I Ricordi che ho di te

By Christy-Devis

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-COMPLETA- DOMANDE. RIMPIANTI. CUORI FATTI A PEZZI E DA RICUCIRE. UN SEGRETO CHE IN PASSATO HA DISTRUTTO LUI... More

Prologo
La decisione a voi
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo fuori onda
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15 (prima parte)
Capitolo 15 (seconda parte)
Capitolo 16 (prima parte)
Capitolo 16 (seconda parte)
Pagina Instagram e Facebook
Capitolo 17 (seconda parte)
Capitolo 18 (Prima parte)
Capitolo 18 (Seconda parte)
Capitolo 19 (Prima parte)
Capitolo 19 (Seconda parte)
Comunicazione a voi signorine
Capitolo 19 (terza parte)
Capitolo 20
Capitolo 21 (Prima parte)
Capitolo 21 (seconda parte)
Capitolo 21 (terza parte)
ATTENZIONE, IMPORTANTE
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25 (Prima parte)
Novità molto importanti 😁
Capitolo 25 (seconda parte)
Capitolo 26
Capitolo 27 (Prima parte)
Capitolo 27 (seconda parte)
Capitolo 28
Capitolo 29 (Prima parte)
Capitolo 29 (Seconda parte)
30 -Ultimo capitolo-
Epilogo
Piccolo regalino per voi
NON CHIEDERMI DI RESTARE FINALMENTE ONLINE
NON CHIEDERMI DI RESTARE -CARTACEO-
RED SOUL SORPRESINA PER VOI🙈
Ooops... sono tornata😈😈

Capitolo 17 (prima parte)

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By Christy-Devis

"Non si cammina davanti alla persona che ami
pensando di proteggerla dal male.
Tu sei forte, ma l'amore è molto più forte di te.
Quindi prendila per mano
e lasciala camminare al tuo fianco.
Il male, se siete insieme,
lo potete distruggere anziché affrontare soltanto"
-Mayson Cole-

Mayson -Ventiquattro mesi prima-

La curva che prende è perfetta, come del resto tutte le altre che ha preso fino ad ora, e non perdo nemmeno tempo ad aggrapparmi da qualche parte perché la fiducia che ripongo in lui è talmente tanta che gli siederei accanto anche con una benda sugli occhi. Abbasso lo sguardo sulla cartina, mentre la pioggia fina batte incessante sul vetro della macchina per poi venire spazzata via dai tergicristalli che lavorano alla loro massima velocità.

Intorno alla pista, la gente è solo una macchia colorata che vedo muoversi mentre gli sfrecciamo davanti.

«Sono a gomito. Due a destra e subito dopo una a sinistra» lo informo, fissando ad intermittenza prima la strada e poi di nuovo il sudicio pezzo di carta che tengo tra le mani. Annuisce appena, tirando fuori il suo sorriso bastardo.

Scala la marcia e affonda il piede sul pedale. «Ricevuto.»

Ha l'aria tranquilla e rilassata, come se i duecento chilometri orari che stiamo per raggiungere siano per lui una passeggiata a piedi in riva al mare.

Non gli importa della macchina che ci trema sotto il culo, non gli interessa di prendere una curva a gomito a questa velocità. Lui si fida di se stesso e delle sue capacità e questo lo rende il re della calma. Ho detto che mi fido, è vero, eppure un pizzico di agitazione nasce nel mio stomaco. Se ci dovessimo schiantare alla prima curva sono convinto che sarebbe una morte sul colpo. Niente dolore, niente minuti agonizzanti, sarebbe impossibile continuare a respirare sbattendo a questa velocità. L'agitazione che sento dentro, infatti, è rivolta solo al resto della nostra famiglia che ci sta guardando.

«Avevi detto alla mamma che non avresti superato i centosessanta» gli ricordo controllando la velocità a cui stiamo andando.

«Vero, ma non gliel'ho promesso, quindi posso andare anche a duecento che avrei lo stesso il culo parato.»

«Il culo te lo spaccherà lo stesso non appena scenderai da questa macchina, papà.»

