Capitolo 9

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 "Se non sai cosa scegliere
buttati sull'alcol...
È lui che dice la verità
quando il cuore ha paura di farlo."

-Emory Scott-

Mayson –Ventiquattro mesi prima-

Siamo accalcati sulla doppia linea bianca che separa gli spettatori dalla pista accroccata all'ultimo minuto. L'aria è umida, appiccicaticcia, nonostante il sole riesca ad infuocare la pelle fino a sentirla quasi bruciare.
Le auto sono parcheggiate alla nostra destra, i musi sono allineati spaccando il millimetro e alcuni rombi dei motori che girano risuonano nelle orecchie eccitando gli spiriti di ogni persona che è venuta per gustarsi la scena e per guadagnare soldi facili. Cinque ragazze in top e mini gonna sono accanto ai piloti, premendo i loro corpi sulle auto e cercando di adulare chi le deve guidare. Mi viene da ridere mentre osservo mia madre stringere lo sguardo su questa scena e distruggersi le poche unghie che le sono rimaste più o meno intatte. Dopo tutti questi anni di matrimonio e quattro figli insieme, lei ancora è sopraffatta dalla gelosia nei confronti di mio padre. Attiro l'attenzione dei miei fratelli, indicandogli la mamma con un cenno del capo. «Dieci dollari che in meno di due minuti raggiunge papà e butta terra la mora che gli sta passando il dito sul petto» azzardo, sventolando il biglietto davanti alle loro facce. Il sorriso tentatore di Deven è il primo che mi segue. «Quella avrà quindici anni meno di lui. Scommetto che papà non si sposta di lì fino all'inizio della gara e che supplicherà la mamma in ginocchio quando saremo tornati a casa.» Agguanto i suoi soldi e guardo Vincent, che alza le mani scuotendo la testa e dicendo che tra mamma e papà lui non ci si mette. Sempre il solito moralista! Quando tocca a Jeremia, la sua espressione diabolica ha quasi il potere di farmi tirarmi indietro. Allunga i soldi con calma verso di me. «Io dico che la porta in macchina, così può allungare le mani lontano dagli occhi della belva.» Sbarro gli occhi e la bocca divertito nel sentirlo parlare, e quando mia madre lo incenerisce con lo sguardo scoppio a ridere di cuore. Le ha appena dato della belva e c'è la vaga possibilità che lei ci si trasformi davvero prima di saltargli addosso e prenderlo a pugni dietro la schiena.
Prendendo tutti alla sprovvista, invece, infila la mano nella tasca dei jeans e tira fuori un biglietto da cinquanta. I suoi occhi verdi emanano fuoco quando me li piazza in mano dicendo: «Se avete le palle venite a coprire la mia di puntata. Scommetto che adesso manda al diavolo la ragazzina con le tette rifatte e viene strisciando da me.»
Guardo i miei fratelli con gli occhi a forma di dollaro. È bella mia madre; con le sue piccole forme, i capelli castano chiaro che le ricadono voluminosi sulle spalle e due occhi di un verde intenso che colpiscono a prima vista. Si è sposata con mio padre a diciotto anni, infilandosi di prepotenza un vestito troppo stretto a causa di un pancione arrivato prima del previsto. Ma lei non ha dato retta a nessuno: se n'è andata di casa e ha seguito l'uomo che amava anche dopo aver ascoltato tutta la sua famiglia ripeterle all'infinito che lui non andava bene per lei. A venticinque anni di distanza lei è ancora qui, con i figli accanto, che continua a seguire l'uomo che ama ovunque lui vada e qualsiasi cosa faccia, anche se questo implica vedere suo marito a bordo di un auto mentre cerca di vincere una corsa clandestina.
Si amano, glielo leggerebbe in faccia anche un analfabeta, ma questo non cambia le carte in tavola: dopo tutti questi anni la carne fresca attirerebbe chiunque, e quella che si sta spalmando addosso a mio padre è molto più che carne fresca.
Questi sono soldi troppo facili.
Non ci penso nemmeno per un attimo mentre apro il portafoglio per aggiungere la quota che manca e arrivare alla scommessa di mia madre. Jeremia mi segue a ruota, mentre Deven è quello che sembra più titubante. Continua a spostare gli occhi da lei a mio padre, per poi riportarli nuovamente su di lei. Alla fine anche lui tira fuori il portafoglio.
