Capitolo 16: una trappola di ricordi

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Paine si fermò davanti al luogo che un tempo aveva chiamato casa con un moto di sorpresa. Del vecchio parco, in cui si ergeva il manicomio adibito a condominio, rimanevano pochi alberi, vegliardi che resistevano al tempo e alla distruzione dell'uomo. Erano soprattutto pini marittimi dai tronchi nodosi e ritorti che si piegavano verso la palazzina. L'aiuola era scomparsa per lasciare il posto ad un parcheggio spazioso. La palazzina era stata restaurata di recente, ma era impossibile nascondere la vena di pazzia che l'aveva sempre caratterizzata; era la condanna di quel luogo.

Si chiese quante delle persone che aveva conosciuto fossero rimaste a vivere lì e quanti nuovi volti avrebbe incontrato. Vagò con lo sguardo al piano dove era collocato il suo appartamento e individuò la finestra della sua camera. Un brivido le attraversò la schiena nel ricordare le ore che vi aveva trascorso all'interno, rintanata nei suoi pensieri, in attesa che qualcosa mutasse in meglio.

Robert le si affiancò, indovinando i suoi pensieri le poggiò una mano sulla spalla.

«Ecco la mia prigione...», gli disse.

«Non c'è cella peggiore di un luogo senza sbarre» le disse Robert. «Hai la sicurezza di poter andare via in qualsiasi momento, ma allo stesso tempo non puoi farlo. Vedi la libertà davanti a te, oltre la soglia della porta, e sai che non potrai mai averla, perché qualcosa ti incatena lì.» I ricordi della sua infanzia gli si affacciarono in mente, erano così lontani, eppure gli bruciavano ancora l'anima come carbone rovente. Intuiva i sentimenti di Paine, perché erano identici ai suoi.

«Ognuno sceglie la propria prigione. Io sono rimasta nella mia in attesa del tuo ritorno...» gli sorrise, malinconica.

Robert sospirò, ricordando suo fratello Joseph. «Anche io sono stato prigioniero dei miei genitori» disse, suscitando sorpresa in Paine che non conosceva nulla del passato di Robert. «Lavoravo nei campi, mentre mio fratello minore era costretto a badare agli animali.»

«Non sapevo che avessi un fratello.»

«Ho progettato innumerevoli volte la mia fuga, ma alla fine rimanevo lì perché non volevo abbandonarlo. Da solo, forse, avrei potuto cavarmela nel mondo, ma Joseph era troppo piccolo per sopravvivere e aveva una salute cagionevole.» Abbassò la testa, chiedendosi per quale ragione le stesse parlando di suo fratello. «Alla fine accadde: i miei genitori lo uccisero.»

Paine si voltò di scatto, il viso sbiancato e sorpreso.

«Ma arrivò una donna che mi propose uno scambio... la mia vita in cambio di quella di Joseph. E io accettai, diventando ciò che sono ora.» Una folata di vento gli accarezzò il viso, facendo ondeggiare il collo dell'impermeabile scuro. Paine ebbe l'impressione che una lacrima gli rigasse la guancia; ebbe l'impulso di abbracciarlo, di cercare rifugio tra le sue braccia, ma non osò irrompere nel flusso dei suoi pensieri.

«Sei pentito della tua scelta?» gli chiese, ponendo a se stessa la medesima domanda.

Robert si lasciò scappare un sorriso. «Non mi pentirò mai della mia scelta» le disse. "Perché alla fine ti ho incontrata", non riuscì a pronunciare quella confessione. Sentiva un terribile groppo in gola e nonostante in lui fosse forte il desiderio di rivelarle ciò che provava, non ebbe l'ardire di continuare la frase.

Ma il coraggio in Paine non mancava e, con un sorriso seducente sul volto, gli disse: «Nemmeno io, perché alla fine posso stare al tuo fianco.»

Robert fu attraversato da una scarica elettrica.

Paine camminò sul vialetto che dava accesso al portone d'ingresso, strascicando i piedi sulla ghiaia, come faceva da bambina. Solo il rumore dei sassolini riempiva il silenzio che si era creato tra loro. Appena poggiò la mano sul portone, ebbe un forte capogiro e ritirò la mano con il volto corrucciato.

L'Angelo della MorteWhere stories live. Discover now