I Ricordi che ho di te

By Christy-Devis

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-COMPLETA- DOMANDE. RIMPIANTI. CUORI FATTI A PEZZI E DA RICUCIRE. UN SEGRETO CHE IN PASSATO HA DISTRUTTO LUI... More

Prologo
La decisione a voi
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo fuori onda
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15 (prima parte)
Capitolo 15 (seconda parte)
Capitolo 16 (prima parte)
Capitolo 16 (seconda parte)
Capitolo 17 (prima parte)
Pagina Instagram e Facebook
Capitolo 17 (seconda parte)
Capitolo 18 (Prima parte)
Capitolo 18 (Seconda parte)
Capitolo 19 (Prima parte)
Capitolo 19 (Seconda parte)
Comunicazione a voi signorine
Capitolo 19 (terza parte)
Capitolo 20
Capitolo 21 (Prima parte)
Capitolo 21 (seconda parte)
ATTENZIONE, IMPORTANTE
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25 (Prima parte)
Novità molto importanti 😁
Capitolo 25 (seconda parte)
Capitolo 26
Capitolo 27 (Prima parte)
Capitolo 27 (seconda parte)
Capitolo 28
Capitolo 29 (Prima parte)
Capitolo 29 (Seconda parte)
30 -Ultimo capitolo-
Epilogo
Piccolo regalino per voi
NON CHIEDERMI DI RESTARE FINALMENTE ONLINE
NON CHIEDERMI DI RESTARE -CARTACEO-
RED SOUL SORPRESINA PER VOI🙈
Ooops... sono tornata😈😈

Capitolo 21 (terza parte)

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By Christy-Devis

2 capitolo della giornata a SORPRAIIIIIS
(e sì, lo so che non si scrive così ma che si scrive "surprise" 😌😌)
Oggi sono brava e vi regalo anche quest'altro ammasso di parole😁
Magari mi odiate di meno per quando sparisco nel nulla🙈🙈🙈
Siamo arrivate ad una strada particolare, dove nei prossimi 2 capitoli si capiranno tante cose.
Finalmente ci sarà un quadro completo per quanto riguarda il presente e il passato, e spero alla fine di non deludere nessuna di voi. Detto questo, vi abbandono e vado a fare la mamma... Mio figlio mi reclama per l'ennesima rivincita a monopoli😫😅✌
Un bacio a tutte voi, signorine belle😘😘😘

Immersa nella notte sento il cigolio della porta distinguersi nel silenzio lentamente; non mi sono resa conto del momento in cui mi si sono chiusi gli occhi e mi sono abbandonata al sonno con ancora i jeans addosso, e trattenendo il respiro resto ferma a stringere le coperte su cui mi sono addormentata senza nemmeno mettermici sotto. Ci siamo solo io e mia nonna in casa e so per certo che lei questa delicatezza di aprire la porta con tutta questa calma proprio non ce l'ha; di solito spalanca tutto urlando a squarciagola perché si diverte a farmi morire di crepacuore.

Dura un attimo lo stato di paura che ho sentito, e si evolve in confusione quando la figura massiccia di Mayson entra chiudendoci entrambi nella mia stanza.

«Questa porta è da cambiare» lo sento lagnarsi mentre guardo l'orologio appeso accanto alla scrivania. Segna le quattro e sette di mattina, ma sono talmente impallata di testa che nemmeno mi ci impegno a fare i calcoli di che ora sia davvero dato che quello va quarantaquattro minuti avanti.

«Che ci fai qui?» sussurro, e solo poi realizzo davvero la situazione. «Come hai fatto ad entrare?» Sarò stata anche nevrotica quando sono tornata a casa, ma mi ricordo perfettamente di averla chiusa a chiave la porta.

Senza rispondere alle mie domande si guarda intorno; sposta l'attenzione dall'armadio con un anta ancora aperta alla scrivania ricoperta di vestiti lanciati disordinatamente lì sopra prima di uscire. Con la mano accarezza piano il bordo del legno vagando per il resto della camera sulle foto appese fino a finire alle due mani rosse colorate sul muro.

