Capitolo 15 (seconda parte)

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La preoccupazione che emana Sonia è talmente tangibile che mi si sta attaccando addosso peggio della colla; serve i tavoli con quel sorriso tirato e finto che anche un bambino di tre anni capirebbe che non è spontaneo. Continua a guardare l'orologio appeso alla parete ogni due, tre minuti, e io lo faccio con lei. Non lo so cos'è che prova una madre in queste situazioni, ma posso giurare che è qualcosa di talmente forte che mi sta facendo diventare quasi totalmente empatica con lei. È normale che i bambini abbiano picchi di febbre, o di raffreddore, o di qualsiasi altra cosa prenda anche agli adulti, non dovrebbe preoccuparsi in questo modo, eppure ogni cosa che ho provato a dirle per rassicurarla non ha funzionato. Annuisce, dice che lo sa, ma non ho mai visto le sue spalle rilassarsi nell'ultima mezz'ora, e io così non ci riesco a lavorare. A forza di guardare quello stramaledetto orologio ho anche sbagliato a portare due ordini ai tavoli.

Quando manca poco più di un quarto d'ora alla fine del suo turno la mia pazienza è praticamente arrivata a zero. E allora scoppio.

«Sonia, vai a casa da tua figlia.»

So perfettamente che non ho tutte le carte in regola per poter impartire ordini, dato che sono l'ultima ruota del carro arrivata, ma qui ne va della mia salute mentale. Scuote la testa con decisione, blaterando qualcosa sul fatto che è già tanto che non deve tornare più tardi per le pulizie, e io, nel frattempo, nemmeno l'ascolto.

Queste ultime due ore di lavoro vorrei godermele in pace e senza gli attacchi di ansia che mi sta facendo venire. Mi sono stufata di guardare l'orologio aspettando che arrivi l'ora che lei se ne vada e mi sono stancata di provare a sorridere ai clienti che la guardano in modo strano non appena lei si volta di spalle. Chi non la conosce sta pensando che non sappia fare il suo lavoro, ma si sbagliano tutti e la cosa mi dà sui nervi.

Prima di dirlo a lei ho chiesto a Phill, tra una corsa ad un tavolo ed un altro, se potevamo rimandarla a casa in anticipo. I tavoli pieni sono solo otto e per di più sono tutti serviti, quindi lei non è indispensabile al momento. Preferisco giostrarmi le cose da sola piuttosto che vederla qui dentro un minuto di più e, quando finalmente riesco a convincerla, l'abbraccio che mi riserva e quel grazie sussurrato all'orecchio mi fanno sentire bene per la prima volta da quando mi sono svegliata stamattina.

Corre verso la porta con la borsa che saltella ovunque e il giubbotto rosa agganciato al braccio; è talmente tanta la voglia che ha di vedere la sua bambina che non ha nemmeno perso tempo ad infilarselo, nonostante fuori faccia un freddo glaciale.

«Hai fatto una buona azione, chica. Mi piacciono le persone come te» annuncia Ricky, saltato fuori Dio solo sa da dove.

«Intendi le persone altruiste?»

«Questa è una parola che non conosco» sostiene sorridendo, e mi viene il dubbio che mi stia deliberatamente prendendo in giro. Come fa a non conoscere una parola facile e scontata come questa dopo tre anni che è qui? Quando glielo chiedo il dipinto della malizia gli si colora sulla faccia.

«Ho avuto altro di meglio da imparare che l'intero dizionario inglese, Emory. Tipo i vari argomenti da usare per rimorchiare una ragazza.»

Non so se mi faccia più ridere il ghigno convinto che ha stampato sulle labbra oppure la semplicità e leggerezza del modo in cui lo dice. Mi piace questa parte di lui, quella in cui parla fregandosene del giudizio degli altri, perché è così che si vive al meglio la vita. Presenti te stesso al mondo intero esattamente come sei, senza farti mille problemi pensando e ripensando se puoi piacere alla gente oppure no.

Mi ci rivedo in questo comportamento, forse è per questo che vado così tanto d'accordo con lui, e scopro presto che lavorare fianco a fianco con Ricky è molto meglio che lavorare con il silenzio che mantiene sempre Mayson. Ultimamente è Ricky che si occupa della cucina con Bob, ma Phill ha deciso che mettere un cameriere con un occhio livido a servire ai tavoli non fosse una buona idea, quindi si sono scambiati i ruoli. L'unica cosa che è andata uno schifo sono i tre vassoi che gli sono caduti dalle mani spiaccicandosi a terra, e ogni volta che è successo ho sorriso malignamente alle maledizioni che Phill mandava a Mayson. Se non si fosse presentato in quello stato tutti gli ordini sarebbero arrivati a destinazione sani e salvi, ma lui no, lui deve sempre rompere le regole. Se ci fosse stato Darren al posto del nostro capo non avrebbe mai permesso che Mayson lavorasse in quelle condizioni, nemmeno chiuso in cucina. Conoscendolo l'avrebbe licenziato in tronco per paura del pessimo giudizio della gente. Ma Phill è diverso: manda giù qualsiasi cosa senza mai dire niente. Non urla con i suoi dipendenti, non si incazza se qualcuno arriva in ritardo, e quando oggi ha visto la sua faccia ridotta in quel modo invece di sbraitare si è portato le mani sulla testa e ha iniziato a farneticare che era seriamente preoccupato per lui. Non lo capisco il suo comportamento, né capisco come faccia il locale ad andare avanti così bene senza che lui tenga le redini di tutto ben salde tra le mani, ma di sicuro non mi licenzierei mai da questo posto nemmeno se mi dimezzasse la paga. Un altro capo come Phill, che ti lascia lavorare in santa pace senza la minima ombra di pressioni, sono convinta che non lo troverei da nessun'altra parte.

I Ricordi che ho di teWhere stories live. Discover now