I Ricordi che ho di te

By Christy-Devis

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-COMPLETA- DOMANDE. RIMPIANTI. CUORI FATTI A PEZZI E DA RICUCIRE. UN SEGRETO CHE IN PASSATO HA DISTRUTTO LUI... More

Prologo
La decisione a voi
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo fuori onda
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15 (prima parte)
Capitolo 15 (seconda parte)
Capitolo 16 (prima parte)
Capitolo 16 (seconda parte)
Capitolo 17 (prima parte)
Pagina Instagram e Facebook
Capitolo 17 (seconda parte)
Capitolo 18 (Prima parte)
Capitolo 18 (Seconda parte)
Capitolo 19 (Prima parte)
Capitolo 19 (Seconda parte)
Comunicazione a voi signorine
Capitolo 19 (terza parte)
Capitolo 20
Capitolo 21 (Prima parte)
Capitolo 21 (seconda parte)
Capitolo 21 (terza parte)
ATTENZIONE, IMPORTANTE
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25 (Prima parte)
Novità molto importanti 😁
Capitolo 25 (seconda parte)
Capitolo 26
Capitolo 27 (Prima parte)
Capitolo 27 (seconda parte)
Capitolo 28
Capitolo 29 (Seconda parte)
30 -Ultimo capitolo-
Epilogo
Piccolo regalino per voi
NON CHIEDERMI DI RESTARE FINALMENTE ONLINE
NON CHIEDERMI DI RESTARE -CARTACEO-
RED SOUL SORPRESINA PER VOI🙈
Ooops... sono tornata😈😈

Capitolo 29 (Prima parte)

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By Christy-Devis

"Poi ci sono volte in cui
ti ritrovi a chiederti se da qui in poi
partirà un nuovo inizio
o se questo è solo
l'inizio della fine che ti ucciderà
per l'ultima volta."

-Emory Scott-

Emory –Oggi-

Erano giorni che non toccavo il mio letto, giorni che non entravo dalla porta di casa di mia nonna, giorni in cui non avevo trovato il coraggio per tornare di nuovo ad immergermi nella mia vita. Non è che oggi mi sia svegliata con il coraggio accanto che mi puntellava la spalla per tornare al suo posto, ma ormai le cose sono queste, tanto vale rimettersi in piedi e provare a camminare dritto. E poi mi è mancata mia nonna. Mi è mancato il suo odore, con quel profumo strano che usa solo lei; quelle mani rugose che mi accarezzavano sempre il viso quando mi sentivo giù o quando mi giravano le palle. Mi sono mancati i battibecchi per il letto non rifatto, per lo specchio del bagno schizzato d'acqua e di dentifricio, perché puoi dire di detestare le litigate, ma quando ami qualcuno e ci resti lontana alla fine ti mancano anche quelle. E con lei non ce l'ho fatta ad essere cattiva e diretta, quando è scoppiata in lacrime per tutta questa storia non ci sono riuscita ad addossarle la colpa per non avermi detto niente. L'ho fatto con tutti gli altri, ma lei è il quel piccolo punto debole che mi porta a restare zitta, a mozzicarmi la lingua, perché vederla soffrire fa stare male anche me.

Abbiamo parlato dei miei e sono stata contenta nel sentirla dire che li ha banditi da casa perché la litigata con i Cole riguardava proprio questa storia. Abbiamo parlato di Callie e ho storto la bocca quando ha sostenuto che secondo lei non avrei potuto trovare un'amica migliore. Se devo essere sincera con me stessa mi manca nelle giornate morte, nei momenti in cui vorrei ridere e cazzeggiare, mi manca trovare il suo appoggio per sfogarmi, ed è stata la prima persona a cui pensato questa mattina quando ho aperto gli occhi ancora rossi per le lacrime di stanotte. Avrei voluto chiamarla per raccontarle tutto, per ammettere il disagio e la tristezza che ho provato addosso quando Mayson si è alzato da quel letto e mi ha lasciata lì. Avrei voluto sentire la sua voce dirmi che le cose si sistemeranno, sia con lui che con lei, che da questo momento sarebbe nato un nuovo patto di amicizia tra noi due dove non esistono più né mezze bugie né mezze verità. Una cosa da bambine di scuola primaria, ma io e lei è questo che siamo sempre state. Avrei voluto chiamarla perché, anche se da una parte sono ancora delusa, dall'altra so perfettamente che come mi capisce Callie non mi capisce nessun altro. Così l'ho preso il cellulare, l'ho sbloccato, ma poi non ci sono riuscita a far partire la chiamata. Prima di estendere gli argomenti ho bisogno che io e lei ci mettiamo sedute una di fronte all'altra per chiarire una volta per tutte come superare questa specie di rottura che si è creata tra di noi. Spero solo che il tempo riesca a far tornare le cose come prima e che mi aiuti a farmi fidare di nuovo di lei.

