9.

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- Avril.

La ragazza si voltò di scatto e fece un passo indietro nel vedere chi c'era sulla soglia della palestra. Aveva le maniche corte della maglia grigia arrotolate fino alle spalle, e i pantaloni neri della tuta gli stavano da dio, e la sua espressione era lacerata dal senso di colpa.

Notò subito come fosse impallidita nel vederlo e cercò di avvicinarsi di più a lei, la cui schiena sbatté contro la parete. Avril non aveva alcuna via di scampo, era incastrata tra i materassoni blu e i cestoni in ferro rosso dei palloni da calcio e da basket.

- A-Alex - balbettò - che ci fai qui?

- Michela si è fatta male, sono tutti attorno a lei. Io devo parlarti - la implorò lui. Le iridi azzurre di Avril guizzarono per tutto lo sgabuzzino, cercando disperatamente una via di fuga. - D-devo tornare di là - soffiò nervosa, ma quando cercò di passargli accanto lui l'afferrò per il braccio. - No, aspetta - con delicatezza la spinse di nuovo contro la parete, attento a non farle male, intrappolandola con il proprio corpo. Ad Avril venne la pelle d'oca e il suo cuore cominciò a battere sempre più forte nella cassa toracica.

- Alex, devo davvero...

- Ascoltami - la interruppe lui, posandole una mano sulla guancia. Lei voltò il viso e lui riabbassò la mano, una scintilla ferita nelle iridi nere. - Mi dispiace per l'altro giorno. Io... io avevo fumato, non ero in me.

- Hai cercato di stuprarmi, Alex! - sibilò lei, improvvisamente furibonda, spingendolo sul petto. Alex barcollò e la guardò stupito, pieno di rimorso. Avril gli piantò un dito sul petto, tutto il rancore che aveva serbato che si rovesciava come veleno addosso a lui.

- Mi hai baciata, anche se hai una ragazza, anche se non te ne fotte un cazzo di me, e hai cercato di violentarmi - Alex trasalì a quell'ultima parola, mentre il senso di colpa lo divorava, incendiava ogni fibra del suo corpo.

- Lo so, cazzo - sbottò - ed è proprio per questo che non dormo da due notti!

Era vero. Aveva delle orribili occhiaie e un'espressione esausta. Avril lo studiò in silenzio. - Io... io non volevo - disse lui. C'era qualcosa di disperato nella sua voce. La stava implorando. - Non volevo. Grazie a Dio mi hai tirato quel calcio nelle palle, anche se ha fatto un male cane. Avril, mi dispiace, non ero in me - ripeté.

Lei incrociò le braccia. - Bene. E adesso che l'abbiamo appurato puoi anche lasciarmi in pace e tornare dalla tua ragazza.

- Non ho una ragazza - la interruppe lui, e vide la sorpresa balenare per un attimo nelle iridi azzurre della ragazza. - Cosa?

- Ci siamo lasciati.

Avril rimase in silenzio. - Beh, non sono affari miei.

Cercò di nuovo di sorpassarlo, ma lui l'afferrò per i fianchi e la riportò contro la parete, facendole fare una smorfia di leggero dolore mentre la sua schiena sbatteva contro il cemento.

- Avril, cazzo - sbottò - mi dispiace.

- Me l'hai già detto - replicò acidamente lei.

Lui la guardò intensamente. La stava studiando, incerto, irritato e ammirato allo stesso tempo per la sua tenacia.

- Okay. E se ti dicessi che ti trovo attraente?

Il cuore di Avril rallentò, mentre sgranava gli occhi.
Pensa, Avril. Pensa. Non ha fumato. Starà mentendo, ma non sembra. Ti ha quasi violentata. Ma mi piace, gemette nella propria mente.

- Ti direi di smetterla di dire stronzate - ribatté duramente lei. Alex chinò la testa, prendendo un respiro profondo per mantenere la calma.

- Va bene. Okay. Senti, lo so che mi odi. Ma. Sento l'irrefrenabile bisogno di baciarti - sussurrò.

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