Capitolo 9

51 9 2
                                    

Piove. Il ticchettio della pioggia contro il tetto della villetta che divido con Steve è incessante, è come una nenia che mi culla da ore oramai. Credo di non non essermi mai mossa così velocemente come quando ho dovuto portare Steve a casa ed assicurarmi che stesse bene, che sopravvivesse. L'ho ripulito completamente, l'ho messo nel suo letto e a mia volta mi sono ripulita: l'odore del sangue mi stava martellando la testa. Noah è rimasto con noi per tutto il tempo, gli ho dato dei vestiti puliti e lasciato che usasse la mia camera. Gli ho mostrato dove fosse – in sostanza di fronte a quella di Steve, ognuna delle nostre camere occupa uno dei lati opposti dello stesso corridoio – e gli ho detto di fare come se fosse a casa sua. Non che la cosa possa essere realmente rassicurante, non per un umano che ha appena scoperto di un Mondo Sommerso che pensava vivesse solo fra le pagine di un libro o di una sceneggiatura di un film. Ho preso un solo cambio per me, ho usato il bagno della camera di Steve per darmi una ripulita. Come una desperate housewife ho raccattato tutti i vestiti sporchi, caricato una lavatrice e svuotato mezzo flacone di candeggina per coprire l'odore del sangue. Steve dorme, dormirà ancora per ore ed ore, so per certo che sta bene, a parte il fatto che sicuramente è debilitato fisicamente. Lo so perché tutto il dolore di quelle ferite, il bruciore dei tessuti che si stanno rimarginando, lo sto patendo io. Funziona così quando dai il tuo sangue a qualcuno, il suo dolore diventa tuo. È per questo che i vampiri non sono così prodighi e scalpitanti nell'offrire il proprio sangue, nessun vampiro vuole patire un dolore che non gli appartiene, nessun Eterno vuole tornare a sentirsi umano in questa maniera.

Ho pettinato a lungo i miei capelli, li ho lasciati umidi e raccolti in una specie di cipollotto scombinato che non è troppo alto, nemmeno troppo ordinato per amore di cronaca. Ho visto tempi migliori, sicuramente. Potrei sembrare anche umana nella fragilità che mi avvolge in questo momento, ma il mio incarnato è un po' troppo spento, le occhiaie un po' troppo evidenti, l'inquietudine inscurisce troppo i miei occhi e ne spegne qualsivoglia vitalità. Esco dalla camera di Steve con l'intenzione di vedere come sta Noah. Non dimentico che ci sia anche lui in giro per casa, l'ho lasciato forse troppo a lungo da solo, ma so per esperienza che quando hai tanto da macinare ed assorbire, far tuo, la solitudine è essenziale. Lui solo effettivamente non c'è stato, è stato avvolto dalle mie cose, dal mio mondo racchiuso in una camera. La porta della mia camera non è chiusa, è lasciata aperta. Mi avvicino con cautela, so di non essere sentita perché il cuore di Noah ha un ritmo regolare e poi, tutto sommato, io so rendermi invisibile e silenziosa. Sono scalza, i pantaloncini di cotone che indosso sono un po' tanto corti, lambiscono la curva inferiore delle natiche ed accolgono nella coulisse un po' a vita alta il bordo inferiore della mia t-shirt grigio spenta della New York University, in teoria studio ancora lì sapete?
Per qualche istante mi fermo contro la cornice della porta e lo osservo. Ha la maglietta di Steve in mano, i suoi pantaloncini addosso. I capelli sono un po' umidi ancora, lo sguardo è fisso contro la parete dove ho attaccato una comunissima bacheca di sughero con delle foto. Non ci sono foto di Logan, ma tante di Noel, di Steve, di Beatrice, dei miei fratelli, dei miei genitori, sì. Le sta osservando, una in particolare vede me e Steve davanti al campus a New York. Sorrido, ho le guance arrossate da un imbarazzo adolescenziale mentre Steve mi stringe e c'è un altro ragazzo che fa un po' cucù nell'inquadratura, unendosi all'abbraccio. Lo vedo sporgersi a guardare quelle foto, è come incantato credo.

« Quello è Christopher. » interrompo qualunque suo ragionamento mentale e gli scombussolo il ritmo del cuore. Si volta verso di me, mi osserva da testa a piedi. Sapete, i battiti del cuore non mentono mai. Hanno un ritmo preciso per ogni emozione che sentiamo. La paura, ad esempio, ha un ritmo decisamente diverso da quello sfarfallio che il cuore di Noah sta subendo in questo momento mentre mi osserva. Sono appoggiata con la spalla sinistra contro la cornice della porta, le braccia incrociate sotto il seno e la punta del piede sinistro che si appoggia contro il dorso del piede destro. Lui si drizza, non si muove di molto da quella parete, sembra solo osservarmi da testa a piedi come se dovesse assicurarsi che sto bene. Intercetto l'odore di sangue ancora un po' fresco, scivolo con lo sguardo verso le sue mani: ha le nocche fracassate a momenti. Questo succede quando prendi a pugni un mannaro, volevo solo dirlo. Mi metto più dritta, mi avvicino a lui a passo umanissimo il che fa quasi sorridere dopo quanto mi ha vista fare, ma tant'è. Osservo il viso di Christopher che sorride dalla foto. C'è la solita fitta lì nel cuore, quel cuore che batte al ritmo imposto dalla Signora Morte. Eravamo felici lì, sapete? Avevamo tutta la vita davanti, avevamo progetti tutti nostri.

Of the nightWhere stories live. Discover now