Capitolo 11: I tormenti di Jack

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Jack fermò la vettura nel parcheggio della Sala Magna, una sigaretta gli pendeva dalla bocca, gli occhi attenti. Era infastidito, aveva ricevuto una chiamata urgente dall'Ordine mentre era in pieno svolgimento l'autopsia del cadavere di Emilia. Aveva inizialmente rifiutato la convocazione credendo che si trattasse dell'ennesima seccatura, ma la voce asciutta del cavaliere che aveva effettuato la chiamata l'aveva convinto ad andare.

Scese dalla vettura e gettò la sigaretta, ancora accesa, al suolo. Il fumo azzurrognolo creò una piccola colonna verso l'alto mentre la sigaretta rotolava al suolo per poi finire in un canale di scolo. Il sibilo che produsse la piccola brace a contatto con l'acqua fece raggelare Jack.

Ebbe l'impressione che la sua anima potesse spegnersi con la stessa velocità. Si passò una mano sulla fronte e scoprì di essere sudato nonostante l'aria gelida che i depuratori rilasciavano nelle catacombe. Una sgradevole sensazione si impadronì della sua mente e seppe che, di lì a poco, sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole; un evento da cui fuggiva.

Allungò la mano verso la tasca interna della giacca e tirò fuori il flacone delle sue medicine. Aprì il coperchio e si guardò intorno per accertarsi di non essere visto. Solo allora si accorse che era tutto insolitamente calmo e vide la vettura assegnata a Marco. Trovò strano che non l'avesse avvertito della convocazione, ma non riuscì a formulare alcun pensiero a riguardo perché si accorse di uno strano movimento al limite del suo campo visivo.

Lasciò cadere il flacone che si schiantò sull'asfalto, le pillole che conteneva si sparpagliarono tutt'intorno come se fossero composte di materia organica. Jack recuperò la pistola dalla fondina e la puntò verso la sagoma. «Chi va là?» urlò con prepotenza.

Silenzio.

Jack si avvicinò, guardingo, al punto in cui aveva visto la sagoma, l'arma pronta a fare fuoco. Man mano che si avvicinava la sicurezza e la freddezza, che lo caratterizzavano, iniziarono a vacillare. L'arma gli tremò tra le mani.

Non gli interessava più scoprire a chi appartenesse la sagoma, poiché ormai aveva capito.

Sulla superficie della sua nove millimetri comparvero delle bollicine nere, come se il metallo stesse bollendo ad altissime temperature; pian piano l'acciaio si corrose e apparve la ruggine in più punti. Jack mollò la presa e si allontanò dall'arma con un moto di terrore e disgusto. Dalla nove millimetri iniziò ad innalzarsi un fumo denso come cenere.

L'asfalto divenne nero come la pece, il suono dei depuratori era scomparso, c'era il vuoto assoluto attorno a Jack. Sapeva ciò che avrebbe visto e fu assalito dal panico.

Jack indietreggiò il più possibile, diretto alle pillole, gli occhi piantati al suolo, le orecchie pronte a cogliere ogni più insignificante rumore. Con la scarpa schiacciò una pillola e seppe di essere arrivato dove desiderava, si abbassò per recuperarne una e lo sentì. Un verso roco.

Ebbe uno spasimo, la trachea si strinse d'un colpo, così come la bocca dello stomaco. Non osò alzare gli occhi, non aveva mai affrontato ciò che popolava le sue allucinazioni e non l'avrebbe fatto lì. Con calma allungò le dita su una manciata di pillole – cercando di non attrarre attenzioni indesiderate su di sé – e le strinse nel pugno. Le ingoiò tutte, sperando che facessero effetto il prima possibile. Chiuse gli occhi e attese. Sentì ancora dei passi ma si disse che fosse solo frutto del suo disturbo, che presto sarebbe tornato tutto alla normalità.

Il rumore delle pale che purificavano l'aria riprese il proprio dominio sul mondo e Jack si sentì sollevato: era tutto finito, la realtà era tornata. Riaprì gli occhi con un leggero sfarfallio e rivide il solito parcheggio. Non c'era nulla fuori posto.

Si guardò intorno sperando che nessuno l'avesse visto e recuperò ciò che rimaneva delle pillole.

«Dovrò aumentare la dose...», si disse mentre riponeva il flacone mezzo pieno nella tasca. Col passare del tempo il suo organismo si era abituato all'effetto dei calmanti e ormai sembravano non bastargli più a superare le crisi di allucinazioni. In tutti gli anni di terapia ed esami a cui si era sottoposto, la causa del suo disturbo non era ancora chiara; il suo cervello funzionava alla perfezione, non vi erano traumi neppure nella sfera psichica. Aveva persino pensato che la maledizione lanciatagli da Diana, poco prima che si gettasse nel vuoto, fosse la vera causa di tutto.

I dottori si erano arresi, ma lui no. Era deciso a sconfiggere quelle dannate allucinazioni.

Quando si calò per recuperare la pistola, con orrore, si accorse che i segni della corrosione erano rimasti impressi in essa come un'orrenda condanna.

L'Angelo della MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora