I Ricordi che ho di te

By Christy-Devis

331K 13.8K 2K

-COMPLETA- DOMANDE. RIMPIANTI. CUORI FATTI A PEZZI E DA RICUCIRE. UN SEGRETO CHE IN PASSATO HA DISTRUTTO LUI... More

Prologo
La decisione a voi
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo fuori onda
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15 (prima parte)
Capitolo 16 (prima parte)
Capitolo 16 (seconda parte)
Capitolo 17 (prima parte)
Pagina Instagram e Facebook
Capitolo 17 (seconda parte)
Capitolo 18 (Prima parte)
Capitolo 18 (Seconda parte)
Capitolo 19 (Prima parte)
Capitolo 19 (Seconda parte)
Comunicazione a voi signorine
Capitolo 19 (terza parte)
Capitolo 20
Capitolo 21 (Prima parte)
Capitolo 21 (seconda parte)
Capitolo 21 (terza parte)
ATTENZIONE, IMPORTANTE
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25 (Prima parte)
Novità molto importanti 😁
Capitolo 25 (seconda parte)
Capitolo 26
Capitolo 27 (Prima parte)
Capitolo 27 (seconda parte)
Capitolo 28
Capitolo 29 (Prima parte)
Capitolo 29 (Seconda parte)
30 -Ultimo capitolo-
Epilogo
Piccolo regalino per voi
NON CHIEDERMI DI RESTARE FINALMENTE ONLINE
NON CHIEDERMI DI RESTARE -CARTACEO-
RED SOUL SORPRESINA PER VOI🙈
Ooops... sono tornata😈😈

Capitolo 15 (seconda parte)

5.8K 303 48
By Christy-Devis

La preoccupazione che emana Sonia è talmente tangibile che mi si sta attaccando addosso peggio della colla; serve i tavoli con quel sorriso tirato e finto che anche un bambino di tre anni capirebbe che non è spontaneo. Continua a guardare l'orologio appeso alla parete ogni due, tre minuti, e io lo faccio con lei. Non lo so cos'è che prova una madre in queste situazioni, ma posso giurare che è qualcosa di talmente forte che mi sta facendo diventare quasi totalmente empatica con lei. È normale che i bambini abbiano picchi di febbre, o di raffreddore, o di qualsiasi altra cosa prenda anche agli adulti, non dovrebbe preoccuparsi in questo modo, eppure ogni cosa che ho provato a dirle per rassicurarla non ha funzionato. Annuisce, dice che lo sa, ma non ho mai visto le sue spalle rilassarsi nell'ultima mezz'ora, e io così non ci riesco a lavorare. A forza di guardare quello stramaledetto orologio ho anche sbagliato a portare due ordini ai tavoli.

Quando manca poco più di un quarto d'ora alla fine del suo turno la mia pazienza è praticamente arrivata a zero. E allora scoppio.

«Sonia, vai a casa da tua figlia.»

So perfettamente che non ho tutte le carte in regola per poter impartire ordini, dato che sono l'ultima ruota del carro arrivata, ma qui ne va della mia salute mentale. Scuote la testa con decisione, blaterando qualcosa sul fatto che è già tanto che non deve tornare più tardi per le pulizie, e io, nel frattempo, nemmeno l'ascolto.

Queste ultime due ore di lavoro vorrei godermele in pace e senza gli attacchi di ansia che mi sta facendo venire. Mi sono stufata di guardare l'orologio aspettando che arrivi l'ora che lei se ne vada e mi sono stancata di provare a sorridere ai clienti che la guardano in modo strano non appena lei si volta di spalle. Chi non la conosce sta pensando che non sappia fare il suo lavoro, ma si sbagliano tutti e la cosa mi dà sui nervi.

Prima di dirlo a lei ho chiesto a Phill, tra una corsa ad un tavolo ed un altro, se potevamo rimandarla a casa in anticipo. I tavoli pieni sono solo otto e per di più sono tutti serviti, quindi lei non è indispensabile al momento. Preferisco giostrarmi le cose da sola piuttosto che vederla qui dentro un minuto di più e, quando finalmente riesco a convincerla, l'abbraccio che mi riserva e quel grazie sussurrato all'orecchio mi fanno sentire bene per la prima volta da quando mi sono svegliata stamattina.