Gira di botto il volante, e questa volta devo reggermi al cruscotto per non andargli a finire addosso e fargli perdere la stabilità. Le ruote perdono momentaneamente il grip a terra a causa dell'acqua, e la macchina scivola di lato. È la frazione di un attimo, dove tutti dicono che dovresti vedere la tua vita passare davanti agli occhi. L'attimo prima di morire. Tutto quello che vedo io, però, e mio padre che raddrizza il volante mentre tira il freno a mano per toglierlo subito dopo. Non perde velocità, almeno non tanta, e con l'ennesima spinta mette di nuovo sotto attacco l'acceleratore.

Ho sempre amato l'adrenalina; ci sono cresciuto sul sedile di un auto guidata a manetta, tra le strade normali e quelle da corsa. Ho sentito le frenate, gli sbalzi dovuti allo sbandamento dell'auto, e non mi mettono paura come invece dovrebbero. Quando arriva il mio turno per correre accanto a lui è sempre la vita libera che mi sento addosso, sotto la pelle, nello stomaco, nei battiti del cuore.

Il mio non è mai stato uno di quei padri che ti prende per mano a passeggiare; lui ci metteva dentro una carriola e ci spingeva a tutto gas per il giardino. Ci chiudeva in macchina, mentre la mamma correva fuori urlando, e usciva dal vialetto di casa sgommando, promettendoci dieci minuti di divertimento. Non ci ha mai fatto provare biciclette con le rotelle perché era convinto che poi ci saremmo abituati ad una cosa troppo adagiata, e ci ha fatto cadere infinite volte a terra insegnandoci che ogni ginocchio sbucciato, ogni mano ferita e ogni culata che davamo a terra era un passo in più per imparare a rialzarci sempre più forti. E sembrerà un padre snaturato, uno di quei padri che la gente guarda con gli occhi stretti mentre scuote la testa giudicandolo come un incapace, ma non è così.

Ogni parola che ci ha dedicato è sempre uscita fuori con la calma e con il sorriso, e ad ogni caduta la sua mano è sempre stata la prima cosa che i nostri occhi avevano davanti. Ci faceva camminare con le nostre gambe, ma la sua figura imponente e massiccia è sempre stata accanto a noi come quella di un angelo custode.

Ecco perché non batto ciglio quando la macchina slitta in quel modo.

Sorridiamo insieme, mentre si prepara ad affrontare le altre due curve che gli ho delineato a parole.

«Stavo pensando ad una cosa, Mayson.»

Esaminando la cartina continuo a sorridere. «A come non slittare alla prossima curva?»

Decelera e cambia marcia, con gli occhi incollati alla strada asfaltata. «No. Stavo pensando al fatto che ti ho insegnato tante cose ma che me ne sono scordata una molto importante.»

Non mi sembra un argomento da affrontare proprio adesso, perché il prossimo pezzo di strada è quello che ci porterà al traguardo e quindi dovrebbe prestare attenzione soltanto a questo fattore, ma lui la pensa in maniera diversa e continua a parlare.

«Farsi spaccare il culo dalla propria donna è una delle cose migliori al mondo.»

«Due curve a destra e l'ultimo pezzo di rettilineo» lo avviso. «Cos'è, sei masochista e io non lo sapevo?» chiedo subito dopo, rivolto alla sua strana affermazione.

Qualcosa cambia nell'aria non appena raggiungiamo la prima curva. La macchina che fino ad ora ci è stata dietro è praticamente attaccata al culo della nostra, e ci si affianca nell'arco di un paio di secondi.

È un muso a muso quello che sta accadendo, e la sua faccia si contrae non appena lo stronzo accanto a noi inizia a stringerci per farci rallentare.

La cosa giusta da fare sarebbe quella di scalare la marcia ed evitare di farci spiaccicare da qualche parte, ma per Daniel Cole la cosa giusta ha totalmente un altro sapore.

Gli tiene testa di un paio di centimetri, aumenta la velocità in simbiosi con l'altra macchina, e continua così fino a che non usciamo dalla curva e in lontananza si presenza una strettoia.

