I Ricordi che ho di te

By Christy-Devis

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-COMPLETA- DOMANDE. RIMPIANTI. CUORI FATTI A PEZZI E DA RICUCIRE. UN SEGRETO CHE IN PASSATO HA DISTRUTTO LUI... More

Prologo
La decisione a voi
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo fuori onda
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15 (prima parte)
Capitolo 15 (seconda parte)
Capitolo 16 (prima parte)
Capitolo 16 (seconda parte)
Capitolo 17 (prima parte)
Pagina Instagram e Facebook
Capitolo 17 (seconda parte)
Capitolo 18 (Seconda parte)
Capitolo 19 (Prima parte)
Capitolo 19 (Seconda parte)
Comunicazione a voi signorine
Capitolo 19 (terza parte)
Capitolo 20
Capitolo 21 (Prima parte)
Capitolo 21 (seconda parte)
Capitolo 21 (terza parte)
ATTENZIONE, IMPORTANTE
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25 (Prima parte)
Novità molto importanti 😁
Capitolo 25 (seconda parte)
Capitolo 26
Capitolo 27 (Prima parte)
Capitolo 27 (seconda parte)
Capitolo 28
Capitolo 29 (Prima parte)
Capitolo 29 (Seconda parte)
30 -Ultimo capitolo-
Epilogo
Piccolo regalino per voi
NON CHIEDERMI DI RESTARE FINALMENTE ONLINE
NON CHIEDERMI DI RESTARE -CARTACEO-
RED SOUL SORPRESINA PER VOI🙈
Ooops... sono tornata😈😈

Capitolo 18 (Prima parte)

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By Christy-Devis

"Dicono che si debba porgere l'altra guancia
quando ricevi uno schiaffo,
ma non è così che funziona.
Risponderai, invece.
Te lo sussurra il corpo,
te lo comanda la mente,
la tua mano si alzerà in risposta allo schiaffo ricevuto.
Questo è quello che fa l'essere umano,
perché l'essere umano non pensa.
L'essere umano agisce,
dettato dall'unica cosa di cui è fatto:
l'Istinto."

-Mayson Cole-

Emory –Oggi-

Il letto è rifatto esattamente come l'ultima volta che l'ho visto e che l'ho provato: senza la minima arricciatura di coperte, senza il minimo bozzetto, praticamente impeccabile. Sono passati quasi due anni e le lenzuola non sono mai state cambiate. Niente è mai cambiato qui dentro. Addirittura il piumone a rose blu resta perfettamente stirato a coprire l'intero letto anche in piena estate, e sono stata io a decidere così, perché se fosse stato per mia madre avrebbe cambiato tutto ogni settimana nonostante io non sia mai tornata a dormire in questa camera.

I muri bianchi aumentano l'intensità della luce che filtra dalle finestre, e più guardo questo bagliore bianco, più socchiudo gli occhi e più aumenta il battito che mi sta martellando nella testa. Questa volta però non è il battito del cuore, ma il dolore vero e fastidioso che arriva quando passi una notte a bere senza aver mangiato niente e la colpa in questi casi la puoi dare solo a te stessa e a nessun altro.

Osservo i quadri con le foto appese al muro, senza il minimo filo di polvere, senza il minimo alone, e tutto quello a cui riesco a pensare è che le foto sono l'unica cosa che ti riportano al passato senza alcun dubbio. Compari lì, su quella carta lucida e spessa, e non potrai mai dire che quello che stai osservando non è mai accaduto nella tua vita. Sono certezze le foto, e tra tutte quelle che sono presenti in questa camera non ce c'è una di cui io non ne ricordi l'esatto momento in cui è stata scattata.

Quella tra le braccia di mio padre, in una delle sue tante partite a golf; quella in cui spengo le candeline con il numero tredici ancora acceso, oppure ancora quella in cui io e Callie mostriamo le corna con entrambe le mani, sorridendo con una fascetta bianca e nera legata alla fronte. Sono passati anni, eppure questi momenti li ricordo tutti. Ricordo lo schiaffo di mia madre alla partita di golf, poco prima che fosse scattata quella foto, perché ero scappata per andare a visionare i campi in completa solitudine. Ricordo il mio tredicesimo compleanno, quando Vincent mi ha spinto la faccia dritta dritta nella torta dopo aver spento quella candelina, e ricordo l'euforia e la gioia che avevo mentre Mayson scattava quella foto a me e Callie, al concerto dei Linkin Park. Una nottata sana a casa Cole aspettando la mattina per prendere il pullman che ci avrebbe portato a Columbus per il miglior concerto dell'anno, e di tutta la notte in piedi abbiamo scelto l'alba per crollare addormentati come idioti, accatastati uno sull'altro sul loro divano. Inutile dire che l'abbiamo preso quel pullman, perché sarebbe una cazzata enorme. Questa foto, e tutte le emozioni che ho provato mentre urlavo le loro canzoni a squarciagola, le devo soltanto al signor Cole e alla sua innata dote di guidare un'auto come si deve; se non fosse stato per lui e per i duecento chilometri orari che abbiamo sfiorato adesso non starei guardando questo scatto. Non ricorderei le braccia alzate nell'immensa folla, non ricorderei di essere stata sulle spalle da Jeremia cantando fino a perdere la voce e non ricorderei di essermi risvegliata fuori casa mia con la testa appoggiata sulle gambe di Mayson, stanca morta, ma con il cuore pieno di gioia.

