Capitolo 20

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Era ormai l'imbrunire. L'accampamento appena sotto il muro di Trost, dalla parte interna del Wall Rose, era illuminato da torce e lanterne. Vi era un continuo via vai di soldati, molti pronti a dare il cambio del turno notturno per l'eliminazione dei giganti rimasti in città, altri di ritorno. Erano stati allestiti tavoli per il ristoro, con taverne intente a mostrare la loro solidarietà con cibo e bevande, e zone letto, dentro tende o strutture sempre lasciate in concessione dalla città. La strada per la pulizia completa di Trost era ancora lunga, ma con l'aiuto del corpo di ricerca, rientrato proprio quella sera da una spedizione, almeno non sarebbe durato giorni interi.
«Jean!» gridò Armin, vedendo l'amico raggiungerli. Jean cominciò a slacciarsi il meccanismo che ancora non era arrivato al tavolo a loro riservato. Era distrutto, ricoperto di sudore, sangue di gigante e affamato come non mai. Aveva bisogno perlomeno di liberarsi del peso, anche solo per mezz'ora, o sarebbe stramazzato al suolo. «Niente da fare» disse, raggiungendo Armin. «Ormai è troppo buio, senza una torcia non si riesce a vedere niente. Anche con i giganti addormentati, sarà un'impresa impossibile, soprattutto se...» e si morse la lingua, incapace di dirlo ad alta voce. Beatris non era tornata indietro, quando l'avevano lasciata andare, ed erano passate ore ormai. Non era l'unica, anche altri compagni non erano tornati e l'unica prospettiva che avevano davanti è che fossero morti. Ma riuscire ad accettarlo era così difficile. «Dovremmo aspettare domani mattina. Marco è rientrato?»
«No, ancora no. Forse sta ancora dando una mano a liberare la città» rispose Armin e Jean annuì, mostrandosi convinto, ma senza riuscire a trattenere un velo di preoccupazione. Sarebbe dovuto essere in squadra con Reiner e Bertholdt, ma i due erano rientrati soli e avevano confessato di averlo perso di vista, separati da un paio di giganti, proprio quel pomeriggio. Si erano organizzati, erano partiti per riuscire a ritrovare i due compagni smarriti, ma non erano riusciti a trovare nessuno dei due. E ormai si era fatto troppo tardi per andare ancora avanti. L'unica consolazione era che la notte i giganti non si muovevano, perciò aspettare l'alba non avrebbe peggiorato la loro situazione, se fossero stati ancora vivi.
«Armin!» gridò Mikasa, raggiungendo i due amici di corsa. «Avete trovato Beatris?»
«No» sospirò Armin. «Con questa oscurità è praticamente impossibile».
«Possiamo prendere delle torce! Possiamo andare a cercare vicino alla via centrale, più a sud» disse Mikasa, cominciando già a muoversi per andare a rifornirsi. Aveva il fiatone, era in preda al panico e certo non si sarebbe fermata per la notte. Oltretutto, appena erano rientrati i membri del corpo di ricerca avevano portato via Eren e lo avrebbero tenuto sotto la loro custodia per un po'. E questo non aiutava il suo già instabile malumore.
«Mikasa!» provò a fermarla Jean. «Non possiamo. Dobbiamo aspettare la luce del giorno! E dobbiamo riposarci un po', così stanchi sarà difficile riuscire a vedere qualcosa anche se ci si parasse davanti».
«Riposatevi, io posso ancora andare avanti. Vado a...» ma si bloccò, quando da in fondo alla via, da Trost, vide camminare Beatris di fianco a Reiner. Erano entrambi liberi della loro strumentazione, camminavano l'uno di fianco all'altro con uno sguardo abbastanza sereno, anche se sembravano particolarmente provati. Beatris si teneva un sacchetto di ghiaccio sul polso e camminava a sguardo basso, ma distesa nell'espressione, serena. Mikasa spalancò gli occhi, sentendosi pronta a mettersi a piangere. Aveva davvero creduto di averla persa, aveva davvero temuto che fosse morta sola per Trost, e si era sentita profondamente responsabile. Ma vederla tornare la riempì di una gioia incomparabile. Scattò, spintonò via un paio di cadetti che si trovò davanti e infine la raggiunse. Le saltò al collo e l'abbracciò con tale foga che Beatris si lasciò uscire un lamento dalla gola. Arrancò, indietreggiò e per poco non cadde a terra.