Corre verso la porta con la borsa che saltella ovunque e il giubbotto rosa agganciato al braccio; è talmente tanta la voglia che ha di vedere la sua bambina che non ha nemmeno perso tempo ad infilarselo, nonostante fuori faccia un freddo glaciale.

«Hai fatto una buona azione, chica. Mi piacciono le persone come te» annuncia Ricky, saltato fuori Dio solo sa da dove.

«Intendi le persone altruiste?»

«Questa è una parola che non conosco» sostiene sorridendo, e mi viene il dubbio che mi stia deliberatamente prendendo in giro. Come fa a non conoscere una parola facile e scontata come questa dopo tre anni che è qui? Quando glielo chiedo il dipinto della malizia gli si colora sulla faccia.

«Ho avuto altro di meglio da imparare che l'intero dizionario inglese, Emory. Tipo i vari argomenti da usare per rimorchiare una ragazza.»

Non so se mi faccia più ridere il ghigno convinto che ha stampato sulle labbra oppure la semplicità e leggerezza del modo in cui lo dice. Mi piace questa parte di lui, quella in cui parla fregandosene del giudizio degli altri, perché è così che si vive al meglio la vita. Presenti te stesso al mondo intero esattamente come sei, senza farti mille problemi pensando e ripensando se puoi piacere alla gente oppure no.

Mi ci rivedo in questo comportamento, forse è per questo che vado così tanto d'accordo con lui, e scopro presto che lavorare fianco a fianco con Ricky è molto meglio che lavorare con il silenzio che mantiene sempre Mayson. Ultimamente è Ricky che si occupa della cucina con Bob, ma Phill ha deciso che mettere un cameriere con un occhio livido a servire ai tavoli non fosse una buona idea, quindi si sono scambiati i ruoli. L'unica cosa che è andata uno schifo sono i tre vassoi che gli sono caduti dalle mani spiaccicandosi a terra, e ogni volta che è successo ho sorriso malignamente alle maledizioni che Phill mandava a Mayson. Se non si fosse presentato in quello stato tutti gli ordini sarebbero arrivati a destinazione sani e salvi, ma lui no, lui deve sempre rompere le regole. Se ci fosse stato Darren al posto del nostro capo non avrebbe mai permesso che Mayson lavorasse in quelle condizioni, nemmeno chiuso in cucina. Conoscendolo l'avrebbe licenziato in tronco per paura del pessimo giudizio della gente. Ma Phill è diverso: manda giù qualsiasi cosa senza mai dire niente. Non urla con i suoi dipendenti, non si incazza se qualcuno arriva in ritardo, e quando oggi ha visto la sua faccia ridotta in quel modo invece di sbraitare si è portato le mani sulla testa e ha iniziato a farneticare che era seriamente preoccupato per lui. Non lo capisco il suo comportamento, né capisco come faccia il locale ad andare avanti così bene senza che lui tenga le redini di tutto ben salde tra le mani, ma di sicuro non mi licenzierei mai da questo posto nemmeno se mi dimezzasse la paga. Un altro capo come Phill, che ti lascia lavorare in santa pace senza la minima ombra di pressioni, sono convinta che non lo troverei da nessun'altra parte.

Ha qualcosa di fin troppo buono quell'uomo per non volergli bene dal primo momento in cui ci parli.

Alle dieci e cinque minuti le luci della sala sono quasi tutte spente. Gli ultimi clienti se ne sono andati circa mezz'ora fa e da allora non è entrato più nessuno. Se lo avessi saputo prima avrei iniziato a pulire tutto in anticipo, così da poter uscire da qui il prima possibile. Non mi pesa fare tardi per il turno extra delle pulizie, anzi, potrebbe sembrare una cosa strana ma a me rilassa passare quella mezz'ora in più a sistemare tutto con la musica di sottofondo, le luci soffuse e la soddisfazione di essere arrivati alla fine di un'altra giornata. Di solito mi lascio trasportare dalla quiete e dalle note che passano alla radio del locale; mi occupo della sala, del retro cassa e dei bagni, mentre Bob si dedica alla sua amata cucina. A parte la prima volta in cui ho visto come funzionava, è con lui che faccio sempre il turno delle pulizie, ma questa sera lo guardo infilarsi a fatica il pesante giubbotto scuro mentre ricorda a Mayson per due volte di fila di non distruggere la sua cucina. È per questo che vorrei uscire di qui anche ora: non sarà con Bob che passerò il resto della serata.