Senza impegnarmi più di tanto prendo un mucchio di vestiti piegati male nell'armadio e lo poggio ai piedi del letto; non so quanto ancora resterò da Tania ma so che la lavatrice si è rotta tre giorni fa e che non ho avuto tempo di andare in lavanderia. Mi servono assolutamente dei cambi perché non me n'è rimasto nemmeno uno pulito. Involontariamente alzo lo sguardo verso la parete. Ho cercato di guardare ovunque tranne che lì ma alla fine gli occhi si sono ribellati e ci si sono posati lo stesso su quella macchia rossa, e di colpo mi viene in mente la faccia turbata che aveva Mayson mentre la guardava l'ultima sera che è stato qui dentro. L'ho osservate ogni giorno per anni quelle due impronte e soltanto adesso riesco a chiedermi come ho fatto a non accorgermi prima che quella a sinistra è davvero troppo grande per essere della mia migliore amica. Se avessi scavato più a fondo ogni volta che un dubbio ha bussato dentro di me forse la verità l'avrei scoperta prima, ma pensandoci bene credo che inconsciamente ero proprio io a cercare di tenere tutto nel buio. A volte è più facile vivere una bella bugia anziché una brutta verità, il problema è che alla fine le cose bisogna affrontarle lo stesso.

Con il dito scorro le copertine dei libri e dei quaderni dell'università, li sento consumati, ruvidi, la stessa consistenza che ha il quadernino più piccolo che blocca quella fila di pagine rilegate. Lo usavo per scrivere i turni del vecchio lavoro così da non sbagliare orari, e dato che quel lavoro ormai è da mesi che non esiste più decido di farlo diventare più di un semplice quadernino con la copertina arancione.

Strappo le prime quattro pagine, prendo una delle tante biro blu con il tappo mozzicato, poi scrivo la data di oggi.

Mancano quattro giorni a Natale, ed è da qui che ricomincio da capo scrivendo tutto quello che è successo da quando Mayson Cole è tornato nella mia vita. Ci piazzo dentro le cose che so, il fatto che due anni fa ho perso la memoria grazie ad uno stronzo, e che tutti me l'hanno nascosto. Racconto alle pagine le spiegazioni di Callie, quelle di Mayson, e la rabbia che provo adesso verso i miei genitori. La penna scorre, i ricordi di questi ultimi mesi per fortuna sono intatti e non sono svaniti come quelli vecchi. Con precisione scrivo quasi parola per parola la storia che mi ha raccontato Mayson ieri sera, e con lo stesso metodo scrivo anche ogni più piccola sensazione che sto provando oggi. E non ho intenzione di fermarmi, continuerò a scrivere quello che accade domani e dopodomani, anche la più stupida cazzata. Non credo che le cose brutte accadano due vote di fila alla stessa persona, ma se dovesse succedere almeno so che un giorno, tra i libri di scuola che spolvero minimo una volta al mese, troverò nella mia grafia le verità che tutti potrebbero nascondermi di nuovo. Nessuno saprà mai dell'esistenza di queste pagine, perché se nessuno lo sa nessuno me lo potrà mai togliere.

Fuori dalla finestra il sole scende e sparisce mentre l'inchiostro mette nero su bianco i miei pensieri; mi ci sono immersa talmente tanto in quello che sto facendo che me ne sono accorta a malapena che è passata anche l'ora di cena. Con cura richiudo tutto, apro i libri di filosofia e incastro il piccolo quaderno nel mezzo, e poi mi tocca discutere con mia nonna prima di poter uscire da casa con il borsone sulla spalla. Lei mi vuole qui, vuole che torni a dormire nella mia camera, ma ancora non mi sento del tutto pronta. Mi piace stare con Tania, soprattutto perché durante gli stessi turni di lavoro andiamo e torniamo insieme. E poi andarmene così, da un momento all'altro, non mi sembra nemmeno giusto. A questo punto preferisco restare da lei altre due settimane, pagare la metà dell'affitto dato che fino ad ora ho usufruito di tutto quello che c'è in casa sua, e prendermi questo ultimo periodo di tempo in tranquillità. Così, per scollarmi di dosso il senso di disagio che mi fa provare il broncio rugoso di mia nonna, le prometto che domani a cena sarò tutta sua. Oggi no. Ho la serata libera perché è il giorno di chiusura del Burger Phill, quindi molto probabilmente agguanterò la mia compagna di letto provvisoria e me la trascinerò al The Hole.

