevuto!» rispose Hanji e si batté un pugno sul petto, in segno di saluto. Erwin si voltò e si allontanò, lasciandole infine sole.
«Andiamo» la guidò, attraverso i corridoi. «Come ti senti? Sei tesa?» le chiese una volta che si furono allontanate di qualche passo.
«Lo sono, è ovvio» sospirò Beatris. «Sono passati cinque anni dall'ultima volta che ho messo piede a Shiganshina, e non è stato un bell'addio. Mi spaventa un po' pensare che la rivedrò come l'avevo lasciata quel giorno...»
«Non sarà facile, posso capirlo» annuì Hanji e si avvicinò a una porta. «Pensa però che non sarai sola, in tutto questo» le sorrise, e infine l'aprì.
Ad investirla per prima fu la voce tonante di Jean che strillava contro Eren qualcosa sulla sua incapacità a legarsi decentemente il sistema di movimento addosso. E la voce di Eren che gracchiava furioso qualche insulto, infastidito dalla sua sola presenza. Ma non fu l'unica cosa che arrivò a lei con la potenza di un tornado: Sasha, non troppo lontano, sproloquiava con Connie sull'eventualità di tornare presto ad allevare bestiame quando avrebbero ripreso il Wall Maria e l'incremento di carne nell'alimentazione di tutti quanti. Mikasa era vicino a Eren e Jean, e tentava di parlare al primo, dicendogli di darsi una calmata, mentre Armin cercava di far ragionare il secondo. Beatris entrò nell'armeria, ma rimase sulla soglia della porta, incapace di avvicinarsi. Erano lì. Erano tutti lì, esattamente come li ricordava. Esattamente come li aveva lasciati. E una ventata di malinconia la investì con una tale potenza da farle sentire per un istante le gambe deboli.
«Capitano Hanji» sibilò, con un filo di voce. «Ho il permesso di interazione?»
«Devi! Il corpo di ricerca si basa sul lavoro di squadra. Avanti, vai a salutare i tuoi amici, io recupero l'equipaggiamento per te» le disse Hanji e si allontanò. Ma fece solo un passo, lasciandosi Beatris appena alle spalle, quando finalmente l'attenzione dei ragazzi della squadra Levi venne rivolta a loro. E tutto quel vociare cessò improvvisamente.
Connie fu il primo a rompere quel surreale silenzio fatto di emozione e sorpresa. Lanciò un semplice urlo, senza dire niente, ma le puntò un dito contro come se avesse appena visto un fantasma.
«Bea...» mormorò Eren, a occhi spalancati. Nessuno sapeva che si sarebbe unita a loro, glielo si leggeva negli occhi. Erano tutti sorpresi.
Mikasa scattò come un felino e in neanche un secondo le fu addosso. Le avvolse le braccia al collo e la strinse, tremante. Beatris restò per un attimo paralizzata, completamente sopraffatta dalle emozioni, ma il calore di Mikasa arrivò presto a scaldarle il cuore. Si contraé in un'espressione di dolore, mista a felicità, e sentì per l'ennesima volta le lacrime arrivare a premere nei propri occhi per uscire copiose. Riuscì a trattenerle, ma si ritrovò a tirare su col naso come una bambina, e dei lamenti le sfuggirono dalla gola. Scattò improvvisamente, avvolse le braccia intorno alla vita di Mikasa e ricambiò quel disperato e felice abbraccio. Eren e Armin arrivarono subito dopo, seguiti da Jean e per ultimi anche Connie e Sasha. Le si misero tutti intorno, sentì qualcuno toccarle una spalla, e dovunque si voltava vedeva volti felici ed emozionati.
«Ragazzi...» sibilò e non si trattenne più. Scoppiò in un pianto lamentoso e infantile.
«Ohy, ohy» mormorò Jean, divertito. «Sei appena tornata e già fai tutto questo casino?»
«Non sono tornata, sono ai lavori forzati!» pianse Beatris ancora disperata, intenzionata a non lasciar andare Mikasa per i successivi minuti.
«Eh?» mormorò Jean, confuso.
«Lavori forzati?» si unì Connie, altrettanto confuso.
«Ehy, Jean!» salutò qualcuno, da lontano. «Ho sentito una gran confusione, avete bisogno di...»
«Marlo!» gridò Beatris, senza smettere di piangere. «Che cazzo ci fai tu qui?!»
«Eh?» strabuzzò gli occhi Marlo, turbato per il tono con cui gli si era rivolto. Non riusciva a capire se fosse disperata, impaurita, felice o sconvolta. Sembrava un po' tutte le cose insieme e non sapeva bene come rispondere o reagire.
«Forza, Tris» ridacchiò Jean. «Cerca di darti un contegno, adesso».
«Vaffanculo Jean» pianse ancora, quasi urlò disperata, e Jean scattò immediatamente, irritato: «Ohy!!!»
«Già! Vaffanculo Jean!» urlò Connie, infervorato dalla cosa. Non sapeva nemmeno lui perché Beatris l'avesse insultato, ma per qualche motivo la cosa lo sovraccaricava.
«Ma come ti permetti, nanetto pelato!» ruggì Jean e prese Connie per la camicia, minaccioso.
«Toglimi le mani di dosso, faccia da cavallo!» e i due presero a litigare animatamente tra loro, strattonandosi, e urlando insulti senza alcun nesso.
«Ma cosa sta succedendo, adesso?» ridacchiò Armin, imbarazzato da quella scena. Beatris continuava a urlare e piangere disperata, Jean e Connie avevano iniziato a bisticciare tra loro senza motivo, Mikasa cercava di rassicurare Beatris e questo in realtà non faceva che aumentare il tono della voce della ragazza nel suo pianto. Marlo continuò a guardarli perplesso, chiedendosi se avesse dovuto intervenire e come. E in tutto questo Sasha si era alleata con Connie, per qualche strano motivo, contro Jean.
«Non appena è arrivata ha scatenato il putiferio» mormorò Eren abbassando le spalle, scoraggiato. «Ehy, Jean» si avvicinò al trio litigioso. «Dai, adesso smettetela».
«Che cosa vuoi tu, adesso, eh?! Le vuoi prendere?!» ringhiò Jean, voltandosi incazzato verso Eren.
«Chiudi quella bocca, state facendo un gran casino per niente!» ruggì Eren, furioso. Si era avvicinato con l'intenzione di fare da paciere, ma alla fine si era fatto coinvolgere anche lui, incapace di essere quello che manteneva la calma.
«Chiudi la bocca tu, Scemo-Eren!» gli ringhiò contro Jean e Eren divenne paonazzo dalla rabbia. «Non chiamarmi in quel modo!» gli urlò contro.
«Solo io posso chiamarlo così!» urlò disperata Beatris, sempre in lacrime.
«Neanche per sogno! Nemmeno tu, Bea-Stupida!»
«Mikasa!» pianse ancora Beatris, stringendosi alla ragazza di fronte a sé. «Mi tratta male e non so perché!»
E Mikasa lanciò un'occhiata gelida a Eren, pronta a intervenire in difesa dell'amica.
«Non guardarmi in quel modo! Ha iniziato lei!» brontolò Eren e alle sue spalle Jean riprese a prendersela con Connie e Sasha. Ovunque era il delirio, ovunque erano urla e insulti senza alcuna ragione se non quella di scaricare una tensione che non erano più riusciti a contenere. E quello, il lasciarsi andare spontanei al proprio temperamento, era il metodo che meglio conoscevano. Armin ridacchiò nervoso, allungò una mano verso di loro e pensò a qualcosa da dire per provare a intervenire, per placarli, ma temette che se si fosse azzardato a dire qualcosa avrebbero coinvolto anche lui in quelle ridicole scene da bambini troppo cresciuti. E, dentro sé, sentì che forse era bene così, che si sfogassero come potevano.
«Betty!» esclamò Hanji, tornando vicino ai ragazzi che improvvisamente si acquietarono. «Ti lascio sola per un istante e crei il caos» ridacchiò e alzò l'attrezzatura per il movimento tridimensionale, così da mostrarglielo. «Su, su, lasciali stare adesso. Andiamo a vedere quanto ancora ti ricordi come si vola».
