Trappola

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Layla Pov's

Ormai è passato un mese da quando vidi Jace per l'ultima volta. Sicuramente sarà andato da qualche parte come suo solito o probabilmente è tornato dal suo branco, a casa. Non so il perché, ma una parte di me è seriamente preoccupata per lui nonostante tutto. Non riesco più a dormire da una settimana ed a nascondere di conseguenza le mie occhiaie sotto chili di correttore. Non serve a nulla. Ho bisogno di riposo. Argh! Perché alla fin fine mi preoccupo sempre per lui? Perché lo penso costantemente? Scuoto il capo come per poter cacciar via questa miriade di domande. Mi alzo dal comodo materasso e comincio a spogliarmi per poi indossare le solite robe ed andare in aula. Oggi è il 16 di marzo ed il 29 marzo inizieranno le vacanze di Pasqua. Finalmente! Tornerò dalla mia cara e caotica New York, ma soprattutto dalla mia adoratissima famiglia. Sono le 13:00 così mi dirigo in mensa pronta per sgranocchiare qualcosa di commestibile. Mi guardo intorno e noto solo ora che Anastasia non è venuta a lezione, anzi ha saltato tutti i corsi della giornata. Improvvisamente sento il cellulare vibrare dal mio pantalone così mi affretto a rispondere.

Anastasia.

Come si dice? Parli del diavolo e spuntano le corna. Sogghigno divertita per poi rispondere.

«LAY VIENI IMMEDIATAMENTE ALL'ENTRATA DEL BOSCO!»

Successivamente sento un tonfo profondo.

«ANA! ANA! CHE DIAMINE STA SUCCENDENDO?» Domando spaventata.

Mollo senza pensarci due volte il mio pranzo e vi posso giurare che rinunciare al cibo è tanto, veramente tanto, per una come me. Correndo mi dirigo oltre la palestra scoperta, addentrandomi così nel bosco ed incontrando pochi istanti dopo la mia amica. Noto spaesata che Anastasia sta cercando di sorreggere un ragazzo un po' più alto di lei con i capelli chiari. Mi avvicino velocemente, turbata come non mai.

«Che è successo?» Chiedo preoccupata.

La mia amica è sporca di terra e sangue e le braccia ed il volto sono pieni di graffi. Istintivamente la mia attenzione cade sul ragazzo che sto aiutando a sorreggere. È Jace! Ha un taglio ben visibile tra i suoi pettorali, talmente profondo da notare la carne viva. Bleah! La sua maglia è lacerata ed i suoi pantaloni sono in brandelli. Cosa diamine è successo?!

«Ci hanno attaccati.» Annaspa Anastasia. «Jace sta male. Ti prego, prenditi cura di lui. Ti prego!»

La licantropa mi guarda diritto negli occhi, implorandomi di aiutarla mentre lacrime di dolore e sofferenza le solcano il volto affranto ed affaticato.

«Ma lui...» Tento di protestare.

«Ha sbagliato ma tu lo devi aiutare. Ci hanno tesi una trappola e noi ci siamo cascati in pieno.»

Proseguiamo lentamente sino ad arrivare nel mio appartamento attraverso la veranda o in caso contrario sarebbe stato difficile da spiegare agli altri umani. Per fortuna gli alunni sono a lezione perciò il campo è libero da ogni tipo d'ostacolo. Poggiamo con delicatezza, o almeno ci proviamo, Jace sul suo letto e di conseguenza lui emette un piccolo lamento mentre si contorce come un bambino colpito da un malanno. Anastasia fa per andarsene, ma la blocco prontamente per un polso.

«Dove vai? Ti aiuterò io!» Le dico rassicurandola.

«No, no. Mamma è tornata e le devo raccontare tutto. I miei tagli sono superficiali, penserà lei a me. Un'ultima cosa, sei esonerata dalle lezioni della settimana.»

Detto ciò mi bacia la guancia e va via correndo senza darmi così la possibilità di ribattere. Istintivamente mi catapulto nella stanza del licantropo e noto Jace intento ad alzarsi dal letto, ma logicamente perde l'equilibrio. Lo afferro per un pelo e con molta fatica lo rimetto a letto.

«Che fai? Vai via! Tu mi odi.» Biascica portandosi una mano sul taglio profondo per poi digrignare i denti.

«Ne parleremo quando starai meglio. Ora sta' zitto e fatti curare.» Gli dico schietta.

Senza perdere altro tempo, gli tolgo i pantaloni, o meglio ciò che ne è rimasto, e lo lascio in boxer. Il mio occhio ricade sul busto perfettamente palestrato tant'è che un lungo brivido comincia a dilaniarmi la schiena e le guance iniziano a tingersi di rosso. Non è il tempo di perdermi in questo tipo di pensieri! No! Devo aiutarlo e basta! Gli faccio mettere il suo braccio destro intorno al mio collo in modo da aiutarlo ad alzarsi e con molta fatica arriviamo in bagno. Lo soccorro ad entrare in vasca e con il manico della doccia lo lavo, tentando di regolare la temperatura dell'acqua. In poco tempo i suoi boxer neri sono completamente bagnati, non lasciando così spazio all'immaginazione. Colta in fallo, distolgo gli occhi da lì alquanto imbarazzata. Quando però faccio per lavargli la ferita, lui allontana velocemente la mia mano con la spugna, cercando invano di rialzarsi infatti cade di conseguenza come una pera cotta.

«Ahia! Che male!» Urla in preda al dolore.

Gli prendo il volto tra le mani e gli dico, fissandolo intensamente negli occhi: «Jace, ora tu hai bisogno d'aiuto e, che ti piaccia o no, io resterò con te fino a domenica! Quindi al posto di fare il bambino capriccioso, cerca non rendermi il lavoro più faticoso.»

Il suo sguardo si fa immediatamente più dolce e confuso. Lentamente, molto lentamente, prende la mia mano per metterla successivamente sul taglio. Gli lavo il petto muscoloso con estrema attenzione poiché non voglio di certo recargli altro dolore fisico dopo quello che sta sopportando. Di tanto in tanto lo sento irrigidirsi per la sofferenza quando appunto gli tocco seppur delicatamente la ferita. Subito dopo lo aiuto ad asciugarsi e lo faccio stendere sul suo letto. Gli disinfetto la ferita e successivamente fascio il tutto con una benda sterile. Afferro un paio di pantaloni che in seguito gli faccio indossare, ma quando passo al petto mi ferma prontamente.

«Dormo sempre senza maglietta.» Mi sussurra flebilmente.

Sospiro pesantemente, scuotendo il capo energicamente. È inutile cominciare a litigare per questa stupidaggine perciò non insisterò. Inoltre il mannaro non sembra in grado di portare avanti una discussione coi fiocchi. Mi alzo dal materasso, dirigendomi di conseguenza in cucina e lasciando Jace in camera. Noto con disappunto che il frigo è vuoto così ritorno nella stanza del licantropo.

«Jace, devo uscire un attimo. Tu cerca di riposare.»

Non mi risponde e continua a fissare il soffitto con sguardo assente. Alzo gli occhi al cielo spossata ed esco per fare la spesa. Per fortuna in questo collage c'è anche un mini-market! Compro del riso e dei pezzi di carne per Jace, poi acquisto anche qualcosa in più per me.

Il figlio della Luna (Da revisionare)Where stories live. Discover now