Uno svago, uno svago vero, forse il primo che mi permetto di prendere da quando la mia vita si è completamente sconvolta.

Prendo il telefono per mandarle un messaggio, così che abbia tutto il tempo per prepararsi prima di uscire. In realtà mi sento anche un po' in colpa verso di lei: le devo un paio di lenzuola nuove perché dopo averle detto che Mayson era venuto a trovarmi ha spostato lo sguardo inorridito sul suo letto e ha buttato ogni cosa che c'era sopra. È arrivata alla conclusione ancora prima che le dicessi di aver fatto sesso sotto quelle lenzuola, ma comunque non le avrei mai negato una confessione simile: al posto suo, se lei lo avesse fatto con Ricky, io avrei avuto la sua stessa reazione.

Mi fermo sul vialetto di casa mia non appena la porta accanto sbatte chiudendosi. Non è quel rumore a farmi voltare ma le voci maschili sovrapposte che fanno baccano.

Il signor Cole apre la fila mandando avanti le ruote della sua sedia a rotelle, dietro di lui i ragazzi lo seguono mentre scherzando si spintonano. Non è che lo faccio di proposito ma nelle loro facce ne cerco una in particolare, e odio doverlo ammettere anche a me stessa però ci resto male quando quello che cerco non lo trovo. Si alza un coro di "ciao" collettivo, poi il braccio di Deven cade letteralmente sulle mie spalle facendomi abbassare di botto e per dispetto gli do una gomitata tra le costole che lo fa piegare leggermente. Mi guarda, io lo guardo, e poi sorrido malignamente portando lui a fare la stessa, identica cosa.

«Sono contento di vedere che sei tornata te stessa. Evidentemente ho fatto bene a mandarlo da te stanotte.» Parla a voce bassa per non farsi sentire dagli altri, ma Jeremia è troppo vicino e subito volta la testa verso di noi. Mi pizzicano le guance per il sangue che ci si accumula sotto e sono quasi tentata di tirargli un'altra gomitata, solo che questa volta con più forza.

«Dovresti farti gli affari tuoi, Dave» gli dico tirando le labbra, e questo desta in lui un sorriso ancora più divertito.

«Parli così soltanto perché non hai una sorella, Scotty trecce lunghe.»

«E sono contenta di non averla» gli faccio presente sgusciando via dal suo braccio. «Se ne avessi una che somigliasse anche solo in piccola parte a te l'avrei soffocata nel sonno già da anni.»

La risata del signor Cole alle mie parole si allarga fino a raggiungere anche i suoi figli. L'unico che non ride è il diretto interessato che invece mi manda a 'fanculo con un gesto suscitando in me un meraviglioso senso di vittoria. Sarà anche infantile il mio comportamento, ma ogni volta che ho la meglio su qualcuno vorrei solo mettermi a saltellare per sfotterlo ancora di più.

«Stiamo andando a mangiarci una pizza. Se vuoi unirti a noi sappi che abbiamo un posto libero in macchina.»

