Capitolo 48

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L'ospedale trasmetteva un'aria pacifica, serena. Non si sentiva nemmeno un sibilo, tutto taceva come fosse stato un luogo infestato dai fantasmi. E forse era proprio così. Erano i fantasmi che i feriti di guerra si erano portati dietro dal fronte, i fantasmi dei compagni morti, delle proprie vite distrutte. Un leggero soffio di vento fece svolazzare il lembo inferiore della sua gonna e le accarezzò le gambe, ma Beatris lo ignorò, totalmente concentrata sulla panchina a neanche dieci metri dall'ingresso. Guardò l'uomo che vi era seduto, solo, con una stampella poggiata al fianco, i lunghi capelli castano a coprirgli il volto e una benda a fasciargli la testa. Si corrucciò, frustrata, e strinse maggiormente sulle labbra la sciarpa. Si avvicinò a Eren e gli si sedette a fianco. Non lo salutò, non disse una sola parola, ma sapeva che l'aveva vista. E anche lui sembrava intenzionato a non dire niente.
«Dove sei stato per questi quattro mesi?» gli chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Ho girovagato un po'».
«Il piano era di stare insieme» gli disse tenendo lo sguardo duro puntato dritto di fronte a sé, al cortile deserto dell'ospedale.
«No, il piano era che tu stessi con Zeke».
«A che scopo, se non ho potuto fare da intermediario come mi avevi anticipato?» si voltò verso di lui, frustrata. «Non avevo idea di dove trovarti. Ti ho cercato per tutta Liberio!»
«Non ero a Liberio».
«Certo che non eri a Liberio» sbuffò e si appoggiò allo schienale, dietro di sé. «Se tu lo fossi stato ti avrei trovato, ho rivoltato questo posto come un calzino».
«Non preoccuparti. Il tuo lavoro inizia adesso».
«Adesso?!» alzò lievemente il tono della voce. Più parlava con lui più sentiva montarle la rabbia. «Che cazzo mi hai fatto fare fino ad ora, allora? La dolce mogliettina di quello stronzo e basta?»
«Ti ha trattata male?» Era impressionante: persino di fronte a quel dubbio Eren restava apatico, privo di alcuna espressione. Che diamine gli era successo?
Beatris sbuffò, scocciata, prima di ammettere: «No, affatto».
«Sempre meglio che stare in prigione, non credi?»
«Ho dubitato da subito che la tua intenzione fosse quella di liberarmi. Hai qualcosa per la testa, si vede chiaramente, e mi irrita non riuscire a capire che cosa. Eren...» sospirò e tornò a voltarsi verso di lui. «Che cosa ti è successo? Sei cambiato».
«Te l'ho già detto: ho aperto gli occhi e ho capito cosa dovevo fare».
«Non è una spiegazione!» alzò nuovamente la voce e si sporse verso di lui, cercando il suo sguardo. Inutilmente. «Cazzo, Eren, sono qui da quasi dieci mesi e ancora non capisco perché! Abbiamo prima fatto i turisti, e poi mi hai costretto a recitare questa ridicola parte della moglie di quello là. E non posso più uscire di casa da quando i Guerrieri sono rientrati dal fronte perché c'è pericolo che uno di loro possa vedermi e riconoscermi, nonostante il cambio di capelli. Sono passata da una prigione a un'altra!»
«Ma adesso sei qui a parlare con me» le fece notare Eren, e lei distolse lo sguardo prima di confessare: «Mi ha detto lui di venire. Devo chiederti se hai deciso di incontrarlo, alla fine, o meno».
«Ancora no. Ma tra poco lo faremo».
«Io davvero non riesco più a capire cosa ti passi per la testa. E perché quell'idiota si ostini a volerti chiedere il permesso, invece che venire qui e basta».
«Vuole la mia fiducia, cerca di fare un passo alla volta. Sono stato io a porre la condizione dell'intermediario, vuole rispettarla».
«Perché hai voluto un intermediario? Mi avevi detto che avevi deciso di incontrarlo e basta... a che ti servo?»
«Perché voglio prima avere le idee chiare e conoscere meglio questo posto, la sua gente. Quando ci vedremo sarà per la decisione definitiva».
«E ci sei riuscito?» si voltò nuovamente a guardarlo. «Hai capito meglio questo posto?»
«Abbastanza».
«Perciò...» esitò, preoccupata. «Hai preso la tua decisione?»
«Sto cominciando a farmi un'idea».
«E vuoi condividerla con me?» gli chiese, sempre più irritata. Continuava a girare attorno alla questione, senza darle nessuna vera risposta, e la cosa la innervosiva particolarmente.
«Non ancora» e la risposta la fece letteralmente esplodere. Sospirò lamentosa e alzò la testa al cielo, abbandonandosi sulle spalle, ormai esasperata. Puntò gli occhi al cielo e seguì il percorso di una nuvola, particolarmente veloce. Quel giorno c'era un po' più di vento rispetto al solito. Ma quel cielo... era esattamente uguale a quello di Paradis. Si era affacciata alla finestra, durante la notte, e aveva cercato la luna. Anche quella era sempre la stessa identica luna di Paradis, la stessa che quattro anni prima guardava dalla finestrella della sua prima cella, quando le avevano lasciato qualche diritto in più.
«Eren...» mormorò, senza schiodare gli occhi dalla sua nuvola. «Questa gente... non merita la tabula rasa, lo sai, vero?»
Ma Eren, quella volta, non rispose. E continuò a restare immobile, a fissare il suo punto nel prato, col suo sguardo duro e vuoto allo stesso tempo. Faceva quasi paura, sembrava una macchina - e ora sapeva cos'erano le macchine!