E ce ne sono molte altre così, che passo a rassegna lentamente mentre tengo le mani aggrappate al cassetto del mio vecchio comodino, e mentre le guardo il nervoso continua a salire perché tra tutte queste nessuna può aiutarmi a trovare quello che sto cercando.

Ho messo sotto sopra la mia camera, ho rovistato tra i vestiti, nella biancheria, nelle scatole dei ricordi che tengo sotto il letto. Ho quasi fuso il motore del computer per entrare nei social in cui sono iscritta e spulciare i post o le foto che ho pubblicato anni fa.

Ma niente. La risposta che cerco non l'ho trovata da nessuna parte.

Ecco perché sono venuta qui.

Con i postumi della sbornia, la testa che mi scoppia e l'ennesimo rifiuto sulle spalle, ho accettato l'invito a pranzo di mia madre solo per avere la scusa di mettere a soqquadro la mia vecchia stanza. Perché anche se tutto è oscurato, io me lo sento che c'è qualcosa di importante che mi sono persa per la strada del mio cammino.

Eppure l'incertezza inizia a farsi spazio nelle certezze. Ho guardato in qualsiasi posto che poteva avere a che fare con me e la mia vita e non ho trovato niente che avesse un significato nascosto o qualsiasi cosa che mi facesse mettere tutto in discussione.

Battute idiote sui social, foto singole o in compagnia degli amici di sempre. Praticamente è tutto come all'inizio, quando ho controllato per la prima volta.

Perché sì, prima di oggi l'ho già fatto un salto nel passato alla ricerca di risposte, solo che anche allora non ho trovato niente di niente.

La porta della camera si apre lentamente e la testa di mia madre fa capolino in completo silenzio. Ha i capelli legati in una crocchia disordinata e le guance arrossate, forse per tutto il caldo ed il vapore che sta assorbendo chiusa nella cucina. Mi sorride, poi si rende conto della roba che ho tolto dal cassetto e che giace a terra, accanto alle mie gambe incrociate.

«Posso aiutarti?» mi chiede entrando. «Magari se mi dici cosa stai cercando posso darti una mano a trovarlo.»

Ha il viso rilassato, il sorriso sincero, eppure questa sua espressione non mi aiuta a liberarmi e alla fine alzo le spalle con una smorfia. «Non sto cercando niente in particolare» mento. «Davo solo un'occhiata alla mia vecchia roba.»

Non è che sia del tutto una bugia, in realtà non lo so nemmeno io cos'è che sto cercando di preciso. Quello che so, però, è che non voglio condividerlo con lei.

«Se ti manca la tua vecchia roba puoi sempre tornare qui, no? Te l'ho già detto che vorrei che tornassi a stare da noi.»

Sviando la sua domanda, mi volto completamente verso di lei.

«Cos'è successo tra voi e i Cole?»

L'aria sembra raffreddarsi di colpo non appena nomino il loro nome. Lo vedo chiaramente il cambiamento nel suo viso; le labbra smettono di sorridere, gli occhi che speravano in una risposta positiva da parte mia diventano attenti e seri, e tutto di lei sembra irrigidirsi mentre mi risponde che non era di questo che stavamo parlando. Ma a me non interessano gli altri discorsi, a me interessa sapere cosa c'è dietro.

«Non sono brave persone, Emory.»

«Questo lo dici tu» ribatto seccamente. «Non li conosci come li conosco io.» Ed è vero quello che dico. Non si sono mai aperti con loro, non hanno mai provato ad andarci d'accordo o a dargli davvero un'opportunità. Non hanno mai visto quanto unita sia quella famiglia né quanto rispetto abbiano l'uno dell'altro. Non esiste una base solida per il giudizio che gli sta dando e la cosa mi manda sui nervi.