Beatris tirò vigorosamente su col naso, si ripulì in fretta e furia con una manica e infine le corse incontro. Prese la sua attrezzatura e iniziò a montarsela addosso, frettolosa, emozionata, ma finalmente più tranquilla. Non appena fu pronta, Hanji le fece strada verso il cortile esterno, dove avevano a disposizione una piccola porzione boschiva per le esercitazioni e i test delle attrezzature. I suoi compagni la guardarono allontanarsi insieme alla caposquadra, si lanciarono uno sguardo tra loro, e colsero negli occhi di tutti lo stesso desiderio: volevano partecipare! Non dissero niente, ma corsero dietro ad Hanji e Beatris, esclamando: «Veniamo anche noi!»
Arrivarono fuori ancora in preda all'eccitazione e Connie e Sasha furono i primi a far scattare il proprio meccanismo tra gli alberi e lanciarsi nella vegetazione.
«Ma dove andate voi due! Questo era un esercizio per Beatris» li rimproverò Jean, ma non esitò a far scattare anche il suo meccanismo e raggiungerli. Beatris li guardò confusa, chiedendosi dove stessero andando e quali fossero le loro intenzioni. Doveva essere lei a provare l'attrezzatura, che combinavano? Ma Eren le corse a fianco, ridendo divertito, e la prese per mano. «Andiamo, Bea!» cominciò a tirarla verso gli alberi e si voltò verso di lei solo per rivolgerle uno sguardo colmo di frenesia. «Andiamo a Shiganshina».
Lo stavano facendo. Stavano per andare a Shiganshina insieme, come si erano promessi tanto tempo addietro. Beatris sentì una scossa percorrerla da capo a piedi e la trepidazione le fece battere il cuore in gola. Ebbe come l'impressione di sentire una ventata d'aria fresca e rigenerante investirla improvvisamente. Stavano tornando a Shiganshina!
«Andiamo a riprendere quel disegno» le disse Eren, sempre più deciso, e lei sentì la determinazione caricarla completamente di energia nuova. «Sì!» disse e fece scattare anche il proprio meccanismo, volando a fianco di Eren. Si sentì leggera, si sentì come un uccello. Si sentì libera come mai si era sentita prima. Volò tra i rami, superando rapidamente Eren, e si librò per riuscire ad arrivare il più in alto possibile. Jean le volò davanti, le tagliò la strada e le disse, un attimo prima di sparire: «Da questa parte, Tris!»
«Aspetta!» le uscì istintivamente e virò improvvisamente, per mettersi all'inseguimento di Jean. Questo proseguì per qualche metro, poi si voltò a lanciarle un'occhiata, forse solo per assicurarsi che gli stesse dietro. Sghignazzò nel vederla e virò di nuovo, cambiando di nuovo direzione. Un urlo entusiasta arrivò alle loro orecchie e in un istante videro arrivare anche Connie, veloce come una scheggia. Superò Beatris, raggiunse Jean e riuscì a superare anche lui.
«Mangia la mia polvere, Jean!» rise, volando oltre i rami e sparendo nella vegetazione.
«Ehy!» ringhiò Jean offeso nel vedersi superato. Si preparò ad accellerare ma sentì arrivare un secondo: «Yaoohh» eccitato prima di veder comparire Sasha alla sua sinistra. Gli tagliò la strada sbracciandosi per la felicità, virò poco dopo e si mise all'inseguimento di Connie.
«Non è valido tagliare così!» ruggì Jean e diede gas, intenzionato a non essere lasciato indietro. Beatris li guardò e non riuscì a trattenersi: scoppiò a ridere divertita. Si voltò a cercare Eren alle sue spalle e lo trovò qualche metro indietro.
«Chi resta ultimo è un asino scemo!» gli disse prima di aumentare la pressione del gas e dare una bella accelerata.
«Maledetta, che stai dicendo?! Quand'è che è diventata una gara?!» ruggì Eren offeso e anche lui accelerò, a discapito del consumo di gas, per non essere lasciato indietro. Le risate di Beatris, mentre volteggiava da un ramo a un altro, risuonarono per tutta la vegetazione. Ondeggiò, si diede lo slanciò e ancora gas. Si alzò sopra i rami, si guardò attorno e riuscì a individuare il resto dei suoi amici. Lanciò i rampini nella loro direzione, ancora gas, e si lanciò a capofitto verso di loro. Passò a pochi centimetri da Jean, rischiando di farlo sbandare, ma ridendo divertita riuscì a schivarlo, rimettersi in traiettoria facendo una piroetta intorno a un albero e passò avanti.
«Sei lento!» lo schernì, voltandosi a fargli una linguaccia.
«Ha ragione» rispose Eren, superandolo in quel momento.
«Come osate?! Ora vi faccio vedere io!» Jean non si trattenne più, usò tutte le armi che aveva a disposizione e divenne un fulmine che superava rami e alberi a una velocità mai vista prima. Superò Sasha, poi Connie, ma poi venne di nuovo messo in seconda posizione da Beatris. Eren raggiunse Sasha e poi Connie, ma con uno scatto questi riuscirono a metterlo di nuovo ultimo. E tornarono a fronteggiarsi, superandosi a vicenda in continuazione, senza riuscire a mettere troppa distanza l'uno dall'altro, senza neanche avere idea di dove si stessero dirigendo e dove fosse il capolinea di quella corsa senza senso. Ridendo, gridando come bambini intenti a giocare ad acchiapparsi. Fecero tutto il giro dell'area boschiva e tornarono indietro, verso Hanji, Mikasa e Armin che invece erano semplicemente rimasti a guardare. Jean riuscì a mettersi in prima posizione proprio all'ultimo momento e abbandonato l'ultimo albero disponibile si allungò verso terra, pronto ad atterrare. Rise divertito mettendo i piedi a terra e si voltò, pronto a sbeffeggiare i compagni e vantarsi della sua prima posizione, ma lanciò un urlo terrorizzato quando si vide Beatris a neanche un metro di distanza, ancora in pieno atterraggio.
«Jean! Non fermarti così!» gli gridò contro Beatris, terrorizzata, ma nessuno dei due ebbe tempo di reagire. E inevitabilmente lei gli cadde addosso, buttandolo a terra con tale forza da fargli uscire un urlo dolorante dalla gola. Neanche pochi istanti dopo, con lo stesso urlo terrorizzato, arrivarono anche Connie e Sasha. Troppo veloci per controllare l'atterraggio, e con un punto di appoggio programmato decisamente troppo vicino ai due. Connie fu il primo a schiantarsi contro le loro schiene, Sasha la seconda, atterrando su di loro di faccia. E a ciascuno di quell'impatto Jean urlò, sempre più dolorante, vittima di un vero e proprio assalto combinato. Per quanto accidentale.
Eren fu l'unico a salvarsi, atterrando decentemente e riuscendo a controllare la propria velocità.
«Andavate troppo veloci!» li rimproverò, vedendoli tutti e quattro spalmati l'uno sull'altro, privi di energie e momentaneamente fuori combattimento.
«Era una gara!» esclamò Sasha, la prima a rialzarsi. Ma nel farlo schiacciò con il ginocchio la schiena di Connie e successivamente mise un piede sullo stinco di Jean. Entrambi non fecero ancora che lamentarsi per il dolore e piagnucolare. «Dovevamo andare veloci!»
Una volta in piedi, Sasha prese Connie per una gamba e lo trascinò via dal mucchio.
«Ahia» sibilò questo, semplicemente, incapace di rialzarsi.
«Perché ti sei fermato così all'improvviso?» mormorò Beatris a Jean, ancora sotto di lei, incapace di muoversi.
«Tu non potevi scegliere un punto diverso per atterrare?» le chiese Jean di rimando, con la stessa forza -totalmente assente. Mikasa si avvicinò ai due e prese Beatris di peso, sollevandola da sopra Jean e permettendo infine a questo di riprendere fiato. Armin gli si inginocchiò a fianco, preoccupato. «Jean, stai bene?»
Ma questo non riuscì a rispondere se non con un sibilo e un lamento.
«Beh» mormorò Hanji, divertita e imbarazzata allo stesso tempo. «Ci sono state delle vittime, ma alla fine sembra essere andata bene» ridacchiò e sondò uno a uno i tre che erano ancora a terra, troppo indolenziti per riuscire a reagire in alcun modo. Sperava solo che si fossero ripresi in tempo per la partenza. Doveva addirittura ancora spiegare a Beatris in che modo usare le lance fulmine...

