너 다시.

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Riposte le varie e noiose scartoffie nei cassetti della sua enorme e disordinata scrivania, nel vano tentativo di fare un po' d'ordine su di essa.

Rimise la giacca sulle spalle assieme allo zaino che venne posto su di essa.

Abbandonò finalmente il suo studio, dopo una giornata intensa e le solite discussioni sui tempi d'attesa con i suoi pazienti.

Jungkook amava il suo lavoro e per esso era notevolmente portato. Aveva studiato molto, si era diplomato in anticipo e con i massimi voti e gli era stato proposto un breve percorso universitario di guida lavorativa, il quale indubbiamente aveva accettato.

Aveva da sempre mostrato interesse per quello che, nella vastità della mente, veniva riprodotto. Un enorme sfondo bianco, una grossa tela vuota che veniva riempita da disegni distorti e pennellate fugaci, in cui i colori tenebrosi dei ricordi di devastanti infanzie si sovrapponevano a quelli più caldi della rabbia repressa, mischiati ai colori più freddi della tristezza intrisa in quei dolorosi tratti di pennello.

Il ragazzo fungeva quasi da critico di quelle dannate, quanto belle e affascinanti in se, opere d'arte.

Le studiava, ne analizzava i dettagli più intimi e sfuggenti, ne carpiva il reale significato e metteva mano su di esse, curando imprecisioni, eliminando sbavature, dando forma a quanto vi era nascosto sutto quella confusione di colori, e consegnando di nuovo il pennello in mano all'abile artista dopo averlo istruito nel controllo cromatico.

Tutto ciò accadeva dopo il primo sguardo che il giovane psicologo scambiava con i suoi pazienti.

Il primo sguardo rivolto mentre essi chiudevano la porta dello studio dietro di se, quando ancora non erano pronti a dare in risposta alle sue domande bugie o mezze verità.

Ogni volta Jungkook era a conoscenza di ogni tipo di problema affligesse la mente di ogni suo paziente, prima ancora che esso si fosse espresso a riguardo, arrivando a sentire quasi sulla sua pelle quanto vorticava nei meandri del loro genio.

E così era stato per il ragazzo dai capelli menta, al quale il corvino aveva rivolto i suoi pensieri per tutta la giornata.

Aveva intravisto nei suoi occhi il dolore e la sofferenza dipinti in un quadro dagli unici toni scuri, e di come strenuamente se li trascinava dietro, provato dal loro peso gravoso.

Benché il ragazzo fosse adirato nel conversare con lui, di rabbia nella sua mente non vi era traccia. Soltanto tracce di auto commiserazione e di eterna stanchezza insita nel suo reale esistere.

Il menta lo incuriosiva, più di ogni suo più grottesco paziente, alla stregua di come si viene incuriositi dai dipinti più belli dell'intera galleria posti però a debita distanza, e alle volte, proprio come nel caso del ragazzo, chiusi sotto chiave dall'autore stesso.

Eppure Jungkook era certo che avrebbe infranto quella barriera di mattoncini Lego che quel giovane aveva generato attorno alla sua mente, nella speranza di preservare l'intimità di quanto si nascondeva al suo interno.

Entrò nella sua auto, controllando la condizione del suo viso e dei suoi capelli nello specchietto retrovisore della vettura, sistemandoli passando semplicemente una mano tra essi.

Sul volto vi era qualche lieve principio di occhiaie, ma nulla che non potesse passare inosservato.

La giornata lo aveva sfinito, e seppure desiderasse unicamente rilassarsi sul suo divano a guardare un buon film, aveva promesso ai sui migliori amici che avrebbero passato assieme la serata, bevendo qualcosa o mangiando fuori della carne.

Quando la notifica di un massaggio fece illuminare lo schermo del suo telefono, sul quale campeggiava il nome di uno degl'ultimi citati, si decise a mettere in moto, dirigendosi verso la stazione di polizia presso la quale Jimin e Taehyung lavoravano.

Save Me  [j.jk x m.yg]Where stories live. Discover now