๐๐ฎ๐ซ๐ง๐ข๐ง๐  ๐‡๐ž๐š๐ซ๐ญ๐ฌ [...

By IvyFirefly

135K 3.7K 622

๐Ÿ”ด 1โ€ข libro di ๐‡๐ž๐š๐ซ๐ญ๐ฌ'๐’๐ž๐ซ๐ข๐ž๐ฌ ๊จ„ "Lei non era matta, era una creatura fatta in un momento in cui Di... More

โ€ผ๏ธTฬถrฬถiฬถgฬถgฬถeฬถrฬถ ฬถWฬถaฬถrฬถnฬถiฬถnฬถgฬถโ€ผ๏ธ
๐Ÿ…ฃ๐Ÿ…ก๐Ÿ…ž๐Ÿ…Ÿ๐Ÿ…”๐Ÿ…ข
๐™ฒ๐šŠ๐šœ๐š๐ŸŽญ
๐™ฒ๐šŠ๐šœ๐š ๐š™๐š. ๐Ÿธ๐ŸŽญ
๐“Ÿ๐“ต๐“ช๐”‚๐“ต๐“ฒ๐“ผ๐“ฝ๐ŸŽถ
๐”ธ๐•ž๐•“๐•š๐•–๐•Ÿ๐•ฅ๐•’๐•ซ๐•š๐• ๐•Ÿ๐•š
๐’Ÿโ„ฏ๐’น๐’พ๐’ธ๐’ถโ™ก๏ธŽ
๐”“๐”ฏ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ๐”ค๐”ฌ
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 1
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 2
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 3
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 4
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 5
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 6
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 7
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 8
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 9
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 10
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 11
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 12
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 13
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ’ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ’ (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ“ (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ“ (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ” (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ” (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 17
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ– (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ– (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 19
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 20
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 22
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 23
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ’ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ’ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ“ (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ“ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ” (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ” (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ• (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ๐Ÿ• (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 28
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 29
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 30
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 31
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 32
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 33
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 34
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 35
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 36
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 37
๐’ž๐’ถ๐“…๐’พ๐“‰โ„ด๐“โ„ด โ„ฌโ„ด๐“ƒ๐“Š๐“ˆโœจ
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 38
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 39
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 40
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ (๐ฉ๐ญ. ๐Ÿ)
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 42
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ‘ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ‘ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ’ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ’ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ“ (๐๐ญ.๐Ÿ)
๐‚๐š๐ฉ๐ข๐ญ๐จ๐ฅ๐จ ๐Ÿ’๐Ÿ“ (๐ฉ๐ญ.๐Ÿ)
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 46
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 47
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 49
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 50
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 51
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 52
โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 53
๐’ฎ๐’ธโ„ฏ๐“ƒ๐’ถ โ„ฌโ„ด๐“ƒ๐“Š๐“ˆ โœจ

โ„ญ๐”ž๐”ญ๐”ฆ๐”ฑ๐”ฌ๐”ฉ๐”ฌ 48

954 36 2
By IvyFirefly

𝐑𝐄𝐀𝐃𝐘 𝐅𝐎𝐑 𝐓𝐇𝐄 𝐒𝐇𝐎𝐖?

✨𝐏𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐍𝐨𝐭𝐚✨
Vi consiglio di riprendere gli ultimi dialoghi presenti nel capitolo precedente al fine di non perdere il filo del discorso.
Detto ciò, vi auguro una
buona lettura.

𝐄𝐑𝐈𝐂𝐀

"Io sono il frutto di quello che mi è stato fatto,
è il principio fondamentale dell'universo,
ad ogni azione corrisponde una
reazione uguale contraria."
V Per VENDETTA

<<E credi che così facendo mi fermerai; che non proverò a rifare quello che ho fatto oggi?>> ribattei, attingendo a tutta la mia determinazione.

Lo fissai dritto negli occhi. L'ambra delle sue iridi sfavillava stagliandosi nella luce cerulea di quell'inquietante edificio in rovina in mezzo al nulla, e per assurdo mi chiesi se non fosse un'orribile allegoria della nostra relazione. Era piena di crepe e di squarci, di sangue e pezzi rotti che chissà se erano davvero destinati a incastrarsi insieme. Se noi potevamo incastrarci.

Per il momento resistevamo contro le intemperie, proprio come quel capannone.
Resistevamo in attesa di giorni migliori, di lasciarci un passato tormentato alle spalle e di abbracciare un futuro promettente.
Resistevamo per stare insieme, anche se per farlo, a volte, più che contro il mondo e le sue insidie, dovevamo scontrarci l'uno contro l'altro per abbattere i muri e sradicare il filo spinato intorno al cuore che con gli anni avevamo erto intorno nella consapevolezza che queste ci avrebbero resi invincibili.

E in qualche modo era stato davvero così, ma poi avevo scoperto la bellezza e il potere che derivavano dall'unione di due esseri dai cuori in fiamme. Lui me l'aveva fatta scoprire, che fosse cosciente o meno di questo. E da allora appetivo quel potere e quell'unione inossidabili. Avrei fatto qualsiasi cosa per ottenerli. Avrei sfidato tutto e tutti, persino lui. Avrei fatto breccia nella pietra e con quella stessa pietra avrei edificato una barriera che questa volta ci avrebbe attorniati entrambi e protetti. Ne ero convinta e quella convinzione era proprio frutto di quell'assaggio di potere generato dall'insieme.

<<Lo rifarei. Farei questo e altro.>>

<<Ne sono certo>> mi diede manforte con un tono strafottente che alimentò il fuoco dentro di me, e non era quello proveniente dai miei polmoni costretti o dal mio cuore agitato. Era più...viscerale, quasi provenisse dall'anima. 

Frustrazione, rabbia e disappunto ottenebravano la mia vista e la mia ragione. La cosa più saggia sarebbe stata chiudere lì la conversazione che sembrava essere giunta a un punto morto, prendere e andarsene e poi trovare un modo alternativo di raggiungere l'obbiettivo. Ma come ho già detto, la rabbia aveva annebbiato la logica. E poi, io non ero una che la seguivo molto. Anzi, spingevo per andare sempre più in là e superare i confini, rischiando parecchio. 

<<Ti odio>> sputai.

Il suo sorriso si allargò e il calore nel suo sguardo divenne più intenso, equiparando il vigore di quel fuoco che ardeva tra le ossa e i filamenti della carne.

<<Sono certo anche di questo.>>

Sentii i muscoli facciali accartocciarsi per l'ira e le mie unghie scavare dei lunghi solchi sulla sua pelle tonica e calda. Tutto di lui lo era: il suo corpo, lo sguardo, persino quel suo maledetto sorriso che, nonostante mi facesse infuriare, non avrei mai voluto vederglielo strappato via da nessuno, non davvero, e soprattutto non da me. 