«È vero» proseguì Beatris. «La gente di Marley è spietata, le leggi di questo paese insensate e crudeli, questo mondo è brutale. So che, mentre ero a Liberio, tu sei venuto insieme a Levi, Hanji e il resto dei ragazzi. Hai girato insieme a loro, poi sei tornato a farlo da solo. Io ho vissuto qui a Liberio così tanto... e anche tu l'hai fatto. Abbiamo mangiato il loro stesso cibo, dormito sotto i loro tetti, parlato con le loro persone. Dovresti averlo visto anche tu... c'è davvero un sacco di brava gente qui. Ho conosciuto una coppia, la settimana scorsa quando siete tornati dal fronte medio-orientale. Marito e moglie. E ho visto i loro figli, anche se non ho potuto presentarmi a loro. Sono persone davvero deliziose. Battibeccavano come se fossero innamorati dal giorno prima, nonostante fossero sicuramente sposati da tanti anni. Hanno saputo farmi ridere...» e una leggera tristezza le attanagliò il petto. «Da quanto tempo era che non ridevo? Sicuramente dai tempi della prigione, quando venivate a trovarmi il lunedì. Da quando siamo arrivati qui sono sempre stata in pensiero per te, non sono riuscita a rilassarmi nemmeno per un istante. Ma quella coppia mi ha fatto ridere e mi ha dato un po' di buon umore... qui, a Liberio. Riesci a crederci?»
«Sì, ci credo» rispose Eren. «Quando siamo sbarcati la prima volta, con Levi e Hanji, abbiamo conosciuto un gruppo di persone che vivevano in delle tende. Erano poveri, i bambini andavano in giro a rubare i portafogli. Abbiamo aiutato uno di questi bambini e loro per ringraziarci ci hanno offerto da bere. È stata una bella serata, come non la vivevamo da tempo. Hai ragione, qui ci sono brave persone» e nonostante la confessione, continuava ad avere quello sguardo così cupo da mettere i brividi.
«Perciò sei d'accordo con me, che l'idea di Zeke è da pazzi» sorrise, felice di aver trovato un po' di sensatezza. Ma tutto crollò quando Eren rispose: «Non ho ancora deciso».
«Ma che significa?» si corrucciò, sentendo la disperazione travolgerla. Cosa stava succedendo? Perché Eren si comportava in quel modo? Non riusciva più a riconoscerlo, lui era sempre stato... esplosivo. I suoi occhi, che fosse rabbia o determinazione o felicità, erano sempre stati brillanti e luminosi. Non l'aveva mai visto in quel modo, nemmeno dopo la tragedia di Shiganshina nove anni prima. Lui... era sempre stato così pieno di vita, pieno di forza. Dov'era finito?
«Eren...» gracchiò in un lamento. «Scemo-Eren... perché non mi hai guardata in volto nemmeno una volta da quando sono arrivata?»
Ed Eren, come se fosse stato programmato, si voltò lentamente verso di lei e le rivolse l'unico occhio che aveva libero. L'altro era stato bendato, ferito chissà dove e chissà quando, e mai rimarginato probabilmente per suo volere, per poter stare in quell'ospedale. La guardò dritto negli occhi, senza esitazione, senza ancora una volta mostrare alcun tipo di emozione se non una strana oscurità. Come se fosse stato superiore a qualsiasi cosa... persino a lei. E restò a guardarla tutto il tempo, senza timore, senza cedere all'espressione sempre più addolorata di Beatris. Più lei lo guardava in quell'occhio, più si rendeva conto che qualcosa non andava. Che non era più lui. E lui restò a guardarla a lungo, in silenzio, come fosse stata una sfida, come se avesse addirittura voluto sottometterla. Nonostante ce l'avesse a fianco, proprio in quel momento, Beatris lo sentì distante, troppo distante, e ne sentì la mancanza come se non lo vedesse da anni. Come se di fronte a sé avesse invece una fotografia, e non un vero essere umano. Cosa avrebbe dato per sentirlo rispondere a quella sua infantile provocazione, cosa avrebbe dato per sentirsi chiamare ancora una volta "Bea-Stupida". E invece quella che distolse lo sguardo per prima fu proprio lei, troppo addolorata per continuare a guardare quello che sembrava più uno spettro che una persona.
«Sei riuscita a incontrare Reiner?» chiese Eren, tornando a guardare il suo punto nel prato, distante.
«Non ancora» rispose Beatris, tenendo lo sguardo alle proprie ginocchia. «Zeke dice che è meglio aspettare, prima di far sapere che gente di Paradis è qui a Liberio. Non si fida di Reiner, non sa da che parte stia, teme che possa spifferare tutto a Marley e metterli in allerta. Soprattutto dal momento che io sono ufficialmente sua moglie, lo metterebbe in una brutta situazione».
«Sì, ha ragione».
«Lo so anche io...» sospirò. «Se non fossero passati quattro anni, tenterei comunque di avvicinarlo. Il Reiner di allora non avrebbe mai fatto niente che avesse potuto mettermi in pericolo. Oggi invece non lo so... non so nemmeno se si ricorda ancora di me».
«Già, potrebbe averti dimenticata» e Beatris istintivamente strinse le dita sulla sua gonna, colta da una fitta di dolore al petto. Ma non fu tanto l'ipotesi di essere stata dimenticata da Reiner a farle più male, quanto la risposta di Eren. Fredda e glaciale. L'Eren di un tempo avrebbe fatto qualsiasi cosa per tirarle su il morale... no, l'Eren di allora ci avrebbe creduto davvero. Non avrebbe inventato qualche scusa solo per renderla felice, lui avrebbe risposto che Reiner non l'avrebbe mai dimenticata, e ne sarebbe stato convinto lui stesso. Perché lui era così... Eren era sempre stato uno che credeva. Credeva che le cose sarebbero andate per il meglio, che il mondo sarebbe stato migliore, credeva che con un po' di determinazione sarebbero riusciti a fare qualsiasi cosa, anche distruggere tutti i giganti del mondo. Eren aveva sempre creduto nel meglio, Eren aveva sempre sorriso, ed era sempre stato così incoraggiante.
