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Re Nameul sedeva sul trono con le mani strette attorno ai manici dorati

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Re Nameul sedeva sul trono con le mani strette attorno ai manici dorati. Le rughe scavavano sulla fronte contratta, mentre le labbra nascoste da una barba sottile formavano una smorfia di disappunto.

Junoh era abituato a quello sguardo.

Il re era sempre stato cordiale con tutti, solare e pieno di vita, ma non con lui. Ogni volta che Nameul incontrava Junoh nei corridoi del palazzo si rabbuiava come se avesse avuto davanti a sé un fantasma. Forse perché Junoh somigliava terribilmente ai suoi genitori.

Aveva preso la bellezza algida della madre e il temperamento focoso e schietto del padre.

«Sei un principe da quando sei nato, Junoh, ma non hai mai imparato a comportarti come tale» lo incolpò il re, spostando una ciocca di capelli sfuggiti all'acconciatura elaborata in cima alla testa, stretta da un possente gancio dorato.

Junoh accennò a un mezzo sorriso mentre stringeva una mano attorno al polso. La sala del trono quella mattina era più buia del solito, a causa del temporale che incombeva sulla capitale. Le nubi dense di pioggia avevano sovrannuvolato il cielo e reso l'aria fredda, colma di umidità.

«Perché dovrei comportarmi come un principe se nessuno mi ritiene tale?» lo sfidò, come era solito fare, senza paura di ripercussioni.

Junoh era stanco di sottostare alle persone che avevano ucciso i suoi genitori e che continuavano a vivere, a divertirsi, mettendo lui in un angolo come fosse stato un fantasma.

Dier, convocato anche lui dal re, se ne stava con la schiena piegata in segno di rispetto a pochi passi da lui. La casacca verde riluceva di orli dorati. Il viso ovale, smagrito dalla preoccupazione, era immobile e lo sguardo serrato sul pavimento lucido.

Un principe servo, esattamente quello che il re desiderava. Il nipote perfetto.

Nameul sprofondò in un sospiro pesante. Si accarezzò l'accenno di barba, scuotendo la testa. «Ti ho concesso di restare a palazzo per via del tuo sangue reale, ti ho donato un intero quartiere, degli eunuchi e delle dame di corte. Non ti basta vivere negli agi?»

Junoh scoppiò a ridere, non si era ancora inchinato a sua maestà e questo aveva fatto perdere la pazienza al re, in attesa di un suo cenno di rispetto. Dier lo guardò in tralice, preoccupato per la situazione, ma non osò muoversi. Lui non osava mai, quel codardo.

«Quali agi, pyeah?» domandò Junoh, che compì un passo verso la grande scalinata che portava al trono.

L'eunuco al fianco del re quasi perse il copricapo nero nel contrastarlo con la forza della voce. «Nessuno può avvicinarsi al re senza il suo consenso!»

Nameul non si oppose alla vicinanza, anzi, si mostrò tranquillo. Non lo temeva, non lo aveva mai temuto. E sbagliava.

«Il re è pur sempre mio zio e io sono un nipote devoto» scherzò Junoh, che si fermò sul secondo gradino incrociando le braccia sulla casacca nera dalle bordature argentate. «Anche se il re non mi ha concesso di studiare i classici, almeno ho potuto esercitarmi nelle arti marziali. Sua maestà desidera forse usarmi come generale al fronte? In fondo, nessuno dei suoi figli o dei suoi nipoti ha tali capacità» bofonchiò, guardando indietro verso Dier che prese a tremare.

Cieli di Sangue - Il Cammino Della RovinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora