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By IvyFirefly

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By IvyFirefly

𝐓𝐇𝐄 𝐄𝐗𝐄𝐂𝐔𝐓𝐈𝐎𝐍

✨𝐏𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐍𝐨𝐭𝐚✨
Prima di iniziare, ci tengo ad avvisare che il capitolo di oggi è pregno di violenza e altre allusioni sempre violente.
Quindi lo segnalo🔴
Detto ciò, auguro a chi se la sente, una
buona lettura.

ENRICO/ERICA

"L'amore è il più antico degli assassini."
STEPHEN KING

Avrei dovuto essere incazzato, frustrato e che altro. Voglio dire: quante volte era capitato finora di essere interrotto o di dover accorrere a salvare il culo a qualcuno? Infinite. Eppure, la rabbia era l'ultima emozione di una lunga lista.

No, non ero arrabbiato. Tutt'al contrario. Direi che ero sollevato. Il figlio di puttana aveva finalmente deciso di tirare la testa fuori dalla sabbia e di farsi avanti. Ovviamente mi dispiaceva per Anna, oltre che per Cinzia che – secondo quanto mi aveva riferito Matteo - era con lei adesso. Ma se era questo che serviva per prenderlo, ne avrei tratto profitto. E poi, che servisse loro da monito la prossima volta che avrebbero cercato di disubbidire agli ordini.

C'era una ragione per cui glieli avevamo dati, che non era quella ossessiva di monitorarle, anche se per certi versi avevamo dimostrato che lo stalking era un'altra caratteristica che ci rendeva quello che eravamo. Ma non era questo il caso.

Quello che, invece, mi faceva decisamente infuriare era vedere Erica con i nervi a fior di pelle. Da quando l'avevo messa al corrente di cos'era successo, si era rivestita in un lampo e sempre in un lampo era corsa fuori dall'auto, andando incontro a Stefano e Christian a metà strada.

<<Allora?>>

Chris infilò il cellulare in tasca e incontrò il mio sguardo, eguagliandone l'imperturbabilità. Ci eravamo ritrovati in situazioni peggiori di queste, al che la soglia della nostra preoccupazione si era notevolmente alzata. Anche Erica si era calmata, ma il suo turbamento e la sua ansia, diversamente dal solito, erano chiaramente visibili e come fossero delle dita sulla sabbia tracciavano delle linee sulla sua fronte spaziosa e altrimenti liscia.

<<Mi sono fatto mandare la posizione di Theo. Hanno da poco imboccato la A1 e se ci muoviamo, possiamo raggiungerli in meno di un quarto d'ora.>>

<<C'è qualcun altro con lui?>>

<<Non che io sappia.>>

Steph aprì il bagagliaio, tirò fuori le nostre maschere dal borsone e ce le lanciò. <<Prendete queste, credo proprio che ci serviranno.>>

<<A che cosa? A giocare davvero ai giustizieri?>>

<<A non farci riconoscere, Stupida Pulce>> la corresse lui e, malgrado ciò, gli scagliai un'occhiata di avvertimento. Non me ne fregava un cazzo se vantavano una lunga amicizia. Con lei doveva moderare il tono. <<Serve forse che ti ricordi che le autostrade sono tappezzate di webcam di videosorveglianza? È impossibile rintracciare le nostre auto perché non registrate, ma non posso dire la stessa cosa delle nostre cazzo di facce.>>

<<E Matteo?>> ribatté lei.

<<Qui la sua maschera non c'è, quindi è probabile che ce l'abbia con sé. E per quanto riguarda la sua auto...Un modo lo troveremo>> sospirò infine e richiuse il bagagliaio.

<<Come sempre, d'altronde>> lo affiancò Chris. <<Non ti devi preoccupare di nulla, Erica. La sua testa sta per diventare un fottuto pallone da calcio. Te lo garantisco.>> 

Eppure, questo non rassicurò affatto la Diavolessa, che si guardava la punta delle scarpe con aria afflitta. Nel vederla in quello stato, un'ondata di odio e rabbia crebbe dentro di me a ogni secondo che passava e offuscò la mia visuale. L'avevo portata fuori per divertirsi e dimenticare quegli ultimi giorni di merda, ma ancora una volta il mio intento era andato a puttane e sempre per colpa della stessa persona.

<<Sì, sempre che Matteo non dia i numeri e non gli dia fuoco direttamente sul posto>> gli fece presente Stefano.

<<Tu dici?>>

<<Non mi dirai che ti sei scordato dell'ultima volta che->>

<<Steph, non adesso>> tagliai corto. 

Lui annuì. <<Giusto. Più tardi.>> E fu il primo a muoversi in direzione della Mustang nera uguale a quella di noi altri, che usavamo per svolgere le nostre operazioni, a eccezione di Christian, che nemmeno in quei casi decise di non correre in moto. E parlando di quest'ultimo, fu il prossimo ad andarsene, lasciando me ed Erica per un attimo a quattr'occhi.

Le presi la maschera che reggeva con dita appena tremanti e le sollevai la testa con delicatezza. I miei occhi agganciarono i suoi e non li lasciarono andare, nemmeno quando la maschera tale e quale alla mia, ma contraria nell'abbinamento dei colori, le coprì interamente il viso minuto. La osservai oltre l'ombra delle due fessure, mi immersi nel verde e nel nocciola e tra le pagliuzze ambrate delle sue iridi spente e la fitta al petto si fece stringente.

<<Avrei dovuto aspettarmelo, o quanto meno dirvelo. Non immaginavo che...>> cominciò, sollevando di poco la maschera, ma le sue parole morirono subito dopo.

<<Sì, forse avresti dovuto, ma non fartene una colpa. Non sarebbe cambiato nulla. Prima o poi sarebbe comunque capitato. Aspettavamo solo che agisse e ora l'ha fatto.>>

Erica non rispose, i suoi denti dritti e perfetti torturavano il labbro inferiore tumido dei baci che ci eravamo scambiati. In un'altra occasione lo avrei trovato dannatamente sexy, con quella maschera demoniaca che incarnava la diavolessa insita in lei, ma non in quel momento, non quando sapevo che l'ansia non era scaturita da me e quando i nostri amici stavano mettendo a rischio le loro vite.

Posai quindi una mano sulla sua guancia coperta per metà dalla plastica laccata di nero e rosso, e col pollice le impedii di indugiare ulteriormente. Lei smise e alzò di nuovo la testa, ricevendo il lieve bacio che le stampai sulla fronte.

<<Forza, andiamo adesso.>>

La sollecitai a fare il primo passo, sfiorando dolcemente la sua schiena, e lei mi seguì, prendendo poi posto sul sedile del passeggero.

<<Chiama le ragazze e dì loro di recarsi a casa del senatore Bellini. Lì saranno al sicuro>> le ordinai mentre mi immettevo in strada, la maschera indosso, accodandomi a Christian, in sella alla sua moto, col casco a nascondere il suo volto al posto della maschera, oltre che a proteggerlo. Le luci dell'autostrada e quelle dei fanali si riflessero sul vetro nero quando si girò verso di me e poi mentre si districava tra le file di auto in movimento. Steph, invece, era dietro.

<<Pensi che possano essere in pericolo anche loro?>>

<<Non lo so, ma non voglio ricevere altre sorprese per stasera.>>

Erica non se lo fece ripetere e digitò il numero della Rossa. La ascoltai mentre la metteva brevemente al corrente della situazione, controllandosi per non allarmare troppo le ragazze. La mia rabbia si attenuò e al suo posto si insinuò l'orgoglio.

Ingranata la quinta marcia, la Mustang schizzò in avanti e sorpassò le auto presenti. Praticamente stavo zigzagando alla ricerca del buco successivo nel quale infilarmi, facendomi avanti o con un colpo di clacson o facendo lampeggiare le luci. Passai addirittura sotto un camion, cosa che colse di sorpresa la piccola iena al mio fianco. La sentii  trattenere il fiato, gli occhi sgranati e con la mano salda si resse al poggiamano della portiera, infine si rilassò quando sbucai fuori dal camion e lo superai, e con lui anche Stefano.

<<Scommetto che vuoi che ti insegni anche questo>> le dissi, la mia voce alterata dal dispositivo incorporato nella maschera. Volevo stemperare un po' l'atmosfera e a quanto desunsi funzionò, perché la sentii sghignazzare.

Bene, così. 

