Capitolo 29 (Seconda parte)

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La strada sfreccia sotto le nostre ruote; il suono dei clacson che continua ad arrivarci da dietro sembra un fischio ininterrotto mischiato al nostro. Ho lo stomaco girato sottosopra, il cuore non smette di fracassarmi il petto, e sono quasi convinta che sto per vomitarmi l'anima e il pranzo di pasqua nonostante stia per arrivare natale. Tutto è un continuo zig zag, la mano di Deven sembra abbia deciso di attaccarsi al clacson senza sosta per far spostare le macchine che gli sono d'intralcio. Quando non lo fanno lui azzarda sorpassi impossibili facendoli diventare una cosa da niente, e sono già tre le volte in cui mi sono vista spiaccicata sul culo dell'auto davanti. È concentrato, gli occhi aperti e fissi davanti a sé. Non parla, non risponde alle domande, e sembra non sentire i miei strilli terrorizzati ogni volta che non riesco a trattenerne uno. Affonda il pedale, scala e aumenta le marce in continuazione portando la macchina a fare degli sbalzi che fanno sbalzare anche tutto il mio corpo. È bravo, porca puttana, ma mi sta terrorizzando. Se Dio mi darà la grazia di scendere da qui dentro con le mie gambe giuro che non prenderò più nemmeno uno schifoso triciclo se alla guida ci sarà lui.

«Non potevi far guidare Vincent?» sibilo tenendomi al sedile. «Anche lui fa le corse, no?» continuo a chiedere con la voce isterica, e tutto quello che mi sento rispondere è che Vincent, in fatto di spericolatezza, non arriva ai suoi livelli.

Perfetto! Non so se l'ha capito questo genio ma io speravo proprio in questo: arrivare a destinazione tutta intera, non pregare tutti i santi che ci facciano uscire illesi da quest'auto.

«Deven, mancano cinque minuti all'incontro.»

E come se non bastasse, Jeremia ci mette sopra il carico da novanta con questa informazione, perché due secondi dopo mi ritrovo appiccicata al sedile verso un doppio sorpasso.

Chiudo gli occhi, non voglio vedere la mia morte. Ma non appena li chiudo e la strada svanisce dalla mia vista, l'immagine del viso insanguinato di Mayson mi si palesa davanti peggiorando il mio stato d'animo. È vero che non ci voglio morire su questa strada, ma non voglio nemmeno arrivare troppo tardi, perché se gli succede qualcosa tanto muoio lo stesso.

«Non mi aspettavo tutto questo traffico. Quindici minuti e siamo là» gli risponde suo fratello mentre cambia marcia per aumentare la velocità.

Riaprendo gli occhi inizio a sentire il peso della gravità della situazione. Butto fuori aria dalla bocca per contrastare i conati di vomito, stringo i pugni perché non so che altro fare per cercare di scaricare la paura che ho addosso.

E se arriviamo tardi? E se l'incontro è cominciato prima e ormai non c'è più niente da fare? Il solo pensiero di tutto questo mi fa bruciare la gola e l'attaccatura del naso, portando i miei occhi a riempirsi di lacrime, poi mi volto di scatto non appena la mano di Jeremia, che se ne sta seduto accanto a me, si posa calda sul mio pugno ancora chiuso.

I suoi occhi mi ammoniscono con tristezza ancora prima che parli. «Devi stare tranquilla.»

«E se non arriviamo in tempo?» sento la mia voce chiedere dando vita a una delle domande che mi girano in testa, e lui scuote la sua stringendo ancora di più la mia mano.

«Lo conosci com'è fatto Mayson. Sa cavarsela da solo.»

Eppure questo non mi aiuta affatto a sentirmi meglio. Se avesse potuto cavarsela da solo suo padre non avrebbe dato i numeri e noi non staremmo lottando contro ogni singolo secondo per arrivare da lui in tempo. Magari con entrambe le mani in buono stato avrebbe potuto tenergli testa, ma con una mano sana e una a metà quanta forza può tirare fuori fino alla fine?

Controllo l'orologio del cellulare e tutto dentro di me si gela.

«Dave. Stanno iniziando» gli dico con il cuore a mille mentre mi ci avvicino da dietro.

I Ricordi che ho di teWhere stories live. Discover now