Destroy Me

By skeIetonflower

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"Distruggimi, Gerard." mormoro sulla sua guancia "fa quello che vuoi. Distruggimi e salvami, fammi a pezzi e... More

Prologo
In or out
The parting glass
Give me love
The beginning of the end
Absence
Only old friends
I was dead
We only live once
Safe and sound
Destroy me
Falling into hell
Sleepwalking
Just a coward
My dependence
Maybe I owe you
Ghosts in the snow
Crawling back to you
Little pink triangle
Falling in love will kill you
Desert song
Right where he belongs
Just the shadow of a man
Black black heart
Carry me to the end
Requiem for a dream
Ashes
Epilogo

Special needs

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By skeIetonflower

Ehilà! È la prima volta che pubblico dopo due luuuunghi giorni, e mi sento un po' in colpa ma ew, ho avuto tantissimo da fare (tra cui un ritratto di gerard che ho messo da parte per finire questo capitolo, sigh)

E poi *zanzanzaaaan* ho iniziato ad ascoltare i The Used, già. Ok, forse può non fregarvene una ceppa, ma dovete sapere che io prima li odiavo e avevo tutti quegli assurdi pregiudizi e blablabla, ma diosanto sono davvero bravi vbb(grazie gwen aw)

E nada, buona lettura

PS. Sì, il titolo del capitolo è una canzone dei placebo

M.

CAPITOLO 10 - SPECIAL NEEDS

FRANK

"Sono incinta."

Gerard sputa l'acqua che stava bevendo, schizzandola tutta sul tavolo.

Io rimango immobile. Fermo. Non sono del tutto sorpreso, perché avevo già immaginato che la loro vita sessuale fosse piuttosto "intensa", e che prima o poi sarebbe successo. Non così presto, certo.

Dolore. Dolore ovunque.

Deglutisco il groppo di ferro e chiodi che mi si è formato in gola, poi inspiro ed espiro lentamente. "Oh ma... che bella notizia" mormoro, alzandomi per pulire il disastro che ha lasciato Gerard sul tavolo.

Lindsey batte le mani eccitata, poi tocca il braccio del marito. "Amore, non sei contento?"

Gerard è ancora troppo scioccato per rispondere, perché riesce solo ad annuire. "Cioè... noi.. avremo un bambino?"

Lei scoppia a ridere. "Così sembra"

Gerard si alza lentamente in piedi, afferrando il bordo del tavolo fino a farsi sbiancare le nocche. "Ma noi... non possiamo... la guerra... io non..."

Lindsey lo fissa sconcertata. "Tu... non lo vuoi?"

Oddio. La situazione sta degenerando.

"No!"esclama Gerard, per poi correggersi subito dopo "Cioè sì, lo voglio eccome, cioè wow... ma tra poco scenderemo in guerra e tu dovrai crescerlo da sola e io non potrò vederlo, e sarà tutto così...così..."

"D'accordo" mormora Lindsey, alzandosi anche lei. "Abortirò."

"NO!" gridiamo io e Gerard all'unisono, facendola sobbalzare.

Non posso permettere che una stupida ragazzina viziata commetta un crimine del genere. Non posso permettere che uccida un bambino innocente ancor prima di vedere la luce e venire al mondo.

Ed evidentemente Gerard è del mio stesso parere, perché afferra sua moglie per le spalle e la fissa dritto negli occhi. "Lynz, noi avremo questo bambino. Lo cresceremo nonostante tutto, e sarà nostro figlio. Nostro. E non potrei essere più contento."

Lindsey annuisce, quasi con le lacrime agli occhi, poi si sporge per baciarlo. Gerard ricambia stringendola affettuosamente, ed è ora che mi sento di troppo.

Lascio silenziosamente la cucina e mi dirigo di sopra verso la camera di Mikey.

Non esce quasi mai da lì, da quando sua madre è in ospedale. Spero che quando tornerà, tra due giorni, le cose si ristabiliscano. Perché mi fa male vederlo così vuoto, così morto dentro. E so che fa male anche a Gerard.

Busso piano allo stipite, nonostante la porta sia aperta. "Mikey?" chiedo, facendo un passo o due all'interno della stanza.

È sdraiato sul letto e dorme serenamente, con le ginocchia al petto e le braccia strette attorno alle gambe, come un bambino. Gli occhiali gli si sono parzialmente tolti, e mi affretto a piegarli e a poggiarli sul comodino accanto al letto.

Lo guarda per qualche attimo, sorridendo appena. È una scena che mi fa troppa tenerezza. Tutto di lui emana un'aura di serenità, di pace, di innocenza, e posso quasi dimenticare le brutte parole che ha detto a suo fratello qualche giorno fa. Parole che tra l'altro lui non intendeva davvero.

Gerard è tutto ciò che gli rimane.

Sento qualcuno dietro di me, e quando mi volto trovo proprio Gerard, che fissa Mikey come io lo stavo fissando qualche attimo fa.

Viene accanto a me e sorride tristemente. "E' un angelo." sussurra, temendo quasi di svegliarlo.

"Già."

E gli angeli non dovrebbero vivere così. Gli angeli dovrebbero stare in cielo, o dovunque è il loro posto. Non qui, a cercare di non affogare tra la merda di questa vita.

Quando torno a casa, trovo una lettera nella cassetta della posta. Viene dai miei genitori, dall'Italia.