«Mikasa!» sussultò, spaventata per l'assalto.
«Stai bene!» esclamò l'amica. «Meno male».
«La sua attrezzatura si era rotta» spiegò Reiner. «Non potendo tornare, si era rifugiata dentro una casa. Sono riuscito a trovarla per pura fortuna».
«A quanto pare togliere quelle cinghie per fasciarmi il polso non è stata una grande idea» ridacchiò Beatris, imbarazzata per la gaffe. E riuscì a essere spaventosamente convincente.
«Ci siamo fatti dare un po' di ghiaccio dall'unità d'emergenza, ma ora la stavo accompagnando in ospedale» continuò a spiegare Reiner.
«Bea!» gridò Armin, raggiungendola. «Lo sapevo che non avrei dovuto mandarti via da sola! Mi dispiace!»
«Stai tranquillo, Armin» gli sorrise Beatris da oltre la spalla di Mikasa. «Sto bene, davvero!» e si guardò un po' attorno, prima di chiedere preoccupata: «Eren?»
«È in custodia. Non appena si riprenderà lo porteranno a processo e decideranno della sua sorte» spiegò Armin.
«Gli faranno un processo?» sussultò Beatris.
«Era inevitabile. Però siamo riusciti a riconquistare Trost, questo ci darà delle prove a suo favore» rispose Armin.
«Sì, ma non la certezza!»
«Non possiamo farci niente» sospirò Armin. «Probabilmente verremo chiamati a testimoniare anche noi, non possiamo fare altro se non il nostro meglio».
«Il comandante Pixis ti stava cercando» comunicò infine Mikasa, facendo un passo indietro per fiancheggiare Armin e lasciare finalmente libera Beatris. Quest'ultima sospirò e si abbandonò un po' sulle proprie spalle. «Dunque non è ancora finita, eh? Mi chiedo quando potrò riposare un po'».
«Occupiamoci prima delle tue ferite» le disse Reiner, preoccupato del suo stato. Le portò una mano dietro la nuca e le fece una lieve carezza sui capelli, affettuoso.
«Reiner!» esclamò Jean, facendo un passo avanti solo in quel momento. Era felice per Beatris, erano riusciti a ritrovare almeno lei e sembrava stare bene, per questo le aveva lasciato tutto lo spazio possibile. Ma c'era una questione ancora irrisolta e lui non poteva dimenticarsene. «Hai per caso trovato anche Marco?»
La mano che Reiner teneva ancora dietro la nuca di Beatris si fece improvvisamente un po' più rigida. Questa riuscì a sentire le dita del ragazzo premere contro la sua nuca, vibrare leggermente. Beatris tenne lo sguardo puntato ai propri piedi, non si voltò a guardare Reiner al suo fianco, ma sentì di non averne bisogno. Sapeva che se l'avesse guardato in volto avrebbe rivisto nascere su di lui quell'espressione disperata e confusa che aveva mostrato anche qualche ora prima. Reale, non fingeva, ormai lo sapeva. Ma estremamente confuso. I suoi ricordi, in quel preciso istante, si mescolavano pericolosamente e lui non riusciva a uscirne fuori, incastrato in un loop di domande e incomprensioni. E per Beatris non era molto meglio.
Lei riusciva ancora a sentirlo urlare alle sue spalle.
Aveva visto Marco morire e non era riuscita nemmeno a chiamare aiuto, bloccata dai propri sentimenti, più preoccupata di quello che stava accadendo a Reiner piuttosto che all'amico in pericolo. Non si sentiva ancora bene, gli avvenimenti di quella sera la scuotevano ancora, ma era riuscita a trovare qualcosa a cui appigliarsi per non cadere vittima della follia. Reiner, nonostante tutto, teneva ancora a lei. E lei non era in grado di odiarlo, anche se ne aveva tutto il diritto, anche se sentiva di essere obbligata a farlo, non ci riusciva... e dentro sé continuava a ripetersi che doveva esserci sicuramente una spiegazione. Reiner aveva commesso mostruosità, ma doveva per forza esserci un motivo. Se non credeva a quello, se non si appigliava all'amore che provava per lui, Beatris sarebbe crollata definitivamente. Era egoista, terribilmente egoista, ma aveva deciso di proteggerlo per mantenersi integra e soprattutto perché non avrebbe mai accettato di fare diversamente. Reiner era spaventosamente fragile, anche in quel momento, lo sentiva dal tocco della sua mano, stava per cadere a pezzi. Anche se era stato lui a commettere quel brutale crimine, anche se si era rivelato un traditore, la cosa non lo faceva vivere in pace con se stesso. Doveva esserci una spiegazione, e doveva essere qualcosa di molto più grande della sua volontà e bontà d'animo. Qualcuno che lo aveva obbligato, ad esempio, o una situazione più grande di lui. Ne aveva la certezza, Reiner non era il bastardo che diceva di essere, e tutto quello lo faceva soffrire spaventosamente. Lei l'avrebbe protetto. Anche a costo di diventare lei stessa una criminale, doveva proteggerlo. Si sarebbe sacrificata per proteggere qualcun altro, esattamente come aveva sempre desiderato fare. Si sarebbe lasciata mangiare lei da quel gigantesco mostro, al posto di Reiner.
