Cieli di Sangue - Il Cammino...

By Chiarasaccuta_writer

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"Un potere oscuro si cela fra le tribù del deserto, oltre la muraglia che divide due regni in lotta. Un poter... More

Il Cammino Della Rovina - Personaggi
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By Chiarasaccuta_writer

Le note malinconiche che si sprigionavano dal pipa avevano avvolto il giardino della principessa Mi-sun, riparandolo da ogni sorta di felicità. Non c'era spazio per essa, e la ragazza lo aveva compreso nell'istante in cui aveva sentito il sangue scivolarle sulle cosce e la vita abbandonare il suo ventre.

Una lacrima le rigò la guancia, mentre le dita si muovevano con lentezza sulle quattro corde di seta del liuto, scandendo il silenzio con la loro mestizia.

Il vento era il suo unico compagno. Le accarezzava i lunghi capelli castani, che aveva lasciato ciondolare lungo i fianchi, e le increspava la seta della veste da notte che non avrebbe dovuto indossare al di fuori della camera da letto.

Era sola, sempre sola. Mi-sun smise di suonare quando il dolore si fece troppo forte.

Fu allora che notò la figura di Junoh, immobile sotto l'entrata del palazzo.

La guardava, con calore. Quel calore a cui lei aveva sempre anelato e che non era mai riuscita a trovare. Mi-sun riprese a pizzicare le corde dello strumento proveniente dalla contea di Qiong, di cui aveva sempre amato il suono, e lasciò che il principe dimenticato la guardasse. Junoh si incamminò verso di lei e si riparò sotto la veranda, sedendole accanto.

«Non serve a niente essere triste, gongju» le disse, appoggiando il gomito sul ginocchio e una guancia sul palmo. «Non risolverà il tuo stato di inquietudine, almeno finché non deciderai di agire.»

Mi-sun scosse con violenza le corde dello strumento.

«Se fosse stato per me avrei già pugnalato Shu Lien e chiesto il divorzio da Yong, però, dietro questo matrimonio c'è molto più che un mio stupido desiderio.» Mormorò la giovane, appoggiandosi contro il manico di giada del liuto. «La verità è che sono solo una pedina posta su un territorio alleato. Se me ne vado, gli amici diventano nemici, e la colpa ricade su di me.»

«Dovresti allora sfruttare la politica contro tuo marito» la sgridò Junoh, senza alzare la voce. «Sei una principessa, non una sgualdrina di Qiong.»

La musica cessò. Mi-sun depositò il pipa sul pavimento legnoso e voltò gli occhi lucidi in quelli affilati di Junoh. Era talmente pieno di rancore verso i membri della corte da non riuscire a vedere il dolore degli altri, tuttavia Mi-sun era certa che anche lui avesse sperimentato quella disperazione. Nessun essere umano si incattiviva a tal punto senza un buon motivo.

«Junoh» lo chiamò, posando una mano sulla sua. Aveva le dita fredde. «Hai mai perso qualcuno che amavi?»

L'espressione del giovane mutò, insieme al suo modo di atteggiarsi. Junoh si portò una gamba al petto e adagiò il mento sul ginocchio, chiudendosi in se stesso come un riccio. «Ho perso la persona più importante della mia vita, la sola che mi avesse mai amato: mia madre. E la colpa è solo della regina Rong Le.»

Mi-sun ripose entrambe le mani sul grembo, ora vuoto, arido. Soppresse un singhiozzo e continuò con le domande, consapevole che quello fosse il solo modo per fargli capire ciò che sentiva.

«Quando lei ti ha lasciato, non hai sentito la tristezza prima della rabbia?»

«In principio ero triste» sussurrò, socchiudendo gli occhi, come per soffocare le lacrime. «Immensamente triste. Poi tutti coloro che mi erano attorno cominciarono ad evitarmi, come se avessero sperato che seguissi il destino di mia madre. Allora cedetti alla rabbia, per non darla loro vinta.»

