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''Come hai fatto a scappare?", domanda Nate addentando il suo panino.
''Ero svenuta perché mi aveva messa fuorigioco con il cloroformio.'', noto che Jordan stringe i pugni. Poi si rilassa e annuisce, facendomi cenno di proseguire.
''Quando mi sono svegliata ero distesa sui tappetini del sedile posteriore, ho fatto finta di dormire e ho aspettato il momento giusto.''
'' L'idiota si era dimenticato di fare rifornimento. Insomma, che razza di rapinatore si dimentica di fare il pieno? Comunque si è fermato ad una stazione di servizio, è sceso dalla macchina e quando è andato alla cassa sono saltata fuori dall'auto e sono corsa verso il bosco.
Ho corso per un'ora, credo. E sentivo una voce che mi diceva di continuare a muovermi, di cercare un riparo sicuro e di non fermarmi sennò mi avrebbe trovata.''
''La voce di chi?", domanda Nate a bocca aperta.
''Quella di Jordan, ovviamente. Cosa ti aspettavi? Quella del papa?",  risponde Vicky alzando gli occhi al cielo.
Annuisco e sorrido imbarazzata. Jordan mi bacia la fronte.
''Comunque ho continuato a camminare per un tempo che sembrava infinito, avevo freddo e le gambe stavano per cedere. Ma poi ho visto il capanno, ho forzato il lucchetto con una pietra e mi sono rifugiata dentro. Avrei chiesto aiuto prima, ma mi sono addormentata come una sciocca.''
''Non è colpa tua, eri esausta.'', mi giustifica Jordan.
''Poi, quando mi sono svegliata mi sono guardata bene intorno e ho trovato il telefono. Il resto lo sapete.''
''Dovevamo ucciderlo'', afferma Jordan.
''Concordo, fratello. Ma Hayden deve sempre fare la guastafeste.'', alzo gli occhi al cielo ma non ribatto, perché so che stanno scherzando.
''Abbiamo perso un giorno per colpa sua.'', affermo abbattuta.
''Si, e ci siamo anche allontanati troppo dal percorso prestabilito. Dobbiamo iniziare a indietreggiare, altrimenti non arriveremo in tempo per l'inizio delle lezioni e Rachel mi ucciderebbe.''
La suoneria del cellulare di Jordan si diffonde nella stanza del motel. Lui estrae il telefono dalla tasca e quando legge il nome sul display mi lancia un'occhiata furtiva prima di incrociare lo sguardo di Nate.
''Chi è?", domando.
''Timothy.'', sentire quel nome mi fa correre un brivido lungo la schiena. Sapevo della sua esistenza, ma sapere che Jordan è ancora in contatto con lui mi fa rizzare i peli sulla nuca, come quando avevo avvertito la presenza di Spike alle mie spalle.
''Rispondi.'', sussurro, come se Timothy potesse sentirmi. Jordan annuisce e si porta il telefono all'orecchio.
''Si?", non sento la risposta di Timothy, ma Jordan impallidisce e mette il telefono in vivavoce.
''Hayden.'', questa voce.
''M..Matt.'', balbetto a fatica. Jordan mi guarda confuso, Nate è sbiancato e Vicky sembra aver appena visto un fantasma.
''Si, ma non proprio. Il mio vero nome è Timothy. Ti direi che è un piacere conoscerci, finalmente. Ma ci conosciamo già, non è vero, figlioccia?", lo sento sghignazzare. La testa inizia a girarmi, mi viene da vomitare e l'unica cosa a cui penso è: mamma.
''Dov'è mia madre?'', domando con voce stridula.
'' E' qui con me, vuoi salutarla tesoro?"
''Hayden! Non tornare a casa!", la voce di mia madre mi squarcia l'anima.
''Io credo che tornerai, invece. Se vuoi rivederli tutti vivi.''
''Tutti? Tutti, chi?", domando.
''I tuoi veri genitori, ovviamente.''
''Stai bluffando", sussurro.
''Ti ho mandato una foto, guardala pure.'', strappo il telefono dalle mani di Jordan e vedo i tutti e tre i miei genitori legati ed imbavagliati.