Da sopra il Wall Rose, il tramonto sembrò più luminoso e scaldante che mai. Il cielo riluceva di un rosso acceso, come il tocco di un amante arrivava a sfiorarli. Il vento era tiepido e accarezzava loro i capelli. Beatris prese un'ampia boccata d'aria. Era la stessa aria che aveva sempre respirato, eppure da là sopra sembrò più fresca a rigenerante che mai. Mai aveva apprezzato così tanto la libertà come in quel momento. Puntò lo sguardo a sud. A poco più di cento chilometri da lì, c'era casa sua. Eren le si affiancò e puntò lo sguardo nella stessa direzione. Dietro di loro sentirono raggiungerli anche Armin e Mikasa. Restarono in silenzio, a respirare quell'aria che sapeva di libertà e speranza, e a guardare l'orizzonte dove ad attenderli c'erano le strade lasciate cinque anni prima. Eren e Beatris si scambiarono uno sguardo, dopo qualche minuto, e ancora non proferirono parola. Semplicemente sorrisero, pieni di determinazione. Erano veramente così vicini.
A interrompere il loro silenzio fu un potente clamore, alle loro spalle: urla di uomini e donne, piene di entusiasmo, felicità e forza. Si voltarono, curiosi, e sentirono che le urla provenivano da sotto le mura, all'interno di Trost. Si unirono al resto dei compagni, fiancheggiando i capitani e il comandante Erwin. E sgranarono gli occhi, sorpresi. Tutta la popolazione era lì sotto riunita e urlava, piangeva e si sbracciava.
«Riprendete il Wall Maria per noi!»
«Il futuro dell'umanità è nelle vostre mani!»
«Capitano Levi grazie per aver salvato la nostra città! La prego, torni sano e salvo!»
«Riprendetevi la nostra terra!»
«Ma...» mormorò Beatris, meravigliata. E non riuscì ad aggiungere altro. Nei suoi ricordi di bambina e di soldato non c'era mai stato un momento come quello. La partenza e il ritorno del corpo di ricerca era sempre stato salutato con lacrime e disappunto da chiunque, convinti che le loro missioni fossero solo perdita di tempo, forze e denaro. Erano abituati a essere guardati con disappunto, ad essere considerati solo dei mangia-pane a tradimento. E invece ora erano tutti lì, a salutarli con gioia e speranza, a pregar loro di vincere la guerra e tornare a casa da eroi. Per quanto la gloria non fosse mai stata qualcosa che lei avesse ambito, o che le fosse interessata, persino per lei fu particolarmente emozionante. Grida si unirono a quelle di incoraggiamento della popolazione e Beatris si voltò a guardare Jean, Sasha e Connie.
«Lasciate fare a noi!»
«Ce la faremo!»
«Sì!»
E si sbracciavano, saltavano, pieni di felicità. Li guardò intenerita, sentendo una tiepida felicità sbocciarle nel petto. Era bello poter stare lì con loro, godere di quei momenti insieme. Era davvero bello... e forse non se n'era mai accorta veramente, prima di quella sera. Aveva detestato Reiner per aver scelto per lei, averla costretta a restare all'interno del muro ed essersene andato abbandonandola. Ma tutta quella frustrazione capì era stata sbagliata. Reiner aveva avuto ragione, quel giorno. Lei doveva restare lì, insieme a loro. Non sarebbe mai riuscita a essere loro nemica, ma questo non cambiava la sua posizione. Non sarebbe riuscita a essere nemica nemmeno di Reiner. Non sapeva come, non sapeva in che modo, ma sentiva che era quella e solo quella la sua disperata missione: sistemare le cose, salvarli tutti. Nessuno escluso. Nemmeno Reiner, Bertholdt e Ymir. Si tese e determinata puntò lo sguardo alla popolazione di Trost. Quello era il giorno della battaglia finale e lei aveva ben chiara quale fosse la sua missione. Riportarli a casa.
"Historia..." pensò, puntando lo sguardo all'orizzonte, in direzione della capitale. "Riprenderò Ymir. Te lo devo".
L'urlo di Erwin si unì assurdamente al coro di entusiasmo. Alzò un pungo al cielo e gridò carico di forza, in risposta agli incoraggiamenti del popolo.
«Soldati!» disse poi. «Offrite i vostri cuori!»
«Sì!» gridò l'intero corpo di ricerca e si batterono tutti un pugno sul petto, alzando lo sguardo fiero verso le terre che avevano deciso di proteggere anche a costo della vita.
«Si dia inizio all'operazione per la riconquista del Wall Maria!» ordinò a gran voce e si voltò, avvicinandosi al bordo esterno del muro di Trost. Scesero, calando i cavalli con gli ascensori, e infine, una volta toccata terra, si misero in marcia. Cavalcarono a gran velocità per un primo tratto, usando la formazione per l'avvistamento ad ampio raggio, fino a quando infine non calò la notte. Scesero da cavallo, accesero le lanterne con la pietra luminosa della caverna dei Reiss e proseguirono più lentamente per tutta la landa. Sapevano che con l'oscurità i giganti non si sarebbero mossi, ma questo non migliorava il loro stato di tensione. Non avevano dimenticato la notte al castello Utgard, con i giganti che li avevano attaccati anche sotto le stelle. Rimasero all'erta e procedettero lentamente, anche più del previsto, ma fu necessario per riuscire a non perdere la concentrazione. In totale silenzio, era interrotto solo dagli zoccoli dei cavalli e da qualche lanterna che ogni tanto tremava più del solito sotto la presa spaventata di chi le portava. Erano determinati, si sentivano più forti che in passato, avevano armi, strategie e una nuova speranza. Ma questo non cambiava le cose: erano in territorio nemico, sarebbero potuti essere attaccati da ogni lato. Incontrarono qualche gigante per la strada, ma nessuno di loro si mosse, addormentato. E proseguirono, senza ingaggiare battaglie inutili, per ore... fino a che non cominciarono a vedere l'alba.
«Questo posto...» mormorò improvvisamente Beatris, guardandosi attorno.
«Lo riconosci?» chiese Hanji, al suo fianco. Beatris si voltò istintivamente a cercare lo sguardo di Mikasa ed Eren. Annuirono, convinti.
«Siamo venuti qui a raccogliere legna qualche volta» disse Mikasa.
«Qui vicino c'è la collina dove Eren andava sempre a dormire» confermò Beatris. «Casa nostra è lì davanti!» e indicò un punto, nell'oscurità.
«Ehy! Abbiamo trovato un sentiero!» sentirono dire da uno dei soldati. Lo raggiunsero rapidamente e finalmente uscirono dal bosco. Non percorsero molta strada, che finalmente videro le mura proprio davanti a loro, illuminate dai primi raggi solari.
«Montate a cavallo, non diamo tempo ai nemici di organizzare la difensiva! Qui siamo scoperti, ci vedranno» ordinò Erwin. Ormai il sole era sorto, erano in grado di vedere senza lanterne, perciò le misero via. Montarono a cavallo e cominciarono la rapida e impetuosa avanzata verso le mura. Più si avvicinavano, più Beatris sentiva una morsa chiudersi sul petto, ed era certa che non fosse la sola. Eren, Mikasa e Armin sicuramente stavano provando in quel momento il suo stesso turbamento.