Provo a fare mente locale di quando è stato il momento in cui Daniel Cole ha ricominciato ad essere così socievole e così sorridente. È ancora lontano dall'uomo carismatico e solare che era un volta, ma anche altrettanto lontano da quella sottospecie di fantasma che avevo visto io qualche mese fa. Sono contenta per lui, perché accettarsi di nuovo sotto una nuova veste non è per niente facile. Ricordo ancora i giorni, dopo essermi risvegliata dal quel lungo sonno, in cui mi guardavo allo specchio senza riconoscermi. Ho dovuto affrontare mesi interi di sedute con una psicologa per arrivare al punto di poter dire che ce la potevo fare. Mi sentivo debole perché non ero stata in grado di essere più forte della mia testa, ed è anche questo che mi ha fatta scivolare in basso quando ho scoperto tutto: inconsciamente, dopo aver saputo la verità, mi ero di nuovo sentita debole dopo anni. Lo so bene che il cervello umano non funziona a comando; non è come quando ti rompi un braccio o una qualsiasi altra parte del corpo, perché in quel caso per rimettersi in piedi serve solo un po' di terapia e di buona volontà. Nella mia situazione invece è tutto diverso: anche impegnandotici, se la mente non vuole collaborare e vuole restare chiusa in un buco nero tu non puoi farci niente. Non c'è terapia che tenga, allenamento che aiuti, o impegno che porti a buoni frutti. Tu, contro la mente, non potrai vincere mai se non è lei a decidere di perdere.

Scuoto la testa sorridendo al capo famiglia, ringraziandolo per il pensiero ma declinando l'offerta. L'idea principale di questa sera è passare la nottata senza nemmeno un Cole nei paraggi, anche se alcuni di loro sembrano non volermi lasciar andare.

«Ti devi vedere con Mayson stasera?» È Jeremia che me lo chiede, smanettando con il cellulare e lo sguardo incollato allo schermo. Accanto a lui Vincent e Deven si abbracciano facendo suoni cretini mentre fingono di baciarsi, poi scoppiano a ridere seguiti anche dal padre. L'unica che non ride sono io, forse perché sono la sola qui in mezzo a sapere che stanotte non abbiamo risolto del tutto, al contrario di quello che invece sembrano pensare loro.

«In realtà esco con Tania. Mayson non l'ho sentito per niente oggi.» "E tanto meno l'ho visto" vorrei aggiungere, ma mi freno dal parlare non appena la testa di Jay scatta verso di me. Da quando ci siamo fermati nel vialetto non aveva distolto l'attenzione dal suo cellulare nemmeno per un secondo.

«Noi non lo vediamo da ieri. Pensavo fosse stato con te oggi» mi dice. Ha lo sguardo pensieroso, al contrario del suoi fratelli che continuano a ridere per qualche cazzata che ha detto Deven a voce troppo bassa. Nonostante quei due non mi stiano guardando mi basta lo sguardo indagatore del più grande a farmi sentire sotto pressione.

«Io... be...» cerco un modo per districarmi nelle mie stesse parole, ma quasi senza risultato. Dirgli che è stato da me fino alle tre del mattino per poi lasciarmi nuda nel letto in una valle di lacrime è fuori discussione, ma sentire che non è nemmeno tornato a casa mi fa entrare in uno stato di preoccupazione che vorrei soltanto nascondere. E potrei anche inventarmela qualche cazzata, ma grazie a Deven loro già lo sanno che ieri sera è venuto da me.

«Be... Abbiamo parlato fino alle tre, poi è andato via. Credevo fosse tornato a casa.»

Ed ecco cosa succede quando perdi fiducia in una persona. Tre settimane fa mi sarei preoccupata pensando a cosa potesse essergli capitato di così orribile da non farlo rincasare. Un incidente, un omicidio, un rapimento, ma adesso... Adesso che ho scoperto le debolezze di Mayson Cole nella mia testa si sta solidificando l'immagine di lui, ubriaco all'alba in qualche locale, che si scopa un'altra solo per non pensare al fatto che prima è stato con me. È una sensazione pessima, e una vocina dentro la mente cerca di suggerirmi di non tirare conclusioni affrettare solo perché non ho più le cose sotto il controllo che invece vorrei avere, ma è talmente piccola e insignificante che non l'ascolto. Mi sento arrabbiata senza un motivo, nervosa senza la minima ragione, delusa senza la certezza che dovrebbe essere così, e non è pazzia la mia ma solo il riflesso di tante cadute.

Dicono che quando cadi ti rialzi più forte di prima, più consapevole di com'è il mondo, più consapevole di te stesso, e magari chi ti vede da fuori può pensare proprio questo perché il tuo viso assume linee più forti, il tuo sguardo diventa a poco a poco sempre più fiero e severo, ma la verità è che quando le cadute emotive le fai brutte dentro ti si ammacca qualcosa. Assimili il dolore, ma anche dopo averlo superato le cicatrici interne restano dove sono, e non diventi affatto più forte. Diventi solo più malfidato, più restio a dare fiducia, più tirato nel credere alle cose. Ecco in cosa mi hanno trasformata le tante cadute che ho fatto, e mi odio a sentirmi così, priva di controllo sulle mie stesse emozioni, ma non ci posso fare niente.