L'ultimo a raggiungere la porta è Ricky, vestito solo con la sua divisa e senza nient'altro addosso. Accanto a lui, Mayson aspetta con le chiavi in mano per chiuderci dentro non appena saremo da soli.

Parlottano tra di loro, e anche se la curiosità di sapere quello che si stanno dicendo è tanta faccio finta di niente mentre impilo le sedie una sopra l'altra per poter avere il pavimento libero. Sono state tante le volte in cui ho passato del tempo con Mayson da sola, quindi dovrei sentirmi calma e rilassata, eppure non è così. Me lo sento dalle spalle in tensione che di rilassato non ho proprio un accidente. Ho provato a non pensarci per tutto il tempo ma non me la sono scordata l'elettricità che ho sentito addosso quando oggi mi stava così vicino, e non mi sono scordata la delusione che ho provato quando ho capito che non stava per baciarmi. Non lo so perché continuo a farmi del male in questo modo, perché sperare nel fatto che lui facesse una mossa del genere è davvero un'aspettativa autolesionistica. Ci ho sbattuto la testa in passato, ci ho sofferto troppo per lui, e anche se continuo a dire che mi ha ucciso quando se n'è andato in fondo so che è stata solo una cosa positiva, perché dopo mesi ci sono riuscita a riprendere in mano la mia vita senza farla girare attorno a lui. Eppure, anche dopo anni, è bastato soltanto rivederlo per ricominciare quel circolo vizioso da cui pensavo di essere uscita.

È questo che mi mette in soggezione alla presenta di Mayson, il sapere che tanto, in un modo o nell'altro, non mi dispiace continuare a giocare al gatto e al topo con lui.

Prima di varcare la soglia dell'uscita sento Ricky chiamare il mio nome. Hanno appena finito di ridere e la cosa mi sta dando ai nervi: dovremmo pulire, non fare conversazione, e io sono la sola che si è portata avanti nel lavoro da dieci minuti a questa parte.

«Sabato festeggio il mio compleanno» annuncia sorridendo. «Dopo il lavoro ci aspetta una fantastica nottata al The Hole, quindi non prendere impegni. Posso farti vedere quali sono gli argomenti di punta che mi sono imparato.»

Scoppio a ridere scuotendo la testa non appena finisce di parlare, e lo vedo sparire oltre la porta dopo avermi puntato un dito contro come avvertimento.

Non lo so come faccia ad essere sempre così sorridente, ma ormai ho appurato che avere a che fare con lui metterebbe di buon umore chiunque.

Senza guardarmi, Mayson raggiunge il retro cassa e spegne lo stereo, e tutto il buon umore che mi ha regalato Ricky svanisce nel nulla: odio pulire senza musica, credevo che almeno questo lui se lo ricordasse.

Lo vedo sparire nel ripostiglio avvolto dal buio di quell'angolo giù in fondo, e con un gesto nervoso infilo le mani nella tasca dei jeans e tiro fuori le cuffie. Le tengo con me perché è un modo veloce per poter fare telefonate senza tenere il cellulare incollato all'orecchio. È un'idea che mi ha dato Sonia un paio di settimane fa, e da allora me le tengo in tasca. Che si fottano Mayson e lo stereo, io la musica posso sentirla da qui. Ma non faccio in tempo a collegare le cuffie al cellulare che mi ritrovo ad alzare la testa confusa non appena sento le note di una canzone spargersi tra le mura del locale a volume moderato; credevo lo avesse spento lo stereo, invece mi sbagliavo. Forse, ultimamente, gli do troppo addosso per colpe che nemmeno ha. Con un leggero sorriso sulle labbra, sottovoce canto dietro ad ogni canzone che parte mentre passo la scopa e lavo per terra, mentre metto in ordine le fatture di Phill e sistemo il bagno riservato ai clienti.

Ero convinta che mi sarei lasciata sopraffare dall'ansia a passare la serata incastrata qui dentro con lui, ma mi sbagliavo. Non ci siamo quasi incrociati, non ci siamo proprio parlati, e me la sono presa lo stesso questa mezz'ora di relax.