«'Fanculo! Se perdo questi cinquanta dollari sono al verde» dice, ma questo non lo ferma dal restare nel gioco. Mamma incrocia le braccia al petto, puntando mio padre come un avvoltoio che aspetta di mangiare la sua preda, mentre Vince le si avvicina poggiandosi sulle sue piccole spalle e schierandosi con lei.
Inizio a sentire la vittoria in pugno quando la vedo battere ripetutamente il piede a terra con nervosismo, ma quando mi giro verso mio padre tutto inizia a ribaltarsi. Non ho visto come abbia allontanato la mora, ma lo vedo marciare verso di noi con le mani nelle tasche e la testa alta.
«Cazzo» borbotta Deven. «Non ci credo che sta venendo qui.»
Il sorriso maligno di mia madre si allarga di lato; tanti sono quelli che mi hanno detto che io sorrido nel suo identico modo quando ottengo ciò che voglio, ma questo non mi fa sorridere al momento. Ho appena perso cinquanta dollari nel giro di un minuto. La tira via dalle braccia di mio fratello, e quando la prende per le guance e la bacia sono quasi tentato di voltarmi.
«Corri con me?» le chiede, e per un attimo resto fisso sui loro sguardi. Hanno qualcosa di speciale questi due, dopo un quarto di secolo insieme a dividere lo stesso letto e la stessa casa si guardano ancora come se le scintille nello stomaco non fossero mai andate a spegnersi.
Mia madre scuote la testa. «Lo sai che non mi piacciono queste gare.»
«Però non ne hai mai saltata una» le ricorda lui.
«Perché siamo una squadra, Danny. Mi vedrai sempre qui a tifare per te, anche se ogni volta mi sembra di morire.»
Tenendola stretta al suo fianco mio padre rompe il l'atmosfera da diabete che si sta creando tra di loro. Ci guarda negli occhi uno ad uno, con il sorrido di sfida piazzato sulla bocca.
«C'è un posto libero, ragazzi. Chi viene con me?»
Quando si allontana con il più piccolo al suo fianco, mia madre allunga una mano verso di me. Sbuffando le passo i soldi, che invece di mettere in tasca nasconde senza vergogna dentro il reggiseno con un gesto talmente veloce e disinvolto che me ne accorgo a malapena.
«C'è un motivo preciso se ho sposato vostro padre. La stupidità non è mai stata affar suo» commenta, tornandolo a guardare con ammirazione. E sono contento per lui, perché se mia madre avesse perso quei cinquanta dollari mio padre avrebbe perso entrambe le palle e la ragazzina con le tette rifatte avrebbe perso la testa.
Non appena parcheggiamo nel vialetto di casa la figura accovacciata di Emory si alza e ci corre incontro. Guarda la strada, aspettando di vedere una macchina che però non arriverà. «Com'è andata?» chiede con agitazione. A parte noi soltanto lei è a conoscenza delle corse clandestine di papà. È una delle cose per cui la reputo diversa da tutto il resto del mondo: a lei non importa che sia una cosa illegale, le piace e ci supporta senza il minimo problema. Quando le dico che i miei sono andati a festeggiare le sue braccia mi assalgono all'altezza del collo accompagnate da un piccolo urletto acuto. «Me lo sentivo che ce l'avrebbe fatta» urla di nuovo, e non ce la faccio a non sorridere nel vederla così eccitata. Ride con la sua classica risata sguaiata quando Vince le racconta della scommessa persa, poi, come se avesse preso il posto di nostra madre, ci incita ad andarci a lavare prima della serata che ci aspetta. Mancano quattro ore all'evento Summerslam del Wrestling, e tra questo e la vittoria di papà sembra che Emory stia per esplodere dalla frenesia.
Mando un messaggio a Moses, l'unico che può farmi guadagnare qualcosa nel giro di poco tempo dato che per la paga di Phill mancano ancora dodici giorni, chiedendogli se ha qualcosa per me, poi alzo la suoneria del cellulare e mi butto sotto la doccia, tre ore e mezza dopo sono stravaccato sul grande divano ad angolo intento a sentire i pronostici per il match mentre Emory mi sta seduta accanto litigando con Vincent per le sue idee azzardate.
Ha iniziato a guardare questo programma con noi circa un anno e mezzo fa, quando un pomeriggio si è presentata a casa nostra trovandoci appiccicati allo schermo della tv. Ricordo di aver visto il suo sguardo cambiare quando hanno inquadrato la faccia incazzata di Seth Rollins. Si è buttata seduta a terra, iniziando a fare domande su chi fossero quei tipi mezzi nudi che si prendevano a mazzate e su chi fosse quello con i capelli bicolore. Da quel giorno è scoppiato l'amore per il The Shield, il gruppo di cui faceva parte quel pazzo che aveva catturato la sua attenzione.