<<Non ti dispiacerà allora se lo rimarco.>>

<<Se questo ti consola, fai pure.>>

<<Mi consolerebbe di più ammazzarti.>> 

<<Ne dubito. Non avresti più nessuno con cui sfoderare gli artigli, piccola iena.>>

Argh. <<Ti odio!>> 

<<Questo l'hai già detto.>>

<<E te lo dirò per il resto dei miei giorni.>> 

Emise una risatina lugubre che mi fece rizzare le punte dei capelli. <<È una promessa?>>

<<Vaffanculo!>> Mi dimenai, ma non ottenni altro che un sorriso ancora più amplio e una luce divertita che mi ritemprava, schermandomi dagli spifferi d'aria gelida. Ma perché sorrideva poi? Che fosse anche bipolare oltre che un maniaco del controllo? Perché un minuto fa aveva avuto tutta l'aria di farmi fuori e adesso...La sua mano era ancora lì, un guanto di seta che avvolgeva il collo, limitando il mio sbracciarsi da bambina isterica. Peccato che non impedisse egualmente al cratere che avevo nel petto di espandersi. Era ancora lì, il vuoto, il freddo, e faceva dannatamente male. Si era aperto da quando avevo scoperto della madre e da allora non ero più stata in grado di chiuderlo. Le immagini di quello che doveva aver passato si affastellavano nella mia mente e mi straziavano. Sapevo che aveva avuto un passato difficile, immaginavo che stesse soffrendo per qualcosa, come ogni essere umano sulla terra, d'altronde, ma non avrei mai paventato quello. Non quello. Non che il suo passato si intrecciasse al mio. Alla fine, eravamo più legati di quanto avrei mai potuto aspettarmi e l'idea di gettare altra carne al fuoco, di alimentare la sua sofferenza mi annientava. 

Volevo aiutarlo. 
Volevo essere la persona di cui in quegli anni avevo avuto disperatamente bisogno. 
Volevo che andasse avanti per quanto possibile. E se per farlo mi sarei dovuta macchiare le mani di sangue, fanculo, le avrei macchiate senza esitare.

Invece di concentrarmi su di me e i miei problemi, che erano parecchi, pensavo a lui. E questo cosa diceva di me? Proprio non lo sapevo. Forse che ero un'ipocrita, visto la mia vita incasinata e il fatto che la stavo occultando in attesa di imparare a sfoderare le giuste armi per affrontarla, oppure che a muovermi era una devozione a tratti malata nei confronti di una persona che il mondo avrebbe etichettato come psicopatica e immeritevole del mio amore. Persino quel lato di me egoistico me lo urlava in faccia, ma io continuavo deliberatamente a ignorarla, a strozzarla con le mie mani proprio come stava facendo lui con me.

<<Se ci vieni con me, volentieri>> scherzò.

I miei occhi cominciarono a pizzicare. Cristo. Ma cosa cazzo mi stava succedendo? Da quando l'avevo incontrato non mi riconoscevo più. Quella non ero più io. E non sapevo a chi dare la colpa, nemmeno decidermi se l'amore indebolisse o rafforzasse la persona.

Intuendo che il gioco era finito, Enrico si fece serio. 

<<Perché vuoi immischiarti?>>

<<Perché?!>> eruppi, incredula. <<Mi stai davvero chiedendo il perché?!>>

Lui non rispose, limitandosi a sostenere il contatto visivo tra noi. Agguantai quindi la sua mano e non so come la mia testa scattò in avanti, staccandosi di qualche centimetro dalla parete sulla quale mi aveva inchiodata. Poi strinsi forte il suo polso percependo le pulsazioni del suo cuore sul palmo freddo della mano e il tepore della sua pelle. 

<<Perché voglio aiutarti, razza di idiota!>> sbraitai e la mia voce riverberò in tutto l'edificio e nelle mie ossa. <<Perché ti amo! E non hai la vaga idea di quanto questo mi stia uccidendo!>> 

Le sue sopracciglia si issarono e lo sbigottimento modellò i lineamenti del suo volto armonico. La presa intorno alla gola si allentò del tutto, liberandomi.  Ogni muscolo del suo corpo era ora rigido come il marmo. Era come se si fosse pietrificato e non negherò che la cosa mi avesse arrecato una certa soddisfazione. Significava che stava cominciando a capire.

<<Proprio così. Mi uccide il pensiero di quello che hai passato e mi uccide che tu stia tuttora soffrendo o di come le cose possano andare storte. Semplicemente. Mi. Uccide.>>

E bastò quello perché la diga scoppiasse. Quella confessione che non avevo avuto nemmeno il coraggio di ammettere con me stessa, perché se esisteva davvero qualcosa che andava oltre l'amore era quello che provavo per lui. Era potente e terribilmente superbo. Mi infiammava le viscere.
Era una bestia che mi divorava corpo e anima.
Una benedizione e al contempo la peggiore delle maledizioni. Una forza titanica che non ero pienamente convinta di saper gestire.

Tirai su col naso e le lacrime che orlavano i miei occhi sgorgarono lentamente. <<Come vedi, vorrei farmi i fatti miei, ma non ci riesco. E lo odio. Perché fino a ieri ero brava a farmeli. Più che brava. Non me ne fregava un cazzo di niente e di nessuno, vivevo la mia vita, ora non più. Ora mi sembra di vivere per due persone. Mi sembra di vivere anche per te. E di fatto è così. Se vivo è anche per te. E perché questo>> indicai me e lui, quel filo scintillante che congiungeva me e lui e del quale non avevo voluto sapere di riconoscere come vero <<continui a esistere con noi. Forse, è una motivazione sbagliata. Anzi, sono sicura che il mondo dirà che è una motivazione insufficiente, e odio anche questo. Odio come mi fa sentire. Odio il fatto che non lo sappia gestire. Odio che tu->>

Venni privata della possibilità di continuare.
Le sue mani presero in ostaggio il mio viso mentre le sue labbra si facevano strada trovando le mie. La loro morbidezza, il suo sapore di menta e tabacco mi travolsero completamente. L'elettricità sbocciò come un fiore tra le macerie e si diramò, accendendomi di vita. Il cuore si gonfiò sfidando la resistenza delle costole che lo contenevano e il fuoco si accompagnò alle scintille di energia, serpeggiando lungo le braccia e le gambe, per poi annidarsi nello stomaco.

Ansimando, tuffai le dita nei suoi capelli e lo plasmai a me. Schiacciata tra lui e il muro, rincorsi la sua lingua mentre le lacrime continuavano a scivolare via e a bagnare il suo viso e il mio. Le sue mani scesero e si aggrapparono ai miei fianchi, soverchiate dal cappotto sbottonato. La ruvidezza delle sue dita si impresse sulla pelle e nella mia memoria. Il desiderio di schizzare fuori da tutti quegli indumenti ingombranti e dalla mia stessa pelle mi indusse a ricambiare e a lasciar scorrere le dita lungo la sua schiena e godermi la sensazione dei muscoli caldi che si tendevano sotto ai polpastrelli. 

Lo sentii subito rabbrividire, probabilmente per il freddo che li lambiva. Purtroppo, quella di avere le mani calde non era una delle mie qualità. Erano perennemente fredde. Fortuna che non lo fossero altrettanto i piedi. Almeno quello.

Un gemito proveniente dal suo petto rimbombò tra noi. I suoi denti morsicchiarono il mio labbro inferiore e lo tirarono, strappando a me un gemito questa volta, uno sottile e disperato di ricevere di più.