Lo capisci, Bea?! Tu sei in grado di salvare le persone, e lo farai! Lo farai, ne sono certo!
Eren era in grado di far credere persino una come lei, di darle la forza di continuare a combattere con poche semplici parole, come quel giorno a Trost, quando non era riuscita a salvare Samuel dal gigante. Dov'era adesso quel suo sguardo luminoso e forte, quella sua determinazione, dov'era finito l'Eren che ruggiva che mai si sarebbe fermato di fronte a niente e affrontava il futuro con un sorriso ottimista stampato in volto?
Che cosa era successo, mentre lei era chiusa in prigione e non poteva occuparsi di lui? Dopo Shiganshina l'aveva perso di vista, non era più stata in grado di pensare a lui, e quello era il risultato. Era colpa sua... Eren era sempre stata una sua responsabilità, fin dall'inizio, spettava a lei farlo funzionare. Ma lei era mancata per il suo egoismo, lo aveva abbandonato e quello era il risultato.
E nonostante Eren la vedesse, in quel momento, che si crucciava e si disperava al suo fianco, non dimostrava nemmeno di interessarsi. Non la guardava, non cambiava espressione, non si preoccupava per lei. Dov'era finito l'Eren che la salvava da una credenza crollata e si metteva di fronte a lei, per proteggerla dal mondo intero? L'Eren che le aveva portato il disegno da Shiganshina, perché lei, sotto custodia, non aveva potuto andare a casa sua insieme a loro quando erano andati a controllare cosa ci fosse nella cantina di suo padre? L'Eren che la guardava sorridente e le prometteva di riportarla a Shiganshina?
Doveva salvarlo, doveva domarlo. In qualche modo, doveva farcela. Non poteva lasciarlo lì così. Lei ne aveva la piena responsabilità, spettava a lei riportarlo indietro. Fece un sospiro e cercò di calmarsi, di ritrovare un minimo di ottimismo e di forza. Non poteva mollare proprio in quel momento. Doveva portare Eren indietro.
«Eren, tu sei riuscito a vederli poi gli elefanti?» chiese con voce morbida.
«No. Non ho viaggiato così lontano da vederli» le rispose, ancora freddo e duro.
«Mi piacerebbe un giorno riuscire a vederli insieme» gli disse. «Credi che ci riusciremo?»
«Non lo so. Credo di no» e ancora un'altra fitta trafisse il petto di Beatris.
Ce la farai sicuramente!
«Io credo di sì» disse, sforzandosi per quella volta di essere lei quella ottimista, per quanto non ci riuscisse molto bene, per quanto non fosse quello il suo ruolo. Ma se Eren aveva bisogno di essere trascinato, per una volta, non lo avrebbe abbandonato lì e in qualche modo ce l'avrebbe fatta. «Sì, ne sono sicura. Un giorno li vedremo insieme».
«Signor Krueger!» una squillante voce attirò la loro attenzione ed entrambi si voltarono a guardare Falco Grice che correva loro incontro, appena superato il cancello dell'ospedale. Ma si fermò a pochi metri da loro, sorpreso. «Oh, scusatemi!» si raddrizzò come un soldatino e fece un inchino. «Torno un'altra volta».
«No, Falco» lo fermò Eren. «Non preoccuparti, resta pure».
Falco titubante fece qualche passo verso di loro. I suoi occhi andarono immediatamente alla fascia rossa dei marleyani onorari sul braccio di Beatris e fu evidente che ne fosse intimorito, tanto quanto affascinato. Era una persona importante, doveva mantenere un certo contegno e rispetto. Beatris guardò Falco sorpresa, poi si voltò verso Eren e chiese: «Voi due vi conoscete?»
«Falco mi ha aiutato una settimana fa, quando siamo tornati dal fronte. Faticavo a stare in piedi e le mie condizioni mentali erano poco lucide. Avevo persino messo la fascia al braccio sbagliato».
«Al... cancello?» mormorò Beatris, sorpresa. Eren era stato lì e non l'aveva visto allora, così come non aveva visto Falco andargli incontro, eppure gli aveva messo gli occhi addosso poco prima. Forse era successo mentre lei si era quasi fatta scoprire, mossa dal desiderio di avvicinarsi a Reiner. Era stata talmente tanto assorta dalla cosa, da non aver visto nient'altro intorno a sé.
«Da allora Falco viene a trovarmi quasi tutti i giorni» finì di spiegare Eren e Beatris tornò a guardare Falco colpita. In quel posto c'erano davvero brave persone, persino ragazzini che prendevano tanto a cuore un ferito di guerra da aiutarli e andar loro a trovare tutti i giorni. Quella era la prova che lei aveva ragione... possibile che Eren non ne fosse convinto? Possibile che ancora valutasse l'idea della tabula rasa, anche dopo aver conosciuto quel ragazzino?
Falco si raddrizzò di fronte a Beatris, rivolgendole profondo rispetto, e si inchinò recitando diligentemente: «Sono Falco Grice, aspirante Guerriero per l'esercito di Marley. Molto piacere di conoscerla!»
«Il piacere è mio» gli rispose Beatris, intenerita. «Io sono Adele Jaeger, la moglie di Zeke Jaeger».
E Falco alzò improvvisamente gli occhi su di lei, guardandola con estrema sorpresa. Forse anche con un po' di timore. Non era esattamente un comportamento da Guerriero l'andare a trovare i feriti di guerra all'ospedale, questi venivano visti come scarti che non erano riusciti a prestare pieno servizio a Marley. Rischiava che il suo nome venisse infangato se lo avessero scoperto.
«Ecco...» mormorò, non sapendo bene come difendersi da quella situazione. La moglie del capitano era lì, l'aveva scoperto, e non poteva esserci persona peggiore.
«Che succede?» gli chiese Beatris, facendogli un sorriso. «Non dirmi che ti intimorisco?»