«Mayson ha detto che quelli non erano i patti. Voglio sapere di cosa parlava, mamma.»

Indurisco lo sguardo mentre lei si alza dal mio letto con la mia stessa espressione. Per un attimo, i nostri visi si danno battaglia mentre si affrontano in completo silenzio, fino a che lei non interrompe tutto dandomi le spalle e raggiungendo la porta.

«Queste non sono cose che ti riguardano» obbietta, e non appena esce dalla porta la rabbia prende il sopravvento su ogni altra cosa.

Non è sempre stato così con i miei; una volta ero partecipe della loro vita al cento per cento, senza sconti o restrizioni. Non esistevano argomenti tabù o situazioni da tenere nascoste, non esistevano segreti o sguardi strani che appesantivano l'aria. Eravamo perfetti, una famiglia unita che mi vivevo a pieno senza invidiare niente a nessun altro. Questo però era una volta, prima di quel maledetto incidente. Agli occhi esterni forse è tutto uguale a prima, ma per me che ci sono dentro non è affatto così.

La borsa con cui sono venuta mi sembra tre volte più pesante di quella che portavo tra le mani quando sono arrivata un paio d'ore fa, anche se mentre esco di qui mi rendo conto che dentro non ho aggiunto nulla. Non credevo che la giornata sarebbe finita in questo modo, se lo avessi saputo prima non avrei mai messo in moto l'auto e non sarei mai venuta qui alla ricerca del niente.

La porta chiusa alle mie spalle attutisce la voce di mia madre mentre mi chiama, fino a quando non la apre di nuovo raggiungendomi nel piccolo giardino.

«Dove stai andando?»

La confusione sul suo viso, tra le mani lo strofinaccio sporco che gliele asciuga. Non ci credo che non abbia capito che questa è un'altra giornata rovinata dai suoi silenzi. Non può essere così tanto stupida.

«Me ne torno a casa, ecco dove vado.»

Cerco di aprire la portiera della macchina armeggiando con la chiave; per tre volte di fila non si apre, alla quarta faccio talmente tanta pressione nel girarla che ho quasi paura di avercela spezzata all'interno. Ma alla fine vinco io, almeno su questo.

«Questa dovrebbe essere casa tua, Emory. È qui che dovresti tornare la sera.» Ha alzato il tono della voce, buttato a terra lo strofinaccio sbattendo un piede sul prato tagliato. A vederla non sembra più nemmeno una madre ma una bambina che fa i capricci solo per ottenere quello che vuole.

«E da chi dovrei tornare, da voi?» chiedo, allargando le braccia esasperata. «Mi dispiace, ma preferisco restare dove sono.» Scuotendo la testa accendo il motore, sentendolo morire un paio di volte prima che parta per davvero.

Odio tutti. Oggi odio tutti, soprattutto questo maledetto furgone.

Le sue mani si attaccano al vetro non appena ingrano la retromarcia, e faccio appena in tempo a fermarmi mentre lei apre lo sportello senza permesso. Mi sento talmente incazzata che non riesco nemmeno a guardarla in faccia.

«Tutto questo casino solo per quei dannati Cole, Emory. Ecco perché non voglio che stai con loro. Ti cambiano. Ti fanno diventare una persona che non sei tu» sbraita, e la rabbia cresce, continua ad aumentare, perché nelle sue parole non c'è un minimo fondo di verità.

«Non sono loro a cambiarmi, sei tu che mi fai incazzare perché mi tieni nascoste le cose» sostengo con freddezza, anche se dentro il dolore lo accuso lo stesso. Fa male rendersi conto che nemmeno tua madre ti conosce per ciò che sei realmente, perché questa sono io. Non è per colpa di quella famiglia se dalla mia bocca escono urla o parole che possono ferirla, sono io che decido cosa dire e come dirlo e una madre dovrebbe capirle queste cose.

Il suo sguardo si perde nel vuoto, continuando a tenere saldo lo sportello ancora aperto che non mi permette di farmi muovere. Non so cosa le stia passando per la mente ma quando parla lo fa abbassando il tono della voce. «Abbiamo litigato mentre eri in ospedale. Il signor Cole ha dato un pugno in faccia a tuo padre» confessa, prendendomi totalmente in contro piede. Questo non è possibile.

«Stai mentendo. Lui non lo farebbe mai.»

«Invece l'ha fatto» ribatte con rabbia. «I medici non volevano far entrare nessuno mentre eri in coma e Mayson è entrato di nascosto. Tuo padre e il suo hanno litigato e tutto si è concluso con un pugno in faccia.»