<<Tu>> ringhiò. <<Mi fai impazzire, cazzo.>> La ruvidezza della sua voce acuì il piacevole dolore suscitato dalle pulsazioni di quel misero bottoncino capace di estirpare ogni pensiero coeso, ogni parola, perfino l'abilità di respirare facendo della mia mente un prato scevro da quello che considerava erbacce che avrebbero potuto deturparlo. Il nulla si impossessò di me, un nulla confortevole dove potevo abbandonarmi e dimenticare ogni cosa. In quel momento tutto era superfluo, niente aveva importanza, tranne la fiumana di emozioni che effluiva da ogni parte della mia persona e la cruda depravazione che animava i suoi occhi. <<Temi che possa compromettermi, ma siete tu e quella tua maledetta lingua a mettermi nei guai. Mi fate perdere ogni freno.>> 

<<Mi dispiace>> boccheggiai tra un bacio e l'altro. Le mie anche si impennarono per scontrarsi con le sue. La sua erezione dura e rovente batteva contro la mia intimità, mentre le sue dita riprendevano a scendere.

<<Ti dispiace, eh?>> mi stuzzicò con un timbro di voce canzonatorio, mentre le sue dita armeggiavano con i bottoni dei miei jeans scuri. Non mi credeva, nemmeno io. Allentato anche l'ultimo, abbassai la testa e lo vidi inginocchiarsi, togliermi uno stivaletto e poi l'altro insieme ai calzini.

Intrappolando il labbro tra i denti, lo aiutai a sfilarmi i jeans. <<Sì.>>

L'aria fredda si insinuò tra il pizzo delle mie mutandine. Il mio corpo, nudo dalla vita in giù, iniziò a fremere, il cuore ad accelerare. La pelle del capotto frusciava contro le cosce e schermava il mio didietro dalla parete in cemento, aggiungendo ai brividi una fredda e solleticante sensazione che anestetizzò del tutto la coscienza. 

<<Voglio sentirlo>> disse e un secondo dopo il rumore del pizzo pregno dei miei umori che si stracciava echeggiò insieme alla sua voce. Sussultai. Rispetto alle altre volte, non domandò scusa, del resto il suo modo di scusarsi era quello di sorprendermi facendo recapitare qualche pacco tramite Mister Fusto, il che mi andava bene.

Lo vidi portarsele alle narici e inalare deliziato il mio odore, gli occhi diretti nei miei, e mancò poco che mi trovassi in ginocchio di fronte a lui. 

L'impazienza andò a braccetto con il languore. Nemmeno vidi che fine fecero le mie mutandine. Ricordavo solo che un secondo prima erano appallottolate tra le sue dita e il secondo dopo erano sparite, le mie gambe appena più allargate.

<<Voglio sentire quanto ti dispiace.>> La sua bocca si posò sul mio sesso glabro e ne addentò dolcemente il rigonfiamento caldo e umettato. Inarcai la schiena e mugolai per la sorpresa e per il lieve bruciore conseguente ai segni lasciati dai suoi denti. Come minimo ci avrei trovato un piccolo livido. 

Prima ancora di capire che mi trovavo sul punto di crollare, le mie mani corsero a cercare un appiglio grazie al quale sostenere le mie ginocchia cedevoli. Strizzai gli occhi, la mia bocca si dischiuse e un altro gemito tremante fluttuò nell'aria nel momento in cui la sua lingua strisciò lungo la fessura della mia fica.

Improvvisamente infiacchita, lasciai ricadere indietro la testa. Con le palpebre a mezz'asta, accolsi ogni stoccata languida come una grazia divina. Le terminazioni nervose rispondevano alla sua lingua e alla sua bocca, che succhiava avidamente la mia essenza; luccicavano nell'oscurità proprio come le secrezioni che si riversavano sulle sue labbra carnose e sul dorso del naso. Il ghiaccio ammantava il corpo, ma il fuoco lo incendiava dall'interno, mandando il mio cervello in cortocircuito.

<<Oddio.>>

<<Proprio così, piccola. Dimostrami quanto ti dispiace davvero.>> 

Figlio di-

Aveva appena cominciato ad alternare la lingua ai denti e io non sembravo essere capace di resistere ulteriormente. La tensione alla base della spina dorsale era insostenibile. Stronzo era stronzo, ma uno stronzo che sapeva dannatamente come cazzo si usava la lingua. La sentivo volteggiare intorno al clitoride pulsante, le sue labbra premerci sopra e succhiarlo, facendomi quasi venire un infarto per il piacere. Le mie dita ghermivano la sua nuca come meglio potevano, ma non era più sufficiente. Stavo per sgretolarmi e franare. L'orgasmo era una palla di energia nervosa insediatosi nella bocca dello stomaco e premeva dolorosamente per uscire e aiutarlo a distruggermi. Il resto dei vestiti adesso mi calzavano stretti. Il calore cresceva e cresceva dalle profondità del mio essere, risalendo al viso attraverso il sangue. Lo sentivo. Bolliva e fumava all'interno delle vene che si diramavano sotto agli strati di carne, di tendini e di ossa. I miei polmoni si riempivano di ossigeno, eppure quello stesso calore lo consumava ancor prima che questo venisse incamerato. Ciò nonostante, il petto saliva e scendeva, i seni inturgiditi sfidavano l'elasticità delle coppe del reggiseno, la mia fica piangeva direttamente sopra la sua faccia e la mia bocca rilasciava lunghi e sonori gemiti alternandoli a grida estatiche. Gli occhi mi si stondarono e si riempirono di lacrime di piacere trattenuto.

<<Enrico...Oh, cazzo. Non-non ce la faccio più.>>

<<Di già?>> mi sfotté. <<Vuoi venire?>>

<<S-sì.>>

<<E se fossi io a non volerlo?>> 

<<C-cosa?>> Non voleva forse mandarmi fuori di testa come l'ultima volta? 

Un altro morso, questa volta meno dolce, un'altra leccata e per me fu la fine.

<<No-non mi importa.>> E nell'istante in cui stavo per dare concretezza alle mie parole e sbrigliare l'orgasmo, lui smise di fare quello che stava facendo e tornò in piedi di fronte a me.

Emisi un verso inappagato. La collera stava per prendere il sopravvento su di me. Aprii la bocca per riempirlo di insulti, ma ancora una volta lui fu più veloce e ci sputò dentro. Sbalordita, lo guardai a occhi sgranati, mandando giù i miei stessi umori mesciuti al suo sapore. 

<<Dicevi?>>

Non replicai, troppo sconvolta per farlo. Ma non era solo quello. Un piacere sordido stava compensando l'insoddisfazione. Lo stesso piacere che avevo imparato a trarre dalla denigrazione e dalla sensazione di impotenza che provavo quando mi ritrovavo limitata nei movimenti, sculacciata o, come in quel caso, privata della possibilità di venire. 

Si passò la lingua sulle labbra, ripulendosi dal resto dei miei umori senza distaccare gli occhi dai miei. 

<<Stavi per dire che mi odi ancora, non è vero?>> tirò a indovinare. <<Prevedibile.>> 

Senza indugiare, lo colsi di sorpresa e lo afferrai per la maglia. Le mie labbra schiantarono sulle sue e la danza riprese da dove si era interrotta. Le mie mani risalirono alle sue spalle e gli sfilarono la giacca, che cadde dietro di lui con un tonfo, sollevando un nugolo di polvere, intanto che le sue prendevano nuovamente dimora nei miei fianchi. 