«No, io...»
«Falco è preoccupato per la sua reputazione» rispose Eren per lui.
«Eh?» mormorò Beatris, sorpresa, e Eren spiegò: «Se si venisse a sapere che viene a trovare un povero scarto come me, perderebbe di prestigio nella sua classe e verrebbe scartato nella scelta dei prossimi Guerrieri» e rivolse a lei uno sguardo, prima di aggiungere: «È uno dei candidati per ereditare il gigante corazzato».
«Sì» balbettò Falco, rosso in volto. «È così, anche se... non sono ancora uno dei preferiti ed è probabile che venga scelto qualcun altro. Ma ce la sto mettendo tutta!» si animò improvvisamente. «Non ho intenzione di arrendermi».
Beatris spalancò leggermente lo sguardo: quella era la stessa forza di Eren, era inconfondibile. Quell'ostinazione a combattere, anche di fronte alla più disperata delle situazioni. Più guardava il volto di Falco, più vedeva quello di Eren di qualche anno prima. Erano così simili... forse per questo Eren accettava volentieri la compagnia di quel ragazzino?
«Però...» Falco tornò a incupirsi, colto da una profonda vergogna. «Io non dovrei essere qui».
Beatris si ammorbidì in un tenero sorriso. «Non preoccuparti» gli disse. «Che cosa si direbbe di me e del capitano Zeke, se si venisse a sapere che anche io sono qui? Stai tranquillo, non dirò niente a nessuno. Siamo entrambi peccatori, oggi».
«Grazie» balbettò Falco, sollevato.
«Ti dirò» aggiunse poi Beatris, allargando maggiormente il sorriso sul suo volto. «Non avrei detto niente neanche se io non avessi fatto niente di male. Mi sei simpatico, sei un bravo ragazzo. Immagino che...» ed esitò appena, trovandosi a scacciar via improvvisamente il solito dolore, la solita disperazione, per cercare di restare ottimista e cordiale. «Immagino che sarebbe un onore se a ereditare il gigante corazzato fossi proprio tu».
Reiner, a prescindere di come sarebbero andate le cose, entro i due anni sarebbe morto e lei non avrebbe potuto farci niente. Se allo scadere del suo tempo a prendere il suo potere, e soprattutto i suoi ricordi, fosse stato proprio Falco forse non sarebbe stato poi così male. Sarebbe stata felice di sapere che l'eredità di Reiner sarebbe andato a qualcuno di buon cuore e forte come lui.
«Dice... sul serio?» arrossì Falco e non riuscì a trattenere un sorriso, felice. Beatris annuì, convinta. «Farò il tifo per te» e si portò un dito alla punta del naso, facendogli un occhiolino. «Ma non dirlo a nessuno, va bene?»
«Mi sta dando davvero molta fiducia, ne sono onorato... non mi conosce nemmeno» mormorò Falco, imbarazzato. E Beatris rispose divertita: «Ah ma io ti conosco invece! Il tuo cibo preferito è il pane all'uvetta e non riesci invece a mangiare proprio il piccante. Una volta provasti ad assaggiare una ciotola di riso piccante e per poco non vomitasti».
«Eh?!» sobbalzò Falco, spalancando gli occhi. «Trapelano questo tipo di informazioni persino ai parenti dei Guerrieri?!»
Beatris rise, divertita. «Oh, no. I miei informatori sono decisamente migliori del corpo militare» e gli fece un altro occhiolino. «Ho conosciuto i tuoi genitori al cancello, quando siamo venuti a salutarvi al ritorno. Tua madre è una gran chiacchierona».
«Ah...» sospirò Falco e una risatina arrendevole scosse anche lui. «Già, la mamma parla sempre molto».
«Perché non ti siedi? Non stare lì in piedi, forza» gli disse, facendogli posto tra lei e Eren.
«Grazie...» mormorò Falco, timido. Si sedette e Beatris prese subito la parola, curiosa di conoscere meglio quel ragazzino che il destino sembrava averle messo davanti per un motivo preciso: aveva aiutato Eren, era diventato suo amico, lei aveva conosciuto i suoi genitori ed era candidato per ereditare le memorie di Reiner. Inoltre era un Grice, parente dell'uomo che aveva portato suo zio Grisha nella ribellione e per questo, poi, a Paradis. Non poteva essere solo frutto di un caso. «Allora, so che tuo fratello Colt è già stato scelto come successore per il gigante bestia».
«Sì, è così» annuì Falco.
«Allora la tua famiglia acquisirà già il prestigio dei marleyani onorari. Perché vuoi diventare il nuovo gigante corazzato?»
«Perché...» mormorò Falco e abbassò lo sguardo, titubante. «Sarebbe un onore più grande per la mia famiglia avere ben due Guerrieri tra loro», mentì. Certo non poteva parlare del suo desiderio di salvare Gabi con una persona di così alto prestigio, per quanto sembrasse simpatica e affidabile. Ereditare il potere dei nove giganti doveva essere un onore, non qualcosa da cui salvarsi.
Ma Eren si intromise nuovamente, parlando al posto del ragazzino: «Falco vuole evitare che a prendere quel potere sia una ragazzina a lui cara, perché vuole che viva il più a lungo possibile».
«S-Signor Krueger! La prego!» si allarmò Falco, prima di voltarsi verso Beatris e quasi urlare, in preda al panico: «Non è così! Ereditare i nove giganti è un onore indescrivibile, lo voglio davvero! Voglio dare tutto il più alto contributo possibile per la nostra madre patr...» ma Beatris lo interruppe con un flebile e raddolcito: «Capisco. Vuoi salvare la vita alla tua amica, giusto?»
E Falco non riuscì più a dire nemmeno una parola. Si era spaventato all'eventualità che venisse considerato un traditore, ma guardando il volto di Beatris non vide nessun segno di ostilità o rancore. Anzi, vi fu comprensione... forse... tristezza?