Vide il cancello che da Shiganshina portava all'interno del Wall Maria, sfondato. Esattamente come lo ricordava. Quello era il punto in cui Reiner aveva colpito. Riuscì per un istante a sentire di nuovo il boato della pietra che veniva frantumata e le urla della gente. Raggiunsero la prima zona residenziale esterna, superarono le case del villaggio percorrendo la via principale, e la sensazione di oppressione al petto si fece sempre più intensa. Le riconosceva. Quante volte aveva percorso quelle strade insieme ai suoi amici, quando era bambina, quante corse, litigi con altri bambini perché Eren non riusciva mai a chiudere la bocca. Passarono di fronte a quello che era un vecchio negozio di stoffe e tessuti, privato di ogni cosa, ormai decadente. Ma Beatris riuscì a vederlo nei suoi ricordi, perfetto nel suo splendore, con i muri ancora intatti, le finestre lievemente aperte, un uomo fuori dalla porta a fumare un sigaro e le stoffe colorate che ondeggiavano al vento, appese fuori dal pergolato. Riuscì a rivedersi, bambina, mentre correva all'indietro nel tentativo di gridare qualcosa a Eren alle sue spalle. E si vide nell'istante in cui voltandosi si trovò le stoffe del negozio proprio sul volto. Era inciampata, per lo spavento, si era appesa a due di queste ed era caduta in avanti trascinandole giù con sé. L'avevano ricoperta e l'uomo col sigaro si era infuriato. Mikasa e Eren erano andati a raccoglierla, tirandola via dall'intrigo di tessuti in cui era finita, mentre Armin si era molto preoccupato di chiedere scusa almeno cento volte. Superarono il casolare, e l'immagine davanti ai suoi occhi svanì in quell'istante, lasciando spazio a decadimento, marciume e erba infestante. Beatris spostò lo sguardo al muro che aveva davanti e per un attimo ebbe come la sensazione di vedere il cancello ancora intatto, con Hannes seduto sotto di questo su delle casse, insieme a due dei suoi colleghi. Carte alla mano, una bottiglia nell'altra, ridevano e urlavano frustrati per una partita che stavano decisamente perdendo. Ebbe l'impressione di vederlo, mentre si voltava verso di loro, li notava e alzava un braccio, per salutarli.
«Ehy, ragazzi!»
Ma svanì anche lui.
«Lasciate i cavalli ai piedi del muro, saliamo col sistema di movimento tridimensionale» ordinò Erwin. Metà dei soldati restò a terra, a badare ai cavalli e assicurarsi dai tetti di quel villaggio esterno che nessun titano si avvicinasse. Le squadre principali, coinvolte nell'operazione di chiusura della breccia, fecero scattare i propri meccanismi e volarono rapidi fino al muro. Vi salirono sopra e finalmente poterono affacciarsi verso la città di Shiganshina. Lì il vento aveva lo stesso calore della sera prima, a Trost, ma per qualche ragione Beatris non ne sentì giovamento. Ebbe addirittura un brivido. Erwin, non troppo lontano, cominciò ad organizzare le squadre e studiò la situazione dentro e fuori città. Ma lei non riuscì ad ascoltarlo. Camminò fino al margine interno del muro, puntando gli occhi alle strade di Shiganshina. Era esattamente come l'aveva lasciata, cinque anni prima. Gli stessi tetti distrutti, gli stessi massi e le stesse macerie esattamente dove ricordava che fossero. Provò a ricordare com'era un tempo, come aveva fatto col negozio di tessuti e con il cancello, provò a rivedere la sua città nel suo perduto splendore. Ma non ci riuscì. Il silenzio, laggiù, era a dir poco surreale. Era come se una maledizione fosse caduta sulla città e l'avesse bloccata in eterno, tanto devastante da non permettere nemmeno ai ricordi di riaffiorare. Fece scorrere lo sguardo su ogni singola casa, ogni singola strada, ogni singola piazza. E restò lì per interi minuti, in silenzio, a cercare quei ricordi che proprio non erano intenzionati a riemergere.
«Tris» Jean le si avvicinò, preoccupato. Si era isolata e aveva decisamente lo sguardo perso nel vuoto. Sapeva cosa stava provando in quel momento, o almeno riusciva a immaginarlo, e sapeva che non avrebbe dovuto ignorarlo. Beatris alzò un braccio e puntò il dito verso una direzione precisa, all'interno della città distrutta.
«Laggiù c'è casa mia» mormorò. «E...» abbassò appena il braccio, ma tenne ancora il dito sollevato nella direzione di casa sua. Fece scorrere gli occhi lungo una strada, verso la porta interna di Shiganshina, ma si fermò molto prima. Era lì. Era lì che era successo. Su quella strada, a quella precisa altezza. Lì Reiner le era corso incontro urlando, terrorizzandola a tal punto da farla paralizzare. Lì sua madre l'aveva afferrata un istante prima di essere schiacciata, aveva lanciato via sia lei che Rose, e non aveva fatto in tempo a mettersi in salvo. Proprio lì, lei aveva visto morire per la prima volta una persona a causa sua. Aveva visto morire sua madre, a causa sua. Non riuscì a dire niente, intrappolata in quell'incubo, non faceva che fissare il punto dove tutto era accaduto. Ma la sua espressione doveva essere cambiata, trasformata in qualcosa di molto simile al terrore e alla disperazione, perché Jean sentì il bisogno di riportarla indietro. Le mise una mano sulla spalla, le fece sentire la sua vicinanza, e questo bastò ad attirare la sua attenzione. Beatris abbandonò la strada dove sua madre era morta e spostò gli occhi a lui.
«Risolviamo questa faccenda» le disse e lei annuì. Fece un lungo sospiro e cercò di riprendere il controllo delle sue emozioni. Aveva una battaglia da portare avanti, non c'era posto per il dolore e la paura. Non avrebbe dovuto esitare mai più. Proprio laddove tutto era iniziato, per colpa della sua paralisi di fronte al terrore, lei l'avrebbe concluso. E l'avrebbe fatto muovendosi. Agendo. Combattendo.
«Non ci sono giganti nei paraggi» mormorò, tornando al presente. «È strano».
«Forse sono stati attirati tutti vicino al Wall Rose per la presenza degli umani e hanno abbandonato questo posto» ipotizzò Jean. «Andiamo, è il momento di entrare in azione. Dobbiamo seguire Eren».
Beatris annuì di nuovo e seguì Jean, riunendosi al gruppo. Erwin non parlò nemmeno, fece solo un cenno col braccio e diede il via all'operazione. Corsero lungo tutto il perimetro del muro, loro e altri cento soldati, tutti incappucciati. Non avrebbero mostrato i loro volti, non avrebbero fatto sentire le loro voci. Ovunque il nemico si nascondesse, avrebbe dovuto perdere del tempo prima di riuscire a capire chi di loro fosse il vero Eren e intanto loro avrebbero potuto avvicinarsi alla breccia esterna. Niente li intralciò, ma questo non fece che aumentare la loro inquietudine, piuttosto che rasserenarla. Era decisamente strano.
"Ci osservano" rifletté Beatris, guardandosi scrupolosamente intorno. "Reiner non è tipo da entrare subito in azione, sta studiando prima la situazione".
Raggiunsero la breccia e aspettarono il segnale da parte delle truppe di perlustrazione. Non c'era nessun gigante in giro, lo confermarono con dei razzi segnalatori, e solo allora Eren saltò giù, verso la breccia. Fu rapido, talmente rapido che se il nemico avesse voluto intervenire non avrebbe fatto mai in tempo. Si morse una mano e si lanciò contro il cancello distrutto. Si trasformò in un boato, atterrò davanti alla breccia e cominciò a indurirsi, infilandocisi dentro. Il cristallo che ne nacque si fece spazio in tutti gli anfratti, si allargò oltre il corpo di Eren, circondandolo col cristallo, aggrappandosi alla pietra del muro. E in un battito di ciglia, la breccia fu sigillata. Eren uscì in tempo dalla nuca del gigante, prima di restare intrappolato al suo interno, e Mikasa volò da lui per recuperarlo. Lo riportò sul muro e si riunì alla squadra.
«I nemici?» chiese Hanji, al resto della squadra.
«Niente da segnalare! Non c'è movimento!» rispose Moblit.
«La breccia è stata chiusa» comunicò qualcun altro. «Perfettamente sigillata».
«È stato troppo semplice, non sono convinto» mormorò Eren, aggrappato a Mikasa.
«Eren, coma va il tuo sistema di movimento tridimensionale?» gli chiese lei e Eren fece un rapido check della sua attrezzatura. «È tutto a posto. Ma ho perso il mantello» non fece neanche in tempo a concludere la frase, che Mikasa gli mise sulla testa il proprio. Doveva restare nascosto e portare avanti l'operazione.
Hanji si guardò attorno nervosa e infine si avvicinò a Beatris, che era tornata a guardare l'interno di Shiganshina, ma con uno sguardo e un'intenzione decisamente diversa: non c'era dolore e tristezza sul suo volto, solo preoccupazione e frustrazione.
«Ci osservano» comunicò, non appena Hanji le fu vicina abbastanza da impedirle di parlare a voce troppo alta.
«Perché ci hanno permesso di chiudere la breccia con tanta facilità?»