Tiene gli occhi nei miei mentre parla, eppure se la osservo bene sembra che non mi stia guardando davvero. È annebbiato il suo sguardo, le mani quasi le tremano a forza di stringere la lamiera dello sportello. La voce, di solito chiara e squillante, è a malapena udibile come se stesse sussurrando al vento e non parlando con sua figlia.

«E poi cos'è successo? Mayson ha parlato di patti» ribadisco di nuovo, perché non ho intenzione di farmi bastare questa come risposta. Fremo aspettando di sapere cosa ci sia sotto, aspettando uno spiraglio di luce che possa aiutarmi a capire più cose di cui non sono a conoscenza, mentre lei sbuffa, alzando gli occhi al cielo e mandandosi i capelli in dietro in un gesto nervoso.

«E poi si era deciso di comportarsi da persone civili, Emory. Dimenticare quel fatto e limitarsi ad un semplice saluto solo se necessario. Alla cena hanno iniziato a discutere e le cose stavano prendendo una piega ben diversa da quella che doveva essere.»

In mezzo alla strada, seduta nell'auto ancora accesa, resto ferma ad elaborare delle confessioni che non mi soddisfano affatto.

«Tutto qui?» domando amareggiata. Lei annuisce e poi allarga le braccia.

«Tutto qui» ripete. «Adesso potresti rientrare in casa per favore?»

Mi supplica con gli occhi e con la voce, e l'unica cosa a cui riesco a pensare è che mi ha fatto fare tutto questo casino per una stupidaggine così superficiale. Ho dovuto tirargliele fuori dalla bocca le parole e le confessioni, e alla fine non ho comunque risolto niente per arrivare alle risposte che volevo.

«Perché non me lo hai detto prima?»

«Perché non mi piace parlare di quei giorni. Tu non lo sai cos'ho passato mentre ti guardavo dormire in quel letto.»

Sospiro insieme a lei, un unico getto d'aria che si incontra a metà a strada tra il suo corpo ed il mio. La sento svanire la rabbia osservando i suoi occhi tristi, anche se non al punto da farmi restare.

Il sole inizia a svanire quando ancora dovrebbe essere alto nel cielo, l'aria pizzica la poca pelle scoperta sul viso nonostante in tantissimi altri Stati la gente stia ancora in costume a gettarsi nelle onde del mare. È assurdo come nello stesso mondo le cose siano così diverse; abbiamo la stessa terra e lo stesso cielo, eppure tutto è così differente che sembra impossibile credere che il pianeta su cui abitiamo sia lo stesso.

Ho lasciato casa di mia madre con il sole che mi sbatteva sul vetro dell'auto quasi accecandomi, e adesso faccio fatica a distinguere l'entrata del Burger Phill per quanto sta piovendo forte. Il rumore delle gocce d'acqua risuonano nella macchina mentre si infrangono ovunque; sono talmente violente che sembra stia grandinando sassi sulla nostra città. Non c'è luce da nessuna parte, solo il grigio che ricopre ogni cosa trasformando tutto in una fotografia macabra. Lo raccolgo con calma il coraggio per scendere e fare quei pochi passi che mi separano dall'entrata, ma alla fine ci arrivo e mi catapulto dentro. La musica risuona bassa, e a parte questo non c'è il minimo accenno di confusione. I tavoli sono tutti in ordine, le sedie accomodate al loro posto in modo impeccabile. Solo gli sgabelli occupati dallo staff sono voltati verso la porta e non verso il bancone. Sgrano gli occhi passando di nuovo a rassegna l'intero locale. «Non c'è nessuno?» domando allibita. L'aria afflitta di Phill mette K.O anche me.

«Se non smette di piovere dubito che vedremo qualcuno qui dentro oggi» borbotta, passandosi entrambe le mani sul viso. Addirittura Bob se ne sta stravaccato su una delle sedie giocherellando con il filo della maglietta unta di grasso. Presa dallo sconforto saluto Sonia, intenta a scrivere qualcosa sul suo cellulare, poi lancio uno sguardo avvelenato a Ricky e mi vado a cambiare nello stanzino senza nemmeno salutarlo.

Sono venuta prima a lavoro pensando di poter dare una mano e di poter risolvere il casino che ho combinato ieri sera, ma credevo di trovare lei non quel cretino di Ricky.

Sento la porta aprirsi alle mie spalle, giusto in tempo per finire di legarmi i lacci del grembiulino rosso. Speravo che mi seguisse con l'occhiata che gli ho rifilato, e per fortuna ha capito il mio silenzioso invito ed è venuto. Non appena l'ho visto accanto a Phill ho avuto voglia di dargli un calcio nelle palle, ma farlo davanti il mio capo non mi era sembrata una buona idea.