NO. NO. NO. NO.
''Torna a casa, Hayden. Ci vediamo domani sera, ti aggiornerò per l'indirizzo.'', la linea cade.
NO. NO. NO. NON E' VERO. NON STA SUCCEDENDO A ME.
Il viso dei miei compagni di viaggio è una maschera di porcellana.
Scatto in piedi, stacco l'abat jour dalla presa e lo scaravento contro il muro. Jordan mi blocca i polsi quando sto per afferrare un vaso e mi stringe a se.
''Lasciami. Andare. Subito.'', scandisco bene le parole.
''Hayden.'', i suoi occhi mi guardano confusi.
''Devi portarmi a casa, immediatamente.'', ordino.
''Non se ne parla proprio, ti porterò in un altro paese e cambieremo identità.''
''Dici sul serio, cazzo? Ha preso i miei genitori e li ucciderà tutti! Devi portarmi a casa, subito, Jordan. Questa decisione spetta a me, non a te!", grido spingendolo indietro con le braccia.
''E quindi vorresti sacrificarti? I tuoi vorrebbero che scappassi! Dammi retta, ti prego. Ti porterò al sicuro!", le vene sul suo collo si ingrossano mentre alza la voce.
''Tu non puoi lasciarmi, Hayden. Non puoi.'', poso una mano sulla sua guancia e i suoi occhi si inumidiscono.
''Ti prego. Scegli me, scegli di vivere con me. O anche senza di me, ma vivi e basta. Ti prego.'', sussurra. Scuoto la testa, qualcosa dentro di me ha cancellato tutta la rabbia. Provo solo.. malinconia. Per ciò che è stato, per ciò che sarebbe stato, per ciò che sarebbe dovuto essere.
''Portami a casa, Jordan. Questa è la mia scelta.'', lui guarda in basso. Prende il comò e lo scaraventa sul punto dove giace l'abat jour.
''Basta, Jordan. Dobbiamo partire, adesso.'', ordina Nate. Dovrei odiarlo per colpa di ciò che suo padre mi sta facendo, per quello che mi farà tra ventiquattr'ore, invece provo solo affetto per quella testa matta. Gli sorrido, ma lui non incrocia il mio sguardo.
''Stai dalla sua parte?! La lasciamo andare a morire così?!", grida Jordan a pochi centimetri dal volto del cugino.
''No, ho un piano.'', risponde Nate con una calma sovrannaturale, e per la prima volta da quando lo conosco, sembra davvero più grande di Jordan.
Jordan lo guarda dritto negli occhi, quasi potessero leggersi nel pensiero, poi annuisce e inizia a preparare i bagagli. Victoria esce dalla camera singhiozzando, appoggiata al braccio di Nate.
Trenta minuti dopo stiamo imboccando l'autostrada. Nate sta guidando mentre Jordan mi abbraccia sul sedile posteriore. Vicky guarda fuori dal finestrino senza smettere di piangere. Io non piango, non verso nemmeno una lacrima, ne ho già versate troppe. E la strana sensazione di pace mi avvolge, come se finalmente stessi per raggiungere un obiettivo e non come se stessi andando incontro alla morte. Nate guida per metà strada, mentre il resto del viaggio è Victoria a guidare.
Jordan non sembra intenzionato a lasciarmi da sola nemmeno per un istante. Riesco a dormire un paio d'ore, e quando finalmente oltrepassiamo il cartello che ci dà il benvenuto a Medford, uno strano senso di sollievo mi pervade. Sono le sette del pomeriggio e chiedo a Jordan di lasciarmi a casa mia, ho bisogno di poter dire addio alla vita che avevo prima di tutto questo casino. Lui accetta la richiesta senza esitazioni, mi lascia da sola con Victoria e sgomma via per un lavoretto veloce.
Quando entro nella vecchia casa vittoriana, che mi è diventata così famigliare, sento un nodo alla gola. Mia madre non c'è, ovviamente. Trovo un post-it appeso al frigorifero con su scritto l'indirizzo di un vecchio magazzino.

Ore 21.00
Da sola.

Despite the loveWhere stories live. Discover now