Non si è persa una sola puntata da allora, e aspetta di vedere il Summerslam di questa sera da quasi un mese. Il gruppo si è sciolto poco tempo fa, e oggi due di loro combatteranno l'uno contro l'altro. Questo significa solo una cosa: accanto a me non è seduta Emory Scott, accanto a me è seduto un mostro posseduto dal demonio che potrebbe far fuori chiunque se le sorti del match non vedranno vincitore chi vuole lei.
Ha le gambe incrociate, i pantaloncini corti che ha addosso lasciano scoperte le sue gambe proprio sotto ai miei occhi, e la maglietta a mezze maniche le scende da una spalla mostrando nient'altro se non la pelle nuda. Sto cercando di capire se non porti il reggiseno o se invece ne ha uno a fascia, quando lei si volta domandandomi scioccata se sto ascoltando le cazzate che sta sparando mio fratello. Mi chiedo come le vanga in mente di presentarsi qui conciata in questo modo pretendendo che la mia attenzione segua le parole di Vince. Mi resta difficile fare qualsiasi cosa se ogni volta che sposto gli occhi la sua immagina mi regala l'anteprima di qualcosa che vorrei vedere completamente spogliato. Quindi no, non sto ascoltando nessuno se non le mie paranoie mentali.
Nello stesso istante in cui il Summerslam sta per iniziare, il mio telefono squilla appoggiato al bracciolo del divano. Lo sblocco, sperando che Moses non si sia ricordato solo ora della disponibilità che gli avevo dato, ma chiedere questo è chiedere troppo, perché il messaggio è proprio il suo. Dice soltanto di andare a prendere Vanessa fuori dall'università e di portarla in Chester Avenue, all'area di parcheggio davanti al ristorante tedesco. Per lei ci sono centocinquanta rose rosse.
Faccio mente locale; il tragitto è poco, ma anche centocinquanta rose rosse sono poche per Vanessa.
Gli rispondo che le rose devono essere minimo il doppio, ma lui dice che a disposizione ne ha al massimo duecento. Se non avessi scommesso contro mia madre mi sarei fatto bastare quel poco che mi restava, ma duecento dollari nel giro di mezz'ora non sono da buttare via.
Quando Emory si allunga verso di me con lo sguardo puntato al piccolo schermo, blocco il telefono e lo allontano dai suoi artigli. «Le ragazze non ti danno tregua?» domanda, mentre torna al suo posto smettendo di guardarmi. Il veleno che trapela dalla sua voce mi fa venire voglia di sorridere: la sola idea che io stia messaggiando con una ragazza la manda in tilt, e non prova nemmeno a far finta che questa non sia la verità. Non ha mai nascosto quello che prova, esattamente come ho fatto io fino ad ora, ma non posso cedere. Ci tengo troppo a lei, e non voglio che finisca nei guai immischiata in quello che faccio. Se cedo a quello che voglio non potrei tenerle nascosta la verità e non potrei uscire nella notte senza dovermi sentire in obbligo di dare spiegazioni. E io non posso dirle che oltre a servire ai tavoli da Phill porto a spasso Vanessa, perché Vanessa non è affatto una ragazza normale.
Mi alzo controllando di nuovo il telefono, Moses dice di raggiungerlo al The Hole una volta finito il lavoro.
Mi stanno guardando tutti, gli occhi di Jeremia però sono due pozze nere che mi stanno incenerendo sul posto. Lo sanno cosa vado a fare ma lui è l'unico che ha sempre qualcosa da ridire, e lo fermo prima che apra la bocca davanti a lei. «Quaranta minuti e sono qui, Jay.»
Sospira indiavolato, passandosi le mani nei capelli corti. Non voglio farlo preoccupare, eppure deve mettersi in testa che a volte bisogna rompere le regole perché è la vita che ti porta a queste scelte.
Esco di lì con l'umore a terra; non è per mio fratello, ma sono gli occhi di Emory a demoralizzarmi. Pensa davvero che c'entri una ragazza, e questo mi spezza quasi a metà perché tutte quelle che ho toccato, tutte quelle che ho baciato e tutte quelle che mi sono scopato non arriveranno mai ai livelli di quello che mi fa provare lei solo sfiorandomi.
