Destroy Me

By skeIetonflower

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"Distruggimi, Gerard." mormoro sulla sua guancia "fa quello che vuoi. Distruggimi e salvami, fammi a pezzi e... More

Prologo
In or out
The parting glass
Give me love
Absence
Only old friends
I was dead
We only live once
Safe and sound
Special needs
Destroy me
Falling into hell
Sleepwalking
Just a coward
My dependence
Maybe I owe you
Ghosts in the snow
Crawling back to you
Little pink triangle
Falling in love will kill you
Desert song
Right where he belongs
Just the shadow of a man
Black black heart
Carry me to the end
Requiem for a dream
Ashes
Epilogo

The beginning of the end

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By skeIetonflower

E rieccomi qui dopo appena un giorno.

Forse sarà perché mi sto affezionando troppo alla storia, o perché è la prima ff frerard che scrivo, o perché non ho niente di meglio da fare che passare i pomeriggi al cellulare e al pc come una disagiata asociale, ma sta diventando davvero una droga questa storia. E mi faccio paura da sola, lol

Alloooora da questo capitolo le cose iniziano a farsi un po' più complicate e magari anche più interessanti, spero vi piaccia: )

Ps. Non smetterò mai di ringraziare BettyLily per i consigli che mi dà ad ogni capitolo, le sue recensioni sono sempre preziose e illuminanti<3

M.

CAPITOLO 4 - THE BEGINNING OF THE END

"Tanti auguri a teee, tanti auguri a teeee, tanti auguri caro Geraaard, tanti auguri a teeee"

Guardo il trio radunato proprio di fronte a me, mentre cantano in coro il buon compleanno. Mia madre, Mikey e Frank.

Le tre persone più importanti della mia vita.

Anzi, le uniche.

"E non startene lì impalato, esprimi un desiderio!" esclama Mikey ridendo, ed io abbasso lo sguardo sulla piccola torta di cioccolata posata sul tavolo. Chiudo gli occhi ed esprimo l'unica cosa che desidero davvero. Non più soldi, non tanti amici, non una futura carriera da avvocato.

"Desidero che loro rimangano con me. Per sempre."

E soffio sulle diciotto candeline appollaiate in bilico sulla superficie di glassa al cioccolato, spegnendole a più riprese fino a quando non ce n'è nemmeno una accesa.

Mikey e Frank battono le mani, e anche mamma mi guarda sorridendo come non faceva da tempo. Viene verso di me e mi lascia un bacio leggero sulla fronte. "Sei grande ormai, piccolo mio" dice con la sua solita voce intontita, e in un certo senso la sua frase mi sembra buffa.

Sei grande. Piccolo mio.

Mikey si accorge che la mamma non è abbastanza lucida da pensare a cosa fare subito dopo, cioè tagliare le porzioni, perciò la fa sedere e comincia a farlo lui, tagliando la tortina in quattro fette perfette.

Incrocio lo sguardo di Frank da sopra al tavolo.

Lui mi sorride, quel suo sorriso così genuino e disarmante che potrei rimanere per ore a guardarlo.

E gli sorrido di rimando.

Rimaniamo lì a fissarci per secondi, forse anche minuti, fino a quando la manaccia di Mikey compare sventolando nel mio campo visivo. "Ti decidi a mangiare o no?"

Dopo aver mangiato la torta io e Frank saliamo di sopra in camera mia, mentre Mikey rimane ad aiutare mamma a sparecchiare. Mi sento un po' in colpa a lasciargli fare tutto da solo, ma è pur sempre il mio compleanno.

E poi c'è Frank.

"Qual era il desiderio che hai espresso?" mi chiede a bruciapelo qualche minuto dopo. Siamo sdraiati a terra, sul tappeto, le mie gambe da una parte e le sue dall'altra, ma le nostre teste si toccano.

Mi sento in pace. Mi sento felice.

"Vuoi sul serio saperlo?"

"Mmh no, lascia perdere. Altrimenti rischi che non si avveri"

"Già."

"Gerard"

"Sì?"