Aspettai che dicesse la sua, ma all'ultimo si irrigidì e indicò qualcosa davanti a noi. <<Eccolo.>>

Intercettai il punto e scorsi un furgone scuro a circa dieci chilometri da noi, affiancato da una Bugatti grigia. Matteo gli stava alle calcagna correndo di pari passo con lui. Dopo aver sorpassato a sinistra, notai che i finestrini erano abbassati e che gli stava urlando addosso.

Afferrai quindi il walkie-talkie e comunicai l'informazione ai ragazzi. <<Dobbiamo circondarlo. Steph, affiancalo a destra. Chris, distrailo. Io mi piazzerò davanti.>>

<<Ricevuto.>> E un secondo dopo la Mustang di Steph virò alla mia destra. Chris ci sorpassò entrambi, solo che, invece di distrarlo, corse in aiuto a Matteo, che si fece in avanti per lasciare spazio dietro a Chris che, adesso, si inclinò di lato e con una mano riuscì ad aprire la portiera del furgone, mentre con l'altra manteneva la moto in carreggiata.

<<Oh mio Dio. Sta cercando di entrare dentro al furgone!>> esclamò Erica, sorpresa e al contempo terrificata. <<Si spezzerà l'osso del collo così. Enrico aspetta. Che cazzo pensi di fare?>> domandò, osservando che avevo sollevato i fianchi per estrarre la pistola da dietro i jeans.

<<Te la senti di fare a cambio?>>

<<Vuoi che sia io a guidare?>> chiese, la voce un po' stridula, sottolineando l'ovvio.

<<Proprio così. Ho intenzione di rallentare il figlio di puttana, ma non posso farlo se sono alla guida. Allora, te la senti?>>

<<Sì, a patto che tu non faccia qualche cazzata che metta a repentaglio le tue palle, tesoro.>>

Mi sfuggii un sorrisetto. <<Niente cazzate, promesso. Le mie palle saranno al sicuro. Ho solo intenzione di far saltare in aria il suo parabrezza.>>

<<E va bene.>> Erica si slacciò la cintura di sicurezza e veloce come un gatto balzò al mio posto premendo subito l'acceleratore; io presi il suo. Poi, con un movimento rapido e fluido, rimossi il tettuccio dell'auto e salii sopra al sedile. L'aria mi sferzò contro e il rombo dei motori e i clacson mi trapanarono le orecchie. Strinsi la pistola tra le dita, pronto a sparare. Eppure, quello che vidi non era quello che mi aspettavo. Al posto del conducente adesso c'era Cinzia, imbavagliata e con le lacrime agli occhi. Calogero era al suo fianco e le ingiungeva di guidare con una pistola puntata alla tempia. 

Nell'instante in cui i suoi occhi assatanati incrociarono i miei, un sorriso compiaciuto si dispiegò sulle sue labbra.

<<Cazzo.>>

<<Che succede?>> volle sapere la Diavolessa, mantenendo la velocità, e in quello stesso istante udii Chris attraverso l'altoparlante.

<<Sono dentro>> annunciò e di fatto la sua moto proseguì per qualche metro da sola, poi andò a schiantarsi contro lo spartitraffico, emettendo un boato assordante. Fortunatamente non aveva intaccato nessun'auto di passaggio. Un polverone di fumo e fiamme si innalzò alle nostre spalle e come una foschia coprì metà autostrada.

<<Enrico.>> Per un istante, Erica si voltò verso di me, in apprensione, la maschera demoniaca appena sollevata.

<<Stai andando alla grande, piccola>> la elogiai e presi la mira, approfittando del momento di distrazione che si era appena andato a creare. Proprio quando Calogero si alzò per accertarsi della situazione, io gridai a Cinzia di abbassare la testa, dopo di che sparai. Il parabrezza si infranse e schegge di vetro volarono in tutte le direzioni.

Spaventata, Cinzia sterzò bruscamente, il furgone si inclinò, tornando poi sulle quattro ruote. La sua chioma di capelli corvini spuntò di nuovo fuori e questa volta la paura aveva lasciato il posto all'ira. Tuttavia, continuò a guidare, rincuorata che la pistola non fosse più premuta contro la sua testa.
Infatti, Calogero si era riparato accedendo al retro del furgone.

<<Brutto figlio di puttana! Lascia andare mio figlio!>>

<<Suo figlio?!>> Erica fissava il walkie-talkie da dove la voce dello stronzo era echeggiata, con un'espressione allucinata. <<Quel bastardo ha rapito anche suo figlio?>>

Inarcai un sopracciglio. <<Ti aspettavi diversamente?>>

Era prevedibile. Il suo sangue semplicemente non glielo consentiva, anche se era un figlio di puttana senza un briciolo di onore. Il concetto di famiglia per loro è radicato, è sacro, quanto lo era in me e nei ragazzi, con l'eccezione che noi non davamo peso ai legami di sangue, bensì a quelli istaurati dalla lealtà e dalla fiducia.

In risposta, la piccola iena borbottò qualcosa che non riuscii a capire. Perciò lasciai correre. Sparai ancora, una, due volte, e il parabrezza crollò del tutto, il che mi permise di sentire chiaramente tutta la furia e la frustrazione di Cinzia, soffocate dal bavaglio, unirsi ai mugolii di Anna, agli strilli di suo fratello e ai cazzotti che Calogero e Chris si davano nel frattempo trasmessi in diretta dal walkie-talkie al posto della musica.

<<Cinzia, cazzo, frena!>> le gridai e sparai a una delle ruote, nella speranza di farle capire finalmente il concetto, e intanto occhieggiai Matteo che si avvicinava ancora al furgone, si piegava e infine spalancava la portiera dal lato del passeggero, poi il corpo di un bambino che, dopo essere stato lanciato fuori, volava atterrando direttamente sul sedile della Mustang, grazie al furgone che si inclinò una seconda volta a causa della gomma bucata.

Cristo santo. C'era mancato poco che cadesse.

La testa di Calogero emerse fuori un istante prima che Chris lo prendesse alle spalle e lo ricacciasse dentro per pestarlo, dando così l'occasione ad Anna di seguire l'esempio del fratellino. Si lanciò dunque anche lei e si aggrappò con tutta sé stessa al tettuccio dell'auto. A quel punto, Matteo rallentò, Stefano spinse sul fianco per indurre Cinzia a spostarsi sulla sinistra, affinché imboccasse la corsia di decelerazione e Chris...Beh, Chris si diede alla pazza gioia. Passarono un paio di minuti e il piano di Steph raggiunse i suoi frutti.

<<Erica, esci qui, adesso.>>

<<D'accordo.>> La sua voce era alta quanto la mia al fine di farci sentire sopra agli stridii delle gomme, ai ruggiti del motore e ai clacson.

Fece come le avevo detto, mise la freccia e uscì tranquillamente. Cinzia la imitò, guidando ancora per qualche chilometro, ma alla fine fu costretta a frenare di colpo per non andare a sbattere contro il culo della mia Mustang, ora ferma nella strada buia e deserta. Ci trovavamo infatti in una strada extraurbana secondaria circondata da acri di terra, con i fanali delle nostre auto ad illuminare le nostre maschere nella fredda oscurità della notte.

Stefano rallentò dopo di lei, finché non si fermò definitivamente anche lui al mio fianco.

<<Bel colpo, Ferrari>> mi complimentò, guardandomi attraverso il finestrino.

Saltai fuori dall'auto. <<Ottima scelta, Santoro.>> Ma non c'era alcuna gioia nella mia voce, solo una glaciale serietà.

La Bugatti di Matteo accostò al fianco di Erica. Matteo scese nello stesso momento in cui Erica aprì la portiera. Si precipitò a soccorrere Anna, ancora agganciata al tettuccio dell'auto, mentre Erica pensò al piccolo. Mi avvicinai a lei, che aveva appena preso il bambino in braccio, la maschera sopra alla testa, e la aiutai a farlo smettere di piangere.

<<Il peggio è passato, piccolo. Adesso starai bene.>> Avevo rimosso anch'io la maschera per non dargli un altro motivo di scoppiare a piangere per la paura. Gli strofinai i capelli e gli sorrisi, lui si asciugò il moccio del naso con la manica del giubbino rosso e mi guardò con un paio di occhietti azzurri tracimanti lacrime. Aveva solo tre anni e, purtroppo, da quella sera in poi avrebbe potuto dire di portarsi un trauma alle spalle, sempre che la sua mente non cancellasse tutto pur di proteggerlo.

Anche Cinzia scese con gambe tremanti e il viso sconvolto.