«È quella ragazzina che è la prima candidata, giusto? Come si chiama? Gabi?» chiese, curiosa.
«Sì...» balbettò, ancora troppo confuso e spaventato.
«Gabi Braun... se non ricordo male. È parente di Reiner Braun?» chiese ancora Beatris.
Falco annuì. «Sono cugini».
E d'istinto Beatris alzò lo sguardo a Eren, oltre la spalla di Falco. Ora cominciava a capire perché avesse chiesto a Falco di restare e parlare con loro... c'erano cose che lei doveva sapere, sia su Reiner, che su quei ragazzini, ma forse anche su Eren stesso. Negava che si stesse muovendo per lei, che l'avesse portata a Marley per salvarla dalla prigione, ma più tempo passava lì e più si convinceva del contrario. Forse davvero sarebbe stata utile a Eren, forse davvero sembrava essersi svuotato da ogni emozione e ogni sentimento, ma qualcosa era ancora rimasto. Doveva essere rimasto.
«È la prima scelta proprio perché sono parenti?» chiese Beatris, senza schiodare gli occhi da Eren. Che stava cercando di dirle? Non aveva intenzione di passare a lei il proprio gigante, una volta che fosse morto, vero?
«Oh, no» sospirò Falco. «Gabi è davvero promettente. Nell'ultima missione per la conquista di forte Slava è stata lei a portarci alla vittoria. E arriva prima in qualsiasi prova. Sarà una sfida dura, ma non voglio arrendermi».
Questo un po' la rincuorò: se i legami di sangue non c'entravano niente, forse aveva frainteso le intenzioni di Eren. Ma d'altronde lui in quegli ultimi tempi era così enigmatico e cupo, che era impossibile riuscire a capire cosa gli passasse per la testa.
«Perciò...» sospirò Beatris, tornando a guardare un punto davanti a sé. «Vuoi salvarla, sacrificando te stesso».
Falco spalancò gli occhi sorpreso dalle sue parole: aveva davvero usato il termine sacrificare? Non considerava anche lei l'eredità dei nove giganti come una benedizione?
«Poco fa ho detto che avrei fatto il tifo per te» continuò Beatris, in un sospiro. «Ma credo di starmene già pentendo. Il mondo avrebbe una grande perdita se una persona come te morisse prematuramente».
«Ma... Signorina Adele! Lei non pensa che l'eredità dei nove sia invece un onore?»
«Te l'ho detto, Falco» sorrise, amaramente. «Siamo entrambi peccatori. E io... ho persone a me molto care che tra non molto moriranno a causa di quel potere. Solo pensarci mi strazia il cuore» sospirò e, per quanto si sforzasse di sembrare sorridente e cordiale, non riuscì a tenere per sé l'espressione di dolore che in quel momento le deturpò il viso. Reiner, Eren e Armin non avrebbero vissuto a lungo insieme a lei. Li avrebbe presto persi tutti, senza possibilità di impedirlo.
«Persone?» mormorò Falco, incuriosito dall'uso del plurale. C'era qualcun'altro oltre a suo marito Zeke?
Beatris negò con la testa, capendo l'errore commesso. «Persona» disse. «Una sola. La... persona di cui sono innamorata».
«Non è felice per l'onore che questo sta portando al capitano Jaeger?» chiese Falco, sempre più incuriosito e dispiaciuto. Anche lei la pensava come lui su quella storia? Esistevano davvero marleyani che capivano il vero significato di una scelta come quella?
Beatris si lasciò sfuggire un sorriso. Era buffo: poteva parlare di Reiner, senza per forza dover dire che si trattasse di Reiner. Quella storia del matrimonio con Zeke, almeno in quel momento, poteva avere i suoi risvolti positivi. Era la prima volta che parlava così apertamente di Reiner con qualcuno che gli fosse così vicino, né con Eren né con Zeke si era mai azzardata, sapendo che non avrebbero fatto altro che peggiorare le cose.
«Non lo sono mai stata» confessò, prima di rivolgere a Falco uno sguardo. «Ma credo che mi metterei nei guai se adesso te ne parlassi».
«Ah, no!» sussultò Falco. «Non dirò niente a nessuno! Io... credo che... forse possiamo pensarla uguale... ma non lo dica in giro!»
E Beatris sorrise, sincera. Quel ragazzino le piaceva veramente tanto, aveva davvero un buon cuore.
«Io penso che questa guerra sia ingiusta» rivelò, infine. «Penso che tutte le guerre lo siano. E penso sia ingiusto ciò che succede qui, a Liberio e in tutti i ghetti degli eldiani. È ingiusto ciò che ci fanno, solo perché siamo venuti al mondo. I nostri antenati possono aver fatto cose atroci, forse è vero, ma alla fine perché dovremmo pagarne noi le conseguenze? Che cosa abbiamo fatto di sbagliato, noi? Perché dobbiamo essere uccisi e discriminati, per qualcosa successo centinaia di anni fa, quando ancora non eravamo venuti al mondo? Io comprendo la paura di Marley nei nostri confronti, credo che nessuno sia malvagio a prescindere, non esistono demoni, non esistono buoni, in questo mondo... io penso che siamo tutti uguali, almeno alla nascita, e poi ci costruiamo noi il nostro destino, in base alle nostre azioni. Esistono le persone malvagie, ma non si nasce così, perciò... perché sacrificare dei bambini per questo? Perché uccidere innocenti per questo? Perché inculcare loro idee sbagliate, su chi siano e cosa sia il mondo, solo per farli combattere come macchine da guerra per i propri scopi personali? Perché certe persone non riescono a comprendere che gli esseri umani... sono solo esseri umani? Come tutti. E che tutti meritano la vita...» alzò lo sguardo su Eren. «Tu non sei d'accordo, Krueger?» gli chiese, diretta. L'idea della tabula rasa era totalmente sbagliata, non doveva metterla in atto o persone innocenti, persone come Falco, sarebbero morte senza alcuna ragione. Solo per meri scopi personali di altre persone. Eren ricambiò il suo sguardo, prima di chiedere: «Ma in che modo fermeresti un mondo che ha già la sua mole di ingiustizie che porta avanti?»
