Capitolo 18 (Prima parte)

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"Dicono che si debba porgere l'altra guancia
quando ricevi uno schiaffo,
ma non è così che funziona.
Risponderai, invece.
Te lo sussurra il corpo,
te lo comanda la mente,
la tua mano si alzerà in risposta allo schiaffo ricevuto.
Questo è quello che fa l'essere umano,
perché l'essere umano non pensa.
L'essere umano agisce,
dettato dall'unica cosa di cui è fatto:
l'Istinto."

-Mayson Cole-

Emory –Oggi-

Il letto è rifatto esattamente come l'ultima volta che l'ho visto e che l'ho provato: senza la minima arricciatura di coperte, senza il minimo bozzetto, praticamente impeccabile. Sono passati quasi due anni e le lenzuola non sono mai state cambiate. Niente è mai cambiato qui dentro. Addirittura il piumone a rose blu resta perfettamente stirato a coprire l'intero letto anche in piena estate, e sono stata io a decidere così, perché se fosse stato per mia madre avrebbe cambiato tutto ogni settimana nonostante io non sia mai tornata a dormire in questa camera.

I muri bianchi aumentano l'intensità della luce che filtra dalle finestre, e più guardo questo bagliore bianco, più socchiudo gli occhi e più aumenta il battito che mi sta martellando nella testa. Questa volta però non è il battito del cuore, ma il dolore vero e fastidioso che arriva quando passi una notte a bere senza aver mangiato niente e la colpa in questi casi la puoi dare solo a te stessa e a nessun altro.

Osservo i quadri con le foto appese al muro, senza il minimo filo di polvere, senza il minimo alone, e tutto quello a cui riesco a pensare è che le foto sono l'unica cosa che ti riportano al passato senza alcun dubbio. Compari lì, su quella carta lucida e spessa, e non potrai mai dire che quello che stai osservando non è mai accaduto nella tua vita. Sono certezze le foto, e tra tutte quelle che sono presenti in questa camera non ce c'è una di cui io non ne ricordi l'esatto momento in cui è stata scattata.

Quella tra le braccia di mio padre, in una delle sue tante partite a golf; quella in cui spengo le candeline con il numero tredici ancora acceso, oppure ancora quella in cui io e Callie mostriamo le corna con entrambe le mani, sorridendo con una fascetta bianca e nera legata alla fronte. Sono passati anni, eppure questi momenti li ricordo tutti. Ricordo lo schiaffo di mia madre alla partita di golf, poco prima che fosse scattata quella foto, perché ero scappata per andare a visionare i campi in completa solitudine. Ricordo il mio tredicesimo compleanno, quando Vincent mi ha spinto la faccia dritta dritta nella torta dopo aver spento quella candelina, e ricordo l'euforia e la gioia che avevo mentre Mayson scattava quella foto a me e Callie, al concerto dei Linkin Park. Una nottata sana a casa Cole aspettando la mattina per prendere il pullman che ci avrebbe portato a Columbus per il miglior concerto dell'anno, e di tutta la notte in piedi abbiamo scelto l'alba per crollare addormentati come idioti, accatastati uno sull'altro sul loro divano. Inutile dire che l'abbiamo preso quel pullman, perché sarebbe una cazzata enorme. Questa foto, e tutte le emozioni che ho provato mentre urlavo le loro canzoni a squarciagola, le devo soltanto al signor Cole e alla sua innata dote di guidare un'auto come si deve; se non fosse stato per lui e per i duecento chilometri orari che abbiamo sfiorato adesso non starei guardando questo scatto. Non ricorderei le braccia alzate nell'immensa folla, non ricorderei di essere stata sulle spalle da Jeremia cantando fino a perdere la voce e non ricorderei di essermi risvegliata fuori casa mia con la testa appoggiata sulle gambe di Mayson, stanca morta, ma con il cuore pieno di gioia.

E ce ne sono molte altre così, che passo a rassegna lentamente mentre tengo le mani aggrappate al cassetto del mio vecchio comodino, e mentre le guardo il nervoso continua a salire perché tra tutte queste nessuna può aiutarmi a trovare quello che sto cercando.

I Ricordi che ho di teWhere stories live. Discover now