<<Vado da lei.>>

Erica annuì e continuò a coccolare il piccolo, poi si girò a vedere Christian, che afferrava un Calogero ridotto male per il colletto della maglia e lo scaraventava fuori dal furgone. Le ossa del bastardo scricchiolarono battendo sull'asfalto, la sua bocca emise un grugnito, e non sarebbe stato certo l'ultima volta. Al contrario, avremmo sentito quelle stesse ossa cantare quando le avremmo spezzate una ad una e la sua bocca urlante si sarebbe fusa con queste.

Lasciai che se ne occupasse lui, smisi di ascoltare i commenti di Stefano al fianco della mia Diavolessa o la furia di Matteo che ribolliva in superficie, con Anna che rabbrividiva tra le sue braccia, e andai a informarmi circa lo stato di Cinzia. 

Lei, appena mi vide, scattò in avanti attaccandomi come un cobra. <<Ma che cazzo ti è preso, eh!? Non ti è venuto in mente nemmeno per un secondo che avresti potuto colpirmi in testa!?>>

<<L'ho pensato, ma so che non sarebbe successo. Non sono un pivello e il solo fatto che tu l'abbia considerato mi offende.>>

<<Ah sì? E perché sento che te ne farai una cazzo di ragione, Ferrari?>> sbottò acida.

Me la sarei fatta, sì, come tante altre volte.

<<Cosa ci facevi al Rave?>> chiesi, cambiando discorso.

La sua stizza si appianò. Abbassò il mento, la fronte corrugata, e si strinse tra le braccia. Indossava un abito striminzito e lunghi stivali di camoscio che le arrivavano alle cosce toniche. I suoi capelli erano un disastro e così il trucco. Mi levai pertanto la giacca e gliela avvolsi intorno alle spalle. Lei farfugliò un <<grazie>> e congiunse i due lembi di pelle con una mano.

<<Eri con Anna?>>

Fece cenno di sì col capo. <<Ci siamo sentite nel tardo pomeriggio. Mi ha parlato del Rave e dal momento che ci sarei andata anch'io, mi sono offerta di accompagnarla.>>

<<Nonostante sapessi di Calogero?>>

E poi quello irragionevole ero io.

Mi fulminò con un'occhiata che non arrivava minimamente ad equiparare quello della mia Diavolessa. Lei sì che avrebbe potuto uccidere qualcuno con un solo sguardo.

<<Non potevate rinchiuderla per sempre. È sbagliato.>>

<<Già, e guarda cosa succede: venite quasi rapite da un pazzo>> replicai. <<Siete state fortunate che Marco fosse lì nei paraggi e abbia informato Matteo, altrimenti ti saresti ritrovata in una posizione che avresti preferito non conoscere.>>

Non parlò subito, limitandosi a corrucciare le labbra. <<Lo terrò a mente la prossima volta che mi recherò ai bagni pubblici>> disse poi.

<<Sì, credo proprio che dovresti. E non sei l'unica>> puntualizzai, gettando una breve occhiata al gruppo. <<A ogni modo, come stai? Ti sei fatta niente?>>

Scosse la testa. <<Sto bene. Ho solo un piccolo bernoccolo alla testa, ma passerà.>>

Ciò nonostante, feci scorrere le mie dita sulla sua nuca, tastando il rigonfiamento dietro al cranio e mi accigliai nel percepire dei frammenti di qualcosa e del liquido sui polpastrelli. Ritrassi le dita e constatai che si trattava effettivamente di sangue.

<<Con cosa ti ha colpita?>>

<<Ha importanza?>> Ma si pentì subito quando il suo sguardo si scontrò col mio, inflessibile. <<Una bottiglia di birra. Lo stronzo mi ha colpita alle spalle mentre aspettavo che Anna uscisse dal bagno.>>

<<Devi essere medicata subito.>> Le passai un braccio intorno alle spalle e la feci accomodare dentro alla Mustang di Stefano. <<Aspetta qui.>> Sbattei la portiera e mi diressi verso i ragazzi, cogliendo Matteo che srotolava il tappo di una tanica di benzina e la versava sul furgone così da eliminare ogni prova; Christian che, come me, conduceva Anna nell'auto di Stefano e quest'ultimo al fianco di Erica. Reggeva ancora il piccolo, che dava le spalle a quello che stava succedendo, il viso nascosto nell'incavo del collo di lei e le manine che si attorcigliavano al tessuto in pelle della sua giacca.

<<Steph.>> Gli indicai la sua auto. Lui annuì, capendo al volo.

<<Dallo a me.>> Allargò le braccia verso Erica per prendere il piccolo, poi, con lui in braccio, camminò in direzione della sua auto, consegnò il bambino ad Anna, dopo di che salì dentro e sparì con le fiamme che si elevavano nel cielo e inghiottivano il furgone di Calogero.

<<Staranno bene.>>

<<Lo spero>> sibilò la Diavolessa. <<Che ne facciamo di lui?>> Accennò a Calogero. <<Lo consegnerete alla polizia?>>

<<E rimetterlo così di nuovo in libertà?>>

<<Mi chiedo come avrà fatto a uscire da lì.>>

<<La sicurezza del carcere è efficiente, ma non è infallibile. E se non da solo, avrà avuto sicuramente un complice>> le feci notare.

Un complice che gli avrà passato una lametta o un altro strumento attraverso il quale era poi riuscito a scappare sfruttando i condotti di aerazione, aiutato dal fatto che era notevolmente dimagrito. I suoi occhi erano più grandi del solito, le guance scavate e la pelle presentava un colorito smorto e livido, viste le menate che si era preso.

<<Quindi sarete voi ad occuparvene?>>

<<Ha avuto la sua occasione e ora rimpiangerà di non essere rimasto in quel carcere a vita.>>

Erica fu la prima a interrompere il contatto visivo. <<Mi sta bene.>>

<<Ne ero certo.>>

Insieme contemplammo il metallo che si fondeva, con la puzza di bruciato a solleticare le nostre narici. Il calore del fuoco ritemprò le guance per metà congelate. Calogero era ancora stramazzato a terra, legato mani e piedi da Christian. Matteo era accanto a lui, gli occhi inchiodati sulle lingue fiammeggianti, smarrito in quella condizione di trance che sperimentava ogni volta che appiccava il fuoco a qualcuno o a qualcosa. Il suo non era mai stato solo un piacere, ma una necessità, oscura e straziante, e noi lo comprendevamo e lo accettavamo.

Matteo si concesse un altro minuto, finché, soddisfatto del suo capolavoro, cominciò a suonarle di santa ragione a Calogero. Sfogò tutta la rabbia su di lui e nessuno di noi volle saperne di intervenire in suo favore. Anzi.

E mentre lo osservavamo inveire violentemente su un corpo già macilento, mi sovvennero in mente degli stralci di quanto accaduto. Alla fine, le maschere si erano dimostrate inutili. Se non noi, le telecamere avevano indiscutibilmente immortalato i volti di Anna e Cinzia, per non parlare della targa di Matteo.

Intuendolo, la Diavolessa cercò la mia attenzione e la ottenne. <<A cosa pensi?>>

<<Sto pensando che dobbiamo hackerare i video di sorveglianza autostradali.>>

<<E come intendi farlo?>>

<<Con una telefonata.>>

Presi quindi il cellulare e lo chiamai per l'ultima volta.

<<Era da un po' che non ti facevi più vivo>> tubò dall'altra parte del mondo e ancora una volta lo immaginai alla luce del giorno, che si mescolava tra la gente, ignara di chi lui fosse, o a gestire la sua azienda di hacking, o ancora impegnato in qualche missione che richiedeva salvare donne dal traffico della prostituzione, intercettare un carico di droga o far fuori qualcuno dei piani alti. E sapevo che non era l'unico a farlo, che aveva un amico a Seattle che conduceva la sua stessa vita e che era altrettanto temuto a livello mondiale.

<<Che ti serve?>>

<<Un ultimo favore.>>

Silenzio.

<<Vedo che hai preso bene la notizia>> ironizzai, con la sensazione del suo sguardo addosso. Erica nel frattempo mi scrutava con quella curiosità che l'aveva sempre spinta a cacciarsi nei guai o a trovarsi dove non doveva essere, come nella mia stanza a frugare tra le mie cose, ad esempio, ma che tutto sommato adoravo di lei. <<Non dirmi che sentirai la mia mancanza.>>

<<Sì, come no. Anche perché sono certo che sarò io e miei dannati favori a mancarti.>>

Sì, in parte era vero, ma se avrebbe voluto davvero ascoltare quella confessione da me, avrebbe dovuto prima trapanarmi lo stomaco come faceva con quelli che torturava. E neanche in quel caso ci sarebbe riuscito. Ero un osso duro. E questo lui l'aveva capito.

