Destroy Me

By skeIetonflower

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"Distruggimi, Gerard." mormoro sulla sua guancia "fa quello che vuoi. Distruggimi e salvami, fammi a pezzi e... More

Prologo
In or out
The parting glass
Give me love
The beginning of the end
Absence
Only old friends
I was dead
We only live once
Safe and sound
Special needs
Destroy me
Falling into hell
Sleepwalking
Just a coward
My dependence
Ghosts in the snow
Crawling back to you
Little pink triangle
Falling in love will kill you
Desert song
Right where he belongs
Just the shadow of a man
Black black heart
Carry me to the end
Requiem for a dream
Ashes
Epilogo

Maybe I owe you

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By skeIetonflower

NO MA DICO LO AVETE VISTO GERARD CON LA TINTA GRIGIA? *sclera*

Ok ok, devo stare calma. Cioè è un patato, un cucciolo, un akeokfepokrtlbhl (ovviamente spero anche che sia temporanea, non voglio che Gerard si trasformi in Gandalf il Grigio okay)

Cioè in questi giorni il fandom è in delirio bc Gerard si fa la tinta alla tbp era, si veste alla revenge era, dice che gli manca suonare con Mikey (awww), dice di voler dimagrire, e poi quei messaggi "subliminali" sul sito dei mychem....

Sì, avete capito bene. Mi sto illudendo per NIENTE. Sono tutte suggestioni e io sono suggestionabile. Fine.

Vbb, vi lascio al capitolo, buona lettura

M.

PS. RAGA PLS RECENSITE, DAI LO SO CHE LA MIA FF VI PIACE ALMENO UN PO' E IO HO BISOGNO DI VOIIII DAIDAI CHE VI VI BI <3 (vi regalo i biscotti)

CAPITOLO 16 - MAYBE I OWE YOU

GERARD

Un mese.

Un mese di sconfitte dopo sconfitte, ritirate dopo ritirate, morti su morti. Un mese di angoscia e di paura e di terrore e di respiri mozzati e sguardi muti e imploranti. Un mese di inferno.

Sono ancora vivo?

Non credo di esserlo. Probabilmente sono morto, o il mio cervello è completamente addormentato e il mio corpo continua a trascinarsi giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia, senza nemmeno chiedersi il perchè.

Il fatto è che non riusciamo ad avanzare. Se almeno riuscissimo ad impadronirci di una buona parte del territorio, sarebbe più semplice fronteggiare i giapponesi. Ma loro continuano a respingerci ferocemente, a decimarci, e ben presto siamo costretti a chiamare rinforzi e ad aspettare l'arrivo di altre truppe americane prima di ripartire al contrattacco.

Spesso sono in compagnia di Ray e Bert. Sono gli unici due con cui ho stretto una sorta di rapporto. Parliamo, o almeno lo facciamo quando non siamo impegnati a evitare la morte.

Ray è... Ray. Non c'è un giorno in cui è triste, o si lascia abbattere dalle situazioni, o cerca di mollare tutto. È fermamente convinto che, anche se morirà, ci sarà un'altra vita dopo questa, in una specie universo parallelo o qualcosa del genere. Ed è la sua unica spinta, il suo unico motivo per tirare avanti.

In un certo senso, nonostante l'assurdità delle sue parole, lo invidio.

Mi ha raccontato di avere una moglie, da qualche parte in California, e un bimbo di appena sette mesi. Scrive loro ogni santa settimana, mentre io ho soltanto trovato il coraggio di terminare e spedire quella lettera a Frank, ma non ne ho ancora scritta una a Lynz.

Spero che gli arrivi e che la legga, anche se ho qualche dubbio.

Bert è un tipo strano. Ma proprio strano. Cioè, nonostante condividiamo il giaciglio e il pasto e tutto il resto, a malapena ha scambiato una decina di parole con me dal giorno in cui si è presentato nella mia tenda. È taciturno e scontroso, sopporta a stento i rimproveri del generale Morrison, solo che... solo che intravedo qualcosa in lui, un barlume di dolore e rabbia, qualcosa di profondo che gli alberga dentro e che gli impedisce di relazionarsi con la gente.

E questo suo lato oscuro e nascosto, devo ammetterlo, mi piace. Il suo dolore, nonostante non ne conosca la natura, mi ricorda il mio e mi aiuta a tirare avanti. Perché capisco di non essere l'unico a voler lasciare questo fottuto posto.

