Requiem for a dream

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Il cuore continua a volermi uscire dal petto. Non riesco a controllare le mie emozioni. Devo stare calmo, devo stare calmissimo. Dieci minuti.

Dieci minuti.

"Andiamo" dico, e ci avviamo verso il campo di concentramento, quasi correndo. In breve tempo siamo ai cancelli, e troviamo un uomo di cui non riesco a vedere il volto per via del buio. Lui e Kellin si scambiano un cenno di intesa e il tizio ci fa entrare attraverso una porticina nascosta tra il cancello e il recinto elettrificato, il tutto senza dire una parola, e dopo pochi istanti siamo dentro.

Mi guardo intorno, assorbendo ogni particolare. È qui che è vissuto Frank per mesi.

Lo sento. Lo sento nell'aria, sento ogni cosa, sento tutti loro come se fossero echi nella mia testa, vedo il sangue anche sui miei vestiti, vedo la gente che mi si aggrappa al collo implorando un pezzo di pane, sento le loro urla, i pianti, gli strepiti, le lacrime silenziose dei bambini, gli spari, gli ansiti. Sento la disperazione, la nostalgia di casa, la consapevolezza di non poter più vedere il mondo lì fuori, la solitudine e la miseria.

Mi inondano non appena metto piede sul suolo del campo. Mi assalgono togliendomi il respiro, e so che anche Ray, e perfino Kellin stanno provando le mie stesse sensazioni.

Questo posto urla dolore da ogni angolo, da ogni stelo d'erba, da ogni baracca.

Dieci minuti.

Andrà tutto bene.

L'uomo che ci ha fatti entrare ci guida verso una casupola distanziata dalle altre, probabilmente una sorta di posto di guardia notturno. Bussa tre volte, poi una quarta in modo più leggero.

Ci vengono ad aprire quasi immediatamente, ed io mi faccio subito avanti, ma l'unica cosa che vedo è il petto di un soldato tedesco che è praticamente il doppio di me, per altezza e corporatura. Accanto a lui, un altro più basso dall'aria quasi stranamente cordiale, scambia due parole in tedesco con Kellin, dopodichè l'uomo che ci ha accompagnato fin qui va via, sempre senza aprire bocca, e noi entriamo nella casupola.

Non è che si possa spiegare quello che succede dopo. Mi era quasi passato per la testa di guardarmi prima intorno, di dare un'occhiata a dove fossimo, ma non è quello che faccio. Non posso, non potrei minimamente distogliere lo sguardo dalla persona qui di fronte a me.

Non è Frank.

Quest'uomo non è Frank.

Sento una risata isterica salirmi in gola, impaziente di uscire. Hanno sbagliato. Tutta questa strada e hanno sbagliato persona. Mi hanno portato l'uomo sbagliato.

No, non è possibile.

Mi giro verso Ray, ma lui si è ritirato pudicamente in disparte, e così anche Kellin e gli altri due soldati. Provo a dire qualcosa, ma poi lo sento.

Un rantolo.

Mi volto di colpo verso l'uomo, ed è allora che la nebbia che mi aveva offuscato la vista se ne va, e riesco a capire la realtà.

Lo guardo. Lo guardo davvero e no, oh no, non è l'uomo sbagliato. Non hanno affatto sbagliato, il problema è che non riesco a credere a quello che vedo.

Davanti a me c'è un uomo, ma sarebbe strano anche definirlo così perché non lo è, sembra più un bambino, una figura piccola e curva, con i capelli neri e sudici incollati al viso e una casacca lacerata a coprirgli a malapena il corpo. Si regge a stento in piedi, sembra quasi che stia per crollare da un momento all'altro e mi fa una pena pazzesca, vorrei sorridergli o abbracciarlo o dirgli che andrà tutto bene, ma è quando alza lo sguardo che mi si ghiaccia letteralmente il cuore.

Destroy MeWhere stories live. Discover now