<<Anche questo era prevedibile?>> lo pungolai, non riconoscendo la mia voce. Era bassa e carnale, venata di una ilarità che scaturiva dalla sicurezza e da qualcosa di più profondo. <<Spero proprio di no.>>

Enrico mi scoccò un'occhiata penetrante. <<Se c'è una cosa che ho imparato da quando ti conosco, Diavolessa, è che non lo sei mai stata.>>

Sorrisi. <<Come fai?>>

<<A fare che?>> chiese, apparentemente confuso. 

<<A dire sempre la cosa giusta.>>

Le sue labbra si incresparono di lato. <<Sono un talento naturale, lo sai.>>

Mi scappò uno sbuffo divertito. Il solito pieno di sé. Beh, in fondo era colpa mia che senza volerlo stavo accrescendo il suo ego.

<<Ma tu...>> seguitò. <<Tu sei il mio mondo.>> 

Oh, mio Dio.

<<E questo>> aggiunse, riferendosi al nostro legame <<esisterà per sempre. A prescindere da tutto. Non sei l'unica a vivere per due.>> 

Il mio cuore alla fine scoppiò come un palloncino. 

<<Meglio così allora.>>

Scrollò il capo. <<Non c'è verso con te. Sei proprio una donna di poca fede.>>

Vero.

Non gli concessi di aggiungere altro. Lo attirai di nuovo a me. Lo aiutai a sfilarsi la maglietta, che poi gettai alla cieca, e gli misi le braccia intorno al collo, senza mai smettere di baciarlo, nemmeno per prendere fiato. Le mie mani vagarono libere, saggiarono la tonicità dei muscoli e della pelle abbronzata segnata dall'inchiostro del dolore e dell'amarezza. Era...magnifico.

Posai una mano sul suo bicipite e col pollice accarezzai il serpente attorcigliato intorno ad esso, la cui testa a forma di diamante si fermava in prossimità del pettorale. Anelavo percorrerlo nella sua interezza. Intuendolo, Enrico arretrò abbandonandosi al tocco delle mie dita. Ripercorsi quindi il dorso del rettile fino alla testa, analizzandone le squame realizzate con una precisione tale da risultare reali. Ne scrutai gli occhi dalle pupille verticali, poi, catturata dallo scintillio dell'argento, mi soffermai sulla collana corredata del proiettile - che finalmente sapevo spiegare - attorno al collo e sulla quale rividi inciso l'elmo da oplita greco. Ricordai la storia che c'era dietro, il significato che i Giustizieri le avevano attribuito e quello che Enrico mi aveva detto la sera in cui mi ero dichiarata pensando che lui stesse dormendo. Rilessi la data incisa in numeri romani sul suo petto, le citazioni letterarie, trovando ancora difficile credere che il ragazzo di fronte a me leggesse per davvero. Ammirai le foglie d'alloro che adornavano le costole e ridiscesi alle due creature demoniache sul fianco che si fondevano in un unico corpo, poi alla scritta "We'll heal in hell" tatuata sull'inguine appena intravedibili sotto ai pantaloni. Ma a colpirmi ogni volta che lo scorgevo non era né la scritta, né il serpente o il teschio fumoso sull'altro braccio, quanto il volto della donna impresso sulla pelle dell'avambraccio, quegli occhi disincantati così simili ai miei, smarriti nel fumo della sigaretta che si era portata alle labbra.

"Che cosa significa?"
"La mia ossessione."

Adagiai la mano sul bicipite e la lasciai scivolare fino alla donna, con quel dolce ricordo a scaldarmi il petto, mentre il palmo della sua mano sfiorava la mia guancia. Chiusi gli occhi, baciai il tatuaggio e mi appoggiai alla sua mano. Quando il mio sguardo collise con il suo, mi accorsi che era sempre stato lì, a osservarmi. Era colmo di un'emozione inenarrabile. La riconoscevo, perché era la stessa che provavo anch'io, ma come sempre non ero in grado di descriverla degnamente. 

Enrico si chinò, io al contrario mi sollevai sulle punte, ma non lo baciai. Mi spostai invece un secondo prima che lui mi raggiungesse e, sorridendo, mormorai:<<Vuoi baciarmi?>> 

<<Voglio divorarti.>> La lussuria nel suo sguardo mi trafisse come una lama tra le costole. 

Il mio sorriso si dilatò. <<E se io non lo volessi?>>

La sua mano arroncigliò i miei capelli e mi tirò la testa indietro. <<E se non me ne fregasse un cazzo?>> disse, e mi baciò un'ultima volta, dopo di che il resto dei miei vestiti sparì e io mi ritrovai interamente nuda, al contrario di lui che era ancora vestito. Le sue mani affondarono nelle mie natiche che strizzò un istante prima che mi sollevasse in aria. D'istinto, mi avvinghiai a lui, con il petto modellato al suo e la schiena che aderiva al muro. Adesso non c'era più nulla a ripararmi dal freddo. Il contrasto di temperatura era maggiore e mi fece venire la pelle d'oca. 

Reclinai la testa, offrendogli un miglior spazio di manovra, mentre lui si insinuava nell'incavo del collo e succhiava. Un altro livido che avrebbe segnato la mia pelle. Non che mi importasse, anzi. Accolsi tutto, piacere e dolore, baci e morsi. Facendo affidamento sulla forza dei suoi addominali e su quello delle mie gambe, inarcai la schiena e gli offrii tutta me stessa. La sua testa calò sempre più giù, solleticandomi con i suoi capelli e la sua lingua che intraprendeva un percorso tortuoso intorno ai miei seni gonfi e pieni. Ne prese uno in bocca e con i denti trascinò a sé il capezzolo sensibile. Non fui in grado di fermalo e un grido tremulo si librò in aria. I miei umori continuavano a scorrermi lungo le cosce che scivolavano, probabilmente bagnando anche lui oltre che me. 

<<Ti voglio.>>

La punta del suo naso blandì la silhouette del mio collo, fermandosi alla guancia. Mi piegai su di lui, trattenendolo. L'accenno della sua barba sfregava contro la pelle morbida del viso, accapponandola soprattutto in prossimità dei seni. La carne formicolava e non sembrava che avrebbe fatto altro, se non che il cigolio del portone che si apriva ad un tratto e la voce di Christian fecero sì che mi impalassi di colpo.

Imprecai tra i denti, mentre la porta si apriva man mano. 

<<Senti, amico...>>

Con un movimento rapido e metodico, Enrico si portò il braccio dietro la schiena e sentii che stava estraendo qualcosa di duro. L'avevo sentito anche prima con la pianta dei piedi, ma non ci avevo dato importanza, ma quando lo vidi raddrizzarsi e prendere la mira capii.

<<Non questa volta.>> Sparò e il proiettile si conficcò nel legno, a qualche centimetro di distanza dalla tempia di Christian. 

<<Cazzo! Ma fai sul serio?>> Non lo vedevo chiaramente, ma immaginai che avesse sussultato. 

Enrico rispose con un altro colpo di proiettile. 

Lo zolfo impregnò l'aria di per sé umida e stantia. 