Il profilo che mi sta mostrando è quello intatto, non quello segnato dalla cicatrice e dal nuovo taglio che si è guadagnato stasera, e tutto quello che riesco a pensare, nonostante io sia incazzata a morte con lui a causa dei suoi immaturi comportamenti, è che vorrei che si girasse e che si mostrasse a me per intero. In tutta la sua parte bella e quella sfigurata, in tutto il suo essere maturo quanto altrettanto idiota, avventato e testardo.

Ma non lo fa.

Continua a starsene in piedi ad osservare quelle mani tenendo la testa lievemente piegata di lato, e io me ne resto seduta sul letto, con le gambe tirate fino al petto, a chiedermi come andrà a finire questa serata che ormai credevo già essere arrivata al termine.

«Una è mia e una è di Callie» gli spiego, dato il fatto che la sua totale attenzione è ancora dedicata a quella macchia rossa che spezza il bianco del muro.

«Ha una mano grande Callie. Non me ne ero mai accorto.»

Finalmente si volta, raggiungendo il bordo del letto e mettendosi seduto. Dall'angolazione in cui si è messo adesso ho davanti solo la parte del viso sfregiata e quasi quasi mi ricredo sul pensiero che ho avuto poco fa: vedere i segni di quello che gli hanno inflitto, nonostante sia lui a cercarselo, mi fa male anche se non lo dico.

«Non me lo ricordo il giorno in cui l'abbiamo fatto perché eravamo sbronze. Sicuramente si è mossa mentre lasciava l'impronta.»

Abbassando la testa abbozza un sorriso storto, quasi esasperato forse a causa della stanchezza, poi sussurra: «Già, sicuramente

Con la bocca chiusa sto lottando contro la discordia dei miei pensieri; c'è una parte di me che vorrebbe imbronciarsi e tenere il muso incazzato per un tempo indefinito e l'altra, invece, cerca di convincermi a mantenere la calma. Non ti presenti in piena notte a casa della gente senza un motivo valido, quindi mi impunto e ci riprovo.

«Per chi lavoravi prima di partire?» chiedo di nuovo, perché o è venuto per darmi una risposta o se ne può anche andare all'istante.

«C'era la doppia chiave sotto il vaso della veranda. Sono entrato con quella.»

«Mayson» ringhio il suo nome a bassa voce. Per quanto io voglia cercare di restare calma lo so bene che ho dei limiti di pazienza che in queste situazioni equivalgono quasi a zero. Incontro il suo sguardo per un tempo più corto di un battito d'ali, poi vedo le sue spalle gonfiarsi e rilassarsi subito dopo aver buttato fuori un lungo sospiro a labbra serrate.

«Per Moses» risponde. «Lavoravo per Moses Sharp, Emory.»

«E non potevi dirmelo prima, invece di farmi andare via con il nervoso a mille?» gli chiedo imbruttendo lo sguardo, mentre il suo si alza confuso su di me. Glielo leggo addosso l'interrogativo che si sta ponendo...

L'avrà capito Emory chi diavolo è Moses Sharp?

E per quel che mi riguarda può anche smettere di chiederselo perché io lo so benissimo chi è quel tipo e con che cosa lavora.

Si aspettava una reazione diversa forse, magari che avrei sbarrato gli occhi e che avrei spalancato la bocca partendo a razzo con le domande, e molto probabilmente ogni altra persona normale l'avrebbe anche fatto, ma a me non è che tocca poi così tanto questa confessione. Dopo aver scoperto che cosa fa adesso, di notte, in quel sotto buco di camerata, non mi sconvolgerebbe quasi più niente.

Con aria affranta e pensierosa si alza dal letto e va verso la finestra osservando la luna emanare quella luce bianca che da noi si vede troppo di rado a causa delle nuvole perenni. «Non sono una bella persona, Emory» annuncia, e mi ritrovo ad alzare gli occhi al soffitto per questo brodo trito e ritrito.

«Hai venduto droga quando avevi la maturità sotto i piedi. Hai arrotondato qualche soldo in più e poi presumo che te ne sei andato per cambiare aria. È passato, Mayson, non puoi reputarti una brutta persona solo per questo» gli faccio presente.