Appoggiato alla porta mi fissa con aria severa, la stessa con cui probabilmente lo sto guardando io.

«Tania, Ricky? Tania, maledizione!» sbotto, allargando le mani per tenerle impegnate in qualcosa che non sia stampargliele in faccia. «Che cazzo ti è saltato in mente?» Cerco di tenere sotto controllo il tono e di non urlare, ma anche sussurrando la voce è decisamente più alta di quello che vorrei. Togliendo il fatto che ho passato una mattinata da schifo, sono profondamente incazzata a morte con lui. Mi ha retto il gioco, ha ballato con me, mi ha toccata e baciata, ma in tutta la serata non si è preoccupato di mettermi al corrente che stava facendo tutto questo sotto gli occhi della sua ragazza.

La stessa ragazza con cui io lavoro, porca puttana.

Ride amaramente, per poi tornare serio di colpo. «Sei un ipocrita del cazzo, Emory. Hai fatto il mio stesso gioco, non mi hai detto niente di Mayson, quindi adesso non metterti la maschera dell'angelo perché non lo sei affatto.»

«Io e Mayson non stiamo insieme» mi giustifico.

«Se è per questo nemmeno io e Tania» ribatte, incrociando le braccia all'altezza del petto. «Siamo stati insieme per qualche settimana, poi lei ha deciso di troncare tutto perché non si sentiva pronta.»

«E ovviamente tu mi usi per farla ingelosire, giusto? Gran bella scelta di merda, Ricky.»

Porto le dita all'attaccatura nel naso massaggiando lentamente per cercare di calmarmi. Anche se penso ad una soluzione per far sembrare meno grave la situazione non mi viene in mente niente da poter classificare abbastanza accettabile. So già come andrà a finire, perché sono una donna proprio come lei. Al suo posto avrei aspettato il momento giusto per tirarmi addosso una pentola d'olio bollente e farlo passare come un inaspettato incidente. L'avrei odiata se l'avessi vista strusciarsi addosso a Mayson e gliel'avrei fatta pagare in qualsiasi modo. Può dire quello che vuole Ricky sul fatto che non stanno insieme e che è stata proprio lei a lasciarlo andare, ma io lo so come funzione il cervello femminile: se una cosa è stata tua, anche dopo averla lasciata continui a sentirla tua e basta. E poi, anche se avevo bevuto un po', lo ricordo bene cos'è che ha detto Mayson a Ricky ieri sera: cioè che aveva un casino da risolvere e una femmina incazzata che lo aspettava perché voleva ammazzarlo. Se qualcuno ti vuole ammazzare non esiste indifferenza, e sono straconvinta che oggi Tania vorrà ammazzare me, quindi di conseguenza io voglio ammazzare Ricky.

Adesso.

«Mi odierà, e sarà solo colpa tua» sibilo tra i denti, indecisa se lagnare e mettermi a piangere oppure strangolarlo mentre gli urlo contro.

«Siamo sulla stessa barca allora. Il casino l'abbiamo fatto tutti e due quindi non dare la colpa solo a me, Emory.»

E sentire le sue parole è come ricevere uno schiaffo in faccia, perché ha maledettamente ragione. Sono stata io la prima a prenderlo di mira, e non mi è mai passato per la mente di rivelargli che stavo facendo tutto questo per colpire Mayson. L'ho usato, senza pensare ai rapporti che potevo fargli compromettere.

Mentre esco da questo stanzino abbasso la testa chiedendomi che razza di persona sono diventata.

Mi seguono i sensi di colpa ogni volta che vedo il profilo di Tania ignorarmi quando mi affaccio nella cucina per prendere i pochi piatti ordinati della serata, sento il suo odio sfondarmi il cranio ogni volta che le do le spalle, perché quello è l'unico momento in cui sento il suo sguardo osservare il mio corpo. Ho notato come stringe i piatti, come tortura le verdure mentre le griglia, e non mi sembra nemmeno lei oggi. Lei non è mai stata così aggressiva in quei piccoli gesti. E lo capisco il suo odio, il suo nervoso nei miei confronti, il dover restare zitta quando invece vorrebbe solo mettersi davanti a me e sbattere la mia testa in ogni angolo del locale fino a vedermela sanguinare. Perché tanto lo so che è questo che vorrebbe fare anche se non parla. Capisco ogni suo silenzio e detesto me stessa perché so che questa volta non posso puntare i piedi e dire che non è colpa mia.

Questa volta i fili li ho mossi io, e mi rendo conto che li ho mossi di merda.