<<E va bene, va bene!>> Christian richiuse subito la porta. Enrico si sbarazzò dalla pistola. <<Cristo!>> lo sentimmo oltre l'ingresso ligneo, seguito da Stefano e dai suoi passi sulla ghiaia. 

<<Che succede?>>

<<Indovina un po'?>>

<<No>> Scoppiò a ridere. <<Con il cadavere dello stronzo ancora lì dentro?>>

Eh? I miei occhi saettarono sulla carcassa ripiegata su sé stessa a pochi metri da noi. 

Porca merda. Mi ero completamente scordata di Calogero. 

Wow, mi sa che quel momento ce lo avrebbero rinfacciato fino alla tomba. 

<<Ehm, forse dovremmo...>>

<<Continuare?>> suggerì Enrico. <<Credo proprio di sì.>> E in pochi secondi si era slacciato la cintura. Gli diedi una mano e gli abbassai pantaloni e boxer insieme. Lui si sistemò meglio. Le sue labbra si incollarono alle mie attutendo il mio grido quando mi invase con una spinta dei suoi fianchi. Non importava quante volte lo facessimo, abituarsi alle sue dimensioni e alla sensazione di totale pienezza che ne derivava era pressoché impossibile. 

Strabuzzai gli occhi e mi cinsi a lui con tutte le mie forze, consapevole che presto sarei andata in contro a uno smarrimento totale.

Enrico si sfilò fino alla punta con una lentezza atroce, per poi sbattere il suo cazzo di nuovo dentro di me con un movimento brusco che mi strappò un altro grido. Ripeté l'affondo una, due, tre volte, dosando calma e violenza. Era quasi un ritmo punitivo il suo, volente a rovinarmi a ogni affondo, dettato dalla bestia che aveva preso il sopravvento e che mi fotteva fino all'ultimo respiro. Perdurò, con le mie unghie che scavano la sua pelle, grugnendo a ogni impatto e graffio da parte mia, con i nostri gemiti che si intrecciavano esattamente come le nostre membra e, per i più romantici, con i nostri cuori pulsanti e le nostre anime.

L'orgasmo che non avevo potuto sprigionare ebbe finalmente la sua occasione. Lo sentii implodere e vidi me stessa rischiare di cadere del tutto dal precipizio, cosa che non mi permisi. Non era finita lì, la grande caduta non era ancora prevista. Non ancora. Dovevo resistere, attingere a ogni barlume di energia, aggrapparmi a ogni brandello di realtà logora, se solo lui non me lo avesse reso maledettamente arduo.

<<Enrico....Rallenta. Io non->>

<<Credimi, è meglio per te che non lo faccia.>> E di fatto non lo fece. Prese invece a scoparmi forte, colpendomi ogni volta nei punti giusti. I miei occhi ruotarono dietro al cranio. Tanti puntini bianchi baluginanti riempirono il mio campo visivo, si condensarono tra loro generando uno spiraglio di luce nella tetra oscurità, ma diffidavo a raggiungerla. 

"Non ancora" mi dissi. E stetti dietro a quell'andatura incalzante, gemendo sonoramente, oscillando su e giù come una molla, persa nell'estasi, col cuore che rombava nelle orecchie. Ma presto agli ansiti udii un suono proveniente da un oggetto metallico che vibrava, poi una sensazione liquida e vischiosa sui capelli e sulla pelle. 

Alzai gli occhi e notai che sopra alla mia testa c'era una mensola di legno con dei barattoli di latta, uno dei quali si era rovesciato addosso a me e ad Enrico. Ma quando cazzo era apparso?

Enrico si arrestò, ma non si staccò da me. Rimase lì, dentro di me, trasmettendomi il suo calore. <<Ma che diamine->>

Chinai di nuovo lo sguardo. Rosso. Tanto rosso. Ce l'avevo sulle mani e sulle braccia e ne vedevo tanto anche sulle sue ampie spalle. Colava ovunque, coprendo la pelle candida. Notai che c'erano anche dei grumi di un colore più scuro ai quali non volevo dare un nome. Un odore pungente che sapeva di ferro si diffuse pressoché ovunque.

<<È meglio per te che sia vernice>> sibilai, guardandolo, ma sapevo benissimo che era tutto tranne che vernice. Chi cazzo raccoglieva il sangue dentro a dei barattoli di latta? Degli psicopatici, ecco chi, e per degli scopi che ignoravo e francamente volevo continuare ad ignorare. 

Enrico poggiò una mano sul mio viso, spalmando volente o nolente, quella cosa su di me, ma al contrario di quanto immaginai, non inorridii, non se mi guardava in quel modo, con un sorriso sensuale stampato in faccia.

<<Sei bellissima col sangue di qualcun altro addosso, Diavolessa. Ti fa risaltare gli occhi>> disse e forse era vero, ma più che risaltare i miei occhi, che oltre che sporchi di sangue dovevano anche essere intrisi di mascara colato, mostrava chiaramente quel che c'era dentro di me e che avevo permesso che emergesse fuori. 

E ora non ero più la stessa persona.
L'esecuzione compiuta si accompagnava alla rinascita.
Alla mia rinascita.
Non ero mai stata normale, non veramente. Lui l'aveva scoperto e mi aveva amata ugualmente e presto anche il mondo lo avrebbe imparato a proprie spese.

Mio malgrado, risi. Eravamo un completo disastro. Uno dotato di una bellezza controversa che chissà se qualcun altro al di fuori di noi avrebbe mai capito. Probabilmente no, pazienza.

Incrociai il suo sguardo. Enrico mi stava scrutando come se mi stesse mettendo a nudo una seconda volta, andando oltre i vestiti e la pelle. <<Che c'è?>> 

<<La tua risata>> chiarì. <<È il suono più bello che abbia mai sentito.>>

<<Ma smettila.>>

<<Accetterai mai un complimento senza fare storie?>>

<<Mm, fammici pensare? No.>>

Era così. I complimenti mi facevano sentire particolarmente a disagio. Non che gli odiassi o quant'altro, semplicemente non ci credevo, persino se fatti dalle persone che tenevo di più al mondo. Temevo storcessero l'idea che mi ero fatta di me negli anni, che potessero mettere tutto in dubbio: il modo in cui mi vedevo e mi pensavo, illudendomi di essere davvero bella e perfetta. Non che ambissi a raggiungere la perfezione, comunque. Ma se sentito dire spesso, uno prima o poi finisce col crederci davvero.

Mi rivolse un sorriso nubiloso, che mi dimostrò ancora una volta quanto mi conoscesse e sapesse altrettanto la causa del mio pensarla così. Mia madre. La mia infanzia. I bulli della scuola. Le scottature della vita. Ecco cosa mi avevano resa tale. E lui lo sapeva, lo capiva. 

<<È un'altra cosa su cui dobbiamo lavorare?>>

Fece cenno di no col capo. <<Non sei un problema da dover risolvere. Niente di te lo è, e se ci vorrà una vita intera perché tu ti convinca di ciò, allora te lo ripeterò ogni stramaledetto giorno della mia.>>

<<Ecco, l'hai fatto di nuovo.>> Inarcò un sopracciglio, non capendo. <<Hai detto la cosa giusta.>> 

Posai la fronte sulla sua per un istante, poi lo baciai. Lui ricambiò, approfondendo il bacio e presto diventammo nuovamente un groviglio di braccia e gambe in movimento. E nella vischiosità del sangue, Enrico ripeté ogni promessa fatta, ogni giuramento. La passione si risvegliò con una potenza irruente rispetto a quella precedente.