Cazzo, sulla mappa questa non c'era disegnata.

«Papà» lo incito.

«Zitto, Mayson. Ce la possiamo fare» replica, ma lui non è il solo che va sempre contro le regole. Sono suo figlio, e anche se ho preso il modo perverso di sorridere che ha mia madre nel mio sangue scorre quello di mio padre. Non può davvero pensare che mi stia zitto solo se me lo impone, e la mia preoccupazione non è per il fatto di farcela o meno, perché sono convinto che se lui avrebbe avuto qualche dubbio avrebbe lasciato il pedale già da diversi secondi anziché spingere più forte.

Mi appiattisco sul sedile e butto via la cartina appallottolata che ci hanno dato prima della gara. Sta correndo da questa mattina alle nove, ogni volta in un luogo diverso con una pista diversa che i piloti non conoscono, e l'unico aiuto che ci hanno dato sono questi pezzi di carta con le piste scarabocchiate a penna.

«Se non moriamo adesso, sarà la mamma ad ucciderti tra poco.»

E questa è una delle poche sicurezze che ho al momento.

L'acqua che si è depositata a terra si alza in milioni di piccole gocce non appena frena di colpo dopo aver superato la linea di arrivo. La ragazza con l'ombrellino rosso e blu, vestita solo con pantaloni di pelle e un micro top abbinato, si avvicina dalla nostra parte alzando il pugno in aria e proclamando la vittoria.

Questa era la penultima corsa, se vincerà anche la prossima avrà vinto l'intera gara, e l'ammirazione e la soddisfazione che provo nei suoi confronti non la posso nemmeno descrivere a parole. Saranno anche corse clandestine, e non metto in discussione che sia una cosa contro la legge, ma lui lotta per ciò che vuole. Accetta sfide e se le gioca fino alla fine rischiando tutto. Sarà la vena della follia con cui è nato, o il fatto che sia cresciuto più per la strada che dentro ad una casa, ma nella sua pazzia mio padre ha trovato equilibrio e felicità.

Questo è il motivo più grande per cui provo orgoglio nei suoi confronti.

«Dopo» mi dice «C'è sempre quella cosa che le donne chiamano "fare la pace"».

Lo guardo confuso mentre apro lo sportello della macchina e scendo.

Non mi sembra che abbia battuto la testa in qualche frenata, eppure le sue parole non hanno senso ugualmente.

«È per questo che dico che farsi spaccare il culo dalla propria donna è una delle cose migliori al mondo» continua, e mentre lo fa punta lo sguardo fisso verso sua moglie che si avvicina. «Non è quello l'attimo migliore del mondo, ma quello che viene dopo sì.»

Mi strizza l'occhio nel frattempo che il mio cervello recepisce il vero messaggio che vuole farmi arrivare, e in automatico la mia faccia si trasforma in una smorfia. Me l'hanno spiegato tanto tempo fa che non sono le cicogne a portare i bambini, e ho sperimentato parecchio quanto sia bello ed eccitante il sesso, ma sono abituato a vedere mio padre correre in un auto e mia madre a ribaltare mobili per casa mentre spolvera. Li ho visti insieme lavarsi le mani, girare la cena nelle pentole in piedi uno accanto all'altra, e ho visto spesso le braccia di mio padre chiudersi intorno al corpo di mia madre. Ma queste sono le uniche scene che la mia mente è in grado di recepire con il sorriso; immaginare loro due, che si ribaltano tra le lenzuola ogni volta che ho sentito la mamma sbraitare contro di lui, è una cosa che la mia immaginazione egoista non apprezza affatto.

Sbatto lo sportello nello stesso istante in cui mia madre ci raggiunge. Le alte figure dietro di lei le fanno da scudo mentre esultano sorridenti, ma il suo viso non ha niente di sorridente. Arriva davanti a mio padre con il petto in fuori e la prima cosa che fa prima di iniziare ad urlare è tirargli una manata aperta dietro la testa che lo fa piegare in avanti. Lo sapevo che sarebbe andata così, come so anche che non basteranno le cento scuse che lui inizierà a tirare fuori, perché tanto lei si calmerà solo quando questa gara sarà finita. È sempre così che funziona: l'ansia e l'agitazione che prova quando lo vede correre la fa diventare intrattabile, e la dose raddoppia quando è uno di noi a correre insieme a lui.