Non riesco a guardarlo, ma sento che prende un profondo respiro prima di parlare. "Buon compleanno."

Aggrotto la fronte, perplesso. "Ma.."

"Ci tenevo ad augurartelo io personalmente, da solo."

Sorrido. "Grazie, Frank."

Frank va via qualche ora dopo, e ci diamo appuntamento la mattina dopo per andare a scuola come al solito.

Mentre stiamo per andare a letto però, sento dei suoni soffocati che mi fanno gelare sul posto.

"Hai sentito?" chiedo a Mikey, e quando mi volto noto che anche lui l'ha notato e mi sta fissando preoccupato.

È nostra madre, che singhiozza.

Potrebbe essere una sua crisi passeggera, di quelle che la colgono improvvisamente, e rimane lì a piangere per ore fino a che non si addormenta, o potrebbe non esserlo.

In ogni caso, non attendo un istante di più. Esco dalla camera e io e mio fratello ci dirigiamo subito in cucina, dove la troviamo seduta al tavolo come sempre.

Ha la testa tra le mani e le spalle le tremano per i singhiozzi convulsi. Alcune ciocche di capelli biondi le ricadono scomposte sul volto arrossato dal pianto, e soprattutto... ha una lettera davanti a sé.

Mi precipito a prenderla e mia madre alza lo sguardo per fissarmi, sconvolta. "Gerard... sono venuti a prenderti, Gerard."

Le sue parole mi fanno raggelare.

La lettera porta il marchio della marina militare. Mi affretto ad aprirla con le mani che mi tremano e ne leggo velocemente il contenuto.

"Signor Gerard Arthur Way, la informiamo che è stato ritenuto idoneo dal ministero della sanità e che perciò è tenuto a prestare la leva militare obbligatoria per un periodo di 12 mesi presso la caserma più vicina. Ha la possibilità di terminare la scuola e diplomarsi, dopodiché può presentarsi in caserma per cominciare l'addestramento.

Cordiali saluti."

Alzo lo sguardo dal foglio. Non guardo né mia madre né Mikey, che subito mi strappa la lettera dalle mani per leggerla anche lui.

Guardo un punto fisso e indefinito davanti a me, e all'improvviso succede che affondo. Affondo come tutte quelle volte in cui mi perdo nei miei pensieri e perdo il controllo della realtà, di quello che mi circonda, di quello che sto facendo.

Non penso a nulla.

Sono in un mare nero, una distesa di acqua ghiacciata e scura come la pece che mi avvolge e mi fa affogare, e non respiro, non respiro, non respiro....

Non respiro.

"Gerard!"

Sento delle mani afferrarmi per le spalle e scuotermi, e la faccia di Mikey che mi fissa preoccupato mi compare davanti agli occhi.

Ritorno sulla terra.

Mamma è ancora seduta al tavolo, ma ha smesso di piangere e ora guarda incantata fuori dalla finestra, Mikey mi sta urlando qualcosa. Ricollego il mio cervello all'udito e colgo le sue ultime parole.

"...assolutamente andarci. Non puoi lasciarci, Gee"

Lo guardo. "Sono obbligato dalla legge, Mike. Devo partire per forza. La scuola è quasi finita e io..."

"Chi si prenderà cura di noi, Gerard?" mi interrompe Mikey fissandomi intensamente. "Chi si prenderà cura della mamma, della casa... di me?". Le ultime due parole le dice in un sussurro confuso e quasi impercettibile, ma mi colpisce dritto al cuore.

Chi si prenderà cura di mio fratello?

E chi si prenderà cura di Frank?

"Frank..." bisbiglio, rendendomene conto solo ora.

Mikey sospira. "Frank non potrà sopportarlo"

Non posso lasciare Frank.

Loro... non possono separarci.

"Io devo andare."

Mollo tutto. Mi volto e corro verso la porta.

"Gee! Dove vai?" mi urla dietro Mikey, ma io sono già uscito e sto attraversando il vialetto. Oltrepasso due o tre isolati correndo fino a quando non avvisto la casa di Frank.

Arrivo davanti alla porta, ansimando, e suono il campanello.