Sollevai gli occhi al cielo, osservandolo con palpebre calanti oltre il vetro del tetto spiovente e lasciai andare ogni inibizione. Galleggiai come le nuvole plumbee sopra alla mia testa mentre la sua di testa affondava nel mio collo. Ogni penetrazione, ogni gemito, ogni parola sussurrata, quella era la vera perfezione, seppure effimera. E avrei vissuto per riviverla insieme ancora un'altra volta.

<<Ti amo.>>

<<Gesù, mi vuoi morto ai tuoi piedi?>> chiese, la voce affannata mentre ci dava dentro. <<Ridillo.>>

Glielo ridissi. <<Ti amo.>> 

<<Cazzo, Erica.>> 

Venne insieme a me e in quel momento esatto la luce si espanse e mi inghiottì. Avevo raggiunto la vetta più alta di tutte solo per lasciarmi cadere in picchiata verso il basso. Schiantai a terra. Ossa e filamenti si ruppero. Alla fine, mi ero distrutta in un milione di pezzi, ma solo perché lui li riadattasse davvero ai suoi. Anime rotte, cuori spezzati. Corpi martoriati. Menti disincantate. Eravamo questo e allo stesso tempo eravamo di più.

Molto di più.

Enrico posò la fronte sopra la mia spalla, modulando il respiro. Io gli accarezzai la nuca umidiccia di quello che volevo continuare a pensare come vernice rossa e per un paio di minuti ci crogiolammo nel tepore dell'un l'altro, avvolti dalla quiete. O almeno così pensavamo. 

Udimmo di nuovo la voce impaziente di Christian.

<<Sentite, non per mettermi in mezzo, ma se avete finito vi chiedo di levarvi dalle palle. Ho un corpo da smaltire e a meno che non lo faccia da solo, il lavoraccio spetta a me.>> 

Un rombo forte coprì le risate di Stefano. Aveva appena azionato una motosega?

<<È meglio se diamo loro retta o non la finiranno più>> sospirò Enrico e lentamente scivolò via da me. Mi posò a terra, si sistemò boxer e pantaloni, e si mosse in direzione del lavabo per ripulirsi. Seguii il suo esempio e lo affiancai. 

<<Per quanto riguarda il discorso di prima>> attaccai bottone e lui ridacchiò, scrollando il capo. Pensava davvero che me ne fossi dimenticata? Illuso. 

<<Credo che tu sappia già tutto, no?>> disse, confermando quanto avevo scoperto a sua insaputa.

<<No, non è tutto>> obbiettai. <<C'è ancora tanto da chiarire. Per esempio, perché quell'uomo avrebbe fatto quello che ha fatto a tua madre? Dalle mie ricerche non ho trovato nulla che lo collegasse direttamente a voi e che quindi gli offrisse una motivazione per le sue azioni.>>

<<Questo perché è stato assoldato.>>

<<E da chi?>> 

<<Da mio nonno.>> 

Lo squadrai con gli occhi che mi uscivano fuori dalle orbite. <<Che cosa?>>

Enrico mi fece avvicinare e aiutandomi a pulirmi dal sangue, continuò. Spostai lo sguardo da lui all'acqua sporca di rosso che spariva dentro allo scarico e lo ascoltai mentre lui mi raccontava per filo e per segno cos'era accaduto quella notte, gli intrighi che si nascondevano dietro, ma soprattutto il piano grazie al quale avrebbe portato a compimento la sua vendetta. 

<<E quando hai in mente di agire?>> 

<<Domani. E tu verrai con me.>> 

Sbattei le palpebre, sbalordita. 

Ce l'avevo fatta.

Ora ero parte del piano. Eppure, non so per quale cavolo di ragione, forse per la facilità appunto o per il sorriso mendace che mi aveva indirizzato intanto che si rivestiva, invece di trionfare per la vittoria ottenuta, sentivo come se avessi appena perso; come se in realtà a ottenere il suo scopo fosse stato proprio il Diavolo e io mi fossi lasciata abbindolare facilmente un'altra volta.

<<Andiamo?>>

<<A-ah>> 

Lo seguii verso l'uscita e nemmeno quel che accadde durante la giornata valse a scacciare via quel dubbio. Ma questo cosa voleva dire? Che come me, anche lui aveva fatto ricerche per conto suo? E se sì, cosa aveva scoperto? Ma soprattutto, perché tacere?

Quei dubbi me li portai con me al Residence, l'hotel dove Enrico aveva prenotato per noi due perché ci preparassimo per il galà di beneficenza che si sarebbe tenuto nella dimora di Armando Ferrari, e a quanto avevo capito il tema scelto era un ballo in maschera. Un classico. Quello che c'era da capire era se avrebbero presenziato anche il resto dei Ferrari. 

Morsicchiai l'unghia del pollice. Sopra al letto king size c'era un vestito di alta sartoria di uno splendido verde muschio a sostituire quello stracciato e poi usato da mia madre, con tanto di scarpe e accessori. I capelli umidi per la doccia mi ricadevano lungo la schiena. Strinsi il nodo col quale avevo fermato l'asciugamano bordeaux. 

Sospirai. E vabbè.

Mi aspettavo che lo avrebbe fatto, di nuovo. Solo che stavolta non osavo domandargli il prezzo.

Venti minuti dopo ero di fronte allo specchio a infilarmi gli orecchini e ad ammirare il Diavolo alle mie spalle. Ero appoggiato allo stipite della porta, con una mano dentro alla tasca dei pantaloni eleganti e le caviglie accavallate. Era affascinante da fare schifo in smoking, ma non glielo avrei mai detto. Avevo gonfiato il suo ego abbastanza, direi.

<<Lo sapevo che quel vestito sarebbe stato perfetto su di te.>> 

<<Grazie.>>

<<Ora toglitelo. Voglio vedere quanto sei perfetta anche senza.>>

<<Perché non vieni a togliermelo tu?>> lo sfidai.

Non credevo lo avrebbe fatto davvero. Il tempo stringeva, ma in fondo lui era l'uomo dai tanti miracoli. Poteva gettarmi su quel letto e portare il Paradiso ai miei piedi e arrivare comunque in perfetto orario al galà, se non addirittura in anticipo.

Venne verso di me, sorridendo come lo Stregatto, e tirò fuori una scatolina.

<<A pensarci, rilancio con qualcosa di meglio.>>

<<Un altro regalo?>>

<<Questo è per me.>>

Aprii la scatoletta e le sopracciglia mi schizzarono all'insù.

<<Non dirai sul serio?>>

Un plug anale? Con tanto di pietra poi, e dall'aria costosa intuii che doveva trattarsi niente meno che di uno smeraldo vero. Per la miseria. Era quello il regalo per lui? Beh, se voleva che glielo infilassi dietro, volentieri, ma ovviamente non era questo quello che voleva. Certo che quando si trattava di conseguire il piacere non badava proprio a spese.