Tra i volti della mia famiglia ne cerco uno in particolare. Li passo a rassegna uno ad uno, e in tutta questa somiglianza cerco qualcosa di diverso.

Cerco i suoi capelli scuri, il taglio dei suoi occhi che mi incendiano l'anima e il suo sorrisetto da stronza patentata.

Le cerco ovunque queste cose, ma senza trovarle.

E scende il panico addosso a me, mentre volto la testa ripetutamente in cerca di lei. Mi assalgono le paranoie, pensando alla faccia di Moses mentre la prende e se la porta via tra la folla, perché è questa la mia paura più grande: che lui scopra quanto valga davvero lei per me e la usi per come leva per manipolarmi più di quanto non faccia adesso.

So che è impossibile che la prenda di mira proprio oggi, perché lui ancora non sa che ho deciso di mollare tutto, eppure la paura di qualcosa non la controlli.

Ce l'ho annidata nel cuore da troppo, incastrata tra le ossa e il fegato. Se non fosse stato così non avrei mai sprecato tempo a tenerla lontana da me fino ad ora. Ma il fatto che abbia ceduto a lei, a noi insieme, non è che cambi le cose in quattro e quattr'otto; resta con me questa paura, e non lo so se la troverò mai la forza per combatterla del tutto.

La sua voce spicca tra i mormorii della folla, e appena mi volto verso quel suono la vedo correre incontro allo sfidante di mio padre e prenderlo a spinte, mentre gli urla addosso insulti pesanti. L'uomo alza le mani e indietreggia, e lei, invece, continua ad avanzare imperterrita.

I capelli completamente zuppi dalla pioggia, la sua espressione una furia omicida.

Non lo so che cazzo succede, ma non me ne resto fermo a pensarci sopra. La raggiungo correndo seguito dal resto della mia famiglia, mia madre è l'unica che mi corre accanto stando allo stesso mio passo.

«Emory!»

Chiamo il suo nome ad alta voce, ma lei non mi ascolta.

«Potevi farli ammazzare» urla contro di lui, e come poco prima lo spintona di nuovo.

Il primo passo che ho fatto, l'ho fatto non pensando, il secondo è arrivato con la convinzione di prendere la testa del tipo che le stava rompendo le palle e sbatterla ripetutamente contro il vetro della sua macchina.

Adesso che le sono a circa tre metri, però, mi rendo conto che la mia istintività nel fare le cose la dovrei chiudere da qualche parte e non lasciarla uscire più, perché non è lui che sta rompendo le palle alla mia ragazza, ma è lei che gli sta dando addosso di sua spontanea iniziativa.

La mano delicata di mia madre si chiude salda sul mio polso bloccandomi al suo fianco. Mentre parla i suoi occhi non stanno guardando me ma sono rivolti verso lei.

«Ti prego non fermarla. Ho voglia di vedere quello stronzo sotto le ruote della sua stessa auto.»

Ha la bocca aperta in un sorriso contorto, gli occhi sembrano quasi indemoniati mentre resta a guardare la scena con l'appoggio dei miei fratelli che le ridono accanto silenziosi. Ma non ha quello di mio padre.

Lui sa che non è da incolpare quell'uomo, perché in una gara dove si compete per la vittoria tutto è lecito, ma questa non è l'unica motivazione per cui i suoi occhi mi guardano già con ammonizione.

È mio padre, conosce la mia testa e i miei modi di fare, e sa perfettamente che ci sono varie probabilità che questa storia potrebbe finire nel peggiore dei modi.

Spesso ho pensato a me stesso paragonandomi ad un animale; uno di quelli che vive nella savana e marca il territorio. Uno di quelli che sarebbe pronto ad attaccarsi alla gola del nemico se solo si azzardasse a toccare qualcosa che non gli appartiene. Non è calcolato perché, quando l'istintività ti appartiene, il cervello non ha il tempo di pensare e decidere cosa fare. Parti alla carica e basta, senza riflettere, senza fermarti a valutare le altre alternative oppure a capire se sia giusto o sbagliato.