Quano ho finito tutto quello che spettava a me, affacciandomi alla cucina lo vedo piegato sopra il lavandino intento a togliersi i guanti. Su quel nero non si vede niente, ma le sue mani sono quasi completamente sporche di sangue. Le mette sotto l'acqua gelida e lo osservo mentre stringe la mascella in un gesto quasi innaturale; non lo so che cazzo abbia combinato ieri sera, ma capisco che quelle ferite gli bruciano di brutto.

È un riflesso incondizionato il mio, quello di stringere le mie mani al lato dello stipite della porta; non ho problemi a vedere il sangue, non l'ho mai avuto, quello che mi fa irrigidire i muscoli è solo vedere di nuovo le sue grandi mani ridotte a quel modo, e non dovrei farlo, non dovrebbe fregarmene assolutamente niente, ma io non ce la faccio a restare in disparte.

Prendo un paio di fogli di carta morbida e glieli passo, incapace di voltare gli occhi altrove se non sulle sue dita. È da sopra le nocche che è uscito tutto quel sangue, lo capisco perché è l'unica parte che ha la pelle aperta e sbucciata.

«Vatti a sedere in sala. Prendo il kit e ti do una mano a medicarle.»

Si volta mentre si asciuga come se volesse nascondersi da me, ma tanto ormai ho visto tutto quindi i suoi gesti sono totalmente inutili.

«Faccio da solo. Se hai finito puoi anche andare a casa.»

«Smettila di rompere le palle, Mayson» sbotto alzando gli occhi al cielo. «Non hai una sola mano da medicarti ma tutt'e due.»

Il sospiro che gli esce dalla bocca sembra più un ringhio nascosto e si sente nonostante la musica continui a suonare, ma alla fine ci esce da questa dannata cucina e io ho la mia piccola vittoria.

Quando lo raggiungo, le note di Photograph partono a volume leggermente più alto. Non so se è un difetto della canzone o se sia stato lui ad alzarlo prima di mettersi seduto su un tavolo, ma non mi dispiace affatto.

Questa è una delle mie canzoni preferite.

C'è un pezzo che dice che l'amore è l'unica cosa che ci fa sentire vivi, e ha ragione da vendere perché è la pura verità.

Che diavolo sarebbe il mondo senza l'amore, senza quel battito accelerato che si sente quando le mani di chi ami ti sfiorano la pelle?

Non la puoi sentire la vita, quella vera, quella che ti invade le ossa e ti fa venire voglia di respirare fino all'ultimo granello d'aria, se non hai l'amore a cui aggrapparti. Perché è vero quando dicono che l'amore ci salva. Ci salva dai brutti pensieri, ci salva dalla noia e dalla solitudine.

L'amore, per come la vedo io, è l'unica cosa che ci salva da noi stessi.

Poggio accanto a lui la scatola del kit di pronto soccorso, accorgendomi che le nostre facce sono alla stessa altezza. Per non essermi d'intralcio si rigira la visiera del cappellino al contrario, e vorrei fermarmi ad osservare quel taglio e quella cicatrice adesso che gli sono così vicino, ma sono costretta ad abbassarlo lo sguardo. Per quanto io ci provi, non ce la faccio a reggere i suoi occhi nei miei per più di tre secondi.

Cerco di distrarmi imbevendo il più possibile le piccole garze bianche, e aspetto che lui stacchi almeno una mano da sopra la sua gamba per alzarla verso di me.

Ma non lo fa.

Non lo so se non le muove perché gli fanno troppo male, eppure dubito che sia per questo: fino ad ora ha lavorato senza problemi, quindi tutto questo assurdo dolore non può essere scoppiato così di botto. E nel semplice gesto di sfiorargli la coscia mentre gli prendo la mano, mi ritrovo a sentirlo battere più forte il cuore.

Sarà il fatto di averlo così vicino, o forse il fatto che riesco a distinguere il suo profumo dalla puzza di frittura che si è attaccata ai suoi vestiti, ma sfiorarlo in questo modo mi ha scosso qualcosa e sentire la sua mano calda nella mia mi dà un effetto talmente strano che seppur provandoci non ce la faccio a controllare questi stupidi battiti.

Se ci penso attentamente nemmeno me la ricordo l'ultima volta in cui le nostre mani si sono toccate.

Non appena la garza imbevuta tocca la ferita aperta alzo la testa di colpo perché lo sento tirare aria tra i denti. Lo sguardo è talmente nervoso che mi ricorda quello di un animale che sta per attaccare la sua preda.