<<Direi che me lo merito.>>

<<Ripeto, sul serio?>>

<<Non hai più voluto farlo da allora. Voglio che tu superi la tua paura.>>

<<E chi ti dice che si tratta di paura? Forse non mi è semplicemente piaciuto e non voglio più rifarlo>> dissi a quel punto, cambiando postazione.

<<Ed è così?>> indagò e dal suo sguardo capii che se fosse stato così non ne avremmo più riparlato, che avrebbe rispettato le mie scelte e i miei limiti, ma non era quello il caso. Aveva ragione lui, accidenti. Era stato bellissimo, sul serio, ma al contempo avevo sperimentato un altro tipo di violazione che non sapevo con certezza se desideravo più riprovare, dolore a parte. Un altro tipo di esposizione e vulnerabilità.

<<A dire il vero, no però...>>

<<Però è il caso che tu ti fidi un'altra volta di me>> concluse al mio posto. <<Non ci deve essere niente di mezzo tra noi, nemmeno l'imbarazzo, Diavolessa. Sarei persino disposto a toglierti un pelo incarnito se me lo chiedessi.>>

Ma che-?

Lo disse con una nonchalance che mi spiazzò. Quell'uomo proprio non conosceva alcun limite.

<<Vieni qui.>>

Quando mi voltai, lo trovai accanto alla fiancata del letto, una bottiglia di lubrificante e il suo regalo sopra al comodino. Trascinando i piedi, lo raggiunsi.

Incrociai le braccia. <<E dimmi, come pensi che potrò aiutarti in questo modo, stasera?>>

C'era un piano da rispettare ed ero più che sicura che la parte in cui mi vedevo infilato un plug nel culo non ci fosse.

Come se mi avesse letto nella mente, assicurò:<<Credimi, questo costituisce la parte migliore del piano>>.

Socchiusi gli occhi. Ne dubitavo fortemente.

<<Girati e piegati in avanti. Mani ben piantate sul materasso.>>

Gli diedi retta, ma solo perché desideravo davvero cacciar via quell'insulso timore. Scostai i capelli di lato. Le dita si appigliarono alle fresche lenzuola di cotone egiziano e il vestito risalì esponendo gran parte delle cosce.

<<Brava bambina.>>

Con il cuore che batteva forte, mi imposi di guardare avanti mentre Enrico si piazzava dietro di me. Ne percepivo l'ombra e il calore che trapassava oltre gli indumenti, poi la sua mano che saliva in una lenta carezza, portando con sé l'orlo del vestito che arrotolò fermandolo in prossimità della vita.

Nel momento in cui le sue dita si agganciarono all'elastico degli slip, inspirai e chiusi gli occhi. Il pizzo adesso scorreva in giù, emettendo un lieve fruscio. Dove prima c'era stato il tessuto ora c'era l'aria che pungolava la pelle di brividi.

<<Sbrigati. La stai tirando appositamente per le lunghe>> bofonchiai. <<Si può sapere che stai facendo?>>

<<Mi godo la vista. Non puoi immaginare quanto sei bellissima in questo momento, Diavolessa.>>

Pervertito.

<<Vuoi che ti lasci ancora qualche altro minuto o possiamo procedere?>>

Svitò il tappo. <<Sempre la solita impaziente.>>

<<E tu sei->> Il resto della frase mi morì in gola al contatto delle sue dita imbevute di lubrificante contro il mio povero deretano.

Mi morsi il labbro e mi trattenni dal gemere, ma anche così emisi un verso che eccitò il Diavolo alle mie spalle. Le sue dita indugiarono, amalgamando bene il tutto, ma niente fu come quando il plug prese il posto delle dita e scivolò all'interno del mio sfintere. Enrico lo inserii con lentezza e delicatezza, affinché il mio corpo si abituasse man mano alle dimensioni e si dilatasse dolcemente, senza causare traumi o lacerazioni ai muscoli, e io venni sopraffatta dal vetro freddo imbevuto di lubrificante.

<<Ecco fatto.>>

Di già?

Mi diede una lieve pacca sul sedere, comunicandomi che aveva terminato, poi mi risistemò slip e vestito.

<<Puoi alzarti adesso, sempre che tu non voglia passare qui la sera e aspettare il mio arrivo.>>

<<No, grazie.>>

Mi tirai su, adagio, portandomi la mano alla bocca per impedire a un altro gemito di uscire, anche se il Diavolo ne avrebbe ascoltati molti da parte mia concluso il galà.

<<Come ti senti?>>

<<Violata, ma bene>> aggiunsi subito dopo, come se mi costasse ammetterlo di fronte a lui.

Sulle sue labbra si dispiegò uno di quei suoi sorrisi smaglianti in grado di liquefare una persona come un ghiaccialo dimenticato sotto al sole e fui fortunata di vederlo prima che si dissipasse una volta giunti alla villa di Armando.

Come da dress code, ci eravamo calati le maschere e sorseggiavamo champagne insieme agli altri invitati lungo il bordo piscina.

Era una notte splendida. Una miriade di stelle punteggiavano il cielo e la luna piena si nascondeva dietro a soffici e candidi nuvole illuminate dal suo bagliore argenteo. Quella sera l'opulenza regnava sovrana.

<<Spero che questi soldi vadano davvero in beneficenza>> mormorai tra me e me.

<<Sarà così>> garantì Enrico. <<Mio zio ha organizzato il party, ma non è lui a gestire lo spostamento del denaro, bensì altre persone selezionate personalmente per il compito.>>

<<E sono persone selezionate da te?>>

Effigiò un sorrisetto, segno che era proprio così.

In fondo alla sala, un uomo in smoking si fermò a guardarci e, come se ci avesse appena riconosciuti, venne verso di noi. Indossava una maschera in onice la cui fisionomia ricordava quella di un leone. Ma non occorreva essere un genio per dedurre che si trattasse di lui.

Armando Ferrari.

<<Sono lieto di sapere che almeno mia sorella e i miei nipoti si siano degnati di venire stasera>> esordì.

Né Agatha né Edoardo alla fine erano venuti, tanto meno Vincenzo Ferrari.

Motivo? Un previo impegno. Il che poteva essere vero nel caso di Vincenzo e Edoardo, ma dubitavo che valesse lo stesso anche per Agatha. Viviana Ferrari era all'altro capo della piscina che conversava allegramente con gli ospiti e constatai che era tale e quale all'ultima volta. Tailleur elegante, capelli neri tirati su e un trucco che demarcava gli occhi scuri e le labbra carnose. Caterina e Tommaso invece si erano defilati giusto qualche minuto prima dell'arrivo di Armando, per unirsi agli altri ospiti che ballavano.

<<Ci hanno chiesto di porgerti le loro più sentite scuse>> presi parola.

<<Ah, non fa niente. Non è nulla di nuovo. L'importante è che voi vi divertiate.>>

<<Ci divertiremo senz'altro>> disse Enrico con quello che agli occhi di uno dalla vista troppo lunga sarebbe apparso un sorriso decisamente sinistro. Il cameriere arrivò giusto in tempo. <<Qualcosa da bere, zio?>>

<<Volentieri.>>

Enrico gli passò un calice e fece altrettanto con me.