Si è barricata nella cucina nonostante la gente che abbiamo servito si può contare sulle dita di due mani. Non è mai uscita, non si è presa nemmeno una pausa. L'unica volta in cui ho sentito la sua voce è stato quando ha urlato a Ricky di sparire dalla sua vista, e questo è accaduto solo dopo cinque minuti dal suo arrivo.

E come se non bastasse Mayson è lì dentro con lei.

Chiuso in quella cucina da ore ha adottato il suo stesso metodo: il silenzio. L'ho visto entrare a testa bassa, col solito cappellino calato sugli occhi per tenere fuori dalla sua vita il mondo intero. Con lui non ci ho nemmeno provato a dire ciao, la vergogna che provo per essermi abbassata a tanto è sufficiente a farmi voltare altrove quando lui mi passa davanti. Ho sfiorato il patetico questa volta, e non me lo perdono.

Non ho intenzione di farmi avanti ancora, non ho intenzione di fermalo e parlare con lui. Ma a Tania le scuse gliele devo, e alla fine del turno la prima cosa che faccio è piazzarmi davanti a lei e sbarrarle la strada per non farla uscire fuori dalla porta. Mi incenerisce con gli occhi, mentre dall'altra parte del locale Ricky mi guarda pregandomi con le mani. Lo so cosa vuole; a lui non frega un cazzo che io chiarisca le cose con lei, lui vuole solo entrare di nuovo nelle sue grazie.

Prova a sorpassarmi spingendomi di lato con la spalla, ma è più bassa e molto meno forte di me, e questo la fa incazzare ancora di più.

«Togliti di mezzo» mi intima, ma io scuoto la testa prima di prendere il coraggio per aprire la bocca.

«Mi toglierò di mezzo solo quando mi avrai ascoltata.»

«Il fatto è che non voglio ascoltarti, quindi...» allunga un braccio per farmi capire che devo farmi da parte, ma non lo sa con chi ha a che fare. Potrà anche non avere voglia di ascoltarmi ma io devo parlare lo stesso. Lo devo fare per togliermi dalle spalle un peso che non mi voglio portare dietro, e sarà anche egoistico da parte mia ma non me ne frega un bel niente.

«Non sapevo di voi due» confesso, e mentre io tiro fuori la verità le mie parole sembrano arrivare a lei come un'immensa bugia. Me lo dice la sua espressione rabbiosa e i suoi grandi occhi verdi che continuano ad odiarmi in silenzio.

«Tutti lo sapevano qui dentro.»

«Io no» ripeto, rivolgendole uno sguardo più duro. Avrà tutte le ragioni del mondo per avercela con me ma non può darmi della troia con così tanta leggerezza, perché anche se non l'ha detto nello specifico dietro la sua affermazione è di questo che mi ha accusata. «Se lo avessi saputo non mi ci sarei mai avvicinata a quel modo.»

Forzando un sorriso che non ha niente di calmo, alza entrambe le spalle in modo più che percettibile. «Be, adesso è liberissimo quindi puoi anche farmi uscire e andare a prenderlo.»

Ed eccola qui la classica frase che usiamo noi donne quando siamo ferite nell'anima. Cerchiamo di chiudere i nostri corpi dentro un palazzo fatto di muri che costruiamo noi stesse per proteggerci, per non farci toccare di nuovo dalle cose che possono farci male, ma in fondo lo sappiamo tutti che le parole restano solo parole senza un valido significato. Proviamo a dirci che così è più giusto, che va tutto bene se non ci lasciamo sopraffare dal dolore, ma non è così che funziona. Eppure, anche se ne sono consapevole, non posso fare a meno di capirla. Io sono la prima che si comporta così quando ha paura di essere ferita.

Sospiro, passandomi una mano tra i capelli e pensando bene alle parole che posso dirle. La cosa brutta è che so già che esiste una sola frase che forse può convincerla che non sono una sua nemica e che non voglio rubarle il ragazzo. Una frase che non voglio dire perché mi farebbe sentire come se stessi quasi per toccare di nuovo il fondo.

E così mi ritrovo in bilico: da una parte un'amica da rassicurare e dall'altra il rispetto per me stessa che resta a galla aspettando che io lo affoghi del tutto oppure lo salvi restando in silenzio.

E l'istinto per un attimo ha il sopravvento. Scelgo il silenzio, perché salvare me stessa è sempre stata la mia prima regola intoccabile.

Scelgo di restare immobile mentre le do la possibilità di sorpassarmi e varcare la porta. Nemmeno sussulto quando la vetrata trema alle mie spalle, tanto me lo aspettavo un gesto del genere.

