Capitolo 10

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Non ho mai creduto all'amore.
Non ci credo nemmeno adesso, in realtà. Non ho mai creduto che il per sempre potesse giustificare qualunque cosa, ma cosa ne posso sapere io dell'amore in realtà? Sono giovane, seppur Eterna. Non sono così vecchia come si potrebbe pensare sapendo che sono una vampira. Avevo vent'anni quando sono morta, vent'anni vissuti in maniera del tutto disordinata, vent'anni pieni di dubbi, errori, di quel non bastare mai. Avete mai provato la sensazione di essere vicini a qualcosa che tanto vi piace, che tanto vi fa battere il cuore? Vi accende la mente, il cuore scalpita per raggiungerla e vi allungate con tutto il corpo e la mente verso di essa. Lo fate in uno spasimo che si dilata in quella fascia spazio tempo chiamata attesa, dove il desiderio è forza motrice e carburante di sforzi inimmaginabili.
Ecco, io sono sempre stata così. In bilico in una vita che non sentivo che mi apparteneva, combattuta in quella sorta di sala d'attesa dove mi sembrava di avere tutti pronti a guardarmi, in attesa anche loro ma non del mio successo, bensì dell'ennesima caduta che avrei fatto.

Sono sempre stata un'anima inquieta, mia mamma lo ha sempre detto. A guardarci io e lei siamo identiche, due gocce d'acqua separate solo da una vita vissuta appieno da una, congelata in un attimo di acerba bellezza e profonda sofferenza l'altra. È cambiata tanto negli anni, ho visto spuntare sul suo viso rughe che prima non c'erano, i tratti del suo viso addolcirsi e diventare più rassicuranti. Io, al suo contrario, mi sono affinata piano, affacciandomi lentamente a una maturità fisica che non raggiungerò mai. A differenza di mia madre Olivia, io non avrò mai il tempo dalla mia pronto a mitigare le mie asperità. Non proverò mai certe gioie, non potrò mai essere ciò che lei sperava che io diventassi. Sono un fallimento, sotto questo punto di vista.

Mia mamma è sempre stata una guida silenziosa nella mia vita, laddove nessuno riusciva a capire il perché di quei tumulti emotivi che mi sconquassavano la mente e l'animo, lei riusciva con la dolcezza del suo profumo speziato alla cannella e il calore del suo abbraccio a calmarmi. Mi abbandonavo al suo dolce abbraccio, mi lasciavo cullare dalla sua voce. Era il faro che mi aiutava a ritrovare la via durante le mie tempeste furiose.

Odio Logan anche per questo, sapete? Perché lui mi ha levato la possibilità di avere mia madre accanto e no, chiunque possa pensare che non è così che dovrebbe andare, sbaglia. È tutto un fottuto errore, gli umani non hanno nulla a che spartire con noi Eterni. Non sono due mondi compatibili. Logan non si è preso solo il mio sangue, il mio corpo, la mia mente, la mia devozione assoluta. Logan si è preso la mia vita, la mia morte, la mia famiglia. Ha preso tutto e l'ha fagocitato come un enorme tritarifiuti e ha lasciato solo briciole di quello che io ero. Quanto è giusto tutto questo? Vi rispondo io: non è giusto. Ma la vita non è giusta, non lo è mai e dobbiamo solo giocare questa lunghissima partita a poker con le carte che la vita ci consegna, sperando che prima o poi una mano migliore arrivi.

Ha smesso di piovere da un po', ho dormito tanto, ma Noah e Steve ancora più di me fidatevi. Non è notte piena, è quel momento in cui ti accorgi che la notte sta quasi terminando, che fra un'ora o poco meno il buio diventerà meno denso, i raggi dell'alba rischiareranno quell'oscurità. È il momento esatto in cui giorno e notte si mescolano magistralmente, in cui il buio non è poi così buio e la luce non è così luminosa come dovrebbe essere. C'è stato un periodo – particolarmente lungo – in cui questo momento segnava per me un rintocco di campana che significava che dovevo ritornare a casa, lì dove ero protetta da quei raggi solari che mi avrebbero uccisa. Adesso invece posso permettermi di scegliere: scegliere di uscire, vivermi queste ore un po' ambigue, oppure posso starmene qui ad osservare il mondo fuori, o ancora posso tornare a letto.

Letto che, per amore di cronaca, non è vuoto e non è nemmeno quello di Steve dove a volte mi rifugio perché dormire da sola mi pesa. Lì, fra quelle lenzuola di un indaco pallido che ammicca a un grigio, c'è Noah. Quelli che dovevano essere i suoi vestiti sono ammucchiati ai piedi del letto. Ha i capelli scombinati dal sonno, sta dormendo prono, il braccio destro affonda sotto il cuscino e la mano sinistra è posata contro il punto in cui, prima, c'ero io. Il copriletto leggero e il lenzuolo superiore sono ammucchiati contro i suoi fianchi, sta dormendo con solo i suoi boxer neri addosso e null'altro. Il ritmo del suo cuore, costante e tranquillo così come il suo respiro, fa da colonna sonora ai miei pensieri mentre me ne sto appollaiata sul davanzale della finestra della mia camera. La porta finestra è chiusa, ma la finestra l'ho aperta perché avevo bisogno di un po' d'aria fresca. Non ho esigenza reale di respirare, è vero, i miei polmoni sono morti e congelati in quello status di immortalità che la trasformazione in Eterna mi ha "gentilmente" offerto, ma non significa che non voglia respirare, che voglia perdermi tutte le sfumature che l'aria si porta con sé: l'odore dell'oceano, della rugiada che inizia a formarsi sulle foglie delle piante del nostro giardino, l'umidità della notte che sfuma.

Of the nightWhere stories live. Discover now