8.

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Restiamo in silenzio a guardare il mare ancora un po', poi Kay prova a cambiare discorso chiedendomi del mio passato. Gli racconto della mia normalissima famiglia, formata dai miei genitori e da me, della mia normalissima vita nell'altra città, di come ho deciso di provare a venire qui per allontanarmi da alcuni avvenimenti e alcune persone che mi pesavano sul cuore, e di come ho conosciuto Adrian. Mi ascolta parlare senza interrompermi mai, tanto che a un certo punto mi sembra di dialogare con me stessa.
Non gli racconto proprio ogni cosa, però...

"...beh, giunta a questo punto, più o meno sai tutto." dichiaro.
"Non direi."
"Che vuoi dire?"
"Per esempio, non mi hai detto come ha fatto Adrian a farti innamorare" ammicca.
"Non lo so neanche io. Forse, in realtà, non mi sono mai innamorata davvero di lui. Ma mi faceva stare bene, almeno all'inizio, ed era una cosa che non avevo mai provato prima."
"Era il tuo primo fidanzato?"
"Già. Non sono mai stata bravissima in queste cose. Ma lui non sembrava preoccuparsene più di tanto. Ad oggi, non so ancora perché abbia scelto me."
"A me sembra ovvio"
"Beh, allora spiegalo anche a me, per favore"
"Sei simpatica, bella e intelligente. Cosa potrebbe volere di più, un uomo?"
Arrossisco un po', mentre, obiettando, aggiungo: "Visto come sono andate le cose, non credo di essere così intelligente... credo, più che altro, che a fregarmi sia stata proprio la mia mancanza di esperienza"
"Beh, adesso ce l'hai!" dice entusiasta.
"Yuhu, che fortuna... proprio l'esperienza che sognavo!" rispondo ironica, ruotando gli occhi.
"Non buttarti giù, certe cose non dipendono direttamente da noi."
Inizio a non sopportare più la sua capacità di leggermi e consolarmi, così provo anche io un cambio di argomento.
"Beh, adesso tocca a te raccontare"
"Non c'è molto da dire"
"Ti ascolto lo stesso" gli sorrido.

A questo punto, si lascia convincere ed inizia a parlare.
È nato in Giappone, in una famiglia piuttosto povera. Sua madre è coreana e suo padre giapponese. La sua è stata un'infanzia difficile, studiava e lavorava per aiutare i suoi genitori, sua sorella, che a quanto pare ha un paio di anni meno di lui, e suo fratello, che invece ne ha cinque di più. Durante l'adolescenza, è entrato a far parte di un gruppo di writer, ma avendo visto che alcuni di loro approfittavano dell'influenza che avevano sui più giovani per far commettere loro dei crimini, ha deciso di lasciare tutto. 
"A quel punto avevo poca scelta: o proseguire verso quello che chiamo il lato oscuro, o andare nell'altra direzione. Ho deciso di seguire il mio cuore, lavorare su me stesso e imparare a combattere per chi non poteva farlo. Spesso, da piccoli, non si capiscono molte cose, ed è facile sbagliare e seguire degli esempi non giusti, soprattutto quando non si ha molto, ad eccezione dei propri sogni. Non voglio che succeda più a nessuno." afferma sicuro.
"Quindi ti sei dato alle arti marziali?" gli chiedo, stupita dal suo gesto.
"Ho iniziato per proteggere me e la mia famiglia. Spesso, vivendo in uno dei peggiori quartieri della città, eravamo vittime di malfattori e poco di buono, ed ero stanco di sopportare inerme, di essere picchiato e vedere i miei cari soffrire. Ho detto basta, e sono mi sono diretto al tempio dove sapevo viveva il maestro Jin. È stato difficile farmi accettare, ma ce l'ho fatta. Ero molto orgoglioso. Sono stato con lui parecchi anni, mi ha insegnato davvero molte cose. E tutto quello che non è riuscito ad insegnarmi lui, lo ha fatto la strada."
Sono affascinata dalla tranquillità con cui mi racconta tutte queste cose. "Cosa ci fai qui, ora?"
"Ho provato a cercare fortuna e cambiare la mia vita un po'più lontano di quanto hai fatto tu: sono finito dall'altra parte dell'oceano!" mi dice con un ampio sorriso.

Egoisticamente, mi sento molto felice per questa sua scelta, anche se immagino sia stata parecchio difficile: ha dovuto lasciare la sua famiglia e il suo paese, ha cambiato lingua e tradizioni... ci vuole molto più coraggio di quanto ne abbia avuto io, sempre che il mio si possa definire tale.
Conoscendolo, però, mi sarei dovuta aspettare un qualcosa del genere da Kay.

"Hai fame?" mi chiede.
"È la domanda che mi hai fatto più spesso, sai?"
"Puoi immaginare perché..." mi dice con un sospiro, guardando il mare.
Credo di aver capito: da piccolo, probabilmente, ha dovuto saltare parecchi pasti. Mi sento quasi una privilegiata nei suoi confronti. Istintivamente, allungo una mano sulla sua, per accarezzargliela, ma appena sento il contatto con la sua pelle, un po' me ne pento: è come se mi mancasse un battito. Cerco di non far notare il mio imbarazzo, guardando verso la stradina:
"Forse è meglio se mi riporti indietro: Mark potrebbe essere già molto arrabbiato, e non ho voglia di affrontarlo"
"Se prova a sfiorarti, devi solo chiamarmi. Ci penso io" mi risponde deciso, sorridendo.
Tenendomi per mano, mi aiuta a risalire verso la moto, e mi riporta a casa. Quando arriviamo, gli porgo il casco e lo saluto, cercando di nascondere la tristezza che sta iniziando a divorarmi.
"Grazie per oggi, Kay. Avevo bisogno di un po' di aria."
"Quando vuoi. Dopodomani ti porto da qualche altra parte. Scegli tu." mi dice, accarezzandomi la mano.
Annuisco e abbasso lo sguardo. "Ora vado"
"Se Mark esagera" mi dice, stringendo più forte, in modo che lo guardi negli occhi "Chiamami. Torno qui in un attimo."
Gli sorrido e corro in casa, prima di scoppiare a piangere davanti a lui.
Resto sulle scale per un po', mentre sento che la sua moto si allontana. Lascio che qualche lacrima scenda, ma me le asciugo velocemente e mi incammino verso il mio appartamento.

The guy from the eastWhere stories live. Discover now