«La rabbia ha fatto il suo corso, e da me non è ancora giunta» sorrise Mi-sun, con amarezza, ascoltando il soffio del vento tra le fronde. Di nuovo, quell'orribile sensazione di angoscia la invase, facendole posare una mano sul ventre. «Io lo volevo davvero questo figlio...» ammise, senza nemmeno pensarci. «Volevo qualcuno da amare senza riserve. Volevo qualcuno che mi avrebbe amato in egual maniera. Volevo solo questo.»

Junoh ascoltò i suoi pianti, poi le scivolò accanto e le asciugò una lacrima con un pollice, parlandole con una premura inconsueta e piacevole. «Scusami, non volevo turbarti. Sono stato egoista, solo perché vederti così non mi piace.»

Quelle parole le riscaldarono il cuore, abbattendo tutti i muri che aveva eretto intorno al palazzo. Mi-sun si diede della stupida. Era troppo emotiva, troppo arrendevole alla dolcezza altrui, solo perché sperava di trovare in chi la circondava un affetto che né i fratelli né i genitori erano mai riusciti a donarle. Shin le aveva sempre detto che i sentimenti erano una debolezza, soprattutto nel palazzo, per questo tutti la nascondevano, ma ciò non l'aveva mai fatta sentire meglio.

Junoh continuò a parlare, e incurvò le labbra in un sorriso. «Se fossi al posto di Yong, non la guarderei nemmeno quella sgualdrina di Qiong.»

Mi-sun si alzò all'istante, sentendo le guance ardere di commozione e il viso contrarsi in una smorfia. «Anche se Yong la favorisce, a me non importa. Non mi importa di più di lui. È morto per me, nello stesso istante in cui ho perso nostro figlio.»

«Non ti importa?» le domandò Junoh, alzandosi dalla panca. Pareva che quelle parole lo avessero animato.

Mi-sun si voltò a guardarlo e scosse la testa. «No, non mi importa. Quando lo guardo sento solo ribrezzo.» Asserì la principessa, incrociando per la seconda volta lo sguardo di Junoh.

Lui sospirò, prima di camminarle incontro. Mi-sun sentì le sue braccia avvolgersi intorno ai fianchi e il suo mento posarsi sulla sua testa, mentre entrambi osservavano la luna brillare nel cielo terso. Sentirlo così vicino le provocò uno strano senso di sicurezza, si sentiva quieta fra le sue braccia. «Era solo questione di tempo prima che aprissi gli occhi su mio cugino.»

«Meglio tardi che mai» sospirò Mi-sun, adagiando la testa sulla sua spalla. Non voleva che Junoh se ne andasse, anche se avrebbe dovuto. L'unica cosa che la principessa desiderava, era scordarsi di tutto, solo per una notte. «Posso chiederti una cosa?»

Junoh la strinse di più al suo corpo, accarezzandole in maniera innocente il ventre. «Certo.»

«Cosa senti quando mi guardi?»

Non sapeva perché glielo avesse chiesto, Mi-sun si era lasciata trasportare da quella necessità di affetto che le aveva pervaso il cuore e la mente, ignorando tutto ciò su cui era stata istruita, le regole e le buone maniere di una moglie. Ormai tutto aveva perso senso.

Junoh rise appena, e la costrinse a voltarsi. Mi-sun sentì il tocco delle dita sotto il mento, poste a sfiorarle le labbra in un gesto seducente. «Quando ti guardo, capisco di essere terribilmente attratto da te.»

Mi-sun avvertì un brivido di calore percorrere la sua schiena. Chiuse gli occhi, desiderando sciogliere quell'apatia che le aveva ghiacciato il petto, e non lo scansò. «Vieni dentro con me.»

«Sei sicura, Mi-sun?» Junoh fece scivolare la sua mano nella propria e intrecciò le loro dita, sorridendole complice. «Se entro non si torna indietro.»

Mi-sun lo guardò in tralice poi, senza sciogliere il nodo delle loro dita, si avviò dentro il palazzo. Le tre dame, sue fedeli compagne, la attendevano all'interno. Avevano disposto le ciotole sul tavolo e quando li videro insieme non fecero domande e si inchinarono con rispetto. Solo Sujin le rivolse uno sguardo interdetto, che la giovane evitò.