<<Dimmi tutto.>> E così feci. <<Una cazzata. Hai idea di quante volte mi sono fatto insultare da te con questi favori del cazzo?>>

<<Francamente non mi è importato molto di contarle.>>

Chad ridacchiò e io feci qualcosa che non avevo avuto spesso occasione di fare. Lo ringraziai.

<<Grazie, per tutto.>>

<<È il mio lavoro, no?>>

Forse. Indubbiamente era così, però, in fondo, sapevamo entrambi che non lo aveva fatto solo per quello; che negli anni quella relazione istaurata inizialmente per un bisogno, ricambiando il favore a ogni occasione, era diventata qualcosa di più. In pratica, eravamo cresciuti insieme, facendoci largo nel mondo a modo nostro. Io alla luce del giorno e lui attraverso le infinite reti del Web.

<<È stato bello finché è durato. Allora, ciao.>>

<<In questo caso dovrebbe essere un addio.>>

<<Non è mai un addio, amico>> sostenne e la mia bocca si incurvò di lato. 

Già, forse era vero anche questo. 

🥀

<<Ti prego, basta!>>

Giuro che se fossi rimasto un minuto in più sarei stato costretto a interrompere Matteo nel bel mezzo del divertimento e avrei ficcato in bocca a Calogero la canna della mia pistola.

Erano trascorsi cinque giorni da quando lo avevamo acciuffato e sbattuto dentro all'auto; cinque giorni che stavamo rinchiusi in un capannone diroccato abbandonato in mezzo al nulla -un altro dei miei immobili acquisiti tramite la stessa agenzia fantasma attraverso la quale potevo annoverare una baita immersa nel bosco tra i miei possedimenti - dove a turno ci eravamo sbizzarriti a torturarlo in diversi modi e tutti particolarmente creativi. E il figlio di puttana non voleva ancora saperne di morire.

Gli avevamo negato il sonno e ci eravamo fatti dire il suo piano di fuga, più che altro per sapere se erano coinvolte altre persone che avrebbero potuto quindi cercarlo e dare a noi la caccia. Ed effettivamente c'era stata una persona, un tale Nino che lo stava aspettando a Napoli, dove Calogero era diretto. Peccato che Stefano avesse poi mandato un suo conoscente e che il corpo di Nino stesse adesso nuotando insieme ai pesci.

<<Non mi dire che sei già stanco, perché io non lo sono. Il gioco è appena iniziato.>>

Un altro colpo inferto alla testa da parte di Theo, altri insulti. Calogero resistette e di conseguenza noi perdurammo, testando i nuovi giocattoli che erano arrivati. Per lo più erano lame di diversa forma e grandezza, ma all'appello non mancavano spranghe, chiodi, trapani, motoseghe, liquidi infiammabili e altri strumenti usati nel campo edile. Christian possedeva un vero e proprio repertorio. Lo zio, Ivan, gli faceva fare spesso il lavoro sporco e questo spiegava l'arsenale a sua disposizione. Nel mio caso, mi specializzavo nell'importo di armi da fuoco. Era una vera ossessione, la mia, un po' come quella che avevo per le auto da corsa o per la cioccolata bianca. E se l'incarnazione non era un enorme stronzata come ero solito pensarla, avrei detto di essere stato un soldato o un agente dell'FBI nella mia vita precedente.

<<La riconosci questa?>> Theo tirò su una spranga di ferro e a prima vista mi sembrò la stessa che Calogero aveva impiegato contro di lui la sera del Ballo di Halloween.

<<Ti sei divertito a colpirmi alle spalle. Farlo in faccia era impensabile, giusto? Hai trascinato la mia ragazza per i capelli, l'hai picchiata e come se non bastasse te la sei presa poi con la sua amica. Tu sì che sei un uomo tutto d'un pezzo.>>

<<No, ti-ti pre-go>> balbettò lui, la sua voce smorzata e supplice.

<<Che fai? Mi preghi adesso? Hai forse ascoltato la mia ragazza quando ti chiedeva di non toccarla, cazzo?>> sbraitò Matteo, incollerito. <<No, e guarda in che condizioni è. A malapena esce di casa e mi guarda. Ha perso la voglia di cantare, di vivere.>> 

Lo colpì ancora, ma più che per i colpi, la testa di cazzo piangeva ancora il suo uccello. In questo momento era a terra, in ginocchio, i pantaloni intonsi di sangue calati a metà coscia, con i bulbi oculari vitrei sgranati e le mani prive di tutte le dita che toccavano quel che rimaneva della sua virilità, ossia niente

Alla fine, Matteo aveva perso le staffe e aveva deciso di castrarlo. Poi, on d'evitare che morisse dissanguato nel giro di qualche minuto, gli aveva cauterizzato la ferita. E non aveva la minima intenzione di smettere di impiegare il fuoco per altri scopi.

Per un attimo mi guardai intorno. Sangue. C'era sangue ovunque. Per terra, schizzi scarlatti sulle pareti di cemento ammuffiti, su alcune travi di legno cadute, sui cocci di vetro appartenenti alle vetrate rotte, sulle nostre mani, sui nostri corpi. L'umidità del clima uggioso, che filtrava attraverso le finestre e illuminava di una luce cerulea il locale, per non parlare del tanfo che promanava dal suo corpo, erano asfissianti.

La pelle mi calzava improvvisamente stretta. Il sudiciume che lo ammantava era tedioso. 
Gli avrei chiesto di prendersi una pausa, ma avrei solo rischiato di acuire il dolore alla testa sopportandone la reazione esagerata. Era furioso come non l'avevo mai visto in tanti anni che lo conoscevo. E pensa che, stando ad Anna, il bastardo non l'aveva nemmeno sfiorata. I suoi occhi erano iniettati dello stesso sangue che stava facendo sgorgare al patrigno della sua ragazza.

Lo studiai. Era davvero ridotto uno schifo e la vista mi annoiò subito. Il suo occhio sano cozzò con il mio sguardo per un istante. L'altro era ormai andato, infagottato dalla sua stessa carne. La sua faccia era gonfia come un pallone da calcio. Lacerazioni e bruciature segnavano il suo corpo smilzo e ricurvo, fratturato in alcuni punti. Ma niente che avesse potuto spedirlo da Satana.

Per adesso.

<<Ti piace la vista?>> lo canzonai. <<Se è così, fatti una foto. Dura di più.>>

<<Brutto bastard->>

Matteo interruppe la sua imprecazione assestandogli un calcio in faccia. Calogero cadde di fianco, grugnendo per la stilettata.

Certo che certa gente non ha proprio un po' di inventiva o un senso dell'ironia. Preferisce gli insulti a una battuta arguta.

<<Un'altra parola e la prossima cosa che taglierò sarà la tua lingua.>> Theo si passò il dorso della mano alla bocca, asciugando il rivolo di saliva che gli era colato sul mento a forza di gridargli contro, poi afferrò un'altra tanica di benzina, la svitò e gliela versò addosso. Le urla ricominciarono e io strizzai le palpebre.

La voglia di trapassargli il cranio direttamente dalla bocca si fece via via più insistente.

Premetti i polpastrelli incrostati di sangue secco contro le tempie, i gomiti poggiati alle cosce, e le massaggiai compiendo dei movimenti circolari. Le fitte erano frequenti e acute, il corpo spossato e sporco di polvere, sudore e sangue. Mi occorreva proprio una doccia e una bella dormita, e credo che questa volta sarei riuscito a dormire tranquillamente per un paio d'ore senza per questo ammazzare qualcuno nel sonno o svegliarmi di soprassalto per colpa di un altro incubo. 

Christian iniziò a fischiettare Engel dei Rammstein, cosa che mi distrasse dal mio mal di testa, e sempre fischiettando mi si avvicinò.

<<Oki?>> Mi ondeggiò la bustina di Oki task davanti al naso e prese posto al mio fianco. <<Hai la faccia di uno che ne ha un disperato bisogno.>>

<<Che acuto>> lo sbeffeggiai e accettai la bustina. Ne strappai l'estremità e mandai giù il contenuto in polvere. Il sapore della menta mi esplose in bocca, la sua freschezza era quella manna dal cielo che mi serviva. Gettai il resto della bustina a terra e mi appoggiai allo schienale della sedia traballante, le gambe divaricate e le mani sul grembo.

