Carry me to the end

Comincia dall'inizio
                                    

Joshua dice la verità, e lo apprezziamo. È l'unica cosa che la gente desidera, qui. La verità, nuda e cruda, basta che sia vera.

"Morirai" dice, e la persona che gli sta di fronte lo accetta. Se ne fa una ragione, comincia a conviverci, lascia che quel pensiero influisca su tutto ciò che fa, e alla fine succede. Si avvera.

"Non è grave, ma tieniti al caldo" e la persona che gli sta di fronte lo accetta. Si comporta di conseguenza. Si tiene al caldo. E alla fine riesce a resistere, almeno per un altro po', proprio come aveva detto Joshua.

Qualsiasi cosa dica, il messaggio dei suoi occhi gentili e bonari è lo stesso: "Andrà tutto bene". E ci crediamo tutti. Almeno per quel poco che ci basta.

All'inizio non volevo. Non sono mai stato completamente solo da quando sono arrivato qui, ho sempre avuto il sostegno e i consigli di Rayon, e ora senza di lui mi sento completamente perso.

Avevo stabilito di non voler sapere. Non volevo sapere niente.

Ma con i giorni sono peggiorato. La tosse è diventata più insistente, le mie forze più deboli, e ho iniziato a non ragionare più.

Non è stato un trancio netto. Solo che... lentamente, inesorabilmente, pian piano, questa cosa mi ha divorato. Non capivo più nulla. Lavoravo come un automa. Non pensavo. Non parlavo. A malapena mangiavo. Respirare è diventato sempre di più uno sforzo.

E mi sono detto che se dovevo morire almeno dovevo saperlo. Non poteva succedere a mia insaputa. Dovevo saperlo, farmene una ragione proprio come tutti gli altri, accettarlo e far sì che si avverasse.

Per questo ho chiesto aiuto a Joshua.

La sera, prima di andare a letto, mi sono trascinato a fatica, tossendo, verso il suo giaciglio e l'ho svegliato.

"Ah, tu" ha detto, tirandosi su a sedere e stropicciandosi gli occhi. "Sapevo che saresti venuto, prima o poi"

Non ho mai avuto granché coraggio nella mia vita, e lo sapete bene.

Ma in qualche modo ho trovato la forza di dirgli tutto. Ho ingoiato il groppo amaro che avevo in gola, e gli ho descritto i miei sintomi. Gli ho detto della tosse devastante, dei polmoni in fiamme, della sensazione di stare per annegare da un momento all'altro, e di come avessi mal di testa a tutte le ore del giorno, un mal di testa opprimente che mi impediva anche soltanto di pensare. Gli ho detto che probabilmente ho la febbre da giorni, perché tremo di freddo e sono bollente e mi mancano le forze e non ce la faccio più, non ce la faccio più per davvero e doveva aiutarmi.

Gli ho detto tutto questo.

Non so come, ma gliel'ho detto.

E Joshua si è intristito, si è intristito davvero e si è passato una mano sul volto, sospirando piano. "Nel migliore dei casi è soltanto una polmonite." mi ha detto, e io stavo quasi per esultare.

Quasi.

Poi ha parlato di nuovo.

"Nel peggiore, tubercolosi."

Ed è lì che sono morto.

È stato come... è stato come essere travolti da un'auto, o qualcosa del genere. Un attimo prima sei qui, in piedi, in mezzo alla strada, e ti guardi intorno confuso chiedendoti se riuscirai mai a trovare casa, e un attimo dopo ecco delle luci che ti abbagliano. E poi sei morto.

Sbam. Morto.

Travolto dalle ruote dell'auto, ed è così veloce che non senti nemmeno il dolore. E capisci che non troverai mai casa, non potrai più salire sulle scale del portico e bussare e aspettare che qualcuno a cui tieni venga ad aprirti, non potrai mai essere abbracciato da quelle braccia, non potrai mai entrare dentro e sentire il calore e l'odore familiare di quelle quattro mura.

Destroy MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora