Little pink triangle

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Eppure... c'è qualcosa di così triste e indifeso nei suoi occhi azzurri, qualcosa di così fragile nel suo sguardo quando si posa su di me, che improvvisamente so per certo che risulterebbe assurdo e fuori luogo se appartenesse ad un uomo.

E tutti i pregiudizi che potevano avermi attraversato la mente quando l'ho vista avanzare verso di me svaniscono nel nulla, come se non fossero mai esistiti, quando lei apre la bocca per parlare con un sussurro dolce e appena accennato. "Ciao"

Dio, non ho mai sentito nulla di così ingenuo e puro in vita mia. Non... non so nemmeno perché, ma è come se mi venisse spontaneo il desiderio di proteggere questa creatura, qualsiasi cosa sia, qualsiasi cosa ci faccia qui.

Mi apro in un piccolo sorriso per la prima volta dopo secoli. "Ciao" le dico in risposta.

E lei mi sorride, quasi sorpresa che io sia così gentile.

"Qual è il tuo nome?" mi chiede ancora, e noto che ha un leggero accento francese.

"Frank."

Mi tende la mano. "Io sono Rayon". Gliela stringo, e la sua stretta è delicata e al tempo stesso forte, una contraddizione come lo è lei stessa, del resto.

"Sai, quel tizio laggiù sostiene che siamo quasi arrivati" mi dice, indicando un signore grassottello che confabula con un altro paio di persone. "Dice che lo sente nell'aria, e che presto le nostre sofferenze finiranno e andremo tutti in un posto migliore"

"Se per posto migliore intende un campo di concentramento, allora deve avere una strana visione delle cose" commento quasi sarcasticamente, e Rayon si porta una mano alla bocca per coprire una piccola risata.

"Ti avevo visto qui tutto solo e avevo pensato che magari ti servisse un po' di compagnia" dice ancora, come se fossimo in un bar e mi stesse offrendo un drink, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se non stessimo in una situazione in cui rimanere vivi è già un miracolo.

Annuisco, ma non riesco a dire nulla di significativo. Del resto, cosa potrei dire? "Beh sì, fa sempre piacere parlare con qualcuno prima di morire", o "Potresti essere l'ultima persona a cui rivolgerò la parola", o "Buona fortuna, magari ci rivedremo in un'altra vita".

Rayon sembra capire, perché rimane in silenzio e non aggiunge altro.

"Frankie?" mi chiede dopo un po', quasi esitante, e in un certo senso mi diverte che usi quel soprannome dopo esserci conosciuti da appena dieci minuti.

"Sì?"

"Possiamo essere amici?"

La guardo, e lei mi fa un sorriso smagliante. Questa ragazza - o ragazzo, non mi importa poi molto - mi sta chiedendo di fare amicizia ad un passo dalla morte, in un treno diretto chissà dove, lontano da tutto e tutti, lontano dalla libertà e da ciò che dovrebbe chiamarsi vita.

E per quanto assurdo e assolutamente pazzesco possa essere, io accetto. So che me ne pentirò e soffrirò ma... accetto.

"Amici."

Potrebbe essere passato un giorno come una settimana da quella conversazione a quando le porte del vagone si aprono finalmente, scorrendo via e lasciando entrare una luce abbagliante e una folata di vento freddo che mi ghiaccia le ossa.

Stiamo letteralmente tremando tutti, mentre una decina di soldati si affaccia sulla soglia della carrozza e ci urla di scendere in tedesco. Per fortuna ho imparato quelle poche nozioni basilari a scuola, ma anche se così non fosse non ci sarebbero dubbi su ciò che vogliono, perché iniziano a tirarci su brutalmente ad uno ad uno e a farci scendere dal vagone.

Io riesco ad alzarmi pian piano, appoggiandomi alla parete, mentre Rayon è così tremante e intirizzita che un tedesco la afferra letteralmente dal bavero della giacca e la rimette in piedi.

Scendiamo dalla carrozza e atterriamo nella neve, guardandoci intorno. Come me, sono tutti sperduti e spaventati. C'è altra gente che scende da altri vagoni, ci sono altri soldati che fanno disporre le persone in fila e li portano via, chissà dove, chissà dove.

Rayon mi si stringe addosso, aggrappandosi al mio braccio, e in un certo senso gli sono grato perché sto letteralmente tremando dal freddo.

I tedeschi fanno mettere in fila anche noi, uno dietro l'altro, e ci conducono via dalla stazione, lungo un viale innevato e spoglio fino ad un grande, gigantesco cancello.

Lo guardo, e so già di cosa si tratta. La recinzione si estende per chilometri, con tanti fili di ferro appuntiti e sicuramente elettrificati, e soldati appostati ovunque. Al di là di essa, vedo solo desolazione. Morte e desolazione.

E noi stiamo per entrarci.

Davanti al cancello ci sono diversi uomini seduti a dei tavolini di legno, e per ciascuno di loro c'è una fila diversa di persone. Ai prigionieri di una certa fila, una volta arrivato il loro turno, applicano una stella a cinque punte sulla manica, e capisco che sono ebrei. Alla nostra fila invece non riesco a capire cosa spetti, fino a quando non tocca a me e io mi ritrovo davanti a questo ometto pelato e con gli occhiali che non mi guarda nemmeno in faccia. Prende una spilla da una ciotola, e poi mi applica un pezzo di stoffa sulla parte sinistra del petto.

Un triangolo di stoffa rosa.

Immagino sia questo il loro modo di distinguerci dagli altri. Per loro siamo questo: dei triangoli di stoffa, dei numeri, delle stelle a cinque punte, senza nome, senza identità, senza niente che possa definirci alla loro pari.

Tutto questo non ha senso. Non ha davvero senso, io non... non riesco a capire. Sul serio, qualcuno dovrebbe illuminarmi o spiegarmi cosa diavolo ci faccio qui, e cosa sono tutti questi soldati che ci trattano come se avessimo commesso dei crimini, come se fossimo degli schifosi assassini che meritano la morte. Qual è la nostra colpa?

Dopo che la fine è terminata, i cancelli vengono aperti e i tedeschi ci ordinano di avanzare. Quando ormai siamo dentro, io e qualche altro ci voltiamo a guardare, e li vediamo di nuovo richiudersi dietro di noi, con un tonfo finale che mi fa salire un brivido ghiacciato su per la schiena.

Incrocio lo sguardo di Rayon, che mi fissa spaventato. Nei suoi occhi, la mia stessa domanda: "Qual è la nostra colpa? Che cosa abbiamo fatto per meritarci questo?"

Per la prima volta da quando mi hanno portato via da casa, ho paura.

Ho paura. Sapete, è sempre stato Gerard quello forte.

Destroy MeWhere stories live. Discover now