Capitolo 13

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L'odore della carne aleggia in ogni angolo della casa; il forno, con dentro due teglie di patate, segna che mancano ancora ventitré minuti prima della fine della cottura. Ogni lampadina che passa dalla cucina al salotto è accesa, due vasi di fiori sono esposti sul grande tavolo già apparecchiato. Sembra tutto preparato per una grande festa più che per una cena informale, e nonostante l'atmosfera della casa sia piuttosto accogliente io mi sento tagliata fuori da tutto. Karen è piombata qui circa due ora fa e da allora si è chiusa nella cucina con mia nonna. Ho provato a dar loro una mano ma non c'è stato niente da fare: io in quella cucina non ci sono potuta entrare. Se lo avessi saputo prima non avrei mai chiesto a Phill la serata libera. Avrei fatto come ha fatto Mayson: attaccare prima per staccare prima, così avrei svolto il mio lavoro, mi sarei portata nelle tasche la paga giornaliera e non mi sarei sentita di troppo per tutto il tempo.

Perché è così che oggi mi sono sentita nella mia stessa casa: una persona messa completamente da parte.

Ho iniziato la giornata da schifo, con le occhiaie scure a colorare il mio viso e la voglia di fare qualsiasi cosa pari a zero. Ho seguito le lezioni con il corpo ma con la testa sono stata da tutt'altra parte e ho continuato in questo modo fino all'ora di pranzo, poi tutto è peggiorato quando ho visto Callie parlare con Mayson.

Non ho fatto altro che pensare a loro per tutta la notte e non mi ci sono nemmeno presentata a mensa: stare lì in mezzo e fare finta di niente sarebbe stato un comportamento che non mi appartiene.

Per lei è come se il tempo in cui è stato lontano non fosse mai passato; è tranquilla mentre ci parla, sorride come un'amica fa con un amico, lo spinge per la spalla quando lui dice qualche cavolata. Non glielo leggo negli occhi lo stesso disagio che invece io continuo a sentirmi attaccato alla pelle, né riesco a percepire il freddo che sento quando accanto a lui ci sono io. Riesco a parlarci, posso provare a scherzare con lui, ma l'unica cosa che mi esce naturale e senza sforzo è alzare gli occhi, guardare i suoi e sentire il risentimento fracassare ogni muro che cerco di tenere alto verso quel ragazzo.

Il problema è che tutto quello che vedo dopo è un Mayson che mi guarda allo stesso modo, un modo fin troppo diverso da quello che usa per guardare Callie.

È una cosa che non comprendo a pieno, una situazione capovolta che mi lascia l'amaro in bocca perché una volta ero io quella che lui guardava con aria di complicità. Vorrei dire che non sono gelosa della mia migliore amica, che non mi tocca il fatto che lei abbia questo rapporto con lui e che non penso davvero che lei sia stata così stronza da portarselo a letto senza dirmi niente. E lo dico, me lo ripeto nella mente perché è così che funziona la fiducia nell'amicizia, continuo a dire a me stessa che forse vedo troppe cose inesistenti dietro semplici gesti, e diventa il mio nuovo mantra credere che quello che c'è tra me e Callie sia solo il rapporto puro e sincero che c'è sempre stato.

E funziona, maledizione. Pensare a queste cose inizia a calmarmi, perché le parole ripetute dieci, cento, mille volte, ad un certo punto cominciano ad essere più potenti delle supposizioni. Almeno fino a che i fatti non sconvolgono di nuovo tutto quanto, ed è proprio quello che accade quando apro la porta e vedo la sua testa rossa spiccare tra i volti del resto della famiglia Cole.

Un piccolo sguardo, un minuscolo alito di vento che apre di nuovo i tuoi occhi, e tutti i mantra del mondo possono anche andare a farsi fottere per quanto mi riguarda.

Mi dà fastidio.

La sento eccome la gelosia che prende piede dentro di me.

Mi arriva alle viscere dello stomaco la sua risata disperdersi nell'aria buia della sera, mentre accanto a lui si diverte dopo aver sentito qualcosa che ha detto.

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