«Non lo so. Forse non è importante» mormorò e si corrucciò lievemente, pensierosa. «Lui aveva detto a Eren che se avesse accettato di seguirli, non ci sarebbe più stato bisogno di abbattere le mura» rifletté, ricordando le parole che Reiner aveva detto a Eren sul Wall Rose, il giorno della loro fuga. «Probabilmente impedirci di procedere con la ripresa del Wall Maria non rientra nei loro interessi. Puntano a Eren, e aspettano il momento migliore per attaccare».
«Quale sarà il momento migliore?»
«Non lo so... forse quando abbasseremo più la guardia. Forse quando anche la breccia interna sarà chiusa e potremmo tirare un sospiro di sollievo».
«Ci dobbiamo aspettare un'imboscata» annuì Hanji, d'accordo col suo pensiero. «Ma non possiamo interrompere l'operazione. Continueremo a cercare nei paraggi, proveremo a scovarli, ma nel frattempo dobbiamo andare avanti» e si voltò verso il resto della squadra. Fece loro un cenno col braccio e diede il segnale per riprendere la marcia. Corsero ancora lungo il muro, dirigendosi verso la breccia interna, dove si sarebbero riuniti a Erwin e avrebbero portato avanti la seconda fase. Erano quasi giunti a destinazione quando improvvisamente il comandante Erwin sparò un razzo di segnalazione, imprevisto.
«Il segnale di interruzione della missione!» esclamò Hanji.
«Avranno trovato qualcosa?» mormorò Beatris, pensierosa.
«Soldati, sparpagliatevi sul muro e restate in attesa di ordini!» disse Hanji. Si unirono a gruppi di tre persone, si dilatarono sul muro e restarono in attesa, come ordinato. Sfoderarono le proprie armi, puntarono lo sguardo in ogni direzione e si tesero, pronti a entrare in azione. Dalla sua posizione più vicina, rispetto agli altri, Beatris riuscì a vedere il gruppo di soldati che era rimasto con Erwin sopra la breccia sparpagliarsi per un piccolo tratto. Restarono appesi con la propria attrezzatura e iniziarono a sondare il muro stesso, muovendosi lentamente e battendo con le proprie lame colpi sulla roccia.
«Che stanno facendo?» mormorò a Hanji e Moblit, al suo fianco. «Perché esaminano il muro?»
«Che siano nascosti lì dentro?» sussurrò Hanji, altrettanto tesa.
«Potrebbe essere possibile?» chiese Beatris, sorpresa.
«Le mura sono fatte di giganti cristallizzati, c'è qualcosa sotto lo strato superficiale... potrebbero nascondersi anfratti e piccole zone vuote, non le abbiamo mai studiate completamente, sarebbe anche improbabile da fare».
«Potrebbe essere un buon punto d'osservazione» mormorò Beatris, pensierosa. Strinse maggiormente le dita sulle lame, sentendo ogni singolo muscolo tendersi, pronta a intervenire. «Se Reiner fosse lì dentro, avrebbe una buona visuale su tutta la città e sulle mura circostanti. Inoltre, sa che la nostra conoscenza in merito è esigua, avrebbe potuto pensare che non saremmo mai arrivati a cercare dentro le mura. Sì, è un ragionamento che lui farebbe».
Attesero, in silenzio, sempre più nervosi. Dalla sua posizione riusciva persino a sentire i ticchettii delle lame contro la pietra, mentre i soldati colpivano, in cerca di spazi vuoti. E più andavano avanti, lenti in quella loro scrupolosa ricerca, più sentiva il cuore battere in petto. Cercava di pensare, cercava di pensare a troppe cose tutte insieme. L'avrebbero scovato? Lui era veramente lì? E se fossero riusciti a coglierlo di sorpresa? E se invece fosse stata tutta una trappola, per costringerli a dividersi? Ma soprattutto... cosa avrebbe dovuto fare, una volta venuto allo scoperto? Beatris sapeva cosa voleva, ma non sapeva come raggiungerla. Salvare lui, ma salvare anche il suo corpo militare. Cercare di salvare tutti. Come doveva agire? Avrebbe dovuto parlargli? L'avrebbe ascoltata? Strinse talmente tanto le dita sull'attrezzatura che iniziò a tremare. Ormai non sentiva più nemmeno il rumore delle lame contro la pietra, assordata dai battiti del proprio cuore. Respirava pesantemente, sentendo la necessità di catturare quanto più ossigeno possibile, in maniera controllata. Ma era tesa come una corda di violino. Davanti a lei stava per esplodere una bomba e le era stato chiesto di agire, fare la cosa migliore e farla rapidamente. Ma cosa? Qual era la cosa migliore?
Reiner andrà eliminato. Questo è un ordine.
Sicuramente non era l'unica a cui aveva dato quell'ordine. Intorno a lei, almeno un centinaio di soldati era pronto ad eseguirlo. Ucciderlo a vista, senza esitazioni. Le lance fulmine di cui erano stati dotati servivano proprio a quello scopo. Non appena l'avesse visto, doveva agire per prima, non lasciare a nessuno il tempo di fare la propria mossa. Se lo avesse fatto, Reiner o uno dei suoi compagni, sarebbe morto. Doveva agire per prima e piazzarsi tra loro come un muro imponente, fermare entrambi, in qualche modo. Nessuno doveva morire. Nessuno.
«Ho trovato qualcosa!» gridò uno dei soldati e Beatris fece un passo in avanti, istintivamente. Ebbe uno strano fremito, un brivido lungo la schiena, il sesto senso che l'avvertiva di un pericolo imminente. D'istinto lanciò un rapido sguardo alle sue spalle e intercettò la squadra di Levi, Eren e Mikasa.
Levi. Anche lui era teso, sporto in avanti, pronto a intervenire.
Reiner andrà eliminato.
Lui poteva riuscirci senza dargli neanche il tempo di organizzare un contrattacco. Tutto sarebbe potuto finire in un battito di ciglia, Levi era in grado di ucciderlo decisamente troppo rapidamente.
«Reiner!» gridò Armin e i muscoli di Beatris reagirono prima della sua mente. Saltò giù dal muro nello stesso istante in cui Levi fece altrettanto, ma cercò di sfruttare la sua posizione più ravvicinata rispetto alla sua. Diede gas, il più possibile, ma sentì comunque dietro di sé la presenza del capitano, dannatamente veloce. Ma non la raggiunse, anzi sembrò a un certo punto fermarsi, forse perplesso nell'averla vista reagire e mettersi davanti a lui. Gli occhi di Beatris si mossero solo successivamente. Il corpo si era lanciato nella direzione della provenienza della voce, ma si rese conto di dov'era e cosa stava facendo solo quando ormai era a un passo da lui. A un passo da Reiner. E incrociò il suo sguardo, mentre lui, uscendo da un buco nel muro, si liberava del cadavere del soldato che aveva davanti e che aveva appena ucciso. Si sentì paralizzare, ma ebbe la sensazione che lui avesse fatto altrettanto. Erano lì, l'uno davanti all'altra, per la prima volta dopo mesi di vera agonia. Ed erano nemici.
È un ordine.
La voce di Erwin le rimbombò in testa come una campana e alzò le lame. Non rifletté sul daffarsi, seguì solo il proprio istinto e la propria indole a improvvisare. Sentì solo la voce di Erwin nella testa che le ordinava di ucciderlo, il suo desiderio a non farlo, e vide perfettamente davanti a sé le immagini di un Bertholdt profondamente ferito alla gola ma che era sopravvissuto. Se non veniva recisa la nuca, loro sopravvivevano sempre.
Tagliò l'aria di netto e vide Reiner arretrare appena, per provare a schivarla. Non persero il proprio contatto visivo nemmeno in quell'istante, mentre lei si spingeva avanti e riusciva a recidergli profondamente la gola e il petto. Reiner si portò una mano alla ferita, cercando di fermare l'emorragia, e si corrucciò in un'espressione dolorante. Perse la presa della propria attrezzatura per il movimento tridimensionale e cadde verso il suolo, continuando a fissare ininterrottamente Beatris, sopra di lui. Beatris si scoprì a tremare come una foglia, ma non era paura: era tesa, bloccata tra due fuochi doveva riuscire a ucciderlo e proteggerlo contemporaneamente. O perlomeno, doveva far credere al comandante Erwin che ci stesse provando con tutta se stessa. Tornò a serrare le dita sulla propria attrezzatura e si lasciò cadere nel vuoto, spingendosi verso il basso con la pressione del gas. Doveva raggiungerlo. Non era morto, tutti lo avevano visto, non poteva dimostrare di avere clemenza e lasciarlo andare. E fintanto che fosse stata lei, da sola, a combatterlo, avrebbe potuto dargli qualche chance di sopravvivere. Lei non aveva nessuna intenzione di ucciderlo davvero, Levi sì. Se si fosse scontrato contro di lui, non avrebbe avuto modo di proteggerlo.