Io avrei fatto lo stesso, solo che non ci sono io nella sua situazione. Non ci sono uscita io nella pioggia con il cuore a pezzi e il pensiero che chi amo sta per essere preso da un'altra. Non ci sono io a raccogliere i cocci di qualcosa che esisteva e che adesso non esiste più. Ma questa non è la realtà, sono solo i suoi pensieri, e me ne rendo conto guardando lo sguardo abbattuto e quasi disperato di Ricky.

Se metto da parte me stessa solo per un attimo, posso aggiustarla questa situazione.

La pioggia fitta mi sbatte contro non appena i miei piedi toccano l'asfalto della strada. I lampioni fanno poca luce, uno addirittura funziona ad intermittenza, ma non mi ci vuole molto a raggiungerla dato che non ha fatto tanta strada. Ignoro il brivido di freddo che mi scorre addosso mentre i vestiti si bagnano e la pelle mi si ghiaccia, e una volta tanto mi espongo non per salvare me stessa ma qualcun altro.

«È per Mayson» chiarisco di botto. «È lui che volevo colpire ieri sera. Ricky non mi interessa.»

Non lo so se le guance bagnate che ha sono a causa della pioggia o delle lacrime che cerca di nascondere, ma non mi dà modo di capirlo perché sbuffando mi passa oltre.

«Tania!» la richiamo, e la mia voce si perde quasi nell'aria. «Ricky ha fatto lo stesso gioco con te.»

Sfrutto l'occasione di vederla arrestarsi e la raggiungo di nuovo. Non posso dirle queste cose urlando, perché se qualcun altro all'interno mi sentisse la mia autostima non riuscirebbe più a tornare a galla.

«Mi sono offerta di coprirgli i turni delle pulizie per il prossimo mese se mi baciava.»

Sono felice che almeno la pioggia spenga il rossore delle mie guance, perché la vergogna che sto provando ad ammettere questo schifo è talmente elevata che vorrei solo scavare una buca profonda per la strada e farmici ricoprire viva all'interno.

«Te l'ha detto lui di dirmi così?» È quasi schifata mentre me lo chiede, e gliela copio in tutto e per tutto questa espressione perché in tal caso non glielo avrei mai retto questo gioco.

«Guardami. Ti sembro una che si farebbe manipolare in questo modo? Lo avrei mandato al diavolo se me lo avesse chiesto lui.»

«E perché dovrei crederti?»

«Perché è la verità» sbotto, toccando quasi la linea dell'esasperazione. «Ha capito cosa stavo facendo e mi ha detto che stavamo giocando allo stesso gioco, ma non sapevo fossi tu la persona che stava cercando di colpire. Te l'ho detto anche prima, non mi ci sarei avvicinata altrimenti.»

La pioggia continua ad inzupparmi completamente, come del resto fa con lei. In mezzo alla strada sembriamo due pazze che cercano di farsi venire una bronco polmonite gratuita. Vedendo che non mi risponde prendo in mano la situazione e mi avvicino di più a lei.

«Me lo ha detto oggi che l'hai lasciato tu. Stava solo cercando di farti ingelosire per portarti di nuovo da lui.»

«Non è così che le persone le riporti a te. Così le uccidi soltanto.»

Non gliel'ho mai vista addosso questa vena matura che ha appena tirato fuori con così tanta facilità. Per la seconda volta nel giro di mezza giornata mi sembra di ricevere un altro schiaffo in piena guancia, e anche questo, proprio come il primo, brucia.

«Siete due idioti» afferma, e non c'era nemmeno bisogno che lo dicesse perché tanto lo sapevo già da me. Ma evidentemente per smaltire la rabbia, o il dolore, a lei serve dirlo ad alta voce, quindi annuisco sopportando il colpo in silenzio, poi mi allunga la sua borsa viola tutta glitterata. «Me la tieni un attimo?» Senza darmi l'opportunità di accettare o meno si volta e torna indietro con decisione fino al Burger Phill. Sgrano gli occhi, quasi certa che la mia confessione invece di calmarla l'abbia solo fatta incazzare di più con Ricky. Oggi avrei voluto ucciderlo io, ma credo che ci penserà lei nel giro di un nano secondo.

La seguo correndo, le gocce d'acqua mi scivolano addosso per essere spazzate via dal vento che mi viene incontro. Me la immagino gettarsi contro di lui con le mani strette al collo mentre tenta di strangolarlo, ma quando apro la porta e faccio il mio ingresso mi rendo conto che la mia immaginazione ha varcato le soglie sbagliate. Ci metto un po' di tempo, forse anche troppo, prima di capire che non sta marciando verso Ricky. Lui se ne sta in piedi sulla sinistra ma la direzione che ha preso lei è quella di destra. Completamente l'opposto di dove sarebbe dovuta andare.