Viene ad aprirmi una signora che suppongo sia sua zia. È sulla cinquantina, bassa e grossa quanto un barile. Ha i bigodini in testa, una sudicia vestaglia da notte e una bottiglia di birra tra le mani.

"E tu chi diavolo sei?" sbotta, e sta già per richiudermi la porta in faccia quando io ci metto un piede in mezzo, impedendoglielo.

"Sono un amico di Frank. Devo parlargli"

"Oddio santo, quel coso ha degli amici? Fraaaank, c'è qui un tizio che chiede di te!"

Levo il piede dalla porta, sollevato che sia in casa. Del resto, dove avrebbe potuto mai essere?

Mi rimbombano in testa le parole sprezzanti di sua zia.

Quel coso ha degli amici?

Quanto vorrei tirarle un pugno in bocca.

Qualche istante dopo lo vedo scendere le scale e raggiungerci sulla soglia. Mi guarda stupito. "Gerard, come mai...?"

"Devo parlarti."

Lui capisce al volo e lancia uno sguardo sua zia, che alza gli occhi al cielo e torna a rintanarsi in casa, o sicuramente a stravaccarsi sul divano. Frank si richiude la porta alle spalle e si appoggia allo stipite. "Dimmi tutto."

Dio, e ora come glielo dico?

Stavolta tocca a me fare un respiro profondo prima di parlare. "Io...parto per il servizio militare."

Lo dico tutto d'un fiato, accavallando le parole l'una sull'altra, quasi sperando inconsciamente che non capisca, ma lui capisce eccome e la sua reazione è immediata.

È come se gli avessero appena rovesciato un secchio di acqua ghiacciata sulle spalle. Spalanca gli occhi, apre la bocca come per dire qualcosa, la richiude, continua a fissarmi, stringe i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.

Deglutisce. "C-cosa?"

"Dovevo aspettarmelo. La guerra è vicina e hanno più che mai bisogno di soldati per un eventuale attacco. Sicuramente la lettera sarà arrivata anche a tutti gli altri diciottenni sani della città. E loro... beh, sono stati puntuali. Non hanno perso tempo."

"Ma io..."

"A te non arriverà nessuna lettera. Sei troppo debole per sostenere l'addestramento militare. Sei uno dei pochi che l'ha scampata."

Rimaniamo in silenzio per qualche secondo. Frank continua a fissarmi come se potessi evaporare da un momento all'altro. "Gerard..."

"Sai, ora posso dirti cosa ho desiderato prima. Non ho più paura che non si avveri, perché ho desiderato di non perdervi mai. E ora succederà. Succederà perché non appena finirò l'addestramento saremo entrati in guerra, e io dovrò combattere. E molto probabilmente non mi rivedrete mai più, perché preferisco morire che vivere in quel modo."

Non sento nulla, nessun suono. Solo dopo che alzo la testa, qualche istante più tardi, noto che Frank si è avvicinato e ora siamo a qualche centimetro l'uno dall'altro. Scruto il suo volto, alla ricerca di qualche difetto, anche minuscolo.

Non ne ha. Frank è perfetto. È perfetto in tutti i sensi, e mi sta guardando come se lo fossi anche io.

Non dice una parola. Posa la sua mano fresca e liscia sulla mia guancia, e si sporge in avanti.

So che dovrei allontanarmi. Dovrei fare un passo indietro, in preda al panico, e guardarlo sbigottito. Dovrei chiedergli cosa diavolo cerca di fare e fermarlo.

Ma l'unica cosa che riesco a pensare è: fallo.

E lo fa.

Le sue labbra si posano sulle mie, delicatamente, dolcemente, e in un istante mi ritrovo catapultato nel nulla. Esistiamo solo noi due, il suo tocco sulla mia guancia, le sue labbra che sfiorano incerte le mie, il suo respiro che mi accarezza le guance.

Quando si stacca, sono deluso e senza fiato. È decisamente durato troppo poco.

"Beh" trova il coraggio di sorridere lui "era così che volevo augurarti buon compleanno."

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