Alzò di nuovo le lame, pronta a saltare addosso a Reiner, fingere di colpirlo ancora, fingere di volergli dare il colpo di grazia. Ma vide una luce cominciare a sprigionarsi dalle sue ferite e quella che sembrava elettricità avvolgergli le dita piene di sangue, premute sulla gola tranciata. Si stava trasformando. Lì, in quel momento, con lei a pochi metri di distanza da lui. L'avrebbe uccisa? O avrebbe fatto anche lui finta? Quali erano le reali intenzioni di Reiner? Dopo che lui le aveva lanciato addosso dei giganti, senza preoccuparsi di metterla in pericolo, Beatris non sapeva più cosa pensare. Lo sguardo che lui continuava a rivolgerle, non riusciva a interpretarlo. Era rabbia? Sorpresa? Intento omicida? O forse malinconia e dolore, come la stava provando lei? Stavano provando a uccidersi a vicenda... ma volevano davvero farlo? E l'altro era davvero in grado di comprenderlo? Era tutto così confuso, così disarmante, così straziante... che non riuscì a muoversi per tempo e rimase paralizzata qualche istante di troppo, mentre vedeva il corpo di Reiner contorcersi e avvolgersi dalla stessa luce che già conosceva fin troppo bene. L'esplosione della trasformazione l'avrebbe investita in pieno.
Ma qualcuno l'afferrò e la trascinò via, verso l'alto, appena in tempo per salvarsi dall'impatto. Non la prese con grazia, fu un salvataggio affrettato e d'emergenza, le strinse decisamente troppo la vita e per un attimo sentì il fiato mancarle. La trascinò verso l'alto, riportandola sul muro nell'istante in cui sotto di sé Beatris vide Reiner venir avvolto completamente dal bagliore. E un boato esplose, la luce divenne abbagliante, il colpo dell'esplosione la costrinse a portarsi le braccia al viso per proteggersi dalla ventata improvvisa e dall'onda d'urto. Infine, lo vide... di nuovo, dopo così tanto tempo. Il gigante corazzato era steso su quella stessa strada che cinque anni prima aveva distrutto nella sua impetuosa corsa. Era di nuovo lì, tra quelle case che lui stesso aveva demolito, e i fantasmi dei morti che lui stesso aveva ucciso. Era tutto come cinque anni prima. Compresa la sua paura.
Beatris venne lasciata sopra al muro, seduta su questo, e sentì Levi vicino al suo orecchio urlare frustrato: «Merda!»
Si voltò a guardarlo, sorpresa, e comprese solo in quel momento che a salvarla dall'esplosione era stato lui. «Avresti dovuto aspettare a colpire, avvicinarti di più, così da recidergli di netto la testa. Sei stata troppo avventata!» ringhiò, ma non era davvero rivolto a lei. Guardava il corazzato sotto al muro come una bestia che guardava la propria preda.
«M-mi dispiace» mormorò Beatris.
«Tch» lo sentì sibilare tra i denti, furioso come non mai. «C'eri vicina. C'eri veramente vicina. Sarebbe bastato pochissimo!»
Non era furioso con lei, riuscì a comprenderlo, era furioso per la sfortuna che sembrava averli colti. Probabilmente, anzi, in quel momento aveva sperato che lei avesse potuto farcela. Per questo aveva rallentato e le aveva permesso di andare avanti... forse aveva addirittura pensato che fosse giusto così, che fosse proprio lei a dargli il colpo di grazia. Tra tutti, era lei quella che meritava di uccidere Reiner.
«A tutte le unità!» gridò Erwin, alle loro spalle. «Controllate il perimetro e cercate gli altri...» non terminò di dare l'ordine, che un potente urlo, somigliante a un ruggito, provenne dalle loro spalle. E a seguire una serie di esplosioni combinate, almeno dieci, ma che andarono a sovrapporsi le une sulle altre, rendendo impossibile identificare la quantità di giganti che si era appena trasformato. Si voltarono a guardare l'esterno di Shiganshina, oltre il villaggio, e impallidirono quando videro comparire il gigante bestia vicino a decine di altri giganti. Messi a semicerchio, non davano spazi di fuga, li chiudevano all'interno di quell'area disegnata da loro, il muro e Shiganshina alle loro spalle. Con il corazzato da un lato e il gigante bestia dall'altro, capirono di essere appena stati messi in trappola. Il bestia si chinò subito a raccogliere un grosso masso e senza dar tempo loro di organizzare una contromossa gliela lanciò contro.
«Un masso!!! Al riparo!!» gridò uno dei soldati, ma ormai era troppo tardi. Con un arco preciso, il masso volò fino a loro, ma non li colpì. Si schiantò anzi sulla porta interna di Shiganshina, quella ancora da sigillare, e la fece crollare definitivamente. Le macerie tapparono parzialmente il foro che c'era stato poco prima, adesso se avessero voluto fuggire dall'interno senza usare movimento tridimensionale per loro sarebbe stato impossibile.
«Ci... ha mancati?» mormorò un soldato, confuso.
«No, invece... ha buona mira». Rispose Erwin. «Ci ha chiuso l'ingresso, in questo modo non potremmo portare i cavalli all'interno della città per provare a proteggerli. E non possiamo nemmeno fuggire verso l'esterno, senza doverci scontrare con quell'esercito di giganti. Vuole precluderci ogni via di fuga».
«Erwin» Levi richiamò la sua attenzione. «Il corazzato si sta per arrampicare».
Beatris portò di nuovo gli occhi a Reiner, sotto di sé, e lo vide. Questo piantò le mani e i piedi nella roccia, riuscì a creare appigli, sfondando la pietra, e lentamente cominciava ad arrampicarsi per raggiungerli. E ancora non riuscì a distogliere lo sguardo da lui, che assurdamente sembrava ricambiare. Ma ora che era sotto forma di gigante, era impossibile leggergli effettivamente lo sguardo: poteva solo avere la sensazione che stesse guardando nella sua direzione.
"Che intenzioni hai, Reiner?" rifletté, tesa. Non riusciva a comprenderlo, non riusciva a capire quali fossero le sue prossime mosse, le sue intenzioni, i suoi pensieri. Non riusciva a capire se avrebbe tentato di ucciderla veramente o se anche lui stesse provando a salvarla dallo scontro, in qualche modo.
«Anche il titano a quattro zampe deve essere uno di quelli dotati di intelligenza» sentì dire da Erwin, alle sue spalle. Non si voltò a guardare a cosa si riferisse, le bastarono quelle parole per iniziare a intuirlo: ce n'erano altri, mai visti prima. Ma la sua totale attenzione continuava a restare su Reiner, che ancora scalava le mura per arrivare a loro. «L'avevamo sospettato, che potessero essercene altri. Sembra che la potenza di fuoco del nemico sia più grande del previsto» Aggiunse Erwin.
E ancora non si erano visti Bertholdt e Ymir. Il che dava maggior preoccupazione, non sapendo dove si nascondessero, da dove avessero potuto colpire. Il gigante bestia lanciò un altro urlo, potente abbastanza da arrivare persino a loro, e colpì il suolo con un pugno. I giganti di più piccola taglia, classe 3 e 4 metri, partirono verso di loro, correndo.
«Si muovono!» esclamò Hanji, vedendoli.
Ma ancora nessun ordine arrivò a loro da Erwin. I titani di piccola taglia raggiunsero il villaggio sotto di loro e Reiner, dall'altro lato del muro, era riuscito già a scalarne più di metà.
«Comandante!» gridò Armin. «Il corazzato sarà qui a momenti e ancora non abbiamo individuato Bertholdt!»