Io, però, non sono la preda di nessuno, quindi sorrido malignamente.

«Sono contenta che ti fa male. Forse imparerai una buona volta ad evitare le risse invece di farle scoppiare.»

Dopo qualche secondo in cui resta immobile, lo vedo annuire lentamente con la coda dell'occhio.

«Forse hai ragione» concorda. «O forse, magari, la rissa è scoppiata solo perché ho portato la mia ragazza a ballare e qualcun altro ci ha provato con lei» aggiunge subito dopo con un'alzata di spalle. «Non hai mai pensato a questa soluzione alternativa?»

Se stesse sorridendo lo prenderei come un segno di sfida il suo, ma la verità è che non sta sorridendo affatto.

In effetti non ci ho mai pensato a questa soluzione alternativa, e nemmeno glielo dico perché poi dovrei spiegargli come mai la mia mente ha scartato questa opzione senza nemmeno prenderla in considerazione. C'è sempre stata una piccola donnina verde, accampata sulla mia spalla, che si chiama Gelosia, e se solo avessi preso in considerazione l'idea che lui abbia una ragazza sono sicura che quella piccola donnina mi logorerebbe l'anima fino a farmi scoppiare.

E poi lui non è mai stato il tipo da prendersi una ragazza e tenersela stretta.

Mentre continuo a disinfettargli le ferite penso ad un modo per uscire da questa conversazione. Ce le avrei anche le palle per affrontarla, ma la verità è che preferisco non sapere.

«Non ti facevo un tipo da Ed Sheeran» gli dico, mentre il ritornello risuona tra le mura. «Questa è una delle mie canzoni preferite.»

Passo all'altra mano mentre lui fa scena muta. Continua a guardarmi, e io continuo a lottare per non guardare lui.

«Mi piace la parte in cui dice che l'amore è l'unica cosa che ci fa sentire vivi» continuo, e non lo so perché cazzo sto continuando a parlare di queste cose con lui, ma non riesco a fermarmi. «Tu ce l'hai una parte preferita?»

Finalmente rilasso le spalle quando sposta lo sguardo altrove. Se non mi guarda mi sento quasi libera di respirare pur standogli così vicino.

«L'unica cosa che mi piace di lui è che quando canta, canta il vero della vita» risponde, e ha ragione. Mi ci sono trovata spesso nelle frasi delle sue canzoni, ecco perché adoro ascoltarlo.

Quando finisco con le mani, il mio gesto di avvicinarmi a lui esce spontaneo. Cerco di non pensare al fatto che sono praticamente tra le sue gambe, e con il dito indice gli spalmo un po' di crema sotto l'occhio.

E a questo punto guardarlo è inevitabile.

La linea del suoi occhi che mi fissano leggermente socchiusi, il piccolo neo che ha sopra la cicatrice che gli scorre quasi fino all'attaccatura dei capelli, le labbra piene, semiaperte, che mi sembra quasi che mi stiano chiamando a loro.

Maledizione.

Mangio giù a vuoto, cercando di tenere ferme le mani e di non farle tremare. Almeno loro devono stare ferme, perché a tremare ci sta pensando tutto il resto del mio stupido corpo.

«Come te la sei fatta questa cicatrice?» chiedo, e vorrei che dalla mia bocca fossero uscite parole normali e non sussurrate a questo modo.

«Non mi va di parlarne.»

«Posso toccarla?»

«Non credo sia una buona idea» suppone, ma io lo sto già facendo, la sto già accarezzando questa piccola linea di pelle rialzata, e non lo so da dove è partito, ma una volta finito con lei il mio dito si sposta sul resto del viso, accarezzando lo zigomo, il mento, fino a delineare le sue labbra.

Chiude gli occhi, e vorrei farlo anche io quando sento la sua mano posarsi sul mio fianco e stringere appena. Tra i passanti della cinta e l'orlo della mia maglietta c'è un piccolo spazio di pelle che lui sta toccando. Un minuscolo contatto e tutto il passato, la sofferenza e la rabbia vanno a puttane.

Perché nessuno lo dice mai, ma le emozioni forti, quelle vere, quelle belle, le bruciano subito le emozioni che pensi che ti abbiano distrutto.

Mi avvicino alle sue labbra, perché altro non riesco a fare, e ci sono quasi a toccarle come vorrei ma la sua voce blocca tutto ciò che di bello sta per succedere.