«Probabilmente ci raggiungerà a cena, Jay, e io sto morendo di fame. Possiamo andare?»

«Probabilmente ci raggiungerebbe a cena se magari rispondesse alle mie chiamate» replica Jeremia verso suo padre con la mascella contratta dal nervoso. «Mi sto preoccupando» aggiunge poi sbloccando di nuovo il cellulare e facendo partire quella che credo sia l'ennesima chiamata.

«Magari è andato a farsi controllare la mano e l'hanno trattenuto un po' di più in ospedale» provo a ipotizzare ad un tratto, anche se non ci credo nemmeno un po' a questa idea. Io continuo ad immaginarmelo ancora in una situazione totalmente diversa e, anche se fosse, in ospedale non ti ci tengono per una giornata intera.

Il signor Cole scuote la testa. «La sua mano sta bene, Emory. Avrà solo deciso di passare una giornata con qualche amico. È inutile preoccuparsi così tanto, e poi l'ho già sentito io nel primo pomeriggio. Ha detto che aveva delle cose da sbrigare. Adesso possiamo andare?» Sul viso gli si allarga un sorriso strano, quasi stesse cercando di incitare tutti quanti a salire il più alla svelta possibile su quell'auto per andare a cena. L'abbiamo capito che sta morendo di fame, ma mi innervosisce lo stesso il suo comportamento. Jeremia è sempre stato uno che si preoccupava fin troppo per i fratelli più piccoli, anni fa stressava anche me nonostante io non abbia nemmeno una goccia del suo sangue, ma vedere un fratello maggiore preoccupato per uno più piccolo mentre il padre sorvola in questa maniera ogni cosa è una scena che non mi aspettavo di vedere e che nemmeno mi piace.

Dovrei farmi gli affari miei, voltarmi e salire in macchina per raggiungere Tania e non immischiarmi in affari che tecnicamente non mi appartengono, però l'istinto non lo comando e ancora prima di pensare già mi ritrovo con la bocca aperta a dargli fiato. «Un problema ai legamenti non è una cosa da niente, quindi dubito che la sua mano stia bene», faccio presente al signor Cole, che in tutta risposta mi rifila una smorfia seguita da una risata. Resto esterrefatta mentre se la ride: ma che cazzo di problema ha?

«E questa dove l'hai sentita?» domanda ancora ridendo, come se avessi appena raccontato la cazzata più grande che abbia sentito nella sua intera esistenza. Mi fermo a riflettere su una cosa prima di rispondere. La fiducia che avevo una volta nei confronti di Mayson Cole è deliberatamente colata a picco quando ho scoperto tutto quello che è successo in passato, ma ieri notte i suoi occhi erano sinceri mentre parlava. Gliel'ho visto addosso il dolore che si portava dietro, l'ho sentito nella voce tremante che aveva mentre riportava a galla cose del passato. È stato così per tutto il tempo che è rimasto con me, da quando è arrivato fino al momento in cui se n'è andato. Posso farmi mille film mentali su cosa stia facendo adesso, su chi può essersi portato a letto dopo essersi ubriacato... Forse è questa la realtà o forse no, la sicurezza non può darmela nessuno, ma ogni parola che è uscita dalle sue labbra ieri notte non aveva niente della bugia. Non avrebbe avuto motivo per dirmi una cazzata. E quando lo riferisco a suo padre, quel sorriso che stavo odiando gli tramonta sulla faccia. Gli angoli della bocca si piegano verso il basso lentamente, gli occhi si fanno man mano sempre più stretti, e con le mani inizia a serrare la presa su entrambi i poggia braccia della sedie a rotelle. Zittisce Jeremia, che dal canto suo palesa solo il fatto che per lui, questa, è una storia nuova.

«Mi stai prendendo per il culo?»

Mai prima d'ora Daniel Cole mi ha guardata con questo sguardo da pazzo. Mi inquieta, mi innervosisce, mi agita.

Possibile che Mayson non abbia detto a nessuno di questa cosa?

Evidentemente anche dal mio silenzio capisce che non sto mentendo, perché di punto in bianco impreca a tra i denti prendendo il cellulare dalla tasca del suo giubbotto.