<<A cosa brindiamo?>> chiese Armando.

<<Direi a chi ha organizzato il Galà di questa sera>> suggerii. Quell'uomo era vanesio e, al contrario della sottoscritta, viveva per l'attenzione e l'adulazione di tutti.

<<Oh, no.>>

<<Insisto.>>

<<La mia ragazza ha ragione>> mi appoggiò Enrico. << Chi più di te lo merita e non solo per il galà, ma per la dedizione con cui gestisci la Ferrari Corporation. Ho ancora molto da imparare e non vedo l'ora di farlo dal migliore.>>

<<Mi lusinghi, nipote. Beh, in questo caso allora>>, alzò il calice con un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro. <<A me.>>

Enrico si portò il suo alle labbra, gli occhi incollati su Armando, che ingollava tutto fino all'ultima goccia. Emise un verso di apprezzamento, poi lo posò sul vassoio. Il cameriere sparì un istante dopo, portando con sé il calice incriminante.

<<Buon proseguimento, ragazzi.>> Armando quindi prese congedo, immischiandosi tra la folla.

<<Enrico!>> Entrambi ci voltammo in direzione della voce che lo aveva chiamato, scovando Tommaso e Caterina in pista. <<Per l'amor di Dio, cognato, portala a ballare. La vuoi far annoiare.>>

<<Un giorno o l'altro lo farò fuori con uno dei suoi bisturi>> mormorò fra i denti.

<<Non penso che lo farai. Lo rispetti abbastanza da non fare una cosa del genere.>>

Enrico mi aveva raccontato qualcosa anche su di lui, come Tommaso e Caty si erano conosciuti e di come la loro relazione avesse giovato a Caterina e al suo comportamento. Oddio, con me era ancora terribile, ma se Enrico sosteneva che si erano scontrati dei cambiamenti in lei lo prendevo in parola.

<<Ti dispiace?>>

<<No, se non dispiace a te>> disse e così finimmo in pista tra gli altri.

La musica cambiò da un lento a un tango.

Per la puttana.
Huston, abbiamo un problema.

<<Ehm, io...Lo sai ballare? Se non vuoi, possiamo sempre tornare a->>

Senza che fossi stata io a dire al mio corpo di muoversi, volteggiai su me stessa, finendo addosso al suo petto. <<Io lo so ballare, e tu?>>

<<C'è qualcosa che tu non sappia davvero fare? E comunque, lo so, in parte. Chiara mi ha costretto a imparare le basi>> spiegai. <<Aveva visto così tanto Dirty Dancing uno e due che voleva assolutamente imparare a ballare come Baby. Peccato che io non fossi Patrick Swayze e avessi i suoi muscoli per sollevarla in aria.>>

<<Avrei voluto esserci.>>

<<Credimi, non ti sei perso niente di che.>>

In realtà si era perso un bello spettacolo, ma dettagli.

<<Tutto bene? Ti sento rigida, tesoro>> chiese.

Avevo sperato che non si notasse, né che avesse fatto caso al piccolo gemito che avevo lasciato, ma a quanto pare non era andata così. I miei passi, altrimenti leggeri, seguivano la melodia creata dagli archi con un'andatura a tratti incespicante. Avevo le guance a fuoco, gli occhi languidi di un piacere che non dipendeva totalmente da lui, tanto meno dalla musica suadente o dal pubblico che ci osservava ballare il tango.

<<Per forza. Non sei tu quello che sta ballando con un plug nel culo>> sbottai acida, ma il mio viso il ritratto dell'amorevolezza. <<Non vedo l'ora di togliermelo.>>

Enrico mi fece piroettare su me stessa, poi mi appiattii con la schiena al suo corpo. Gemetti, le palpebre socchiuse. Lui si chinò, la punta del naso mi accarezzò il collo, tuffandosi tra i miei capelli e si fermò sul punto sotto all'orecchio.

<<Non vedo l'ora anch'io, Diavolessa. E credo che non dovremmo aspettare neanche tanto>> mormorò e proprio in quel momento lo strillo di una donna richiamò l'attenzione dei presenti.

Mi girai dall'altra parte giusto in tempo per vedere Armando perdere i sensi, pendolare oltre il parapetto del terrazzo e precipitare nel vuoto.
Un secondo dopo era stecchito a terra, con il cranio spappolato e il corpo che scivolava sul marmo bianco, cadendo dentro alla piscina.

Il sangue inquinò la limpidezza dell'acqua. Gli invitati congelarono sul posto. Le grida dei più sensibili si accompagnarono ai flash dei cellulari appartenenti a quelli più insensibili.

Due secondi dopo adocchiai Tommaso vestire i panni del medico e gridare a qualcuno di far venire subito un'ambulanza e una persona digitare il numero con dita tremanti, ma nessuno, nessuno si mosse per rimuovere il corpo. Nessuno.

<<Sei sicuro che la Scientifica non riscontrerà nulla di anomalo nel suo sangue o nei tessuti?>>

<<Niente di niente. Si tratta di un veleno inodore e incolore, ma soprattutto che non lascia alcuna traccia. Vedrai che una volta svolta l'autopsia si arriverà alla conclusione che si è trattato di un semplice infarto, e in famiglia non è la prima volta che succede.>>

<<Mm, ok. Ma ora che facciamo?>>

Enrico mi sorrise e il mio stomaco sobbalzò di fronte a quella piega carnale.

<<Ora mi prendo il tuo culo.>>

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
𝐍𝐨𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥'𝐀𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞

Chiedo venia per il ritardo.
Questa volta non dipende da me.
Ho caricato la storia, solo per poi scoprire che la correzione non era avvenuta correttamente e che quindi non compariva né la notifica né il capitolo.
Ho temuto si fosse cancellato e infatti buona parte era andata perduta, ma l'ho recuperata.
Ecco il motivo del ritardo.

A ogni modo, sono lieta di essere ancora qui. Quest'ultima settimana è stata dura, soprattutto dopo quanto avvenuto con le nuove politiche Wattpad. Ma non voglio dilungarmi ulteriormente. Quello che avevo da dire l'ho detto.

Questa è la location con cui concludiamo
in bellezza la serata.

Come avete letto, la vendetta di Enrico è ufficialmente iniziata e la fine è sempre più vicina.
Spero che il capitolo di oggi vi sia piaciuto e
auguro a tutti voi un buon weekend.

♡︎

Countdown: - 4 capitoli alla fine di Burning Hearts

Continue Reading

You'll Also Like

23.8K 853 52
Awed e Ilaria, sua sorella, tornano a casa dopo l'ennesimo spettacolo di esperienze D.M a cui l'aria aveva assistito... Arrivati sulla porta di casa...
367K 14K 72
A volte la vita non fa che travolgerti violentemente, senza apparente motivo e soprattutto senza chiederti il permesso. Questo Ellie l'ha capito quan...
630K 19K 39
Amelia River, dopo quattro lunghi anni torna a New York per frequentare la Columbia University. Era scappata da un passato che non riusciva ad affron...
276K 7.9K 54
ยซSono i cinque ladri piรน temuti di tutto l'Oregon state. Chiunque entra a far parte del loro gruppo, diventa automaticamente intoccabile...ยป Elizabe...