Ospedale🏥

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Stare in quell'ospedale, dopo un pò era diventata una palla. Ma davvero. Nessuno entrava e nessuno usciva dalla mia stanza.
Mamma era a lavoro e io con un ago nel braccio. Non potevo fare un cazzo.
Avete presente quella puzza di tossico che emanano i pennarelli indelebili?
O, meglio lo smalto?
Ecco, in confronto a quella perpetua puzza di disinfettante, quello era meglio.
Dai, cazzo, tutto è meglio di questo schifo.
L'unica cosa bella, è che non devo stare in camera con nessuno, mia madre ha pagato qualcosa in più.
Ora però, qui, c'era il silenzio.
E il silenzio fa schifo.
Non potevo alzarmi né muovermi. Cioè, sì, potevo muovermi, ma non potevo farlo troppo, che mi sarei sentito male.
Era, in pratica successo così, un giorno, cioè una settimana fa, il diciotto aprile, un giovedì, ero in palestra, e non avevo mangiato. In realtà, in quel periodo, non lo facevo mai. Non avevo bisogno, pensavo, mentre rifiutavo categoricamente ogni pietanza mi venisse offerta, tranne le sigarette al cioccolato. Non che una cosetta di cinque centimetri, facesse molto, anzi, avevo bisogno di vitamine, e puro grasso, ricoperto di cioccolato, fondente, non serviva ad un cazzo.
Preferivo morire. Mi mancava troppo Allison.
Stavamo insieme da quattro anni, quando, è morta: infarto.
Aveva una predisposizione genetica ad averne.
Le era venuto mentre eravamo insieme, dopo una gara a chi mangiava più biscotti al cioccolato.
Era davvero una bella ragazza. I suoi lunghi capelli corvini, i suoi occhi scuri. Era di questo che mi ero innamorato. Oltre che della sua ironia, e delle sue manie, troppo dolci e adorabili.
Comunque, tornando a cosa è successo:
Per farla breve ero in palestra, abbiamo iniziato col riscaldamento, e quando il professore di educazione fisica, mi ha chiesto di fare un solo fottutissimo giro di campo. Il mio corpo non ha retto lo sforzo, e niente, mi sono dovuto fermarmare vicino uno dei muri, per prendere fiato. Ma quando, cazzo, lo stronzo, si è avvicinato a me, con una lentezza esasperante, per controllare se stessi bene, neanche il tempo di alzare lo sguardo che sono svenuto.
Minchia, che mmerda!
E niente, ero solo, e non sapevo che cazzo fare, fin quando, non entrò un'infermiera, aveva la classica uniforme da dottoressina sexy, ed era probabilmente la cosa più bella, qui dentro. Mi guardò male e mi disse:
«Giorgio Ferrario, qualcuno ha portato qualcosa per te.» disse spancando la porta, mentre io i miei occhi, quando vidi un enorme, ma Dio, se era grosso, orsetto di peluche entrare da sulla porta.
«Da parte di chi è?» balbettai mentre, lo poggiavano lontano dai macchinari.
«Non sta scritto.» Mi assicurò.
«Giorgio, dopo, cioè tra venti minuti, ti porto del cibo, e possiamo parlare, Ok?» Affermò Jenna, l'infermiera mia preferita, entrando dalla fredda porta di ferro bianca.
Tutto qui era bianco. E i doppisensi che ci potevo fare sopra, erano l'unica cosa che mi rendeva felice.
«Va benissimo.» dissi scocciato.
Per quanto, ora, volessi uscire, il pensiero di dover mangiare, mi disgustava.
La tipa di fianco mi guardava compiaciuta. Sapeva qualcosa in più di me.

Teddy BearWhere stories live. Discover now