«Ne sono consapevole» rispose con fermezza Erwin, ma ancora non diede alcun ordine. Stava studiando la situazione, cercando di capire e decifrare le mosse del nemico. Doveva pensare a un piano. «Beatris» richiamò la sua attenzione, ma lei non si voltò. «È come avevi previsto?»
«Quasi» rispose lei, senza distogliere gli occhi da Reiner, ormai a venti metri da lei. «Ma sembra più raffinato. È come quando Armin sistema i miei piani improvvisati trasformandoli in strategie. Credo che non sia opera sua, non totalmente almeno».
«Lo penso anche io...» commentò Erwin. «È lui la mente, probabilmente» disse fissando il gigante bestia, che ora non sembrava intenzionato a intervenire e restava a guardare.
«Vogliono Eren...» continuò Beatris. «Se riuscissimo a trovare il modo di farlo allontanare in sicurezza, anche da solo, lascerebbero perdere l'attacco contro di noi e si concentrerebbero su di lui».
«Non senza prima averci resi inoffensivi e incapaci di seguirli» mormorò Erwin, e infine si voltò a guardare i suoi soldati. Alzò l'unico braccio che aveva e urlò: «Squadrone Dirk e squadrone Malene, unitevi allo squadrone di Klaus al cancello d'entrata! Proteggete i cavalli con le vostre vite! Squadrone Levi e squadrone Hanji, abbattete il corazzato! Usate le aste luminose solo quando vi verrà ordinato. Questo momento, questa battaglia, deciderà le sorti dell'umanità! Offriamo i nostri cuori per il bene del genere umano! Soldati! Offrite i vostri cuori!»
Le squadre incaricate di proteggere i cavalli partirono immediatamente, per riunirsi ai loro compagni e insieme abbattere i titani che si avvicinavano. Le squadre di Levi e Hanji si sporsero dall'altro lato e si lanciarono in direzione del corazzato.
«Non attacchiamolo subito, andiamo sui tetti alle sue spalle! Evitatelo! Studiamo le sue mosse!» ordinò Hanji, saltando giù insieme al resto della squadra. Beatris si sporse, per raggiungerla, senza interrompere il contatto visivo con Reiner che era a quasi dieci metri sotto di lei. Ma Erwin la fermò. «Beatris» si voltò a guardarla e solo allora Beatris staccò gli occhi da Reiner, incrociando quelli del comandante, che vicino a lei le mormorò per non farsi sentire da Reiner sotto di loro: «L'idea di far allontanare Eren da solo è buona. Te lo affido, hai piena libertà d'azione. Levi! Aspetta, resta qui un attimo» fermò anche lui, ma a quel punto Beatris non aveva più motivo di restare ad ascoltarli. Tornò a guardare Reiner sotto di sé e vide già alcuni dei suoi compagni superarlo, volando lontani da lui per evitare di essere intercettati e gli andavano alle spalle.
Lo sguardo di Beatris si fece più duro, determinato. Aveva il compito di proteggere Eren, prima di ogni cosa. Lui era sotto la sua responsabilità, lo era sempre stato, fin dal giorno di Trost. Forse persino da molto prima. Non poteva lasciarglielo prendere, per nessuna ragione.
Si sporse e si lasciò cadere nel vuoto, lanciandosi dritta verso Reiner. Lo vide per un istante esitare, ma fu solo un attimo. Poi lui allungò una mano verso l'alto, pronto a intercettarla e afferrarla. A dita aperte, il braccio disteso verso l'alto, il palmo pronto ad accoglierla. E lei non diede cenno di volersi spostare, provare a difendersi, e si lasciò cadere dritta verso la sua mano spalancata.
"Mi ucciderai, Reiner?"
Quali erano le sue intenzioni? Era nemico? Avrebbe ancora cercato di proteggerla? O avrebbe provato a ucciderla, senza ripensamenti? Proprio in quella città, proprio su quelle strade... doveva capirlo! Atterrò sul palmo della sua mano dura e spigolosa, e vide in quel momento le dita di Reiner chiudersi, pronte a stringerla. Alzò appena in tempo gli occhi per vederle che cadevano su di lei, probabilmente per schiacciarla. Saltò via, di lato, e usando la propulsione del gas riuscì a darsi un'accelerazione sufficientemente potente da farla sgusciare via dalla sua presa un istante prima che avesse potuto stringerla. Sparò i propri rampini su di lui, su una porzione di collo scoperta dalla corazza, e ondeggiò alle sue spalle. Lo vide voltare la testa nella sua direzione, mentre lei gli volava praticamente intorno, ma poi tornò a guardare il muro... e riprese la scalata. Ignorandola.
Beatris si sganciò in quel momento e raggiunse i suoi compagni, sui tetti della case alle spalle di Reiner.
«Sei... sei impazzita?!» gli urlò contro Jean, pallido per la scena che aveva appena visto.
«Avevo bisogno di capire una cosa» rispose Beatris, concentrata nello studiare Reiner che finiva di scalare il muro. Non li stava considerando, aveva intercettato lei solo perché gli era volata addosso, ma non era interessato a loro. Puntava all'esterno, probabilmente ai cavalli. Volevano bloccare loro ogni via di fuga, come priorità.
«Ti sei quasi fatta uccidere!» continuò Jean, che ancora tremava per l'agitazione.
"No" rifletté Beatris. "Non lo avrebbe fatto". Ora cominciava a comprenderlo. Era stato costretto a intercettarla, costretto a esserle ostile e se lei avesse esitato un solo istante di più sulla sua mano forse sarebbe stato persino costretto a ucciderla veramente. Ma non erano quelle le sue intenzioni, adesso le erano chiare: Reiner le aveva dato il tempo di fuggire. Non era stato veloce nello stringere le dita, aveva preso il suo tempo, esitato, e le aveva dato una chance per andarsene. Forse non era stata intenzionale, forse era veramente ostinato a combatterla e dimenticare cosa provasse per lei, ma almeno il suo istinto l'aveva frenato. E ora lei finalmente lo sapeva: se Reiner avesse potuto scegliere, l'avrebbe risparmiata.
«Non punta a Eren» disse Beatris, ignorando le lamentele di un Jean morto di paura.
«Eh?» mormorò questo e solo allora lasciò perdere Beatris e tornò a guardare Reiner che finiva di arrampicarsi.
«Ci ha visti scendere tutti quanti, anche se non sa chi di noi è Eren, adesso starebbe tentando almeno di inseguirci e scoprirlo» si unì Armin.
«E che sta facendo?» chiese Jean.
«Vuole eliminare i cavalli» si unì Hanji. «In questo modo non avremmo possibilità di inseguirli per cercare di riprendercelo, quando lo cattureranno».
«Lui è paziente, ma una volta individuato l'obiettivo e la strada per arrivarci ci si lancia a testa bassa. Punta sulla forza d'attacco» rifletté Beatris. «Come immaginavo, non è lui la mente di questo piano. A quest'ora si sarebbe lanciato contro di noi, sicuro della sua superiorità, e avrebbe cercato di prendersi Eren, lasciando agli altri il compito di tagliarci la via di fuga. Ma ciò non toglie che l'obiettivo principale sia il solito».
«Hai in mente qualcosa?» le chiese Eren, avvicinandosi a lei.
«Erwin ci ha ordinato di abbatterlo, ma se si unisce al resto del nemico diventa più complicato. Dobbiamo trovare il modo di trattenerlo qui, se sarà da solo contro tutti noi possiamo avere una possibilità. Dobbiamo farlo scendere da quel muro».
«E come hai intenzione di fare? Proverai a chiamarlo?» la provocò Jean e si sorprese quando vide sul volto di Beatris sbocciare un sorriso divertito e determinato. «Sì, una cosa del genere» gli lanciò un'occhiata provocatoria e infine si voltò verso il resto dei suoi compagni. «Io e Eren scapperemo verso il muro esterno di Shiganshina, ma lo faremo in modo che Reiner possa notarci perfettamente».
«Vuoi che Eren si trasformi?» chiese Armin, cominciando a intuire.
«Il suo obiettivo è riprendersi Eren, sa che è in grado anche lui di scalare le mura, se se lo lasciasse sfuggire sarebbe un bel guaio. Eren in forma di titano potrebbe benissimo scappare a piedi e tornare in città: non glielo permetterà».
«Io non voglio scappare!» si intromise Eren, turbato all'idea di andarsene e lasciare soli i compagni.