Stefano ci venne incontro, addentando un tramezzino, anche lui con le unghie bisunte di sangue aggrumato. Matteo estrasse fuori il suo zippo, identico ai nostri, e lo accese.

<<Che avevo detto?>> esordì Steph con aria da saccente, la bocca mezza piena.

<<Vuole davvero dargli fuoco di nuovo?>>

Finora si era limitato alla pianta dei piedi, per impedire che potesse scappare in nostra assenza, e al suo uccello, e adesso voleva pure dargli fuoco del tutto.

<<Qualche problema?>> si intromise lui, incazzato.

Alzai entrambe le braccia. <<Per carità, fai pure.>>

Stavamo mormorando, ma dimenticavo che Matteo aveva le orecchie più lunghe delle nostre.

Osservai l'accendino cadere e la fiamma prendere vita, ripercorrere il percorso creato dalla benzina e approdare ai piedi di Calogero. Con un lampo di puro terrore negli occhi, lui si tirò indietro cominciando di nuovo a strillare, ma il fuoco risalì comunque sui suoi pantaloni, al che, sopportando lo strazio ai piedi calcinati, alla fine si alzò da terra e provò a spegnerlo battendo inutilmente le mani mutilate sulle cosce scarne.

<<Sai com'è fatto? Non sarà contento finché il coglione non schiatterà>> ricordò Chris.

<<Il che ci vorrà un po'>> aggiunse Steph.

<<Si, vabbè.>> Mi alzai anch'io e, portandomi una sigaretta alle labbra, me ne andai  lasciando quei due ad esultare e ad applaudire, mentre Calogero urlava a squarciagola e ballava tra le fiamme che lo bruciavano vivo. Se dovevo proprio intossicarmi, preferivo di gran lunga il fumo della mia sigaretta a quella della sua carne essiccata.

Uscii quindi dal capannone, rimossi la sigaretta e presi una boccata d'aria. Le sue urla giungevano un po' ovattate lì. Non potevo pretendere certo il silenzio assoluto, a meno che non mi inoltrassi nel bosco, perciò mi accontentai di quel poco e camminai ancora un po'.

Aveva smesso di piovere a breve, per cui il terreno sotto alle suole era scivoloso, oltre ad essere tappezzato di resti di vecchie travi e schegge di vetro. Proseguii e mi fermai a metà strada tra le auto parcheggiate e il capannone. La fanghiglia attecchiva alle mie Adidas nere scamosciate a ogni passo che compivo. C'erano persino delle macchioline di sangue sulle punte.

Perfetto. Un'altra cosa che avrei buttato nella spazzatura insieme ai vestiti.

Forse avrei dovuto proprio smettere di indossare i miei capi preferiti quando mi decidevo a torturare qualcuno. Era davvero uno spreco. E per degli stronzi, poi. 

Infilai di nuovo la sigaretta in bocca e avvicinai la fiammella del zippo all'estremità, ma una folata di vento la spense prima ancora che il tabacco ardesse.

<<Ma che cazzo.>>

<<Lascia fare a me.>>

I miei occhi si issarono nell'udire quella voce dolce e fumosa, simile al caramello fuso. Delle dita vellutate mi presero l'accendino dalle mani. Erica era di fronte a me, fresca di doccia e gli occhi contornati dal nero. Le piaceva proprio e a dirla tutta piaceva anche a me. Li rendeva più accattivanti.
Niente occhiali. Ora che ci pensavo non glieli avevo visto addosso da bel un po'. Probabilmente, si era scocciata di portarli. Peccato, perché le stavano un incanto. Tra le mie fantasie non avevo mai contemplato un paio di occhiali da bibliotecaria. Da quando la conoscevo si era rivelata una scoperta, come molte altre cose, tipo i due nei che aveva sul profilo destro del naso o quello piccolo sopra al labbro superiore. E avrei potuto andare avanti così a occhi chiusi per ore, tracciare i nei che aveva sul corpo tutte curve come una mappa.

Il fatto che non mi fossi accorto della sua presenza o che non avessi nemmeno fiutato il suo dolce profumo la diceva lunga sul mio mal di testa.

Mentre mi piegavo in avanti consentendole di accendere la sigaretta per me, ne approfittai per squadrarla. Il vento le blandiva i capelli setosi del medesimo colore del cioccolato e aveva le unghie smaltate di rosso scuro, così come lo erano le sue labbra carnose e perfette. Con quel cappotto nero in pelle, gli occhiali da sole ristretti sopra alla testa e i tacchetti poi aveva tutta l'aria di essere uscita fuori da Matrix. Era interamente ricoperta da pelle nera, e l'espressione nel suo sguardo era asettica.

Era davvero sexy, cazzo. E la vista piaceva tanto ai miei occhi quanto al mio uccello, che, senza preavviso, si indurì nei pantaloni. La mia fantasia peggiorò solo la cosa. Mi vennero giusto in mente un paio di cose che avrei potuto farle e che le sarebbero piaciute da morire.

Inspirai e il tabacco sfrigolò insieme alla cartina sottile che lo inglobava. L'estremità si colorì subito di arancione e una voluta di fumo abbandonò la mia bocca.

<<Stai bene? Hai una faccia...>>

<<Mal di testa>> risposi ed era quanto le bastava sapere.

Le mie emicranie non erano una novità per nessuno, né per lei né tanto meno per i ragazzi. Ne soffrivo spesso e penso che la causa fosse dovuta in parte alla mia insonnia.

<<Hai già preso qualcosa?>>

Annuii e rilasciai un'altra spirale di fumo. Le sue retine la rincorsero e la videro disperdersi nell'aria fredda. Pensavamo che la primavera si sarebbe fatta sentire prima, visto i giorni di sole che avevamo avuto, ma quell'ultima settimana ci smentì. Il freddo era tornato e così la pioggia.

<<Ne vuoi una?>> Le porsi le Marlboro Black e lei allora mi mostrò le sue Red con l'ombra di un sorriso malizioso sulle labbra dipinte a sangue. Labbra che mi invogliavano a morderle e a succhiarle.

<<Ti ho portato dei vestiti di ricambio e qualcosa da mangiare per te e i ragazzi>> esordì. Spostai lo sguardo da Erica alla Mini Cooper nera parcheggiata accanto alla mia Mustang, poi lo riportai di nuovo su di lei.

<<Grazie.>>

Fece spallucce. <<Allora? Come procede?>>

La misi quindi al corrente su Nino e su quello che lo stronzo aveva patito nelle ultime ore in cui lei era stata assente per prendersi cura di Anna, e la Diavolessa sbirciò il colosso di cemento e vetri rotti alle mie spalle.

<<Capisco, quindi possiamo tirare un sospiro di sollievo?>>

Le mie sopracciglia si incresparono. <<Ne dubitavi?>>

<<In parte>> ammise. <<Voglio dire, voi avete le vostre conoscenze, ma anche lo stronzo ne ha altrettante e non vorrei che questo>> indicò il capannone << ci si ritorca contro.>>

<<Stai tranquilla, mi assicurerò che non accada.>>

<<So che lo farai>> concordò e per un attimo ebbi come l'impressione che mi stesse prendendo per il culo, ma poi seguitò. <<Non ti sfugge mai niente, proprio come con le telecamere. Le hai davvero hackerate?>> Annuii ancora e a lei sfuggì uno sbuffo divertito. <<Come non detto.>>

<<Lei come sta?>>

Non l'avevo più vista da allora.
Non ero più tornato a casa da allora. 