«Uscite tutte» ordinò loro Mi-sun, osservandole dirigersi fuori silenziosamente. Sapeva che non l'avrebbero tradita, loro erano state testimoni di tutto il suo dolore e di ogni mancanza di rispetto da parte di Yong. Avrebbero tenuto la bocca chiusa, per quanto la stessero biasimando.

Quando le porte si chiusero, Junoh lasciò andare la sua mano e la abbracciò da dietro, di nuovo. «Dunque eri seria quando mi hai invitato a entrare.»

«Ero molto seria» gli spiegò Mi-sun, avvertendo il calore del suo fiato sul collo. «Staremo insieme, e tu mi aiuterai a mandare via questo dolore prima che mi renda una persona diversa.»

Junoh rise, non di scherno, ma di allegria. Le strinse i fianchi tra le braccia e le morse il lobo, facendola sospirare. «Conosco un ottimo metodo...» sussurrò, allungando il viso, in modo da far combaciare le loro labbra.

Mi-sun si voltò di scatto e gli gettò le braccia al collo. Lasciò che le loro bocche si scontrassero, che le lingue si incrociassero e che i loro corpi si unissero in un impeto di violenza che l'avrebbe trascinata lontana da tutto quel dolore, lontano da ogni delusione.

E non si sarebbe guardata indietro, mai più.

***

Areum si lasciò sfiorare il viso dalla luna, che coi suoi raggi freddi l'aveva guidata tra le vie silenziose di Gwajin. Era uscita da sola dal palazzo quel pomeriggio, con la scusa di andare a cercare Hwa. La volpe era sparita, ed erano già passati cinque giorni. Senza di lei Areum non riusciva né dormire, né a mangiare. Persino suo padre, il re, era venuto a farle visite per cercare di sollevarle il morale ma non era servito a niente.

Eppure, era già passato molto tempo dalla sua scomparsa. I suoi genitori dovevano aver mandato alcuni soldati a cercarla, lei li aveva sentiti galoppare in lungo e largo armati di torce, e a buona ragione. Stava per scattare l'ora del coprifuoco.

La principessa si fermò al centro di un vicolo desolato e singhiozzò, chiudendosi in un abbraccio solitario e meno doloroso di quello che le impartivano gli altri, coi loro sguardi compassionevoli.

Areum li odiava, ma non quanto odiava se stessa.

Sapeva che si meritava di soffrire, e meritava anche di stare da sola. Non era altro che un'assassina, una traditrice che aveva osato colpire l'altra metà della sua anima.

Sapeva che Yong non l'avrebbe mai perdonata. E non lo biasimava per questo.

La principessa sollevò lo sguardo quando le lacrime si asciugarono sotto le palpebre, sentendosi spaesata. Solo il suono degli uccelli notturni riempiva il silenzio, a quella tarda ora. I colombi si erano appostati sui rami degli alberi che abbellivano il Quartiere dei Cento Lupi. Una strada sopra cui si affacciava il tempio più bello di tutta la capitale, il quale, con i suoi tetti arcuati dipinti di verde sembrava splendere alla luce delle lanterne rosse.

Areum strinse le gonne e cominciò a correre lungo il viale, fino a raggiungere il suo posto segreto, doveva aveva sempre amato fuggire di nascosto con Yong e Hwa ogni volta che il padre e la madre si soffermavano troppo insieme ai sacerdoti.

Si trattava di un semplice e largo pozzo, dal muro di pietra e gli infissi di legno. Nessuno lo usava più alla capitale, a eccezione delle monache, l'acqua era limpida e cristallina, si diceva che provenisse dalle sorgenti del paradiso. Era lì che lei e suo fratello avevano visto i draghi, ed era lì che Areum sarebbe voluta morire: dentro un pozzo abbandonato, com'era stata abbandonata anche lei.

Solo morendo avrebbe potuto espiare ogni suo peccato. Solo morendo avrebbe ripagato il sangue di quel bambino con il proprio. Solo morendo Yong l'avrebbe perdonata. Di questo era certa.

La principessa si avvicinò al bordo della struttura e ci piazzò i palmi, sollevandosi appena. Chiuse di nuovo gli occhi e un'altra lacrima le rigò la guancia, scivolando sul fondo del pozzo.