«Ti prego» sussurra. «Non toccarmi così.»

Il respiro trema, e mi accorgo che come il suo trema anche il mio. Quando apre gli occhi non ci riesco a capire cos'è quel lampo che ci sta passando dentro, ma è qualcosa che mi fa stare male senza un valido motivo.

Mi tiro indietro, anche se di poco, e lo vedo fissare il punto dove la sua mano è ancora appoggiata. La maglia si è alzata di un paio di centimetri scoprendo il tatuaggio di una pennellata rossa con un pezzo di puzzle all'interno.

Lo fissa senza staccare lo sguardo, e rompendo ogni contatto fisico con lui mi abbasso la maglietta e mi allontano per chiudere il kit.

«L'ho fatto da ubriaca. Non mi ricordo nemmeno chi è che mi ha tatuata» borbotto anche se non ha chiesto niente, perché questo silenzio mi sta snervando.

Lo sento pronunciare il mio nome, ma non glielo chiedo nemmeno cos'è che vuole da me. È la seconda volta nella giornata che mi fa salire in cima alla montagna e poi mi butta già.

Adesso le cose devono cambiare.

«Qui è tutto pulito. Andiamo?»

Prendo il giubbotto che ho posato prima su uno dei tavoli e mi dirigo verso la porta aspettando che si alzi anche lui. Non mi giro, né lo guardo. Voglio solo andarmene da questo posto, e che io sia dannata se questa volta sarà lui il primo a tagliare la corda dopo esserci avvicinati così tanto.

'Fanculo Mayson Cole.

Sdraiata sul letto, un'ora più tardi, mi giro e mi rigiro in continuazione tra le coperte. Sono già tre volte che controllo fuori dalla finestra come una cazzo di Stolker, e costatare che la sua macchina non è ancora parcheggiata mi manda fuori di testa. Mi chiedo dove sia, e soprattutto con chi sia, e la piccola donnina verde sulla mia spalla si agita al solo pensiero che lui non stesse mentendo quando parlava di una ragazza.

Dirmi che non dovrebbe importarmene un bel niente è inutile, perché tanto il nervoso addosso me lo sento lo stesso.

L'illuminarsi del cellulare sopra il comodino mi distoglie dai mille pensieri negativi, e non appena sulla schermata appare un messaggio di un numero che non conosco mi metto seduta. Non lo so perché il cuore trema a questo modo mentre apro il messaggio, eppure lo fa.

"Manteniamo il nostro amore in una fotografia.

Creiamo questi ricordi per noi stessi.

Dove i nostri occhi non sono mai chiusi

I cuori non sono mai spezzati

E il tempo si congela.

Questa è la parte che preferisco di quella canzone, Emy."

Qualcosa mi si smuove dentro quando finisco di leggere questo messaggio per l'ennesima volta.

La sensazione che dovrei stargli lontana è forte, e me lo ripeto per tutta la maledetta notte che è l'unica cosa che dovrei fare per cercare di mantenere in piedi la mia vita, ma la mente è un organo stupido, questo è quello che ho capito con certezza.

Dicono che è il cuore che non puoi comandare, ma secondo me nessuno ha capito che mente e cuore sono due cose totalmente collegate tra di loro. Perché quando cerchi di convincere la mente che ciò che pensa o che vuole fare è sbagliato, il cuore si agita, batte più forte del normale, e alla mente glielo sussurra nel sangue che scorre tra le vene che sta sbagliando direzione.

E anche se la mente continua a percorrere la sua strada, in fondo lo sa che il cuore ha ragione.

Continue Reading

You'll Also Like

7.2K 412 40
Awed e Ilaria, sua sorella, tornano a casa dopo l'ennesimo spettacolo di esperienze D.M a cui l'aria aveva assistito... Arrivati sulla porta di casa...
263K 9.9K 42
Emma è all'ultimo anno di liceo, nella città che odia più di tutto. Questa città le ha portato via ciò che aveva di più caro. Questa città l'ha port...
1.1M 30.9K 93
Kimberly Morgan è una ragazza gentile, simpatica, testarda come poche, e a dir poco bella. Suo fratello ritenendola troppo innocente per la vita crud...
623K 20.8K 44
Bianca non ha mai davvero messo alla prova se stessa. È sempre stata protetta dalla sua famiglia e l'unica persona con cui si sia mai davvero scontra...