<<Come vuoi che stia?>> disse. <<Silvia e Chiara non la lasciano sola un attimo e Catia ha disposto che Antonia e il piccolo stiano per qualche tempo nella sua casa in campagna dopo la scenata di Anna. Non la vuole più vedere. Suppongo che le ricordi quello che le ha fatto e quello che le ha fatto lui.>>

<<Davvero non le ha messo le mani addosso?>>

<<Lei assicura di no, ma potremmo esserne certi solamente quando si calmeranno le acque. Al momento non ne vuole sentir parlare. Matteo, invece?>>

<<Perché non guardi tu stessa?>>

Non l'avrei proposto a nessun'altra, ma Erica non aveva mai dimostrato di essere come le altre. Quella guardava film horror e serie True Crime per divertimento, tralasciando i libri che era solita leggere. Altro che essere interessata alle menti contorte. Quella leggeva semplice porno e che lo smentisse quanto lo voleva. Non che non mi andasse bene, a patto che poi volesse ricreare le scene con me. L'avevo persino vista affondare i denti in un hamburger senza battere ciglio o nausearsi mentre guardavamo Terrifier insieme, e quando alla fine del film le avevo chiesto cosa ne pensasse mi aveva confessato di aver provato l'irrefrenabile desiderio di baciare quella specie di clown. E dopo questo tutte le mie convinzioni su di lei si erano consolidate come il cemento. Quella non era normale e la cosa mi faceva letteralmente eccitare. Anche adesso che marciava verso il capannone con le urla del coglione che aumentavano d'intensità e si fermava a guardare Matteo lanciargli un recipiente di acqua addosso, non mostrava alcun segno di turbamento. L'avevo vista spaventarsi con nulla, ad esempio quando i bambini rincorrevano i piccioni in piazza e lei si riparava dietro di me temendo che le volassero in faccia, ma non mi era mai capitato di vederla inorridire una volta in quei cinque giorni per quello che era successo là dentro.

Mi ero aspettato che ci vedesse diversamente dopo averci conosciuto per chi eravamo davvero, che si facesse un'idea diversa di me, in fondo quella era la vita reale e non un cavolo di film dell'orrore. Ma non solo non era avvenuto, il suo interesse nei nostri confronti era addirittura cresciuto. Cosa che mi portò ad affermare con certezza che per lei eravamo una specie di casi clinici che adorava esaminare con il fascino e la freddezza che contraddistinguevano un criminologo.

<<Ti manca un punto>> sentii Chris, che additava il didietro di Calogero in fiamme. Theo allora gli versò il resto della sua birra e scaraventò la bottiglia alla cieca. Il vetro che si frantumava rimbombò insieme al suo respiro affannato e ai piagnistei di Calogero ancora vivo.

<<Ha davvero la pelle dura quello stronzo. Mi stupisco che non si intravedano le sue ossa>> chiosò Steph, leggendomi nel pensiero.

Dei vestiti era rimasto poco o nulla. La sua carnagione era rossa, ogni parte di lui era ustionata e il suo viso ricordava vagamente quello di Freddie Krueger. Era proprio una favola. Il suo aspetto finalmente confaceva con quello che c'era dentro di lui.

<<Ti è passato il mal di testa?>> chiese Steph appena mi vide. <<Oh, Pulce, ci sei anche tu. Dai, unisciti alla festa.>>

Matteo si girò e il suo sguardo andò in rotta di collisione con quello della Diavolessa al mio fianco e ora che lei era lì intuii che stava per prendere e andarsene da Anna. Infatti, raccolse il suo zippo da terra, lo mise dentro alla tasca, si calò  il cappuccio della felpa in testa e uscì senza dire una parola.

Erica emise un lungo fischio. <<Cazzo, è proprio fuori di sé.>> Comprensibile dal momento che non aveva mai visto la versione psicolabile di Theo.

Con le mani nelle tasche del cappotto, avanzò verso il centro del capannone, dove Calogero era nuovamente in ginocchio, tremolante come la fiaccola di una candela.

<<Però. Non hai una bella cera nemmeno tu. Vuoi dell'acqua?>> Fece cenno a Christian di passarle la sua bottiglia e lui la assecondò. Agguantata la bottiglia, cominciò a versarne lentamente il contenuto.

La mia bocca si incurvò in quello che era un sorriso impressionato.

<<Non vuoi bere?>> gli domandò, artefatta.

La testa di Calogero si innalzò e i due si guardarono negli occhi. Poi lui le sputò, ma grazie a Dio la sua saliva non la colpì nemmeno di striscio.

In preda all'ira più nera per averla insultata, battei Christian per tempo e sollevai il coglione da terra afferrandolo per il collo. Chris si fece immediatamente da parte, divertito.

<<Nemmeno il cane morde la mano di chi gli dà da mangiare. Tu invece ci sputi>> gli ringhiai in faccia e a stento riconobbi la mia stessa voce. << Non ti hanno proprio insegnato niente, eh?>>

<<La-scia-mi>> osò pretendere, strozzandosi.

<<Certo, se prima le porgi le tue scuse>> accordai, affettato.

<<Vaffan->>

Le mie dita aumentarono la pressione intorno alla sua gola. <<Non ho sentito.>>

Il suo campo visivo si accorciò come il suo respiro. Lo sentii esalare tra le dita, le sue gambe agitarsi convulsamente e le sue mani prive di dita tentare pateticamente di allentare la morsa che stava anticipando il suo incontro con Satana.

<<Allora?>>

<<Scu-sa.>>

<<Come? Non ho sentito. Dillo più forte.>>

<<Scu->>

<<Ho detto più forte!>>

<<SCU-SA.>> Ci aveva provato, ma il suo massimo era un misero sussurro.

Mi rivolsi a Erica. <<Accetti le sue scuse?>> Lei approvò. Tornai perciò a Calogero. <<Ben fatto.>> Sciolsi la presa e lui crollò a terra con un tonfo. Le ossa del suo culo bruirono e mi ricordai che erano ancora intatte. Forse avrei dovuto spezzargliele come avevo già fatto con quelle del braccio. Ma prima...
Mi volsi per prendere il tronchese sopra al tavolo e fare con i suoi piedi quello che avevo fatto con le dita della sua mano. Chris si era limitato alle unghie, per cui era compito mio rimediare. Dopo di che avrei potuto passare al suo braccio. Eppure, il mio proposito andò a monte a causa della nuova piega che aveva preso il discorso. 

<<Come hai detto?>> udii Erica. Christian le si avvicinò, Stefano scattò in piedi. Da quando ero uscito non si era mosso da quella sedia.

<<Stai camminando con una taglia sulla testa, ragazzina>> biascicò il bastardo, e una risata bassa e roca gli riverberò fuori dal petto. <<Loro ti osservano e chissà da quanto.>>

Questa volta lo ammazzo sul serio. 

<<Stanno venendo. Loro verranno>> delirò e la pressione sanguigna mi schizzò alle stelle.

Erica lo fissò e dal suo volto non trasparve nulla. Era di pietra.

Ritornai sui miei passi. <<Che cazzo ha detto?>>

<<Walking Dead>> continuò lui, ignorandomi. <<Da questo momento tutti voi siete dei cazzo di morti che camminano, ma tu>> e le sorrise di nuovo <<tu sarai la prima.>>

<<Ora gli chiudo quella fogna una volta per tutte.>>

Ma la Diavolessa anticipò sia Christian, che si era fatto avanti, che me.

<<Ah sì? Voglio proprio vedere come.>>

Fu un attimo. Erica tirò fuori la Glock19 che le avevo regalato e che finora aveva usato solo per allenarsi con me nei boschi, la caricò e gli sparò a bruciapelo in mezzo agli occhi. La bocca dello stronzo si disserrò e la sua testa oscillò all'indietro, col sangue che zampillava fuori dal buco formatosi sulla sua fronte. Il suo corpo ricadde e si afflosciò sul cemento lurido di benzina bruciata, del suo sangue e della sua urina.

Tre teste ruotarono verso di lei, l'aria intrappolata nei polmoni.

Con un'indifferenza che mi lasciò per la prima volta senza parole, Erica calò il braccio e incastrò la Glock nella cinghia dei pantaloni.

<<Oh Gesù Cristo. Che hai fatto?>> gracchiò Steph, allibito.

<<E ora chi cazzo lo dice a Matteo?>> mormorò Chris, lo sguardo inchiodato sul cadavere.

Erica però non rispose a nessuno dei due. Disse invece una cosa che mi lasciò senza parole per la seconda volta.

<<È così che hai sparato allo stupratore di tua madre?>>

Sia Chris che Steph mi scoccarono un'occhiata incredula, che sostenni con la mascella tirata e l'aria che si addensava e fluiva calda fuori dalle narici dilatate.

"Già, lo sa. E no, non so come."

Loro dovettero averlo dedotto perché riportarono la loro attenzione alla piccola iena. Era proprio una nanerottola ora che era in mezzo a noi, ma era una nanerottola estremamente pericolosa.

<<Chi te l'ha detto?>>

<<Christian>> affermò lei con una tranquillità che non seppi se mi spiazzò o mi imbestialì.

<<Che cosa?!>>

Lanciai un'occhiata assassina al mio amico. <<Christian, eh?>>

Lui deglutì visibilmente.