C'è chi uccide a sangue freddo per la strada, chi aggredisce donne e le violenta senza un briciolo di pietà come se quei corpi fossero solo un ammasso di pelle inanimata. Quelle sono da reputare brutte persone, non chi ha solo e semplicemente fatto uno sbaglio durante il cammino del suo percorso. E lui è questo che ha fatto: ha solo smarrito la strada per un po'.

Alla fine chi è che non sbaglia in questo mondo? Chi è che arriva alla morte senza nemmeno una nota negativa da portarsi nella tomba?

Ci cadiamo tutti in quella deviazione momentanea che ci porta a perdere di vista la giusta via, ma non per questo si può essere classificati in quella categoria di cui lui sta parlando.

E pensare che io mi ci sono arrovellata il cervello a cercare una risposta da poter affiancare alla sua partenza; ci ho passato giorni, notti in bianco a guardare quella casa vuota e a chiedermi cosa l'avesse spinto a fare una valigia e andare via. Cosa avesse spinto tutti quanti ad andarsene.

E poi ho smesso di chiedermelo, almeno fino a che non sono tornati. Se avessi saputo prima che Moses Sharp era la causa di tutto mi sarei risparmiata ogni cosa; ogni preoccupazione, ogni domanda, ogni percorso mentale che ho fatto per arrivare alla risposta più azzeccata e che alla fine si è rivelata la più sbagliata. E non lo so quanto mi faccia piacere rendermi conto che si tratta solo di una cazzata del genere. Sono contenta di sapere che non lavorava con le Escort, perché la mia mente malata aveva pensato a questo come prima opzione, ma dall'altra parte odio il fatto che se n'è dovuto andare per colpa di uno spacciatore drogato del cavolo.

Tutto questo tempo buttato solo per uno stupido errore... Non è facile da digerire, ma nemmeno così pesante da doverci tirare su una litigata.

Vedendo che la situazione non si evolve in nessuna maniera mi tiro giù dal letto con mancata delicatezza; a dirla tutta quasi ci rotolo su questo materasso pur di non fare uno sforzo in più. Gli poso delicatamente una mano sulla schiena, una delle rare cose che credo ancora essere intatta e priva di graffi, e lo sento subito il calore che emana anche se fuori l'aria fredda monopolizza il mondo intero.

«Dovresti starmi lontana stasera» dice senza voltarsi. «Dovresti starmi lontana sempre, ma stasera in modo particolare.»

«Che differenza c'è tra stasera e tutte le altre?»

«C'è che stasera ho bevuto un po', e anche se non sono del tutto ubriaco conosco bene l'effetto che mi fa l'alcol.»

«Stai cercando di dirmi che puoi diventare violento come capita agli alcolizzati?»

I suoi occhi mi fulminano non appena si volta a guardarmi: evidentemente la mia ipotesi non gli va a genio.

«No, Emory» precisa. «Sto cercando di dirti che se fino ad ora sono riuscito a mantenerti a distanza, in questo stato mi resta difficile farlo.»

E una frase così, per un tipo come me, ha il pieno potere di farmi cadere.

«Allora lasciati andare» sussurro. «Io non ti ho mai chiesto di starmi lontano.»

Mi è capitato spesso di passare le ore ad osservare le persone; i lineamenti del viso, le varie smorfie che distinguono una faccia dall'altra. Ognuno ha il proprio modo di esternare emozioni diverse in modo diverso, e ci facevo a gara, con Callie, a cercare di capire cos'è che quella gente avesse dentro. Quando non c'era affluenza al Good Coffee, durante il nostro turno di lavoro, era in questo modo che occupavamo il tempo: studiavamo le persone.

Che poi, le mie, erano solo supposizioni buttate così a caso, perché effettivamente non è che da una smorfia puoi capire quello che vive nelle menti altrui, eppure con lui è diverso. Sarà perché lo conosco da tempo, o forse perché le sue difese sono più basse del solito a causa dell'alcol, ma tutto quello che traspare dal suo viso ai miei occhi passa come angoscia, incertezza. Sembra stia lottando contro se stesso per mantenere in piedi una precisa idea che a me non piace proprio per niente. Ma non è solo il fatto che a me non piaccia, il problema principale è che seppur impegnandomici non riesco a capire il motivo del suo trattenersi.