«Non commettendo altre ingiustizie! Sarebbe un circolo che si ripete, questa cosa non avrà mai fine!»
«Penso che a volte invece i sacrifici siano necessari... non lo pensi anche tu, Adele?» e le lanciò indietro la palla, colpendola con le sue stesse parole. Lei aveva ucciso, aveva fatto dei sacrifici, per un bene che riteneva superiore. Era l'ultima persona che poteva permettersi quel genere di discorsi.
«Forse potevano essere evitabili. Alcune persone possono sbagliarsi, a volte» rispose Beatris, sentendo ancora una volta una fitta al petto.
«O sentire di non avere altra scelta» la rincalzò Eren.
Beatris tornò ad abbassare lo sguardo e strinse la stoffa della propria gonna tra le dita, frustrata e sofferente. Non poteva difendersi da quelle accuse velate, lei aveva fatto anche di peggio: aveva sacrificato persone, ucciso, solo per se stessa. Per proteggere qualcosa che a lei era caro, per quanto sbagliato. Con che faccia adesso avrebbe cercato di fermare Eren? Con che faccia avrebbe potuto sostenere quanto fosse sbagliato tutto quello? Se ne vergognava profondamente, soprattutto perché più ci ripensava e più continuava a convincersi che se avesse avuto un'altra possibilità, se le fosse stato concesso di tornare indietro, forse avrebbe rifatto le stesse identiche cose. Non aveva armi da usare a suo favore, non poteva fare altro che costringersi a dar lui ragione. «Certo che... questo mondo è proprio crudele».
«Sì, hai ragione. È davvero crudele» confermò Eren.
Beatris socchiuse gli occhi, sentendosi oppressa. E si portò una mano alla testa, infilandosi le dita tra i capelli. «Falco...» mormorò, dopo un po'. «Vorrei davvero tanto che né tu né nessun altro ereditasse quel potere. Vorrei che non fosse mai esistito... vorrei... vorrei che lui non morisse così presto».
«Probabilmente non vi sareste mai conosciuti, in questo modo» disse ancora Eren. Se Reiner era stato mandato a Paradis da Liberio, il motivo era solo per via di quel potere. Reiner non sarebbe mai arrivato, se non fosse stato il corazzato.
«Forse mi sarei risparmiata un bel po' di sofferenze» si lasciò sfuggire un amaro sorriso.
«Vorresti davvero non averlo mai conosciuto?»
E Beatris esitò ancora. Forse sarebbe stato davvero meglio per lei se non si fossero mai incontrati, o forse in qualche modo il destino avrebbe trovato un altro modo per distruggere la sua famiglia e allora, se non ci fosse stato Reiner, non avrebbe avuto niente a cui aggrapparsi. Ma in ogni caso l'idea di non avere Reiner nella sua vita, indipendemente dal motivo per cui era arrivato, le faceva male tanto quanto sapere che entro due anni sarebbe morto. Non sapeva bene cosa volesse, lei non aveva un cuore nobile, non riusciva a pensare al benessere del mondo come più importante di se stessa. Forse se non ci fosse stata quella guerra dal principio, nessuno avrebbe sofferto, nessuno avrebbe perso niente, ma loro non si sarebbero mai incontrati... E nonostante il suo desiderio di non veder più morire nessuno, non riusciva a essere felice se pensava che sarebbe potuta andare così. Lei lo voleva accanto. Era tutto ciò che riusciva a pensare. Era l'unica cosa che fosse mai stata in grado di farla sentire così piena di vita.
«Penso solo che sarebbe stato bello se ci fossimo incontrati in altre circostanze. Senza una sentenza di morte sulla testa e una guerra a cui pensare» confessò.
«Come...» mormorò Falco, titubante. Erano discorsi molto privati, e non era nemmeno sicuro di essere riuscito a capire esattamente tutto quello che si stavano dicendo, ma più li sentiva parlare più sentiva che qualcosa si stava aprendo davanti a lui. Davvero c'erano persone al mondo che avevano quel genere di pensieri così lontani dalla mentalità di Marley, dai suoi valori, così... puri?
«Come vi siete conosciuti lei e il capitano Jaeger?» chiese, curioso di sapere in quali terribili circostanze tutto fosse cominciato, cosa avesse portato quella donna a fare quel tipo di ragionamenti.
Beatris restò per un attimo spiazzata: talmente presa dai suoi discorsi, si era dimenticata che in realtà non stavano parlando di Zeke. «Lui è arrivato esattamente quando sentivo di averne bisogno» rispose. «Ho vissuto una tragedia familiare, tempo fa, per colpa di questa guerra. Ed ero a pezzi. Avevo perso ogni spirito combattivo, avevo perso il desiderio di continuare a vivere, e pensavo che l'unico modo che avessi per sentirmi meglio sarebbe stato sacrificare la mia vita per salvare quella delle uniche persone che mi erano rimaste. Krueger era una di queste... siamo vecchi amici. Pensavo che morire io al posto suo e del resto dei nostri compagni sarebbe stato un bel modo per fare ammenda dei miei errori».
«Ah, ecco perché vi conoscete» esclamò Falco. «Un attimo! Era anche lei un soldato?»
