Parte seconda: Paine. Capitolo 1

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Agosto 1993

Lungo la stradina residenziale di una cittadina italiana, si ergeva un'abitazione ormai consunta dal trascorrere degli anni.

Un tempo era stata un manicomio, prima ancora la villa di un nobile. Erano poche le finestre e piccole, quasi tutte sbarrate, e non vi erano balconcini da cui affacciarsi. Il tetto spiovente pareva gravare sull'intera struttura.

Era stato abbandonato, a seguito della legge che prevedeva la chiusura di tutti i manicomi. La regione aveva venduto al miglior acquirente la struttura, un ricco imprenditore che aveva in mente di trasformarla in un condominio lussuoso.

Non aveva però fatto i conti con la credenza popolare che circondava l'edificio. Si vociferava che anni addietro, un paziente del manicomio fosse fuggito e si aggirasse ancora nei sotterranei. In molti, contagiati dalla superstizione, asserivano di essere incappati nel pazzo che di notte risaliva le fogne, e chiunque avesse la sfortuna di trovarselo di fronte, avrebbe rischiato la vita.

L'imprenditore, per convincere gli acquirenti, aveva svolto numerose ricerche e dai documenti dei medici non risultava che fosse avvenuta una fuga. Tuttavia scoprì che esistevano realmente dei condotti sotterranei, costruiti dai vecchi proprietari, una famiglia nobile caduta in disgrazia. Condotti chilometrici che portavano fuori dalla cinta vesuviana, utilizzati come via di fuga o, all'occorrenza, per far entrare illegalmente prodotti proibiti.

Quei condotti, da soli, bastavano a rendere veritiera la leggenda. L'imprenditore dovette rinunciare alla precedente idea di vendere a prezzi esorbitanti gli appartamenti, e si accontentò di acquirenti meno abbienti.

Con il passare del tempo la pazzia che per tanti anni aveva governato su quel lembo di terra, ricrebbe rigogliosa e infettò i giardini, ogni singolo ciuffo d'erba. Il grande parco rigoglioso divenne selvaggio, avvolse con le sue spire avvelenate ogni cosa. Il giardino era addormentato, morto per sempre. Gli alberi erano quasi tutti malati, soltanto i pini marittimi resistevano, la terra brulla aveva preso il posto dell'erba; le panchine offrivano solo il loro scheletro ferroso, le tavole di legno per accomodarcisi non c'erano più, sparite nel nulla. Gli insetti dominavano su tutto, non insetti nobili, ma blatte, zanzare, termiti fameliche, mosche.

Gli abitanti raramente si aggiravano nel giardino. La fatiscenza esterna non era nulla se paragonata ai corridoi e agli angusti appartamentini.

Le targhe dorate che indicavano il nome dell'occupante e il numero dell'abitazione erano corrose, e la vernice scintillante mostrava la ruggine che aveva coperto alcune lettere dei nomi. I corridoi intrecciati erano dei veri e propri labirinti per i venditori porta a porta che avevano l'ardire di intrufolarsi lì. Era impossibile uscire facilmente senza chiedere indicazione agli abitanti. Le porte d'ingresso e le finestre dovevano rimanere sempre chiuse, per evitare che i topi si intrufolassero e creassero danni ai neonati.

Quello era il regno del possibile, un perfetto estratto della città, caotica, crudele, sporca.

In uno di questi appartamentini, una bambina di appena sei anni stava dormendo profondamente nel suo lettino. La camera era troppo grande per l'arredamento scelto. Una scrivania di seconda mano era posta accanto alla finestra, interamente cosparsa di pastelli, pennarelli e fogli. La carta da parato era stata impreziosita dai disegni della bambina, piccoli capolavori di un genio in erba che un genitore amorevole avrebbe elogiato. Il lettino era posto di fronte alla finestra e da sdraiati si poteva godere delle poche stelle che l'inquinamento luminoso risparmiava. I vestitini erano raccolti in un piccolo armadio scolorito dal sole.

La bambina non si lagnava delle condizioni in cui era costretta a vivere, aveva paura della madre, Serena, del suo carattere burbero e imperioso.

Le anziane pettegole del palazzo giustificavano la donna, dicendo che fosse depressa a causa dell'abbandono del suo compagno, qualcuna diceva che potesse avere una malattia alla tiroide, che le provocava degli scombussolamenti agli ormoni. La bambina, troppo piccola per comprendere il significato delle parole degli adulti, si affidava al suo infantile spirito d'osservazione, mescolato alle paure che i bambini del palazzo le avevano trasmesso: la madre era stata morsa dal mostro pazzo dei sotterranei che di notte si aggirava nel parco.

L'Angelo della MorteWhere stories live. Discover now