C'è qualcun altro seduto sullo sgabello di destra, intento a scrivere sul libro nero rilegato dove Phill tiene tutte le fatture. Gli arriva alle spalle, bussandogli con un dito dietro la schiena fino a farlo girare completamente, poi la sua faccia svanisce dietro i capelli neri e ricci di Tania.

Non ci credo che sto guardando davvero questa scena. Le loro labbra incollate in un bacio ruvido e quasi violento, al punto che lui gira addirittura la visiera del cappellino blu fin dietro la testa per avere più spazio a disposizione per baciarla. O per farsi baciare da lei.

Cambia qualcosa chi dei due sta baciando chi?

Assolutamente no, perché entrambi si muovono, entrambi la aprono quella bocca del cazzo per accogliere la lingua dell'altro. Lei aggrappata alle sue spalle, lui aggrappato ai suoi fianchi snelli, e io me ne resto impietrita a cinque centimetri dalla porta come una maledetta statua.

Non lo sento il dolore al cuore, non la sento l'aria uscire dai polmoni. Sono consapevole che sto guardando qualcosa di irreale, senza fondamenta, senza muri portanti, quindi non è il dolore contro cui sto combattendo ma la rabbia. Sempre questa maledetta rabbia che si è impadronita di me da quando lui è tornato.

Quella rabbia che sai di non poter tirare fuori perché non ce l'ha un senso logico. Quella rabbia di cui tu ti alimenti ma che non può essere catalogata come giusta. Se ne sta lì, che ribolle sotto pelle, che cammina fino alle ossa, e tutto si raddoppia quando ti rendi conto che è una rabbia solo tua e di nessun altro. Non gliela posso sputare addosso perché io il reale diritto di provarla non ce l'ho.

Lui non mi appartiene, non lo posso incolpare di niente.

Non posso fare altro se non restare ferma e aspettare che finisca tutto, e quando accade lui resta immobile e lei punta un dito verso la sua principale fonte di ripicca, sotto gli occhi curiosi del resto dello staff. «Adesso lo sai come mi sono sentita, razza di stronzo» ringhia contro Ricky, poi, raggiungendomi, si riprende il suo schifo di borsa allargando un ghigno diabolico. «Io e te» aggiunge a voce più bassa e spostando il dito tra i nostri corpi «penso che invece siamo pari.»

Mi fanno male le mani per quanta forza ho usato per stringere i manici, o forse mi fanno male perché nel profondo mi stanno supplicando di sbatterle contro qualcosa. Magari proprio contro la sua bella faccia tutta truccata.

Me lo merito, cazzo, lo so bene che me lo merito. È per questo e per altri mille motivi che non replico la scena di poco fa seguendola fino alla strada.

Doveva aspettarselo che non avrei reagito, ma spero che l'abbia capito tutto l'odio che si sta riversando nelle mie vene adesso, perché sono convinta che i miei occhi le hanno appena parlato al posto della mia bocca.

Gli stessi occhi e lo stesso sguardo con cui mi impongo di guardare Mayson.

Mi ha urlato contro che questo non era un gioco, che lui non stava giocando. Ha farneticato su quella stronzata che mi stava solo proteggendo, ma la sua vendetta se l'è appena presa senza tirarsi indietro.

Siamo in parità, siamo tutti in parità. Ricky e Tania, io e lui.

Ci siamo usati a vicenda per colpirci l'un l'altro, abbiamo incrinato qualcosa che non lo so mica se si può riaggiustare, e tutto per arrivare al punto di partenza. Ognuno nel suo lato, ognuno chiuso nel proprio castello di mattoni.

Ma non me ne frega niente degli altri. Quello che mi interessa davvero è capire dove ci sarà il punto d'incontro, dove tutto avrà una fine.

Perché una fine deve pur esserci, non può durare in eterno questo gioco malato.

I'M BACK💪💪💪✍✍✍
Salve signorine meraviglioseeee😍😍😍😍😍
Come promesso sono tornata non appena ho smesso di lavorare😁😁
Ho ripreso la tastiera tra le dita,  le nottate di insonnia e ho ricominciato a buttare giù qualcosa.
E per scusarmi del periodo di blocco prometto che più tardi arriverà anche la seconda parte di questo capitolo👊👊👊👊
So che starete pensando che questo sia un capitolo di poca importanza,  ma non è così.  Ha il suo collegamento,  quindi non pensate che abbia iniziato a scrivere tanto per pubblicare qualcosa e tirare avanti la storia così per allungare il brodo ed arrivare alla fine😅😅

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