«Mh... sì» mormorò Beatris, chiedendosi quanto fosse stato saggio scendere nei dettagli. «Ho fatto l'accademia, ma ero un semplice soldato, non sono mai entrata nei candidati. Ho conosciuto in quel periodo... mio marito» pronunciare il nome di Zeke al posto di quello di Reiner le metteva il disgusto, non sarebbe mai riuscita a farlo. «Ha letto nei miei occhi tutto il dolore che portavo e il vuoto di vivere che ne era conseguito. Se n'è fatto totalmente carico, mi ha presa molto a cuore. Mi ha aiutata a combattere contro quella tristezza, ha cercato di insegnarmi a combattere, a restare in vita, e mi ha fatto capire che morire per gli altri non sarebbe servito a nessuno, mi ha fatto capire che sbagliavo. Che l'unico modo per continuare a proteggere le persone che si amano è continuare a vivere. Ho cominciato a vedere in lui un faro di speranza. Mi ha dato forza, mi ha ridato la vita. E poi...» un tenero sorriso le rilassò il volto. «È una persona buona. Anche se ha commesso anche lui i suoi errori, anche se ha sempre detto di essere solo un "dannato bastardo", io so che non è vero. Nel profondo, lui non è mai stato malvagio. È solo anche lui una vittima della crudeltà di questo mondo, forse più di chiunque altro, e io... io non voglio lasciarlo solo in tutto questo. Non desidero altro se non potergli stare accanto».
«Si vede che tiene veramente tanto a lui» commentò Falco, guardando il volto assorto di Beatris. Era triste, profondamente triste, ma anche felice. Felice di averlo conosciuto.
Beatris si lasciò sfuggire un sorriso. Tenere a lui era un eufemismo: Reiner era la ragione per cui lei era ancora in vita. Dopo tutto quel tempo, dopo tutto ciò che aveva passato, dopo tutto il male che anche lui le aveva recato, volontariamente o meno, non aveva ancora abbandonato quel desiderio insensato. Non aveva mai smesso di tentare di prenderlo. E ancora, dopo tutti quegli sforzi, non ci riusciva.
«Già» mormorò e istintivamente portò lo sguardo alla propria fascia rossa. Era vecchia, si vedeva. Zeke si era proposto di dargliene una nuova, ma aveva rifiutato: quella era la sua fascia e non avrebbe rinunciato a lei per niente al mondo. Se la sistemò meglio al braccio, ma non ce n'era bisogno. Era perfetta. Era solo un gesto che le permetteva di accarezzarla ancora una volta, sentirlo vicino a sé. «Se un giorno erediterai tu il gigante corazzato, sono sicura riuscirai a capire».
Avrebbe ereditato anche le memorie di Reiner, tutte le sue memorie. E avrebbe visto la verità. E allora avrebbe compreso veramente il suo dolore. In un certo senso, era rassicurante averne parlato proprio con lui.
«E perché?» chiese Falco, non capendo in che modo il gigante corazzato c'entrasse con quella storia. Beatris si voltò a sorridergli: «Perché lo farai per amore di Gabi, giusto? Saprai che significa tenere a qualcuno più della propria vita».
Falco arrossì e abbassò lo sguardo, sentendosi preso in fallo. «È... solo una cara amica» balbettò, vergognandosi di dover ammettere i propri sentimenti. Beatris ridacchiò, divertita: non ci credeva nemmeno un po'. «L'ho capito subito, sai?» e tornò a fissare il suo punto invisibile, davanti a sé. «Gli somigli un po'. Anche lui aveva questo vizio di prendersi tutte le responsabilità e proteggermi anche a costo della sua stessa vita».
«Aveva?» mormorò Falco, non capendo l'uso del passato. E non capì nemmeno quel paragone: lui somigliava al capitano Zeke? Era davvero così?
Ma Beatris sospirando si alzò e forse neanche sentì la sua perplessità. «Sì. Per quanto mi faccia male pensare che vivresti così poco, se devo pensare che comunque sia il gigante corazzato andrà a qualcuno, sarei davvero felice se fossi tu».
Fece un paio di passi verso il cancello, ma si fermò, tornando a voltarsi.
«Falco, ti chiedo una cortesia: non dire a nessuno ciò che ti ho appena raccontato. Sono cose molto private... e pericolose, come ben sai».
«Certo! Io oggi non ero nemmeno qui...»
E Beatris gli sorrise. Era davvero un ragazzino meraviglioso, aveva un cuore puro.
«Krueger...» si voltò a guardare Eren e la sua espressione tornò a indurirsi un po'. «Ti verrò a trovare di nuovo domani. Spero che questa chiacchierata ti abbia aiutato a schiarirti un po' le idee».
«Lo ha fatto» disse Eren, con la solita espressione di marmo. E ancora non riuscì a decifrarlo. Ma non poteva essere rimasto indifferente a tutte quelle parole, doveva per forza aver compreso il significato del sacrificio di vite innocenti. La brutalità della guerra, per rispondere a una guerra. Conoscere Falco non poteva averlo lasciato indifferente, doveva per forza aver compreso qualcosa. E si aggrappò a quell'effimera speranza.
«Io vado, si è fatto tardi. Falco, spero davvero di incontrarti di nuovo presto» e salutò con un gesto della mano, prima di sparire oltre al cancello. Falco ricambiò il saluto e la guardò andar via, sovrappensiero. Quella chiacchierata gli aveva lasciato molto a cui pensare, ma straordinariamente lo aveva messo di buon umore. Si sentiva più carico che mai, avrebbe sicuramente dato il massimo per salvare Gabi. Ma soprattutto, sapere che al mondo esisteva qualcuno che aveva avuto i suoi stessi dubbi, su quanto tutto quello fosse crudele, sentire le sue opinioni sul mondo, gli aveva riempito la testa di pensieri. C'era davvero qualcuno al mondo che amava così tanto la vita, di qualsiasi tipo? Quella guerra era davvero giusta? Esisteva davvero un "malvagio"? Loro erano davvero malvagi? Uccidere per la gloria, farsi uccidere solo per l'onore... erano punti di vista interessanti, che gli avevano dato molto a cui riflettere. Esitò solo qualche istante, pensieroso, poi si alzò anche lui.
«Mi dispiace dover andare già via, signor Krueger. Ma è ora che io torni a casa, ero passato solo per un saluto veloce».