La vista si annebbia, perdi del tutto i comandi, e tu svanisci per fare spazio ad un mostro che non sei tu.

Se lei continua a spingersi oltre, e quel tipo dovesse rispondere allo stesso modo anche solo restituendole una spinta, ho la piena certezza che tutto finirebbe di merda.

Supererebbe un limite che non accetto e che non accetterò mai, e quella parte di me stesso che di solito mi ritrovo ad odiare dopo che è uscita fuori, avanzerebbe a piede libero senza freni.

Mio padre questo lo sa, ecco perché mi sta guardando in questo modo.

Due giorni fa mi sono preso un bacio che aspettavo da anni; avrei voluto passare la giornata di ieri insieme a lei a parlare e decifrare la situazione tra di noi, ma ha passato tutto il giorno con i suoi ed io gran parte della nottata con Moses a chiarire le condizioni di un viaggio che molto probabilmente non farò mai. Non ci siamo visti, e per telefono non abbiamo affrontato l'argomento. Stamattina siamo partiti all'alba per venire qui, e anche se morivo dalla voglia di prendermi le sue labbra e cercare di capire cos'è che siamo io e lei adesso, non mi sono spinto oltre. Non ci do un nome, né ho pensato ad attaccare sulle nostre teste un'etichetta che qualifichi cosa siamo diventati. Potrei dire che potrei restare fermo ad osservare qualsiasi scena che la riguardi senza muovere un dito, perché in fin dei conti nessuno me lo ha ancora confermato che lei è davvero la mia ragazza.

Ma non posso farlo.

Non so se la gente la capisce questa cosa qui, ma non serve avere la conferma che qualcosa sia tuo per poter avere il via libera per difenderlo.

Basta sentirlo nel cuore, sulla pelle e dentro le ossa, e allora sei autorizzato anche ad aprire la guerra.

Emory me la sento mia da sempre, e questo basta per autorizzarmi a spaccare la faccia di chiunque la tocchi anche solo con un'unghia.

Ignorando mia madre e le sue insensate richieste mi sciolgo dalla sua presa e avanzo. La stringo da dietro alzandola di peso e bloccandole le braccia che cercano invano di sfuggire al mio controllo.

«Ok. Basta così» provo a calmarla, ma un'anima come la sua non la pieghi tanto facilmente. Si muove, si agita continuando ad intimarmi di lasciarla andare, e non ci riesco a non sorridere a tutta questa determinazione che ha. Questo è un lato del suo carattere che ho sempre adorato.

«Questa ragazza è pazza!» esclama il tipo, allargando le braccia con l'aria scandalizzata, e in tutta risposta lei riesce ad alzargli il dito medio e a mandarlo a fanculo senza mezzi termini.

«Calmati, Emory» le sussurro all'orecchio.

Mi sembra di stringere un cavallo imbizzarrito anziché una persona fatta di carne.

«È fortunata ad aver trovato me» ribatte l'uomo dietro le mie spalle. «Sono un gentiluomo e non ho risposto ai suoi attacchi. Se avesse trovato uno dei soliti cretini arroganti la storia sarebbe finita diversamente.»

E per quanto io cerchi di mantenere salda la calma, non ci riesco a tenere chiusa anche la bocca. Mi basta girare solo la testa e guardarlo, avvertendolo prima dal fuoco nei miei occhi che sta sbagliando la strada delle supposizioni.

«Non ne dubito» rispondo con decisione. «Perché a quest'ora sarebbe già morto.»