Non ho mai dovuto chiedere attenzioni a nessuno, non sono mai stata io ad abbassarmi ai ragazzi per ricevere un bacio o qualcosa di più. Anzi, c'erano volte in cui Ryan l'ho dovuto allontanare per la sua continua voglia di buttarsi su di me.

Ma non Mayson Cole.

Lui l'ho dovuto portare al limite per ricevere un semplice bacio, e questa cosa mi scombussola il sistema nervoso. Sarebbe facile tirare fuori un briciolo di maturità e realizzare che magari, a lui, io non piaccia affatto, eppure non è così semplice farlo perché il suo continuo contraddirsi mi manda in confusione totale.

Non vuole baciarmi ma se gli dico che vado con altri allora cambia tono, espressione, e poi mi bacia.

Dice che deve stare alla larga da me, ma adesso, in questo preciso istante, non sono io ad essermi chiusa in camera sua. È venuto lui, di sua spontanea volontà, nonostante continui a ribadire che cerca di tenere le distanze.

E lo so che sono un'idiota, perché non dovrei essere io a dover elemosinare le sue attenzioni, ma non ce la faccio. Non ce la faccio solo per un unico motivo: nella vita ho imparato che tra i gesti e le parole vince sempre la prima opzione.

E lui è qui.

È qui, e non lo so perché continua a guardarmi come se la mia sola visione gli facesse del male fisico, ma l'unica risposta che potrei dare a me stessa è il fatto che dentro, forse, porta ancora cicatrici passate e non rimarginate. Forse ha solo paura di schiantarsi di nuovo, perché io nel modo in cui mi guarda lo vedo che queste maledette distanze le vuole azzerare, però mi sa che non l'ha ancora capito che se si schianta lui allora mi schianto anche io senza la minima protezione.

E se fossi davvero una ragazza intelligente mi volterei verso la porta indicandogliela con la testa. Lo inviterei ad uscire, ad attraversare il giardino per raggiungere casa sua chiedendogli di lasciarmi indietro, di non rischiare di farmi fare male. Tuttavia c'è una cosa che mi impedisce di farlo, ed è il fatto che l'amore rende stupidi.

Non chiede certezze né sicurezze; ha la forza per affrontare le difficoltà, i momenti bui e quelli di indecisione. Ti plasma il carattere l'amore, a volte annienta l'orgoglio e la dignità e ti fa guardare allo specchio magari storcendo un po' la bocca a causa di alcune azioni che mai, nella tua vita, avresti pensato di fare.

Ma non tramonta.

L'amore non tramonta mai.

Viene alimentato da quelle parole che ti fanno rispondere di getto, da quegli sguardi che ti smuovono dentro peggio di un terremoto magnitudo 6.9 sulla scala Richter. Ti incatena in un attimo, e anche se ti rende vulnerabile e stupido, l'amore non è nato per distruggere.

Ti distrugge solo nell'esatto istante in cui lo perdi, lo mandi via, o lo allontani da te perché decidi che deve essere la mente a vincere sul cuore, e magari sarebbe anche la cosa più giusta da fare, ma io non ce l'ho tutta questa forza per tirarmi indietro.

Sento l'istinto spingermi verso di lui, il corpo urla solo di essere toccato da quelle mani disastrate, e la mente...

La mente non lo so mica che cazzo di fine ha fatto.

Percepisco solo il suo respiro farsi più pesante, e più quel respiro accelera più il mio cuore accelera con lui. Più lo vedo lottare contro quello che vorrebbe fare, più spero in silenzio che per una sola volta mandi tutto al diavolo senza farsi supplicare più di tanto.

E prego fino a che le sue mani non mi prendono per le guance; fino a che non sento la sua bocca avventarsi sulla mia con un'avidità talmente dolce e dolorosa allo stesso tempo da farmi tremare le gambe.

Non me ne frega niente se stasera me ne sono andata incazzata e delusa dal The Hole per colpa sua e dei suoi segreti, e non me ne frega niente se fuori ha iniziato a piovere di brutto e se un tuono ha appena fatto saltare il contatore di casa.