«Non preoccuparti, Falco. Ci vediamo presto».
«Certo!» e scappò via, correndo. Fece appena dieci metri, quando da una strada perpendicolare non sbucarono all'improvviso Gabi e Reiner, di ritorno verso casa. L'impatto fu terribile e sia Falco che Gabi caddero a terra.
«Falco!» ruggì Gabi. «Guarda dove vai!»
«Scusa» ridacchiò, per niente turbato dal rimprovero. Reiner si piegò e aiutò entrambi ad alzarsi. «Falco, non dovresti correre in questo modo» gli disse.
«Mi dispiace» ridacchiò ancora, grattandosi la nuca imbarazzato.
«Che hai da essere così felice?! Sembri un idiota!» lo rimproverò Gabi.
«No, è che...» e arrossì appena. «Ho appena conosciuto una persona».
«Una persona?» mormorò Gabi, confusa. Conoscere una persona poteva mettere così di buon umore? Falco annuì. «La signorina Adele, la moglie del capitano Jaeger. È una persona eccezionale, mi ha messo di buon umore. Mi ha incoraggiato molto per il mio addestramento» tagliò corto e spiegò sbrigativamente, mettendoci dentro una piccola bugia. In questo modo non avrebbe dovuto scendere nei particolari e avrebbe mantenuto il suo segreto. Gabi spalancò gli occhi e spostando Falco di peso si mise dietro di lui, guardandosi attorno compulsivamente. «Dov'è?! È già andata via?! Voglio conoscerla anche io!» chiese, sovraeccitata.
«Credo che ormai sia andata via...» mormorò Falco, guardandosi indietro e lanciando un paio d'occhiate in giro. Era sicuro che anche a Gabi sarebbe piaciuta, anche se forse non condividevano gli stessi pensieri, ma era una persona molto dolce e comprensiva, sarebbe stata in grado di mettere il buon umore anche a lei in qualche modo. Ma, nonostante non avesse speranze di vederla, invece riuscì a scorgerla, non troppo lontana. Ferma sul ciglio della strada, con una carrozza davanti a lei, si apprestava a salirci sopra.
«Ah no! Eccola lì!»
Gabi lanciò un urlo e cominciò a correre nella sua direzione, sperando di riuscire a fermarla. Non appena la vide partire Reiner fece un paio di passi per seguirla e allungò una mano, chiamandola semplicemente: «Gabi!»
Non era certamente educato correre dietro alle persone in quel modo. Ma non appena fu fuori dal vicolo e poté lanciare uno sguardo verso la carrozza, si paralizzò completamente. Fu solo un istante. Un brevissimo, minuscolo, istante in cui riuscì a intravedere il volto di quell'Adele prima che salisse sulla carrozza. Gabi non riuscì a fare nemmeno dieci metri, troppo distante per raggiungerla, e la donna sparì totalmente all'interno della carrozza che si mise subito in marcia.
«Oh no...» si lamentò la ragazzina, che venne raggiunta poco dopo anche da Falco. Ma Reiner li ignorò, non sarebbe stato in grado di ascoltarli nemmeno se avesse voluto. Sentì il cuore pulsare in petto fin troppo velocemente, tanto da fargli male, e una goccia di sudore freddo corrergli giù da una tempia. Paralizzato, completamente impietrito con quella mano ancora alzata che adesso aveva cominciato a tremare. E gli ci volle qualche secondo per riuscire a sbloccarsi, riprendere a respirare.
«No...» mormorò portandosi quella stessa mano tremante alla testa. «Era un'altra delle mie allucinazioni...»
Non poteva essere altrimenti, e non era nemmeno la prima volta che gli capitava. Da quando era tornato da Paradis non faceva che incubi tanto soffocanti che a volte lo tormentavano persino da sveglio. Vedeva cose dove non c'erano, volti in persone che non erano. Erano passati quattro anni, e ancora non era riuscito a riprendersi. Si sentì stupido, ma non riuscì a smettere subito di tremare e non poté placare i battiti del suo cuore ancora a lungo. Dovette portarsi una mano alla giacca, ad altezza del petto, e stringerla, come se avesse potuto fermarlo con la forza. Quella era Adele, la moglie di Zeke, Falco l'aveva conosciuta. Glielo aveva confermato. E poi il colore dei capelli era diverso. Non poteva essere lei... non avrebbe avuto alcun senso che fosse lì a Marley. Era solamente impazzito, ancora una volta annebbiato dai fantasmi del passato. Più tempo passava e più comprendeva quanto fosse stato insensato vedere il suo volto in quello di una sconosciuta. Ma ora, per le prossime ore, forse per i prossimi giorni, come si sarebbe liberato da quel dolore opprimente? Come si sarebbe liberato da quel folle, incontrollato e sbagliato desiderio di vederla ancora?
«Reiner» si avvicinò Gabi e lo guardò, preoccupata. Aveva il volto contratto in un'espressione di dolore, non stava ovviamente bene.
«Signor Braun, va tutto bene?» si unì anche Falco e, richiamato dai due ragazzini, Reiner riuscì almeno apparentemente a liberarsi da tutto quello. Lo tenne dentro sé e riuscì a riassumere un'espressione normale. «Sì, ho solo un po' di mal di testa» mentì ma questo riuscì in parte a tranquillizzarli.
«Stai lavorando troppo, ultimamente. Dovresti riposare un po'» lo ammonì Gabi.
«Hai ragione» le disse semplicemente e insieme ai due riprese a camminare per la sua strada. Gabi e Falco tornarono a parlare tra loro, animatamente, ma ancora non riuscì ad ascoltarli.
Reiner, non importa quanto ti allontanerai... io riuscirò sempre a prenderti.
Perché qualsiasi cosa facesse, non riusciva a farla uscire dalla sua testa?
"Tris..."

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinWhere stories live. Discover now