Il viaggio da Youngstown a New Castle, il luogo di punta dell'ultima corsa, è passato tra i borbottii di Emory e gli incoraggiamenti da parte di mia madre sul fatto che lei abbia avuto una giusta reazione. Me ne sono stato zitto per tutto il tragitto ascoltando i miei fratelli ridere e prenderla in giro, mentre di nascosto le guardavo il profilo corrucciato. È incazzata con me per averla frenata, per non averle dato la possibilità di piantare un calcio nelle palle allo stronzo che ci ha stretto durante la curva. L'unico momento in cui la mia voce è venuta fuori è stato quando le ho spiegato che le corse sono fatte anche di questo. Pericolo e rischio sono le parole chiave di questo mondo fuori dal normale, e nonostante mi piaccia vederla perdere la testa per la mia incolumità, glielo avrei continuato a ripetere per tutto il viaggio che le cose vanno così. Ma Emory la testa non l'abbassa. Si è voltata dall'altra parte osservando la strada ed è riuscita a farmi chiudere la bocca con un semplice messaggio che mi ha inviato pur stando attaccata alla mia spalla.

"Se ci fossi stata io in quella macchina, stretta ad un angolo mentre uno stronzo cercava di farmi ammazzare, tu come avresti reagito?"

Ho adottato il silenzio da quel momento. Sono rimasto seduto a riflettere su una risposta che già conoscevo perfettamente, e anche se dentro stavo morendo, non ho tirato fuori una sola sillaba nemmeno quando mio padre le ha chiesto se voleva correre l'ultima gara con lui e lei ha accettato guardando me con la sfida negli occhi.

Solo dopo aver passato dieci minuti d'inferno, a tenere gli occhi aperti come un falco seguendo la corsa, riesco a trovare la calma adatta per parlare.

Abbraccio mio padre congratulandomi con lui per la vittoria, poi mi appoggio con un fianco allo sportello della macchina incrociando le braccia. Non mi dà fastidio la pioggia che cade lenta e che mi sbatte addosso, e adoro vederla cadere su di lei mentre i vestiti si bagnano e le si appiccicano addosso. Mi godo le linee di quelle forme che fino ad ora ho soltanto immaginato milioni di volte solo nella mia testa, i capelli zuppi che le incorniciano il viso pieno e senza trucco. È perfetta nella sua semplicità, e anche se avrei voluto ammazzarla nell'istante in cui è salita in quella macchina non posso essere così ipocrita da non ammettere anche che una parte di me ne è stata felice. Vedere come si sposa perfettamente con la mia vita e con la mia famiglia mi riempie il cuore di una pace che non ho mai assaggiato prima.

Alzo la testa verso il cielo scuro e assottiglio gli occhi per evitare che le gocce della pioggia mi cechino. «Sei una stronza vendicatrice» le dico senza problemi.

«Posso dire lo stesso di te.»

«Potevamo parlarne senza che tu salissi sull'auto» continuo, restando concentrato sulla pioggia.

«Hai fatto scena muta per tutto il tempo, Mayson. Sei tu che non hai voluto parlare.»

«Non potevi trovare un altro modo?»

Abbasso gli occhi e finalmente la guardo, aspettando di sentire una risposta che non tarda ad arrivare. Ed è un no, secco e deciso, che mi fa sospirare in modo frustrato.

«Perché continui a sfidarmi, Emory?»

Con un'alzata di spalle mi liquida in un secondo. «Perché fino ad ora è sempre stato l'unico modo per ottenere una reazione da parte tua. E poi perché lo fai anche tu con me.»

«Sarà sempre così? Tu che tiri a destra ed io a sinistra?»

Abbozza un sorriso. «Probabilmente sì.»

«Siamo due stupidi allora» sostengo, ma lei scuote la testa con convinzione.

«Non siamo stupidi, è solo che io e te siamo uguali. Un'anima combattiva divisa in due metà distinte che si sono trovate.»

E tra le gocce della pioggia mi rendo conto che forse le sue parole non sono così lontane dalla verità. Ci sfidiamo con gli occhi, ci sotterriamo a parole, eppure alla fine ci siamo sempre ritrovati uno di fronte all'altra a tirare insieme le somme dei nostri sbagli.

Non me ne ero mai accorto prima, ma un passo dopo l'altro abbiamo sempre camminato sullo stesso binario io e lei. Solo che fino ad ora lo avevamo fatto tenendo le mani nelle tasche senza mai stringerle una nella presa dell'altro. 

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