Perciò, abbiamo instaurato un bizzarro rapporto. Non ci parliamo, sì, ma è come se fossimo sempre dov'è l'altro. Mentre cerchiamo di ripararci dalle bombe scegliamo gli stessi nascondigli, prendiamo le stesse scorciatoie e la sera sediamo accanto al fuoco uno di fronte all'altro assieme a tutti, e questa cosa un po' mi conforta, anche se non ho capito bene cosa significhi esattamente.

Ma mi fa sentire meno solo.

"Attaccare il loro accampamento è fondamentale." sta dicendo il generale Morrison. Ci ha svegliati nel cuore della notte per "una riunione di massima importanza", e ora siamo all'aria aperta, mezzi assonnati e infreddoliti, per ascoltare le se parole.

"Potrebbe dettare le sorti di questa missione, e potrebbe portarci alla vittoria dopo tutte queste sconfitte. Perciò, attaccheremo stanotte. Vi dividerete in gruppi di tre o quattro uomini e avanzerete da quattro angoli diversi, cogliendoli alle spalle. Confido in voi."

Vorrei essere messo in squadra con Ray o al massimo con Bert, ma alla fine capito con altri tre soldati di cui a malapena conosco il nome: Zach, il più alto e quello più amichevole, con cui ho parlato alcune volte; Thomas, un tizio grassottello e calvo con le mani costantemente sudate; e Milicevic, un russo con una folta barba e l'aria truce.

Mezz'ora dopo, siamo in cammino verso l'accampamento dei giapponesi. A noi spetta il compito di attaccare da destra, ammazzando quanti più soldati possiamo per poi ritrovarci tutti nel padiglione centrale dell'accampamento, dove dorme il comandante, e ucciderlo.

Non appena raggiungiamo le prime tende, Zach, che ha preso automaticamente il comando del nostro piccolo gruppetto, ci fa cenno di sbrigarci e ognuno di noi prende una direzione diversa. Io scelgo la tenda a destra, quella più lontana, sperando che nessuno senta eventuali rumori sospetti.

Mi muovo silenziosamente, calpestando piano l'erba, col cuore in tumulto e l'adrenalina che mi scorre nelle vene. Non c'è tempo di pensare, non c'è tempo di avere paura. Devo solo agire. Alla fine ho capito cosa riesce a farti vivere più a lungo qui: non devi riflettere. Agisci, fa quello che devi fare, senza fermarti a pensare alle conseguenze. Altrimenti, soffermandoti a pensare a come infilare il coltello nella gola del tuo nemico, egli avrà fatto prima di te e ti ritroverai tu con la gola squarciata.

Raggiungo la tenda e mi fermo un attimo per accertarmi che chiunque sia all'interno stia dormendo. E in effetti posso sentire il russare regolare di un soldato.

Bene, mi è capitata la tenda singola. Tiro un sospiro di sollievo e lentamente alzo un lembo della tenda, facendo attenzione a non provocare il minimo spostamento d'aria.

Tiro fuori il coltello e mi avvicino di soppiatto al corpo sdraiato nel sacco a pelo, che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro.

Calma, mi dico. È soltanto uno dei tanti. Ne ho uccisi a centinaia. Uno in più non farà differenza.

Solo che uccidere un uomo alle spalle, mentre dorme, senza neanche dargli il tempo di difendersi...

Calma.

Sollevo il coltello, preparandomi a sferrare il colpo. Prendo un profondo respiro e abbasso velocemente la lama e....

Un urlo squarcia il silenzio assordante della notte, facendomi rimanere con le braccia a mezz'aria. Mi si gela il fegato, le gambe mi si paralizzano, il mio cervello va in tilt.

Ci hanno scoperti.

Cazzo, cazzo, cazzo.

E proprio in quell'istante, svegliato dall'urlo improvviso, il soldato sotto di me si volta di colpo, gli occhi aperti, e mi fissa a metà tra il sorpreso e il terrorizzato.

Accade tutto in un istante: lui solleva le braccia per difendersi, io abbasso il coltello con tutta la forza che ho in corpo e glielo conficco tra le costole, spingendo a fondo fino al manico. La sua reazione è immediata: le braccia che prima cercavano di bloccarmi si irrigidiscono, poi crollano a terra, gli occhi si spalancano e mi fissano in una muta espressione di orrore, fino a quando il suo cuore smette di battere e io mi allontano tremante dal suo corpo inerme, strisciando a terra.

