E ci provo a sorridere, giuro che ci sto provando, ma dalle espressioni che tutti mi rivolgono dubito che ci stia riuscendo bene.

Guardare Callie adesso è come sentire quella canzone che per anni è stata la tua preferita ma che sei arrivata a schifare per quante volte l'hai ascoltata.

Con la mano chiusa attorno alla maniglia della porta stringo fino a quando non inizio a sentire il dolore salire fino al polso. Ho bisogno di aggrapparmi a qualcosa, qualsiasi cosa che mi dia la forza per non mettermi ad urlare contro di lei, o magari contro il mondo intero, perché è questo quello che vorrei fare: lanciare un urlo per gettare fuori dal mio corpo tutta la frustrazione che sto incamerando.

«Dovrei essere io ad avere una faccia di merda, Emory, non tu.»

Mando giù a vuoto mentre fisso il capo famiglia dall'alto al basso.

Non indossa niente di elegante per la serata, come del resto nessuno di noi, eppure vedendolo in jeans e maglietta riesco a notare al volo il cambiamento che ha fatto da quando l'ho visto la prima volta in queste condizioni. Senza la barba lunga e il pigiama non sembra affatto un relitto come la volta scorsa. Sembra il solito Danny Cole, solo più dimagrito e più brusco del normale.

«Non pagherai più un parcheggio in tutta la tua vita e quelle ruote ti assicurano un passaggio ovunque. L'alternativa sarebbe stato un posto assicurato al cimitero. Nemmeno tu dovresti avercela la faccia di merda.»

Lo sputo fuori di botto, poi trattengo il respiro non appena mi rendo conto di quello che mi è uscito dalla bocca.

Cristo santo, non posso averlo detto davvero.

Sento sussurrare il mio nome da Callie ma non la guardo nemmeno: sono troppo impegnata a guardare il signor Cole mentre aspetto che mi mandi al diavolo, che faccia dietrofront e che si chiuda di nuovo in casa sua.

Aspetto queste cose nello stesso ordine in cui le ho pensate, soprattutto quando vedo la sua mascella stringersi. Dovrei lasciar andare la maniglia prima che la mano mi si stacchi dal braccio ma è l'unica cosa che al momento possa darmi un appoggio, quindi non mi scomodo nemmeno a lasciar andare la presa.

Si può essere più cretini della sottoscritta? Non ho bisogno nemmeno di pensarci alla risposta, perché so perfettamente che il risultato negativo non cambierebbe di una virgola.

Come se niente fosse, Vincent mi passa accanto sorridendo.

«Giusta osservazione, Emory!» esclama, dandomi una leggera pacca sulla spalla prima di sparire dentro casa.

In tutta onestà, dubito altamente che le mie parole si possano definire una giusta osservazione.

Non so quale sia il loro problema, ma mentre sorpassano il loro padre per seguire Vincent in casa noto che tutti hanno lo stesso ghigno dipinto sul volto. Sul mio, invece, l'unica cosa che c'è è il ribollire del sangue sulle mie guance per la figura di merda che ho appena fatto.

«Vedo che il tempo non ti ha rammollita» commenta lui prendendomi di sorpresa. «Sei la prima persona oltre la mia famiglia che ha avuto le palle di dire come la pensava senza doversi appellare alla compassione.»

Si spinge con qualche difficoltà fino all'entrata, al punto che sono quasi tentata di allungare le braccia e dargli una mano. Alla fine, però, non mi muovo e lascio fare tutto a lui. Quando finalmente riesce a superare la porta, tra un'imprecazione e l'altra sibilata a denti stretti, si volta di nuovo verso di me.

«Mi dispiace di non essere rimasto l'altra mattina. Non è facile restare a guardare la gente mentre ti fissa come se tu fossi una nuova cavia da laboratorio» si giustifica, alternando lo sguardo tra me e le sue mani. «Sono contento di vedere che stai bene e che sei sempre la solita piccola furia.»

I Ricordi che ho di teWhere stories live. Discover now