E poi... non era poi così diversa da lui, in fondo. Trattenuta dall'egoismo, trattenuta dal proprio terrore, dai propri sentimenti devastati, non era stata in grado di fare niente. Aveva permesso che Marco morisse alle sue spalle e neanche aveva avuto il coraggio di guardarlo. Non si era voluta far vedere, non gli aveva dato neanche la speranza che qualcuno potesse chiamare aiuto o rivelare la verità. L'aveva lasciato morire con la consapevolezza che nessuno avrebbe saputo di lui, con la consapevolezza di avere dei traditori in squadra e non poter avvertire nessuno. Beatris l'aveva lasciato morire nel peggiore dei modi.
Lei avrebbe protetto Reiner, ma, soprattutto, avrebbe protetto se stessa. Era egoista, ne era consapevole, e totalmente sbagliato. Quel passo sarebbe stato il decisivo: lei sarebbe diventata la cattiva.
«Abbiamo trovato il suo cadavere» disse e sentì Reiner sussultare al suo fianco, ma sentì anche il silenzio tombale che cadde sopra le loro teste. «Un gigante lo stava divorando. Reiner lo ha abbattuto. Non abbiamo potuto portare con noi il suo corpo, io non avevo la mia attrezzatura... non potevamo caricarcelo. Mi dispiace, Jean».
«M-Marco è...» balbettò Armin, sconvolto.
Beatris non riuscì ad alzare gli occhi, non ebbe il coraggio di guardare in faccia i suoi amici mentre raccontava quella palese bugia. Si sentiva tremare, sapeva che se avesse alzato gli occhi sarebbe impazzita del tutto. Restarono in silenzio, non sapendo cosa dire, troppo scossi per riuscire anche solo a pensare. Poi Reiner la tirò leggermente per un braccio.
«Dobbiamo andare in ospedale» le disse con voce morbida. Lei annuì e lo seguì passivamente, passando tra i compagni che aveva davanti. E ancora non riuscì ad alzare lo sguardo. Gli occhi pieni di lacrime minacciavano di tornare a versarne il più possibile ed era terrorizzata all'idea che loro avessero potuto leggere la menzogna al loro interno.
«Reiner» mormorò Jean, quando gli passarono a fianco. «Grazie... per averlo vendicato».
Una lacrima scivolò giù dalla guancia di Beatris, ormai intrattenibile. Ma lei neanche se ne accorse.
«Sarei voluto arrivare solo un po' prima» disse Reiner, pacato.
«Perché non avete preso la sua attrezzatura?» chiese Armin, colto da quel dubbio improvviso. «Per tornare indietro. Così avreste potuto portare Marco con voi».
La sua bugia aveva una falla. Le bugie di Beatris avevano sempre delle falle e per questo che non riusciva mai a raccontarne. Era istintiva, avventata, non ragionava molto prima di agire, raccontava le prime cose che le venivano in mente e spesso dimenticava qualcosa. Armin, invece, era calcolatore e strategico. Era stato facile per lui riuscire a coglierla, anche se dal tono di voce non sembrava stesse cercando di accusarli. Ma Beatris cominciò lo stesso a tremare.
«Non ce l'aveva» rispose invece Reiner. «Non so perché, non riesco a spiegarmelo» digrignò i denti e si corrucciò. Non stava mentendo in quel momento, Beatris lo sapeva. La morte di Marco gli aveva devastato la coscienza, i ricordi di quel momento non solo erano sbiaditi ma confusi e terrificanti. E lui ci affogava dentro, ci annaspava, senza riuscire a galleggiare. Moriva nel dolore e negava a se stesso la verità.