«Piccolo stronzo bugiardo!» esclama.

Le domande dei fratelli si affollano e si sovrappongono tra di loro quando sentono il signor Cole inveire contro Mayson. Se la prende con il telefono, zittisce i suoi figli alzando una mano e senza degnarli nemmeno di uno sguardo.

«Rispondi» sussurra al vento. «Avanti, Mayson. Rispondi maledizione!»

Chiude gli occhi stringendoli, e quando li riapre lancia il cellulare sull'erba con tutta la poca forza che gli è rimasta nel braccio ringhiando un urlo che si disperde nell'aria.

Arretro di un passo, perché in queste condizioni non l'ho mai visto e mi sta facendo una paura fottuta.

«Papà!» Jeremia, al contrario di me, si avvicina con cautela; noto dalla sua espressione che è preso alla sprovvista quanto me e gli altri dal comportamento di suo padre, e sembra che non sappia come prendere in mano la situazione.

«Non me l'ha detto della mano. Non mi ha mai parlato di un problema di legamenti» borbotta suo padre passandosi le mani sul viso in un gesto nervoso. «Mi ha detto che era tornata a posto tre giorni fa, dopo averci messo una crema antinfiammatoria, porca puttana.»

«Hey, non c'è bisogno che ti preoccupi così. Se è vero farà una terapia o qualcosa del genere, e tutto tornerà come prima. Non gliela devono mica amputare» prova a calmarlo Jay, prendendolo per i polsi e abbassandosi alla sua altezza. Ma lui, con uno scatto, si sottrae alla presa di suo figlio.

«Non me ne frega un cazzo della sua mano» sbotta alzando la voce. «Quello che mi frega è che tuo fratello stasera si farà ammazzare.»

La gola mi si chiude a sentire quelle parole. Sbarro gli occhi perché non sono così stupida da pensare di aver sentito male. Il suo tono è stato troppo alto per travisare quello che ha detto, e mi manda nel panico.

«Ma di che stai parlando?» Vincent gli si avvicina, mentre gli altri fanno scena muta proprio come me continuando a guardare in silenzio la scena.

«Io...» Il signor Cole si ferma, di nuovo con un gesto nervoso si passa ancora le mani sul viso. Questo suo modo incerto di parlare e gesticolare mi fa venire più ansia di quanta già me ne sento addosso.

"Stasera si farà ammazzare".

«Io lo so che significa perdere qualcosa, va bene?» urla in direzione del figlio. «Ero la sua copertura, stasera, per portarvi fuori e lasciarlo da solo, ma non lo sapevo di quella maledetta mano, altrimenti non avrei coperto un cazzo. Quel piccolo stronzo ha preso per il culo anche me pur di finire quello che ha iniziato, ma in queste condizioni dubito che ce la farà.»

«Papà!» lo intima Jay. «Di che cosa stai parlando?»

E di colpo il suo sguardo raggiunge il mio. Atterrito, dispiaciuto, ansioso.

Ci sono i suoi figli qui davanti, ma lui guarda me e io il motivo non lo capisco proprio.

«Quando perdi qualcosa a cui tieni davvero, e non ti resta niente tra le mani, la vendetta è l'unica ancora che non ti fa sprofondare. Devi dimostrare che puoi superarlo, che sei forte abbastanza da poter dire "'fanculo, sono in grado di farlo".»

Mi spremo il cervello per capire il senso di quello che sta blaterando. Non ci riesco però, ma sono consapevole che non si tratta di niente di buono.

«Dove sta?» riesco a chiedere.

«Al Dark Ring. Ha l'incontro tra mezzora.»

«Non c'è nessun incontro stasera, papà. Mi arrivano dei messaggi quando ci sono gli incontri, e poi...»

«Ha manipolato tutto, Jeremia» lo interrompe. «Tra mezzora lui combatte. Con una mano a pezzi e contro Norton Gale.»

Il tempo di un secondo e l'equilibrio si sconvolge.

Vincent si passa le mani sulla testa rasata, Deven impreca urlando, Jeremia prende le chiavi dell'auto dalla tasca posteriore dei jeans e le lancia a quest'ultimo alzandosi di scatto.

«Devi guidare tu» dice soltanto, mentre i lineamenti del viso gli si induriscono di botto.

