35. Un Passato da cui Fuggire (II)

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Tre anni prima

Mason

«Aiuto!»

Non riconosco la voce che ha emesso il grido stridulo, ma il bisogno disperato di rinforzi basta per farmi scattare come una saetta. Percorro a ritroso la strada che ci ha portato al confine con Brooklyn, seguito dai miei genitori e da Piper.

Quest'ultima ha perso tutta la sicurezza che aveva accumulato. È visibilmente sbiancata, sopraffatta dallo spavento.

Mi avvicino a mia sorella e le stringo la mano nella mia, senza smettere di correre. Ricambia la presa e aumenta l'andatura, ma non districa le nostre dita. È il nostro modo per darci forza a vicenda. Per dirci "Ci sono. Sono qui, con te."

Ci fermiamo in un quartiere desolato, non lontanissimo dell'Accademia. È un reticolo di stradine buie e vuote, dagli appartamenti vecchi e a pezzi. Il tanfo nauseante, proveniente dai cassonetti dell'immondizia maleodoranti, impregna lo spazio ristretto, rendendo difficile respirare bene.

Piper mi lascia la mano e tira il bordo della mia camicia, ottenendo la mia attenzione. Indica il fondo del vialetto, dal quale proviene la presenza delle Ombre.

Riconoscerei la loro aura ovunque: è come un velo oscuro che ti imprigiona tra le sue braccia malevole, stritolandoti in una morsa di ghiaccio e vuoto.

«Restate qua» ordino alla mamma e a Piper, fermandomi all'entrata di un vicoletto.

Faccio un cenno a mio padre e, a passi prudenti, mi incammino nella direzione da cui è provenuto il grido d'aiuto, sfilando il pugnale e stringendolo tra le dita. Quando arriviamo al limitare della stradina e svoltiamo l'angolo, l'orribile scena si schianta contro le nostre pupille.

Una schiera di Ombre, ammassate in un semicerchio scomposto, blocca la via di fuga a una ragazzina.

Aspetta, mi dico, guardandola meglio. Non è una ragazza qualunque.

Io e papà sgraniamo gli occhi simultaneamente: è una Guerriera. La divisa accademica e il pugnale caduto sul marciapiede, a qualche metro di distanza, ce ne danno la conferma.

A occhio e croce sembra essere del secondo o terzo anno. I suoi occhi castano-verdi sono intrisi di lacrime impaurite, che scorrono sul volto, incorniciato dai vaporosi capelli biondi.

Dietro di lei, il corpo di un ragazzo rannicchiato contro il muro. Anche lui indossa l'uniforme. La testa chinata e i ciuffi neri che coprono il viso mi impediscono di vederne i lineamenti. Sembra svenuto, o peggio.

La ragazza continua imperterrita a fare da scudo al suo compagno, senza far caso a noi. È evidentemente terrorizzata, ma nasconde lo spavento dietro una coraggiosa determinazione.

Scaglio la mia arma contro una delle tante Ombre, cogliendola di sorpresa, ed essa si dissolve. La lama ne va a colpire altre, eliminandole, finché non cade con un debole tintinnio sull'asfalto.

Lasciano stare la Guerriera bionda e avanzano minacciosamente verso me e papà, mentre lei ci osserva, sollevata e sorpresa per il nostro intervento.

«Ci pensiamo noi a lei» interviene una voce sottile e familiare.

Mi volto verso mia sorella, che ci ha raggiunti, insieme alla mamma. Annuisco, seppur dubbioso, ma acconsento. Si avvicinano ai due Guerrieri, guardinghe, senza farsi scorgere dalle Ombre, e io torno al fianco di papà.

«Facciamo fuori un po' di questi esseri deformi.» Mi scocca un sorrisetto complice, che ricambio con un'occhiata d'intesa.

Afferro un altro pugnale dalla tasca interna della divisa e non esito a gettarmi tra gli spettri. Affondo il coltello nel petto di un'Ombra, per poi ruotare il braccio nel senso opposto e centrarne un'altra.

Il Segreto della DinastiaWhere stories live. Discover now