Dopo essere passato all'università e aver preso il carico, spingo sull'acceleratore il più possibile. L'attenzione saetta in ogni angolo della strada cercando di individuare qualcosa che possa provocarmi guai. Quando arrivo a Chester Avenue, entro nel parcheggio rallentando e cercando un tizio accanto ad una moto nera e arancione.
Sono queste le indicazioni.
Lo vedo all'ultima fila lontano dalla strada principale, e quando gli arrivo davanti non scendo nemmeno dalla macchina. Abbasso solo il finestrino e lo guardo. È mingherlino, basso e secco come un chiodo. Si muove agitato intorno alla sua moto e mi chiedo come faccia a guidare su due ruote in questo stato.
«Stai aspettando Vanessa?» La sua faccia scatta verso di me; la pelle pallida e le occhiaie scure mi fanno capire che sta quasi toccando il baratro. Si attacca al mio finestrino con poca grazia, e già solo per questo vorrei tirargli un pugno dritto sul naso a questo tossico di merda. Tira fuori settecento dollari in contanti, e mentre me li da gli passo il sacchettino con dentro l'erba, tirando un sospiro di sollievo dato che anche questa sera non ci sono stati intoppi.
Raggiungo il The Hole dieci minuti più tardi e mi dirigo direttamente al bancone del locale. Lui è seduto lì con un bicchiere ancora pieno davanti. Quando mi ci siedo accanto sorride senza voltarsi. Gli allungo i soldi tenendomi in tasca la mia quota, e lui li fa sparire al volo. Il bicchiere con il liquido ambrato mi arriva sotto il naso.
«Ho un'offerta per te, Cole.»
Non so cos'abbia in mente, ma qualcosa dentro mi dice che non mi piace.
«Voglio farti salire di grado. Basta con le solite cose da niente. Voglio che sia tu ad occuparti di Louise, e ad ogni spostamento il sette percento è tuo.»
Parla a voce bassa nonostante la musica copra perfettamente le sue parole. Non mi aspettavo un'offerta del genere, anche perché non mi è mai passato per la mente di spingermi così in là.
«Spostamenti singoli?» gli domando.
Lui scuote la testa. «Spostamenti di massa» risponde. Quello che mi sta chiedendo di fare non è più portare singole dosi di robetta di poco valore alle persone che lo chiedono, ma portare grosse quantità di altra roba per permettere ad altri di smerciarla in zone diverse. Se mi faccio due calcoli credo che stiamo parlando di circa dodici mila dollari ogni due chili di roba.
Un solo viaggio per dodici mila dollari, e tutto solo nella città di Cleveland.
Sento il sudore grondarmi sulla fronte. Non è una cosa da niente, maledizione, ma dall'altra parte il rischio è tanto e non capisco perché mi stia offrendo proprio questo ruolo.
Il telefono mi vibra nella tasca, e quando leggo il messaggio che mi ha appena mandato lei tutto entra ancora di più nel caos assoluto.
"Emory: Spero che tu ti stia divertendo."
Ed è lei la cosa che più mi frena. Avere a che fare con droghe leggere è un conto, immischiarsi in un giro di cocaina è un altro.
Perché questa è Louise. Cocaina pura.
La gente ucciderebbe per una dose, e dovrei stare costantemente con gli occhi aperti e guardarmi le spalle.
Dovrei allontanare lei ancora più di quanto non stia già facendo adesso.
Sono pronto ad una cosa del genere?
Non ne ho la minima idea, ma credo che la risposta verga più sul negativo che su altro.
Il problema, però, è che combattere con Moses non è così facile. Mi ripete un paio di volte che l'offerta è buona, ma io non riesco a dire niente.
Alla fine fa strisciare venti dollari sul bancone fino a farmeli arrivare accanto le mani. «Bevici sopra, pensaci e poi mi fai sapere in settimana.»
Senza dire altro se ne va, lasciando nella mia testa solo un ammasso di pensieri che non so da dove iniziare a sbrogliare.