<<Ma che cazzo, amico!? Gliel'hai detto?>> lo interrogò Steph, sempre più sbigottito.

<<Non sapevo che...Pensavo lo sapesse. Lei mi ha dato quell'impressione e->>

<<Complimenti, deficiente. Ti sei fatto abbindolare.>>

Ridussi gli occhi a due fessure e trattenni quell'infimo sorrisetto che voleva affiorare a tutti i costi. E così la piccola iena è migliorata. 

<<Perché non me l'hai detto?>> insistette lei, ignorandoli deliberatamente. Mi scandagliava con la medesima intensità senza però fare breccia nella mia corazza.

<<Ok, tutti fuori. Adesso.>>

Christian e Stefano si scambiarono un'altra occhiata sollecita, prima di defilarsi.

<<Non ucciderla, ti prego, e non uccidere me>> disse in fretta, poi, rivolgendosi a Stefano, lo sentii aggiungere un <<ricordami di non farla mai incazzare>>.

Li vidi sparire entrambi e chiudersi il portone alle spalle con l'eco della sua richiesta nella mente.

Purtroppo per lui, non potevo garantire nessuna delle due cose.

  🥀

Il cuore mi pulsava nelle orecchie quando rimanemmo soli e un calore che stentavo a riconoscere come quello del mio corpo mi stava risalendo al cervello. 

Avevo sparato a un uomo. L'avevo ucciso. 

Non era certo con quel pensiero che mi ero alzata la mattina, né l'avevo avuto quando ero salita nella mia auto e avevo guidato fin lì. L'importo d'armi non è legale in Italia, ma come se lo fosse avevo comunque portato la pistola con me. E l'avevo usata.

Il sangue continuava a scorrere tingendo di scarlatto il cemento grigio e saturava di ferro l'aria di per sé fetida. I suoi occhi erano ancora sbarrati e privi di vita. L'avevo vista scivolare via e spegnersi senza trasalire. Avrei voluto dire di aver provato qualcosa, ma avrei mentito. 

Non avevo provato assolutamente nulla. Fu come se qualcuno o qualcosa avesse inaspettatamente interrotto il flusso di emozioni, trasformandomi in una macchina. 

Ma adesso...adesso la mano tremava, le mie viscere si contorcevano e non sapevo decidermi se fosse per il rinculo della pistola, per la coscienza che mi stava sbattendo in faccia quello che avevo appena fatto o se invece fosse per il suo sguardo pregno di collera. I suoi occhi rilucevano quanto può rilucere l'ambra grezza. L'oscurità li consumò, e il cuore mi sprofondò nella bocca dello stomaco. Metteva davvero paura, ma dissi a me stessa che ero in grado di reggerlo, di fronteggiarlo. E lo feci. Mi inalberai e non gli permisi di scorgere neanche un barlume di angoscia in me. 

Senza staccare gli occhi da lui, tesi le orecchie. Il portone dietro di me cigolò. Il vento ululava. Il legno gemette e si spezzò sotto al peso dei loro piedi, che li allontanavano sempre più da noi. Mi dispiaceva che fosse andata a finire così. Non avevo riflettuto abbastanza, mi ero fatta prendere la mano, sia con Calogero che con Enrico quando gli avevo detto di Christian.

Non era stata una mossa onorevole la mia. Come aveva giustamente affermato Stefano, l'avevo manipolato e un giorno di questi mi ero fatta dire quello che mi interessava. Avevo già avuto una mezza idea, ma avevo volevo una conferma. E lui me l'aveva data. Gli avevo fatto credere di sapere già cos'era accaduto con Agatha e mi ero fatta raccontare i dettagli, così tutti i pezzi del puzzle erano tornati al loro posto e alla fine avevo studiato l'immagine finale.

Avevo sperato che Christian avesse saputo qualcosa anche sulla persona che Enrico aveva contattato per hackerare il sistema di sicurezza autostradale, ma non aveva saputo dirmi nulla. Non un nome o da dove provenisse. Non era consapevole nemmeno della sua esistenza, al che ascoltandomi mi aveva guardata con tanto d'occhi, poi aveva realizzato qualcosa e alla fine se n'era andato.

Sia dalle notizie che dai documenti che avevo leggiucchiato in fretta quella sera non veniva riportato da nessuna parte che un ragazzo avesse sparato all'aggressore della madre, solo che quest'ultimo era stato colpito, non si sa bene da chi, e che era morto, e che la polizia era irrotta in casa e aveva trovato lui e Agatha in salotto insieme a Enrico e Caterina, aggredita anche lei dall'uomo, il suo stesso ragazzo, per giunta - se le mie deduzioni erano corrette. Eppure, stando a quanto avevo origliato la loro conversazione, doveva essere così. Poi avevo letto il numero di matricola dell'arma adoperata, in seguito magicamente smarrita dal reparto prove della polizia. E guarda un po' coincideva esattamente con quella che avevo visto il Diavolo adoperare per insegnarmi a sparare. Coincidenza? Non credevo proprio. La sua era una fissazione. Lui era ancora radicato nel passato, un passato oscuro imbevuto di intrighi e di menzogne.

Ed era stato allora che avevo capito che dietro a tutto c'era lui. L'arma, l'insonnia, le parasonnie erano stati tutti un chiaro segnale che finora non avevo colto. C'erano ancora dei quesiti, ma in un modo o nell'altro avrei risolto anche quelli.

Enrico compì un passo avanti. La sua postura, il fuoco negli occhi, le gocce di sangue secco che screziavano un lato del suo viso e gli avambracci nei quali un intrico di vene verdi e prominenti si diramavano come radici, tutto mi derubò di una piccola ma preziosa riserva di ossigeno.

<<Quale parte di "non voglio coinvolgerti nei miei affari" non hai capito?>>

Una piccola ruga rincrespò la mia fronte. <<Ormai direi che sono già coinvolta, non credi? L'hai sentito. Ha detto che verranno.>>

<<Non verrà nessuno>> obbiettò e il tenore della sua voce divenne più cupo. <<Non permetterò nulla del genere.>>

<<Come puoi esserne così sicuro? Se non sarà qualcuno mandato da Calogero, sarà qualcun altro. Sei praticamente circondato da nemici!>> gridai e il muscolo della sua mascella scattò. <<Nemici che possono benissimo arrivare a te colpendo me.>>

Non ero un'ingenua. E poi, era successo. Non serviva mica che gli ricordassi di Claudio e della sua crew, gli Eagles, o raccontargli di come James avesse provato ad approfittarsi di me all'International. Tra le cortine di fumo che offuscavano ancora i miei ricordi, ero certa di averlo visto sbiancare quando Stefano gli aveva enunciato che ero la ragazza di Enrico, poi l'ira donare nuovamente colore al suo incarnato. E oltre agli amici, c'erano le sue seguaci, le ragazze come Michelle, disposte a tutto pur di averlo, anche soffocare qualcuno dentro a una sauna. Ma niente di tutto ciò mi avrebbe fermata.
Perché lo amavo.

<<Lui ha ragione. C'è una bella taglia sulla mia testa e né tu né nessun altro potrà mai cambiare le cose.>> Stavo per sputargli in faccia altro quando la sua mano mi serrò la gola.

<<Che cos'hai detto? Ripetilo se ne hai il coraggio.>>

Gli infilzai le unghie nella carne. <<Non puoi->>

Il suo ringhio però assorbì la mia replica oppressa e le sue dita mi artigliarono meglio sollevandomi sulle punte. Ero un cazzo di suricato nelle grinfie di una tigre rabbiosa. Non si fermò, né io smisi di osteggiarlo. La mia determinazione e la sua si scontravano ad armi pari.

<<Non posso cosa? Cos'è che ti ho sempre detto, Erica? Sei davvero un'ingenua se temi il mondo e non il lupo cattivo al tuo fianco.>>

<<Io non ho...paura.>>

Non avevo paura, non veramente, né del mondo né della morte. Le uniche due persone che temevo erano: mia madre e per una serie di ragioni che riguardavano esclusivamente l'eventualità di nuocere i miei cari; e infine Enrico, ma non perché potesse arrivare a farmi del male, ma perché dentro di lui era racchiuso un sentimento profondo e ardente che mi destabilizzava e mi costringeva a mettere in discussione ogni cosa, compresa me stessa, ma soprattutto perché da atea arrivava a fare di me una credente. Una donna disposta ad avere fiducia in qualcosa, a desiderare di essere come le altre e a dire che l'amore, per quanto spaventoso e fuorviante, era necessario nella vita degli altri come lo era nella mia. Mi ero convinta di non meritarlo, poi di non volerlo, e adesso mi smentivo da sola. Avevo avuto torto. Io lo meritavo, lo volevo e lui si era mostrato più che disposto a donarmelo.