Areum fece per gettarsi, ma il rumore degli zoccoli sul selciato la bloccò dal compiere quella follia, e una voce che avrebbe riconosciuto tra mille irruppe nel silenzio della notte, ridestandola dal torpore.

«Areum!» era Dier, che aveva appena fermato il cavallo. «Non osare compiere un simile gesto!»

Non balbettava. La principessa, seppur stranita, si lasciò andare a un flebile lamento che le fece posare i piedi sul terreno. Non avrebbe voluto essere trovata proprio da lui, non avrebbe voluto cacciarlo, ma doveva.

«Vattene via!» gridò, tenendo le dita ancorate ai massi muschiosi del pozzo.

«No, non me ne vado!» urlò Dier, scendendo dalla sella e piazzandosi all'altro lato del pozzo. Sembrava diverso dall'ultima volta che lo aveva visto. Non stava balbettando. «Non ho dormito lungo la strada, solo per raggiungerti. Adesso che sono qui non ti permetterò di fare niente di sciocco!»

Areum indietreggiò, con le lacrime agli occhi e il corpo rigido. Dier aveva un'espressione decisa sul viso incorniciato dai lunghi capelli sciolti, i suoi occhi erano pieni di una determinazione che lei non gli aveva mai visto addosso. Eppure, la principessa non riuscì a dargli ragione.

«Hai solo perso tempo» gli confesso, salendo sul bordo. Avrebbe voluto gettarsi in quell'istante, ma Dier la imitò e si mise in piedi sull'estremità opposta, sorreggendosi alle aste di legno.

«Se non la smetti, Areum, mi butterò con te» le promise, cercando continuamente il suo sguardo. «E se lo farai davvero, capirò che non hai mai tenuto a me.»

Un sorriso amaro sfuggì alle labbra della principessa, che lasciò ricadere le lunghe gonne sopra i piedi, senza timore. «Dier, questa cosa non ti riguarda. Non voglio che tu ti butti, ma io devo farlo. Perciò, perdonami.»

Fu un attimo, poi Areum saltò senza dargli il tempo di replicare. La terra mancò sotto i piedi, e lei venne attirata verso il fondo del pozzo, che non riuscì a inghiottirla.

Dier l'aveva afferrata per un polso e si era gettato all'indietro, trascinandola con sé sul terreno. I due rotolarono l'uno sopra l'altra, poi il principe fece leva sui talloni e rimase sdraiato, stringendola al suo petto per impedirle di scappare.

Areum si sentì persa, consapevole di aver fallito. Consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsi perdonare dal gemello. Cominciò a piangere, dando sfoggio di urla e lamenti. Senza forza, cominciò a colpirlo sul petto, come a volerlo punire per averla salvata.

Il giovane si lasciò picchiare, stringendola ancora, ma senza troppa forza.

«Areum.»

«Taci...» mormorò lei, mettendosi a sedere e appoggiando la schiena contro il pozzo, provando l'insistente desiderio di scomparire. «Non avresti dovuto farlo.»

«Sì che avrei dovuto, e non me ne pento» continuò a dirle, drizzando la schiena e avvicinandosi. «Non devi sacrificare la tua vita per quello che è successo, adesso ci sono io e mi prenderò cura di te.»

Areum sentì la voce tremare in gola. Come poteva lei meritare tutta quella gentilezza?

«No» sussurrò, scuotendo la testa. «Nessuno dovrebbe prendersi cura di una persona infima come me.»

«Non sei infima» la redarguì Dier, prendendole le mani con delicatezza e aiutandola a mettersi in piedi. «Quello che ti è capitato a palazzo non accadrà mai più. Nessuno oserà toccarti mai più.»

La giovane tenne lo sguardo fisso sulle loro mani, debolmente intrecciate. Dunque aveva saputo... «Non è vero.»

«Lo è» replicò lui, perentorio. Areum sollevò il viso e incrociò i suoi occhi, così sicuri delle parole che stavano lasciando la sua bocca. Era chiaro che non fosse a conoscenza dei suoi errori, era chiaro che pensasse che volesse suicidarsi solo per lo stupro, e lei non era sicura di volergli confessare cosa aveva fatto al gemello.

«Dier...»