«Bea» mormorò Mikasa, accostandosi al suo viso. Stava piangendo, non solo di una sola lacrima, ma ormai era completamente fradicia. E neanche si era accorta di aver cominciato a farlo.
«Mi... fa male il polso» lamentò Beatris con un filo di voce, non sapendo a cos'altro appigliarsi. Non riuscì nemmeno a sentire la sua stessa voce, assordata dalle urla di Marco, alle sue spalle, che chiamava Reiner disperato.
Mikasa lanciò uno sguardo preoccupato a Reiner, che semplicemente annuì. «Andiamo» disse e poggiò una mano sulla schiena di Beatris, per invitarla a riprendere a camminare. Sentendosi toccare Beatris reagì d'istinto e alzò gli occhi. E fu un madornale errore.
Jean era vicino a loro, con lo sguardo vitreo puntato al vuoto. Talmente sconvolto, talmente addolorato, da essere completamente assente. Riuscì a leggergli la sofferenza sul volto, riuscì a percepirla sulla sua stessa pelle, e si sentì crollare. La gola iniziò a bruciarle, i polmoni a contrarsi, avrebbe voluto urlare e piangere. Jean in quel momento era distrutto e la colpa era anche sua, che non solo non aveva avuto il coraggio di intervenire e salvare Marco, ma che proteggeva il suo assassino solo per un sentimento egoista ma accecante. Alzò gli occhi a Reiner, al suo fianco, e trovò in lui solo una genuina preoccupazione e un intenso dolore all'interno degli occhi arrossati e avviliti.
E capì che in quel momento era sola.
Si era sentita incoraggiata nella bugia dalla vicinanza di Reiner, ma lui non mentiva. Lui aveva rimosso ogni cosa, persino il "guerriero" che diceva di essere, in quel momento stava realmente soffrendo per la morte di Marco che trovava inspiegabile. Lei era l'unica a sapere la verità, l'unica che in quel momento la stava nascondendo, l'unica che poteva tenere in piedi se stessa ma anche Reiner. Se avesse detto la verità lui sarebbe stato il primo a crollare, come aveva fatto su quel tetto. Si sentì improvvisamente pesante, schiacciata e atterrita. E il suo potente istinto di sopravvivenza fece il resto, come aveva fatto quando quella mattina era quasi stata ingoiata viva. La tenne a galla, aggrappandosi al desiderio di continuare a vivere. Se avesse detto la verità avrebbe ucciso Reiner ma anche se stessa. Lei non aveva fatto niente, lei aveva mentito, lei era colpevole esattamente come lo era Reiner. Ebbe paura... e si paralizzò. Per l'ennesima volta.
Sentì un solido muro costruirsi intorno a lei, invalicabile, a rinchiuderla. Non ne sarebbe mai più uscita e sarebbe rimasta per sempre incastrata dentro quella bugia senza avere mai il coraggio di combattere. Sola, con Reiner distrutto da dover proteggere. Disposta persino a ferire i suoi stessi amici, pur di riuscirci e salvare così entrambi.
Guardò il volto di Jean e smise di piangere. Lo sentì improvvisamente così distante... così nemico.
«Mi dispiace» mormorò e sapeva che Jean non avrebbe mai capito le sue reali intenzioni. Avrebbe preso quelle parole come una condoglianza, ma lei aveva avuto il bisogno di dirgli, prima di voltargli le spalle, quanto le dispiacesse dover rinunciare a tutti loro. Dover rinunciare anche a lui. Quanto le dispiacesse essere... una bastarda.
Camminando a fianco di Reiner per riuscire a raggiungere l'ospedale, sentì di essere riuscita a comprenderlo totalmente solo in quel momento. A comprendere cosa doveva aver provato Reiner tutte le volte che la guardava, mentre lei condivideva il suo dolore per la perdita della sua famiglia. Tutto il rammarico, il senso di colpa, il dolore per il tradimento, la solitudine... capì ogni cosa. Quel "mi dispiace" aveva la stessa triste tonalità di quello che Reiner le aveva sempre ripetuto. Riuscì a comprenderlo... e decise che non lo avrebbe lasciato andare mai più.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now