L'agonia dell'attesa

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Come mi aveva anticipato Rose nei giorni seguenti divenne sempre più assente e nonostante i miei pensieri ruotassero incessantemente intorno a lei decisi di mantenere la nostra promessa. 
Ogni pomeriggio mi recavo alla nostra panchina sperando nel suo arrivo ma i giorni passarono, con questi anche le settimane e da lei non ricevetti alcuna notizia. 
Continuamente mi chiedevo cosa stesse facendo, se sentisse la mia mancanza...domande che non ricevettero presto una risposta ; l’unica certezza era che la sua assenza mi stesse lentamente distruggendo. 
Se avessi potuto spiegare la mia sofferenza attraverso un paragone avrei affermato che mi sentivo come se una resistente corda avvolgesse il mio cuore, stringendolo sempre di più man mano che il tempo scorreva.

Questo grande fardello mi tolse il sonno costringendomi a meditare sul mio dolore anche durante le ore più buie: la notte divenne l’unico momento della giornata in cui mi sentivo libera di sfogare le mie emozioni, nascosta dalla luce del sole ed il giudizio altrui. Erano trascorse due settimane dall’ultima volta che avevo confrontato la mia ragazza ed ancora non avevo trovato il coraggio di confessare alla mia migliore amica il motivo del mio malessere. Conoscevo Akemi come una sorella ed ero cosciente che il suo sguardo attento avesse percepito un cambiamento nel mio comportamento, tuttavia scelsi di nascondere le mie preoccupazioni nell’oscuro silenzio, non giustificato da una mancanza di fiducia nei suoi confronti ma dal timore di affrontare la brutale onestà del suo parere. La verità era fin troppo amara per essere digerita dal mio fragile animo, distrutto per la immotivata mancanza della persona che aveva rapito il mio cuore. 

Nelle silenziose notti prive di riposo dolore e nostalgia camminavano a braccetto con un forte bisogno di nicotina che cominciò a perseguitarmi fino a far fremere le mie mani dal desiderio ogni volta che notavo un passante fumare.
Fu all’alba di una silenziosa mattina che decisi di assecondare questa incontrollabile voglia  sperando che il familiare sapore del tabacco potesse calmare la tempesta nella mia mente almeno per qualche minuto. 
Stordita dalla stanchezza dimenticai di indossare i miei occhiali, errore che mi costò amaramente quando provai a muovermi. A causa della mia scarsa vista e assenza di riposo cominciai a barcollare come se fossi poco sobria, il mio piede calpestò sbadatamente la cinghia di uno zaino abbandonato sul pavimento ed in pochi precipitai goffamente con un tonfo. Dopo questo sgradevole imprevisto non potei fare a meno di imprecare sottovoce pregando di non aver svegliato la mia coinquilina dal sonno leggero.
Dopo essermi rialzata maldestramente  indossai i miei occhiali e prestando più cautela abbandonai la stanza che condividevamo.

Prima di raggiungere l’esterno indossai il cappotto nero nel quale Akemi custodiva le sue preziose sigarette, decisamente troppo largo per il mio corpo minuto ma abbastanza caldo da proteggermi dal freddo. Avrei potuto indossare quello regalatomi da Rose, ma oscurare il suo profumo con l'odore del fumo sarebbe stato come commettere un sacrilegio.  
Fui grata quando le mie dita sfiorarono un pacchetto di sigarette ancora pieno, tuttavia prima che ne potessi estrarre una la mia attenzione fu catturata da un altro oggetto la cui consistenza era ruvida al tatto. Decisi di analizzarlo più attentamente, come immaginavo si trattava di un piccolo pezzo di carta piegato in un quadratino ed incapace di contenere la mia curiosità decisi di svelarne il contenuto.

Quel maltrattato foglio di carta conteneva il disegno che aveva segnato l’inizio della speciale amicizia che univa me e Akemi e risaliva al nostro primo anno di liceo insieme. A quei tempi non avevamo idea di quanti momenti avremmo trascorso insieme, io avevo solo tredici anni mentre lei in primavera ne avrebbe compiuti sedici. 
Durante la mia adolescenza la matematica è stata la mia peggior nemica, agli occhi della mia migliore amica e vecchia compagna di banco invece non era che un delizioso intrattenimento. Non c’è verifica in cui non abbia ricevuto il suo prezioso aiuto, Akemi ha sempre scelto di assicurarsi che non consegnassi un compito in bianco anche se ciò significava rischiare di ottenere un voto più basso. 
Dopo undici anni ricordo ancora dettagliatamente il giorno del nostro primo compito in classe: quando l’insegnante ci consegnò gli esercizi da svolgere come spesso accade quando si è ansiosi mi lasciai trasportare dal panico dimenticando tutto ciò che avevo appreso grazie alla mia tutor privata. 
Durante la prima ora la mia penna sfiorò a malapena il bianco foglio a quadretti, ogni tentativo di trovare una soluzione era vano lasciandomi sempre  più avvilita. 
Akemi fu la prima a consegnare la verifica e dopo aver guadagnato il sorriso orgoglioso del nostro insegnante tornò al suo banco con aria soddisfatta, cosciente di aver raggiunto il massimo dei voti.  
Spesso la osservavo con invidia chiedendomi come mai una ragazza dotata di una tale intelligenza avesse perso l'anno volte consecutive. 
A quei tempi lei era ancora molto riservata nei miei confronti e non avendo idea di cosa accadesse nella sua famiglia nel mio interiore sognavo di condurre una vita come la sua. All’orlo dei suoi sedici anni Akemi aveva i capelli rasati, un piercing al naso ed un piccolo tatuaggio sul retro del collo; guardarla significava ricordare che non avrei ottenuto facilmente ciò che desideravo per colpa dei miei severi genitori. 
Mancava meno di un quarto d’ora alla consegna ed ero ormai rassegnata a dover ricevere la mia prima insufficienza, stavo già meditando sulla punizione che mi sarebbe stata inflitta quando qualcuno richiamò la mia attenzione picchiettando la mia schiena. La ragazza che tanto invidiavo aveva posato nel cappuccio della mia felpa un bigliettino in cui aveva indicato lo svolgimento e soluzione esatta di tutti i miei esercizi.
Per non allarmare il professore evitai di lanciarmi tra le sue braccia avvolgendola in un fortissimo abbraccio, ma in altre circostanze non avrei esitato un secondo prima di farlo. Dopo aver copiato le equazioni esatte decisi di mostrarle la mia gratitudine attraverso un semplice gesto: prima di restituirle il pezzo di carta disegnai sul suo retro una caricatura del suo volto sorridente scrivendo in lettere maiuscole ‘’GRAZIE KIWI’’.
Akemi non era un nome molto comune e nonostante nella mia famiglia ne avessi sentiti di più bizzarri in un primo periodo ebbi fatica a memorizzarlo, dunque decisi di inventare un originale soprannome ispirandomi alla sua testa rasata il cui aspetto mi ricordava molto la buccia che ricopriva il frutto tropicale.

Passion FlowerWhere stories live. Discover now