Apro la porta di casa mia dopo quasi due ore e poco meno di mezza bottiglia di rum che mi circola nel sangue. Il parcheggio di mio padre è ancora vuoto e ho la vaga sensazione che lo vedremo deserto fino a domani. Tutte le luci della casa sono spente, ma la abatjour all'angolo del divano illumina lievemente la figura di massiccia di mio fratello. Se ne sta seduto sulla poltrona in pelle nera di nostro padre; le gambe lievemente allargate, le mani che penzolano in basso dai braccioli. Mi sembra più potente a vederlo seduto in quel posto, come se avesse appena sostituito nostro padre in sua assenza. Riesco a vedere l'espressione tirata del suo viso solo quando si piega in avanti, nel fascio di luce che emana la piccola lampadina. Non mi guarda, fissa un punto qualsiasi davanti a sé mentre palesa il fatto che quaranta minuti sono passati da un pezzo. Non sapendo che altro fare, crollo seduto sul divano assumendo la sua stessa posizione mentre la testa mi scoppia.
«Moses mi ha offerto di lavorare con la cocaina» lo metto al corrente. «Solo con la cocaina. A viaggi di smercio sulle zone per il sette percento a viaggio.»
So che dirglielo lo metterà ancora più in crisi ma ho bisogno di qualcuno che mi pari il culo, o di qualcuno che mi indirizzi nella parte giusta da prendere.
«Hai accettato?»
«Non ancora» rispondo, e lui riformula la domanda.
«Hai intenzione di accettare?»
Smetto di guardarlo e inizio a rigirarmi lo spesso anello di metallo che porto al pollice della mano destra. So quello che vorrei fare, ma non so quello che invece posso permettermi di fare. Da qualsiasi punto di vista io guardi la situazione non riesco a vedere una via di fuga che non abbia complicazioni. È per questo che per tutta la serata sono riuscito a guardare soltanto il lato positivo della cosa. «Sarebbero bei soldi, Jeremia.»
Mio fratello annuisce lentamente, poi però piega la testa di lato. «Sarebbero tanti bei soldi quanto i rischi di merda che correresti.»
Non c'era bisogno di tirare fuori un'informazione del genere, perché questo lo sapevo già da me.
«Devi dirgli di no, Mayson. Devi tirarti fuori da questo giro il prima possibile.»
Stringo gli occhi, mentre la verità dei fatti mi mette al muro. «Sai com'è fatto Moses. Non credo di potermi tirare fuori senza problemi. Non me lo lascerà fare.»
I soldi che guadagno con lui mi fanno comodo; sono veloci, un solo viaggetto e ho già tutto in tasca. Si potrebbe pensare che sia per questo che lavoro per lui, ma non è affatto così. C'è molto altro sotto che continua a tenermi incatenato a quello stronzo. Lui lo sa, e ovviamente lo sfrutta a suo favore.
Jeremia si alza dalla poltrona e si siede accanto a me. La sua mano mi sbatte sul ginocchio per poi stringerlo più forte esortandomi a guardarlo. «Sono due anni che ti tiene le mani legate. Credo che tu abbia saldato il tuo debito con lui già da tempo. È arrivato il momento di dire basta.» I suoi occhi mi fissano severi, e lo so bene che tutto questo rancore che ha non è indirizzato a me. «Possiamo metterlo alle strette se decide di rompere le palle» continua. «Possiamo presentarci davanti a lui tutti e quattro. Insieme, Mayson, e fidati che non avrà un cazzo da ridire.» Sembra convinto delle sue idee mentre parla, ma io scuoto la testa perché le sue sono soltanto idee e supposizioni troppo azzardate. Quello stronzo si è fatto due mesi di carcere al posto mio due anni fa; ha la fedina penale sporca, il suo nome ormai è conosciuto. Non me la darà mai la tregua che voglio. Anche se ci presentassimo tutti e quattro davanti a lui potremmo evitare che faccia storie e minacce in quel momento, ma io lo conosco bene Moses, e lui non è il tipo che lascerebbe passare una presa di posizione come la nostra come se niente fosse. Prenderebbe di mira anche loro, e questo non posso permetterlo.
«Proverò a parlargli. Da solo, Jay» dichiaro, marcando di più quelle parole. «In mezzo a questa storia non ci voglio nessuno di voi.»
Alza le mani e non replica niente, ma questo non mi aiuta a farmi sentire più tranquillo. Sono i miei fratelli, li conosco meglio di chiunque altro al mondo, e lo so già che me li ritroverò tutti dietro a guardarmi le spalle. Spero solo che si rendano conto che così peggiorerebbero solo una situazione che fa già schifo di suo.
«Adesso che abbiamo preso una posizione su Moses» dice, alzandosi dal divano e puntando le scale «credo ci sia un'altra cosa su cui dovresti prendere una posizione. E magari mantenerla, fratellino.»