Non mi scrivevano da mesi ormai, e io non ho nemmeno scritto loro, un po' perché sono stato impegnato, un po' perché non volevo dargli altri dispiaceri confessando che avevo lasciato casa degli zii.

"Caro Frank,

tuo padre è morto. Ci ha lasciati combattendo con onore per il nostro paese, perciò dobbiamo essere fieri di lui.

Io, tua nonna e tua cugina siamo rimaste sole, sole come non mai, e ormai è sempre più difficile portare ogni giorno il pane a casa. La guerra ci sta uccidendo, ad uno ad uno, senza distinzioni.

Un po' sono contenta che tu sia lì, al sicuro in America, ma un altro pochetto di me spera che tu possa raggiungerci qui, per proteggerci come tu e Anthony avete sempre fatto. E so che è troppo da chiederti, so che la tua vita è lì, e probabilmente avrai già una fidanzata e un lavoro, perciò mi vergogno quasi a implorarti, ma devo: abbiamo bisogno di soldi, Frank. So che puoi aiutarci.

Anche una minima somma ogni mese... qualsiasi cosa, pur di non far morire la nonna e tua cugina di fame. Sai che non sono quel tipo di persona, sai che non chiedo mai aiuto soprattutto se quell'aiuto non è necessario, ma... stavolta lo è.

Pensaci, e soprattutto se puoi... i funerali di tuo padre si terranno la settimana prossima. Sarebbe bello averti qui, per piangerlo assieme.

Per sempre tua madre,

Linda Iero

Passo la successiva mezz'ora così, seduto al tavolo del mio appartamento, con la lettera tra le mani, senza muovere un muscolo. Non so nemmeno a cosa pensare, o cosa fare, o cosa stia succedendo nella mia testa.

So soltanto che non riesco a muovermi. Non lo decido io. Il mio corpo rifiuta di alzarsi o spostare anche soltanto la mano sinistra di un millimetro.

Sono in una stanza completamente bianca. Quadrata, con le pareti altissime, il pavimento piastrellato, ed è tutto così accecante che devo schermarmi gli occhi.

Sono rannicchiato al centro della stanza, fermo.

Non si sente un solo rumore, non un suono, non un sospiro, nulla. Solo il silenzio, il mio silenzio, ed è tutto così irreale che non mi accorgo delle pareti che iniziano a muoversi lentamente, venendo verso di me, minacciando di schiacciarmi.

Sto per morire schiacciato.

Sto per morire.

Non so nemmeno se stavo sognando, so soltanto che riprendo coscienza delle cose qualche tempo dopo, e quando guardo fuori dalla finestra è già sera.

Mio padre è morto.

Mio padre è morto.

Mio padre è morto.

Non riesco ancora a realizzare questa notizia, non riesco ad assimilarla, non riesco a rendermene conto. Mio padre, quell'omone che mi portava in spalla quando ero ancora troppo piccolo per camminare, colui che mi ha incitato a coltivare le mie passioni, e a inseguire i miei sogni, e a non farmi mai bloccare da nessuno, nemmeno da me stesso. Mio padre, quello che ha insistito con mamma fino a quando lei non ha ceduto a mandarmi in America. Mio padre. Quell'uomo. Non c'è più.

E sapete di cosa avrei bisogno ora? Sapete cosa mi farebbe davvero, davvero, davvero stare meglio?

Sì che lo sapete. Tutto il mondo lo sa. Solo il diretto interessato non lo sa.

Gerard, dove sei?

E, come se, per un assurdo scherzo della sorte, il destino mi avesse ascoltato, sento qualcuno bussare alla porta. So che è lui, me lo sento nelle ossa. Come sento nelle ossa quando mi guarda, quando vuole dirmi qualcosa, quando è preoccupato, quando è semplicemente accanto a me.

Io lo sento.

Vado aprire senza neanche chiedere "chi è?" e come immaginavo, è Gerard.

È appoggiato allo stipite, con il respiro affannoso e una sorta di disperazione negli occhi. E per un istante ritorno a quella sera di due anni fa, quando scesi le scale e lo trovai sul vialetto di casa, stanco e affannato, che voleva dirmi qualcosa. Ritorno alle sue parole, al mio shock nel sentirle, al bacio.

Non so cosa mi stia succedendo. So soltanto che rivivrei quel momento dieci, cento, mille volte, all'infinito. Credevo di essere salito improvvisamente in paradiso, ed è tuttora la sensazione che provo quando Gerard è con me, quando io sono con lui, quando siamo insieme in qualsiasi luogo.

"Cosa succede?" gli chiedo preoccupato, lasciando perdere le mie elucubrazioni folli.

Gerard entra in casa senza dir nulla, e si richiude la porta alle spalle. Ci si appoggia contro, sospirando e riprendendo fiato. Poi mi guarda. "Il Giappone ha attaccato Pearl Harbor, nelle Hawaii. Siamo ufficialmente in guerra."

Prendo un profondo respiro, chiudendo gli occhi. Troppe notizie brutte in una sola giornata. E io non ho abbastanza forze per reggerle e assimilarle tutte senza venirne schiacciato.

Ripenso ai muri della stanza bianca che si stringono, e per poco non mi viene da vomitare.

È a quel punto che vedo Gerard dirigersi a grandi passi verso di me.


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