Chissenefrega delle litigate, chissenefrega delle incomprensioni e chissenefrega della luce, tanto c'è quella della luna che filtra lieve dalla finestra a permettermi di intravedere il suo viso. Ma ad un certo punto, però, chissenefrega anche del suo viso: quello di cui mi importa davvero è sentire per la prima volta gioia e ansia mischiarsi in questo modo assurdo.

Mentirei se dicessi che non le ho mai provate prima queste sensazioni, perché mi è capitato si sentirle durante le prime volte con Ryan, ma mai a questi livelli.

Mai ho visto le mie mani tremare mentre accarezzavano un paio di braccia, mai mi è sembrato di sentire il cuore esplodere nel petto come sta accadendo ora, e mai un paio di occhi mi hanno guardato come stanno facendo i suoi.

Sono scuri, eppure nell'oscurità di questa stanza sembrano brillare di una luce tutta loro mentre mi sfila la maglietta e avanza fino a che con le gambe non tocco il bordo del letto cadendoci sopra.

A malapena riesco a vedere il ghigno malizioso che gli ha contratto il viso, e questo basta per farmi sentire i brividi sulla pelle ancora prima che mi raggiunga facendomi ritrovare sotto di lui.

Non so nemmeno come fa ad avere la precisione per slacciarmi il reggiseno con una sola mossa; a volte io ci faccio a botte anche per un minuto intero. E se la prende comoda mentre scivola con la lingua sul mio collo raggiungendo la spalla e continuando a scendere con calma lungo il seno e la pancia. Ad ogni centimetro che guadagna la sua bocca, le sue labbra lasciano baci che stanno incidendo la mia pelle nonostante siano segni invisibili.

Magari non si vedono da fuori, ma da dentro ormai mi sento marchiata a fuoco da lui.

Quando arriva all'ombelico inarco la schiena in un gesto spontaneo; è come ricevere vibrazioni che ti passano sotto pelle, dentro ogni singolo nervo del corpo. Quelle piccole scariche di qualcosa di indefinito che ti fanno arricciare anche le dita dei piedi. E mi rendo conto che è riuscito a sbottonarmi i jeans solo quando me li sento tirare via dalle gambe accompagnati dagli slip, oltre le cosce, fino a finire a terra.

Si muove sul letto con la sua sagoma nera mischiata al buio di questa camera mentre si sfila la maglietta; la luce della luna illumina tutto ciò che c'è dietro di lui, e la odio un po' questa cosa perché vedere ogni minimo pezzo della sua pelle sarebbe solo un incentivo maggiore per eccitarmi più di quanto già non lo sono. Ma l'alternativa sarebbe quella di mettere in pausa tutto e mandarlo giù a riattivare il contatore con il dubbio che poi, in un misero attimo di lucidità, invece di riprendere le scale prenda direttamente la porta per scappare ancora da me.

E io non voglio questo.

Preferisco sentilo, vivermi addosso ogni attimo che mi sta dedicando piuttosto che rischiare di far saltare tutto quanto solo per avere la possibilità di vederlo in faccia.

La posso vedere anche domani la sua faccia; mi posso beare anche domani del suo corpo sopra il mio, perché adesso stiamo raggiungendo un punto più alto.

Un punto dove, una volta superato, nessuno dei due potrà più tornare indietro.

Nonostante sia quasi tutto completamente nero in queste mura, chiudo gli occhi non appena sento le sue mani posarsi sulle mie gambe.

Sono incerta se la pelle d'oca che sta toccando sia opera del suo tocco e dello sbalzo di temperatura tra il freddo dell'aria e le sue mani bollenti, e mi ritrovo a sentire il mio stesso respiro aumentare di potenza a mano a mano che si avvicina a me. Bramo solo il suo calore, il contatto senza più niente tra me e lui, e sentirmelo addosso mentre mi entra dentro mi fa perdere il contatto con la realtà.