Mi confondono a volte queste sue uscite senza senso, perché anche spremendomi il cervello spesso non ci arrivo proprio a quello che vorrebbe farmi capire. «Di che stai parlando?»
Alza un dito verso il piano di sopra, sospirando pesantemente.
«Sto parlando della ragazza che si è addormentata poco fa nel mio letto. Smettila di respingerla, perché tanto lo sanno anche gli scoiattoli qui fuori che sei cotto di lei da tutta la vita.»
Non ho mai odiato mio fratello e non credo che potrò mai farlo, eppure sapere Emory nel suo letto mi mette addosso un fastidio micidiale.
«Perché è nel tuo letto?» Cerco di restare impassibile e di non fargli capire cosa mi provoca dentro questa notizia, ma credo che sia impossibile per me nascondere i miei stati d'animo. Infatti, rifilandomi una sberla a mano aperta dietro la testa, mi dà del coglione senza troppi giri di parole.
«Viene a sfogarsi con me quando si sente a pezzi per te, proprio come è venuta quando ha deciso di mettersi con Ryan per cercare di farti avere qualche reazione.» Stinge gli occhi dopo avermi fatto la confessione del secolo, poi si gratta la fronte con una smorfia. «Non dirle che te l'ho detto. Se sa che ho parlato quella mi ammazza.»
«Sei mio fratello. Avresti dovuto dirmelo prima» lo ammonisco.
Ero al corrente che lei si confidava con lui, ma non sapevo che Ryan fosse stato soltanto un mezzo in tutto e per tutto e questa cosa mi fa incazzare, perché avrebbe potuto evitare di farsi toccare, baciare o fare qualsiasi altra cosa abbia fatto con lui solo per far reagire me.
Se solo ci penso alle sue mani su di lei, mi viene voglia di spaccare il mondo a mani nude.
«Vai a prendertela» ribadisce, ma farlo non è facile come dice lui.
«Fino a che ci sarà di mezzo Moses non ho intenzione di fare niente.»
Sorridendo, allarga le braccia esasperato da tutti i miei casini. «Un motivo in più per mandare a fanculo lui e tutto il suo mondo.»
E non posso dargli torto. A parte la mia famiglia, lei sarebbe l'unico altro motivo che mi spingerebbe anche a dichiarare guerra aperta contro di lui.
Cerco di fare il più piano possibile quando la prendo da sopra le coperte di Jeremia e la porto nella mia camera. Non sono neanche tanto lucido, e cercare di usare una delicatezza che non mi appartiene mentre cerco di metterla nel mio letto è un'impresa quasi impossibile. Ma alla fine ci riesco. Mi metto seduto accanto a lei poggiandomi allo schienale senza togliermi niente di dosso, e non appena rilasso i muscoli inizio a perdere ancora più lucidità; tra la giornata frenetica e l'alcol che ho bevuto mi sento praticamente a pezzi.
La sua mano trova il mio petto e con lentezza mi si avvicina fino a che non sono avvinghiato alla sua presa. Mi assale il dubbio se lei sappia o meno che sono io dato che si è addormentata nel letto di mio fratello, ma poi parla, e la calma sulla questione riprende in mano le redini di tutto.
«Rollins ha vinto il match» sussurra con gli occhi chiusi e la voce trascinata. Sorrido, perché non posso farne a meno.
«Lo so» le rispondo piano, allungando un braccio su di lei. «Se fosse stato il contrario avrei trovato la televisione distrutta.»
Si accoccola ancora di più su di me, rannicchiandosi al mio fianco con la testa poggiata proprio sul mio cuore. Non so se sta sentendo il battito che inizia a velocizzarsi, ma se lo sente allora ha anche capito che succede solo quando mi si avvicina troppo.
Sono frastornato e gli occhi mi si chiudono da soli. Non riesco nemmeno più a muovermi per quanto mi sento stanco, ma il suo sussurro, soffocato in parte dalla mia maglietta, lo sento lo stesso.
«Più mi tieni lontana e più mi distruggi, Mayson.»
Mi si spezza l'anima a sentirle dire così, perché l'ultima cosa che vorrei è farle del male.
«Sto solo cercando di proteggerti, Emory.»
«Perché?»
E poi non lo so se lo ripeto solo nella mia mente o se glielo dico sottovoce, perche il rum sta facendo il suo effetto annebbiandomi il cervello.
La risposta a questa domanda è una soltanto.
Perché io la amo.

I Ricordi che ho di teWhere stories live. Discover now