L'ho ucciso.

Io l'ho ucciso.

Ho ucciso quest'uomo.

Fuori, il trambusto aumenta. Si sentono varie urla, scalpiccii, gente che corre e ordini sbraitati in lingua giapponese. Ci hanno scoperti, e se non esco subito di qui scoveranno anche me.

Mi alzo in piedi, cercando di regolarizzare il mio respiro affannoso. Lancio un'ultima occhiata al giovane soldato: non poteva avere più di vent'anni, probabilmente aveva una fidanzata a casa ad aspettarlo, una madre e un padre preoccupati per lui, e io gli ho tolto tutto.

Tutto.

Esco dalla tenda, quasi inciampando, e faccio in modo di mescolarmi tra la gente che corre a destra e manca. Mi levo il fucile dalla spalla e sparo a caso, colpendo tutti i giapponesi che mi si parano davanti. Non so dove andare e non so cosa fare, perciò mi limito a sparare per non essere sparato, e a nascondermi accovacciato tra i cadaveri.

Ad un certo punto noto Bert a pochi metri da me. Sta combattendo corpo a corpo con un giapponese: la sua arma è a terra lì vicino, e lui sta cercando di levare l'altra dalle mani del nemico.

Solo che non si accorge di un soldato che gli si sta avvicinando alle spalle pronto a sparargli una pallottola dritto in testa.

Quello che accade dopo non lo decido io. Accade e basta. Agisco, agisco senza pensare, come ho imparato faticosamente a fare in queste settimane. Ed è come se mi sdoppiassi, come se il mio corpo si muovesse da solo mentre la mia mente si chiede "cosa sto facendo?"

Mi lancio in avanti, e in pochi veloci passi riesco a gettarmi addosso al soldato dietro Bert, aggrappandomi al suo braccio e togliendogli la pistola di mano. Lo trascino con me a terra e siamo un groviglio di corpi, sento il suo ginocchio nelle reni e le sue mani che cercano di sferrarmi pugni uno dopo l'altro. Sollevo lentamente la mano con la pistola rubata al soldato e gliela punto allo stomaco, e proprio mentre quello sta cercando di strangolarmi con le mani attorno alla mia gola, premo il grilletto.

Dopo lo sparo, vengo alleggerito del peso del corpo sopra di me, che crolla inerte al mio fianco. Mi rialzo velocemente e vedo Bert a terra, sopraffatto dal giapponese con la pistola puntata contro di lui.

Sollevo la mia e premo ancora.

E poi ci siamo solo io e Bert, e lui mi fissa negli occhi e io gli faccio un mezzo sorriso stanco. "Stai bene?"

Vado verso di lui e gli tendo una mano per aiutarlo a rialzarsi. Annuisce, poi continua a guardarmi come se fossi un alieno sceso dal cielo. "Tu... mi hai salvato la vita, amico"

"Immagino si possa definire così, sì"

"Sono in debito con te. Sul serio." Si spazzola i pantaloni, poi si china per raccogliere il suo fucile e rimetterselo in spalla. Attorno a noi, la battaglia imperversa ancora più feroce di prima.

"Ci vediamo al padiglione" gli dico.

Lui sorride per la prima volta da quando lo conosco. "Sì. A dopo."

E ci separiamo.

Non sono ancora ben consapevole di quello che ho fatto. Cioè, ho salvato la vita ad un'altra persona. Ho salvato la vita a qualcuno. A qualcuno che, senza di me, sarebbe morto. Gli ho dato la possibilità di vivere ancora, almeno per un po'.

Forse... forse non sono del tutto codardo. Forse dentro di me c'è del buono.

Mi chino anche io per raccogliere il fucile caduto a terra nella lotta, ed è a quel punto che accade.

Un'esplosione, alla gamba sinistra, un lampo di dolore accecante, puntini neri che mi offuscano la vista, ginocchia che cedono, e dolore dolore dolore dolore dolore ovunque.

Urlo e crollo a terra, sentendo le forze venirmi meno. L'ultima cosa che vedo è l'erba impregnata del mio stesso sangue.

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