Dio! Sono anni che aspetto di prendermelo così; anni che aspetto di sentirmi sua nella stessa identica maniera in cui lo sento mio. Anni a pensare che forse questo giorno non sarebbe mai arrivato e che sarebbe rimasto solo il mio più grande desiderio nascosto, eppure se combatti alla fine ci arrivi a quello che vuoi.

E me lo godo tutto questo momento, dalla pioggia che sbatte contro la finestra alle sue mani che quasi si aggrappano alle mie. Mi godo ogni spinta, ogni gemito che ci esce dalla bocca e che si mischia ai boati dei tuoni che squarciano la quiete del mondo esterno lì fuori. Mi godo la sensazione della pelle dei nostri corpi sudati che scivolano l'uno contro l'altro assaporando ogni secondo come se fosse l'ultimo, e gli dedico ogni santissimo battito del mio cuore perché fino ad ora nessuno è mai riuscito a farlo impazzire in questo modo.

Mi godo il peso del suo braccio sulla mia pancia dopo aver finito, i piccoli baci che continua a darmi sulla spalla, quel sorrido da idiota che mi si è stampato in faccia dopo che è riuscito a fami vedere mille luci in un buio totale, e il suo respiro diventare lento insieme al mio fino a che gli occhi di entrambi non si chiudono insieme.

Non mi lascio sfuggire nulla, prendo tutto quello che posso per memorizzarlo in ogni più piccolo dettaglio e per ricordarlo quando la mia mente vagherà nel pensare a lui, e quando mi sveglio, rendendomi conto che non è stato solo un sogno, mi ritrovo con lo stesso stupido sorrido che avevo quando mi sono addormentata.

Non lo so che ora siano ma adesso a permettermi di guardarlo c'è la luce del giorno che mi aiuta, ed è bello nonostante lo zigomo gonfio e il taglio ancora semiaperto. È bella la sua mano aperta sul mio fianco, e niente nel vederlo così mi sa di strano o fuori posto.

In tutte le parti del mondo dove potrei essere ficcata, qui, nella mia stanza, con lui accanto a me, mi sembra l'unico posto giusto sulla faccia della terra.

Non pensavo che sarebbe finita in questo modo la serata di ieri, ma quando qualcosa va a gonfie vele c'è sempre quel piccolo particolare che fa mettere tutto in discussione.

E io l'ho trovato questo particolare.

Nascosto tra le lenzuola, a cinque centimetri dal mio corpo, c'è qualcosa che mi sta mandando nel panico nel giro di un micro secondo.

Fisso il suo fianco, poi fisso il mio con gli occhi sgranati, e sento il cuore riprendere a battere come stanotte, solo che adesso batte per un motivo molto, troppo diverso da quello precedente.

Non riesco a guardarlo nemmeno quando apre gli occhi e sussurra il mio nome con la voce ancora arrochita dal sonno; mi ripeto che non devo agitarmi, che una spiegazione plausibile e dettagliata esiste a tutto, ma non ce la faccio a stare calma, soprattutto quando lui si rende conto del punto preciso in cui il mio sguardo si ferma e impreca tra i denti chiudendo gli occhi.

Forse, chi dice che dopo la tempesta arriva sempre la quiete non ha capito poi molto della vita, perché mi sento come se dovessi prepararmi ad un uragano pronto a togliermi la terra da sotto i piedi.

Se c'è una cosa che ho sempre detestato nella vita sono i segreti; quei segreti pesanti, quelli che hanno il cartello pericolo scritto in rosso appiccicato sopra, quelli che non riguardano solo la persona stessa ma anche chi gli sta accanto, e lo capisco che quello che sto fissando adesso riguarda direttamente me, solo che a mancarmi sono le tutte le dinamiche che lo circondano.

È un cambiamento troppo radicale quello che sto vivendo: passare da un sorriso beato all'avere paura di qualcosa con la velocità di uno schiocco di dita ti getta un buco talmente profondo che alla fine riesce a bloccarti anche il respiro.

«Quello cos'è?» chiedo con la voce che trema, e tanto già lo so che la risposta avrà il potere di mettere a soqquadro la mia stabilità mentale, quindi sono pronta all'impatto.

Quello che non so, però, è se sono pronta a tirare fuori la forza per restare in piedi. 

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