«Vieni via con me, vieni nel Khusai» le propose, ricordandole la vecchia promessa che si erano scambiati sotto i fuochi d'artificio, pochi mesi prima. «È il palazzo a cambiare le persone, fuori da lì sarà tutto diverso.»

Areum lo ascoltò, sentendosi fragile ma al contempo rinvigorita. Il pianto si bloccò al solo pensiero di poter ricominciare da capo, lontano dagli errori e dalle debolezze. Lontano da tutti coloro che la guardavano con compatimento.

Sì, poteva essere una buona idea...

«Verrò» asserì la principessa, allontanando le mani da quelle del cugino vestito di abiti neri. Il ragazzo le sorrise e anche lei si sforzò di farlo, per poi avvicinarsi e appoggiare la fronte al suo petto. Areum si lasciò andare a un sospiro liberatore. «Mi sei mancato, Dier.»

Lui sembrò irrigidirsi, e la voce si fece di nuovo insicura. «A-anche tu, A-Areum.»

Una risata, la prima da quando era accaduto il disastro, flebile come il sole durante una giornata nuvolosa, abbandonò le labbra della principessa. «Adesso ti riconosco.»

Dier provò a tornare sicuro di sé, ma gli riuscì difficile, così si lasciò andare a uno sbuffo. «Mi sono a-allenato d-duramente.»

«Hai allenato la tua voce?» gli domandò lei, notando la presenza di Hwa accanto al cavallo di Dier.

«Sì, ho allenato la mia voce» riuscì a dirle di nuovo, sorridendo sicuro.

Areum si allontanò dal pozzo e si avviò verso la volpe, che la osservava colma di preoccupazione. «Hwa...» la chiamò, inginocchiandosi e afferrandola tra le braccia. «È stata lei a condurti da me?»

«Sì, è arrivata alla tribù con una lettera scritta da Yong. Lui mi ha chiesto di tornare e...» lasciò cadere le parole, sapendo di aver sbagliato.

Areum strinse dolcemente Hwa al proprio petto e le baciò la testa, si mise poi in piedi e cercò di liberare la mente dai pensieri molesti. «Prima di partire vuoi riposare a palazzo? Se è vero che non hai dormito per giorni, sarai stremato.»

Dier annuì e le fece cenno di salire in sella. «Sì, riposerò solo quanto basta e poi ti porterò via da qui. Ti piacerà tantissimo la tribù, i Taigat sanno essere davvero accoglienti.»

Areum lasciò la volpe e montò sul cavallo, appoggiandosi con la schiena al petto di Dier quando lo sentì dietro di sé. Era l'unica persona con cui non si sentisse a disagio, ed era il solo con cui Areum sarebbe voluta restare.

**

Pipa: strumento a corda pirifirome, molto similare a un liuto, a quattro corde proveniente dalla cina.

gongju: principessa.

Capitolo pieno di emozioni, ne sono consapevole. Come al solito cominciamo dal basso con Areum, ve lo sareste aspettato? Ha tentato di suicidarsi pur di espiare la sua colpa, pur di farsi perdonare da QUEL PRINCIPE SENZA MACCHIA E SENZA PAURA che è Yong. Rendiamoci conto di come il senso di colpa si stia divorando questa ragazza, il tutto unito a una buona dose di trauma causato dalla violenza t-t. 

Tuttavia è arrivato davvero IL PRINCIPE SENZA MACCHIA E SENZA PAURA: DIER! <3

Lo so, so che vi era mancato, so che non vedevate l'ora di incontrarlo di nuovo e finalmente ci siamo, pronto a portare via Areum dal palazzo. 

Mi-sun invece ha deciso di CONCEDERSI a Junoh. Potrebbe essere una scelta buona? Una scelta sbagliata? Yong lo verrà a scoprire? Potrebbe importargliene qualcosa? Ricordatevi che quando li ha visti insieme al banchetto uno sprizzo di gelosia ha animato il suo ANIMOH PUROH. Vabe la devo smettere di sfottere Yong ahahahaha, okay non sta brillando ma potrebbe redimersi. 

Detto ciò, noi ci vediamo mercoledì per un confronto molto atteso. Vi dico solo:

Song e Saran.

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