Columba

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Firenze


Era evidente che l'Italia gli portasse una gran sfortuna.

A Monza si era dovuto ritirare a metà gara.

Al Mugello aveva concluso il gran premio dopo solo una curva, agganciato alla monoposto di Kimi Raikkonen.

E come se non bastasse, ci sarebbe anche stata la nuova tappa a Imola. Non voleva nemmeno immaginare come sarebbe finita lì.

Max si passò una mano sul volto, sentendosi improvvisamente stanco, mentre stringeva saldamente nell'altra mano la valigetta che conteneva i pochi effetti personali che si portava sempre in trasferta.

Trascorrere qualche giorno in Olanda con la sua famiglia non gli avrebbe fatto male, sentiva la necessità di staccare un po' e rilassarsi. Era consapevole che, nonostante quei pessimi risultati collezionati, la preferenza della scuderia Red Bull non avrebbe virato nemmeno un centimetro verso Alex Albon, rimanendo saldamente a fianco dell'olandese, il loro pupillo preferito. Però non poteva abbassare la guardia. La Formula 1 è un mondo spietato, dove è concesso raramente fare errori e ancora più raramente questi vengono perdonati.

Controllò rapidamente il cellulare, sbuffando per la moltitudine di notifiche che riempivano la schermata. Più volte aveva pensato di lasciare la completa gestione dei social al suo manager, ma continuava a rimandare perché sapeva che quello sarebbe stato un punto di non ritorno, una completa depersonalizzazione. Lasciare qualcun altro amministrare ciò che pubblichi sui tuoi profili era davvero l'ultima opzione, sarebbe stato la conferma che non era più un ragazzo come tanti suoi coetanei. Il che in fondo era vero, nessuno alla sua età era giunto in Formula 1 macinando record su record. Eppure in alcuni casi avrebbe voluto essere un Max Verstappen qualunque, con problemi normali e quotidiani, con preoccupazioni legate solo ai suoi ventitré anni. Soprattutto quando faceva schifo in pista.

Notò però tra i mille messaggi uno che non poteva ignorare. 'Chiamami' diceva solamente. Max si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato, cercando di rimandare all'infinito quel momento, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo. Premette quindi il tasto della chiamata, portandosi il cellulare all'orecchio.

"Max Emilian, finalmente!" la voce acuta di sua sorella gli esplose nel timpano, costringendolo a stringere gli occhi e allontanare leggermente il telefono. "Victoria, come mai tutta questa fretta di parlarmi? -le chiese non celando il suo fastidio- tra poche ore sarò a casa. Potevi aspettarmi e vedermi di persona". "No, è davvero urgente!" continuò lei. "Ho solo qualche minuto prima della partenza, cerca di essere concisa, non come tuo solito" la riprese Max, lanciando un'occhiata disperata all'aereo pronto sulla pista, sperando che decidesse di decollare in anticipo.

"Lo prometto, Maxie! Il problema è che stavo organizzando i tavoli per il ricevimento e..." "Mio Dio, Vic! -si lamentò il pilota alzando la voce- il bambino non è ancora nato, come puoi pensare già al resto?". "Sta' zitto! Tu non puoi capire" lo rimbeccò lei, con voce sostenuta. Max sospirò ancora, lasciandosi cadere di peso sulla prima poltrona di pelle scura che vide nelle vicinanze. Quante volte sua sorella gli aveva ripetuto che non poteva capire, che aspettare un figlio richiedeva molta preparazione. Di questo ne era sicuro anche lui, ma non pensava che fosse riferito persino alla maxi festa che Victoria e il suo fidanzato Tom volevano organizzare dopo la nascita.

"Va bene, ti ascolto. Che problema è sorto ora?" chiese Max arrendendosi alla furia della sorella e passandosi una mano sul volto, sperando che quel supplizio finisse il prima possibile. Amava Victoria, era la persona a cui voleva più bene al mondo. Ma certe volte era davvero insopportabile.

Lyrae (seconda parte)Where stories live. Discover now