Lo vedo lanciarsi verso l'auto, sbloccare l'antifurto e accendere il motore mentre gli altri due aprono lo sportello. Il signor Cole sposta la sedia a rotelle per raccogliere il cellulare da terra, urlando a qualcuno dei suoi figli di chiamarlo e di mantenere la conversazione attiva per sapere cosa succede.

Non le gestisco io le mie gambe, sono loro che corrono verso Jeremia, e mi attacco allo sportello ancora aperto impedendogli di chiuderlo.

«Non abbiamo tempo, Emory» mi urla davanti alla faccia.

Ma che vada a 'fanculo anche lui.

«Chi è Norton Gale?» chiedo con l'ansia che mi sovrasta.

Mi sudano le mani nonostante il freddo, il corpo trema anche se addosso ho un cappotto che potrebbe farmi sudare nel pieno di una nevicata d'inverno.

Ho lo stomaco sotto sopra, e di colpo l'immagine che avevo di Mayson, ubriaco in un locale e intento ad abbordare la prima che passa per scoparsela in macchina, diventa solo una cosa inesistente.

Che cazzo stai combinando, Mayson?

«È Big Match, Emory. Norton Gale è Big Match» mi risponde serrando la mascella.

E adesso capisco cosa significa soffocare.

Annegare in un lago quando ti ci buttano a peso morto con un masso legato ai piedi.

Ti muovi, ti contorci, cerchi di raggiungere la superficie ma ogni sforzo è talmente inutile da farti affondare soltanto di più.

Mi passa per la testa l'ultima frase che mi ha detto prima di lasciarmi sola in quel letto: "Se non mi aggiusto io, dentro, non posso aggiustare noi".

E lo capisco solo adesso il senso. Capisco solo ora cosa intendeva dire due minuti fa il signor Cole sul fatto che quando perdi tutto la vendetta è l'unica cosa che ti mantiene in vita.

Mayson vuole aggiustare se stesso perché la notte dell'incidente ha fallito.

Vuole aggiustare se stesso perché non ha lottato come avrebbe voluto.

Ha camminato con i sensi di colpa per non avermi protetto, e questo gli ha aperto un buco dentro che non è riuscito a rimarginare. Nemmeno quando ieri notte ho provato a fargli capire che lui non c'entrava niente con quello che mi è successo e che l'unica colpa che gli spetta è per essersene andato senza guardarsi indietro.

E adesso lui è lì, nel posto in cui tutta la parte più brutta è iniziata.

È lì per me.

È lì per se stesso.

È lì per andare avanti.

«Emory! Dobbiamo andare» mi mette fretta Jeremia, mentre con le mani ancora stringo lo sportello aperto in uno stato di shock.

È lì per aggiustare noi.

Non me lo ricordo Big Match.

Non so che faccia di merda abbia, o di che grandezza sia il suo corpo, o di quali cose sia capace di fare.

Non me lo ricordo, eppure so bene le conseguenze che ha portato incrociare la mia vita con la sua. E mi terrorizza sapere che Mayson ci si deve trovare faccia a faccia.

Mi terrorizza il pensiero che qualcosa vada storto e che -come dice suo padre- stasera, in quelle condizioni, si farà ammazzare.

È lì per aggiustare noi, ma se lui non ce la fa allora di noi cosa cazzo rimane?

L'ho perso una volta e dietro mi sono portata solo l'ombra di un dolore lontano.

L'ho perso la seconda e questo mi ha quasi spezzato il cuore.

Poi l'ho visto l'amore e il dolore che si porta dietro nei miei confronti, e ho capito che posso combattere, che ce la posso fare a mantenere tutto in piedi e a cercare di riportare le cose in uno stato normale. Tutti fanno degli errori, e non perdonare solo per orgoglio e paura è una grandissima, madornale cazzata.

Ma se lo perdo adesso, ancora prima di provarci, tutto quello che mi resta è una fine che mi fa schifo e che so già che mi porterà a fondo, nel buio, fino a rimanerci senza più essere capace di risalire.

Perché se io penso al nome di Big Match, l'unica cosa che mi passa sotto pelle sono i titoli di coda.

Il The End.

La sua fine e anche mia.
Se lui è lì per aggiustare se stesso a questo punto preferirei riprendermelo con mille ammaccature nel cuore piuttosto che non riprendermelo affatto.
Ma io non sono li, non sono con lui, e mentre lui lotta per tornare a galla io, nel frattempo, annego nel buio.

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