Ma può solo l'amore bastare?

Gli graffiai il braccio, scavando più in profondità, ma non sortii alcun effetto. La sua pelle era corteccia che abradeva unghie e pelle insieme, la sua mano una fauce che azzannava la gola e le sue pupille quella fossa dentro alla quale mi avrebbe infine gettata.

Sul suo volto apparve un sorriso malevolo. <<Ah no? Che peccato. Mi piace vederti spaventata.>>

<<A me invece dispiace saperti cieco.>> Un secondo dopo, misi in pratica quel che mi aveva insegnato e mi liberai di lui. Il suo braccio si piegò, la mano scivolò via e l'aria tornò a riempire i miei polmoni infiammati. Premetti la mano sul suo addome e lo spintonai. Lui indietreggiò di un solo passo, seppure avessi adoperato tutte le mie energie, e mi fissò. L'incredulità e l'irritazione erano a pari passo dal manifestarsi e determinarne l'espressione.

<<Oppure fingi solo di esserlo? Fingi che il pericolo non sia all'agguato? Beh, spiacente per te, perché forse lo è davvero. E la sai un'altra cosa? Mi sta bene, perché ho accettato di correre quel rischio pur di stare con te, ma apprezzerei che tu mi dicessi con chi esattamente dovrei alzare la guardia. Mi semplificheresti le cose in questo modo e non negarlo, perché sono convinta che la pensi così anche tu, solo che ti riesce difficile.>>

Nell'udire quell'attestazione, il fuoco in lui divampò e il calore delle sue fiamme iniziò pian piano a bruciarmi la pelle.

<<E non tanto per il fatto della fiducia>> seguitai, infervorata. <<L'ho capito, sai? Sei stato piuttosto chiaro a riguardo e io ti credo, come credo anche che lo stesso vale per te, altrimenti non avresti mai acconsentito a togliere le telecamere da casa mia; non mi avresti mai allenata, ma rinchiusa dentro a una campana di vetro. No, tu ti fidi di me. Tu sai che posso cavarmela da sola e sai che posso benissimo proteggerti le spalle o, com'è appena successo, uccidere qualcuno.>>

Inarcò un sopracciglio. <<Quindi?>>

<<Hai detto che l'idea che possa succedermi qualcosa ti spaventa. Hai detto che nonostante tutto avresti provato a proteggermi, e in parte è vero. Credo anche questo. Ma quello che in realtà non vuoi ammettere è che il motivo principale per cui non parli con me è il tuo non amar condividere niente di te stesso. Non ciò che conta davvero, almeno. Non lo fai con me e forse nemmeno con i tuoi amici. Perché a te piace fare tutto da solo, perché sei un cazzo di maniaco del controllo.>>

Provai uno strano sollievo nel dirglielo, lo stesso sollievo che si prova a togliere un sassolino dalla scarpa dopo averci camminato a lungo. E al sollievo si aggiungeva una sensazione di potere, lo stesso potere che avevo percepito nel manipolare Christian. Avevo spezzato un illusione, sventrato un inganno.

Quel figlio di puttana. Era bravo sul serio. Dopo quello che aveva fatto con me e per come aveva gestito la situazione con Rebecca, per non parlare di quello che avevo sentito raccontare sul suo conto con le ragazze, trovavo il termine "fottere i cervelli" davvero azzeccato.

Per un istante era seriamente riuscito a farmela sotto al naso. Mi aveva fatto supporre che come me preferisse il silenzio per non condividere il fardello con chi amava o per proteggerli. Come un cazzo di specchio, aveva riflettuto la mia immagine su sé stesso, facendomi credere che fosse la sua.

Ma quella non era la verità. Non pienamente.

L'abbandono genitoriale gli aveva insegnato la fallacia degli esseri umani, gli aveva mostrato la bellezza del controllo, lo aveva spinto ad amare la solitudine, ad addentrarsi nelle sue ombre e ad agire dentro di essa. Gli aveva dimostrato da dove si originava l'onnipotenza di un dio e a perseguirla. Perché Dio è solo. E lui era diventato tale, anche se malvagio, ma solo per metà. Era un dio, ma era anche un uomo, e quanto a lungo può vivere solo un uomo senza prima o poi impazzire? Così, aveva deciso di accompagnarsi con entrambe, tenendole però separate tra loro.

E dal modo in cui i suoi occhi si socchiusero capii di aver fatto centro e al contempo di essere spacciata.

Enrico compì un passo avanti invadendo il mio spazio vitale, al che, per recuperarlo, fui costretta a retrocedere di un passo, poi di un altro e un altro ancora, finché, senza accorgermene, non mi ritrovai con le spalle al muro, appiattita dal suo corpo da adone.

La mia gabbia toracica si restrinse e il cuore mi salì in gola. Rischiavo di soffocare una seconda volta o di ardere sotto al suo sguardo, o entrambe le cose.

Il suo alito mi solleticò sotto alla mascella e i brividi insorsero lungo la mia schiena, intirizzendo i capezzoli dietro al reggiseno sempre più aderente ai seni.

<<Mi hai appena dato del maniaco?>>

Le mie guance si arrossarono. <<Sì, e ti darò dell'altro se non arretri.>>

<<E che cosa?>> domandò, intrigato. La mia minaccia non l'aveva nemmeno sfiorato.

Lo scrutai a fondo, le parole ferme sulla punta della lingua. <<Ti darei del bugiardo e del codardo.>>

<<Del codardo?>> fece eco, divertito.

<<Sì, del codardo. Cosa credi che si nasconda dietro al controllo? La paura>> sentenziai, convinta. Le sue sopracciglia si issarono. << Tu hai paura>> rimarcai. <<Di ferire e di essere ferito, ma soprattutto di diventare come tuo padre.>>

I frammenti d'ambra incastonati nei suoi occhi mutarono in lava fusa, la sua mascella guizzò e l'odio arrochì il suo timbro di voce.

La mia testa batté contro il muro e un dolore sordo si irradiò in quel punto e intorno al cranio. La sua mano avvolse una seconda volta la mia gola, ma adoperando una forza maggiore.

<<E che ne sai tu di com'è mio padre?>>

<<So quel che ho visto>> risposi, faticando a tenere le palpebre aperte. <<So quel che ho sentito e mi basta. Ma tu non sei come lui. Hai sentito? Non. Sei. Lui.>>

<<Mi sembra ovvio.>>

<<Allora perché non lo dici anche a te stesso? Perché non parli con me?>>

<<Tu vuoi sapere troppe cose, Diavolessa.>>

Ebbi un sussulto. Il calore dei suoi occhi si irraggiò sulla mia pelle fredda, formicolandola. La sua voce si addolcì, ma era quella dolcezza accondiscendente che annuncia la tua morte. Il silenzio divenne gravido di tensione.

<<Quindi, questa è la parte in cui mi fai fuori e vai avanti col tuo piano?>>

Sorrise e un po' del mio coraggio vacillò.

<<No, questa è la parte in cui ti ricordo per l'ennesima volta che fine fanno le belle bocche impertinenti come la tua>> mi corresse con un luccichio spietato negli occhi.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
𝐍𝐨𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥'𝐀𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞

Rispetto alle volte precedenti, non ho una nota lunga da propinarvi, anche perché quello che avevo da dire l'ho già detto.
Ricordo solo che la storia è un dark romance e, in quanto tale, violenza e scene "controverse"
diciamo così, qui sono la normalità o, quanto meno,
vanno lette con una mente aperta.

Andando avanti, l'immagine a inizio capitolo
(che riporto anche qui sotto) è il capannone in cui si svolge il tutto e dove, anticipo, si svolgerà
dell'altro 😏

Oggi, cari Diavoletti, avete visto un po' di fiamme e di sangue, ma attenzione perché il sangue non finisce qui. Io vi ho avvisati.

Ora che Calogero è morto, sembra che tutto stia andando per il verso giusto, però non fatevi ingannare.

Godetevi questi ultimi capitoli, soprattutto le scene
tra E&E, perché, come ha affermato
la stessa Diavolessa, d'altronde:
niente dura per sempre.

♡︎

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