«Non lo farai davvero» si unì Armin. «Con ogni probabilità Reiner cercherà di impedirtelo, ma se così non dev'essere, allora ti basterà fare il giro e arrivare alle spalle del gigante bestia. Pare sia lui la mente del piano, dunque, e forse è anche il più pericoloso, visto che uno come Reiner ha accettato di fare secondo le sue regole. Dev'essere più forte di lui. Se tu lo prenderai alle spalle e il capitano Levi con il resto della squadra lo prende dalla parte frontale, si ritroverà chiuso tra due fuochi. In ogni caso vinciamo noi».
Beatris annuì, convinta da quella idea. «Io e Eren ci renderemo ben visibili, voi tenetevi pronti sui tetti. Interverrete al momento opportuno, quando saremo sicuri di riuscire a intrappolare Reiner in una morsa. Se sarà necessario Eren può combattere, è già riuscito a metterlo in difficoltà una volta, può farlo un'altra. Basterà tenerlo impegnato e indebolirlo un po'. Le lance fulmine faranno il resto».
«Beatris» Hanji fece un passo verso di loro. «Occupati di tenere l'attenzione di Reiner concentrata su voi due. A guidare l'attacco a tenaglia ci penso io».
«Grazie, capitano Hanji».
«Un attimo!» si intromise Jean. «Possiamo mandare Eren da solo, tu puoi aiutarci con l'attacco a sorpresa. Perché metterti in mezzo alla lotta tra due giganti, non ne usciresti viva».
«Non è come l'ultima volta, Reiner non cercherà palesemente di proteggermi, questo è vero. Se sarà costretto potrebbe anche uccidermi, ma finché avrà di fronte a sé una possibilità di tenermi fuori dal pericolo ci proverà comunque. In ogni caso, avermi tra i piedi lo metterà un po' in difficoltà».
«È per questo che ti sei lanciata contro di lui in quel modo» mormorò Armin, cominciando a capire. «Volevi capire se sarebbe stato capace di ucciderti o meno».
«Hai... rischiato davvero tanto» sibilò Connie, pallido.
«Non fa niente» rispose Beatris, determinata. «Questa è la battaglia decisiva, non ci sarà spazio per esitazioni, ripensamenti o precauzioni. Qui ci giochiamo il tutto per tutto. Vivere o morire... la risposta ce l'avremo solo alla fine. Eren!» si voltò a cercare il ragazzo, che già era pronto sul bordo del tetto. Eren annuì, deciso, e si portò una mano alla bocca.
«Capitano Hanji» mormorò Beatris, raggiungendolo. «Affido le nostre vite a voi. Andiamo!»
Eren saltò giù dal tetto e non raggiunse nemmeno terra che si morse e si trasformò. Beatris si preparò a saltare, per raggiungerlo, ma venne fermata da Armin: «Aspetta, Bea! Cerca di portare Eren verso il centro della città, state lontani dalle mura. Non sappiamo ancora dove si nasconde Bertholdt, potrebbe essere pericoloso stare vicino al muro».
Beatris annuì e infine saltò e si aggrappò a Eren con il movimento tridimensionale. Si arrampicò fino a raggiungere la sua spalla e si voltò a guardare Reiner sopra al muro. Era parzialmente voltato e li guardava. Li aveva notati. Ora doveva solo scegliere se seguirli o proseguire con il piano del gigante bestia, attaccando i cavalli.
«Verso la piazza, Eren, vai!» gli disse Beatris ed Eren cominciò a correre. Beatris restò aggrappata ai suoi capelli, ancora appoggiata alla sua spalla, e non tolse gli occhi di dosso a Reiner. Ancora non si decideva a scendere, ma non stava neanche andando dall'altro lato del muro. Stava pensando.
"So che sei in grado di capire cosa stiamo cercando di fare, non sei stupido. Scegli adesso, seguirai il piano originale e ci lascerai scappare, o ci inseguirai. In ogni caso, vinceremo noi" si alzò in piedi sulla spalla di Eren e si raddrizzò, guardando Reiner con una palese aria di sfida. Non poteva vederlo, nascosto nella nuca del suo gigante non avrebbe potuto neanche se ce lo avesse avuto davanti, ma ebbe come la sensazione che in quel momento se la stesse ridendo tra sé e sé. Divertito, per essere stato messo in trappola proprio da lei. Lo conosceva, lo sapeva, Reiner ridacchiava sempre quando vedeva Beatris animarsi di spirito combattivo e puntualmente si lanciava nei suoi giochi per prenderne parte. Per metterla alla prova, per invogliarla a dare il massimo, stimolarla a fare sempre di più. E si divertiva. Si divertiva sempre quando veniva sfidato.
Come sperato, infine Reiner si voltò improvvisamente verso di loro e si lanciò giù dal muro, rientrando a Shiganshina. Atterrò e cominciò a correre dietro di loro, a inseguirli. E Beatris sorrise soddisfatta e infervorata.


Nda.

Ehy there! Capitolo più lungo del solito, questa volta. Inizialmente erano due separati ma ho deciso di darveli insieme per due motivi: il primo è che so che non vedevate l'ora di rivedere Reiner, e io volevo accontentarvi, il secondo è perché settimana prossima sarò fuori casa per lavoro e per questo salterà la pubblicazione. Quindi, visto che ci rivedremo tra due settimane, almeno avete un bel po' di materiale tra le mani xD

Quindi... ci siamo!!! La battaglia di Shiganshina è arrivata e sono tante le emozioni legate a questo. Prima di tutto: Erwin è riuscito insieme a Historia a raggirare il sistema, riuscendo così a portare Beatris con loro. Sa che contro Reiner lei è la migliore arma che abbiano (inconsapevole delle sue reali intenzioni, o forse spera che lei alla fine scelga la parte più giusta verso cui stare, in ogni caso è necessaria: ha feeling con Eren, può "controllarlo", e conosce il nemico meglio di chiunque altro. E sicuramente Historia ci ha messo del suo per riuscire a convincerlo).
Beatris è felice di poter di nuovo stare insieme ai suoi compagni, esplode di entusiasmo durante la prova nel bosco. Sa che quello è il suo posto, insieme ai suoi amici, capisce che la scelta di Reiner è stata la più giusta... ma ancora non riesce a dirgli addio. Nonostante Shiganshina le porti molto dolore e paure, è talmente determinata e incentrata sul suo obiettivo che riesce a combattere le terribili emozioni legate a quel posto e andare avanti... ma riuscirà a farlo fino alla fine? O a un certo punto il dolore avrà il sopravvento?
Finalmente, infine, rivedere Reiner. Ma non ha tempo di pensare a niente, non ha tempo di provare niente: ha fretta, sa che c'è un intero esercito insieme a lei pronto a ucciderlo a vista. Deve muoversi, prima di pensare o provare qualsiasi cosa. La domanda è solo una: quanto durerà? Come uscirà da questa battaglia? Ne succederanno di cose, ovviamente il suo obiettivo (salvare tutti) non è facile da raggiungere, e la battaglia sarà lunga, estenuante, dolorosa e piena di difficoltà. Mi dispiace lasciarvi per due settimane così, ma non ho alternative xP Quando tornerò a casa cercherò di pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile, anticipandolo rispetto al solito week end (ci proverò, non garantisco, ma ci proverò xD)

Vi lascio alla canzone del capitolo tutta incentrata su Beatris. Il sound pieno di carica rispecchia il suo animo combattivo, ma le parole sono controverse... lei ha toccato il fondo, è amata da tutti quanti, tutti credono in lei, ma sa che deve imparare a contare solo sulle sue forze, non può contare su nessuno, perché alla fine lei sta facendo il doppio gioco. Uccidere Reiner non è nei suoi piani. E chiede scusa preventivamente per questo...
"I'm so sorry" perché sa che così facendo tradirà nuovamente i suoi compagni, e le dispiace ma non può fare altrimenti, ma è rivolto anche a Reiner, che sta combattendo apertamente. È arrivata persino a recidergli la gola e le dispiace. A lui sono dedicate le parole più lente e malinconiche della canzone: sa di avergli fatto del male, perché lo ha attaccato, perché ha usato i suoi sentimenti a suo vantaggio, ma capirà prima o poi che lo sta facendo anche per lui, per il suo bene. E che ce la farà... in qualche modo.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now