【 twenty one 】

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Frank le aveva sentite già dal vialetto d'ingresso, le voci. E per quanto facesse un freddo cane si era bloccato a metà passo, lo sguardo spaventato puntato alla porta ed il respiro alterato. Sentiva il sangue cementarsi poco per volta nelle vene, trasformandolo in una statua di ghiaccio. C'erano sicuramente più di una decina di persone, le sentiva parlare, scherzare, ridere al di là di una cinquantina di centimetri di mattoni. Considerò di tornare sui suoi passi e di inventarsi una scusa, di dire di essersi sentito male, di essere finito sotto una slavina di abeti, di essere rimasto vittima di una congiura di ometti di pan di zenzero. Tutto, di tutto pur di non dover stare con le persone. Si cominciò a ripetere nella mente con voce da bambino io non voglio entrare, non voglio, no, accondiscendendo così la paura che elettrificava il suo sangue grigio di cemento e lo impregnava come una spugna, gli occhi puntati come quelli di un cerbiatto davanti al fucile del cacciatore alla casa di Gerard. Si era anche anestetizzato al freddo dell'aria che gli pungeva i polmoni ad ogni ansioso respiro. E poi si accorse che era esattamente ciò che non voleva e non doveva fare. Bloccarsi per gli altri. A lungo andare, come una striscia di cartone pressata alle estremità, per dare spazio agli altri si era silenziosamente incavato, invece di mantenere la sua linea retta, e mano a mano quella era diventata la sua forma. Ma non poteva incavarsi più di tanto, ed ogni volta che tornava nella sua posizione retta ogni situazione che coinvolgeva l'interazione di due spazi, il suo e quello altrui, aveva paura, e tornava ad incavarsi. E così aveva perso la sua identità, la stessa identità per la quale stava invece combattendo contro e per se stesso. Non poteva annichilirsi per gli altri, non poteva vivere per gli altri, ma per se stesso. Non la avrebbe data vinta all'ennesima stella nera che vedeva brillare nel cielo della sua vita, sopra la sua testa. Anche lui aveva una sua luce, solo perché altre stelle brillavano più forte non voleva dire che lui non brillasse, per se stesso, per qualcuno. A volte questa luce la vedeva, riflessa negli occhi di qualcuno che amava. Gli occhi sono di vetro, possono essere finestre e specchi. A volte si ha bisogno di guardare fuori dalla finestra e ammettere che il mondo può essere bello, altre volte si ha bisogno di guardarsi allo specchio e di sentirsi bene. Frank fece qualche passo in avanti e premette forte sul campanello per qualche secondo, ignorando il reflusso di emozioni e pensieri che saettavano nel sangue improvvisamente pompato con vita e potenza in ogni capillare del suo corpo. Fottuta adrenalina. Spero solo che mi venga ad aprire Gerard, quanto sarebbe imbarazzante altrimenti. In quei pochi secondi di incipiente attesa che sembrano sempre durare troppo, cercò di ignorare la tempesta di neve in testa e di distrarsi. Si chiese quale accessorio natalizio si sarebbe messo Bob. Sicuramente qualcosa di estremamente ridicolo. La porta si aprì non appena Gerard si fosse accertato della presenza di Frank, il quale venne accolto da un sorriso del ragazzo. Prima di abbracciarlo, lo guardò un attimo negli occhi, sentendo una rincuorante stretta al petto. Sì, il riflesso di una pallida stellina c'era ancora. Lo travolse in una stretta, buttandogli le braccia al petto ed affondando la faccia nella profumata lana del suo maglione verde scuro, che accentuava le pagliuzze come foglie vive nei suoi occhi. Sentì un'eguale stretta attorno al torace, che lo tranquillizzò all'istante. Ora andava bene. Ora si immaginava la finestra e lo specchio, e gli pareva il riflesso di un mondo idilliaco. Andava bene. Non si accorse neanche che quando si sporse per baciarlo lui lo evitò girando la guancia, che si scontrò tiepida contro le sue labbra. A volte lo facevano. Si staccarono.
«Dannazione, fuori si gela, sei un pezzo di ghiaccio.» aprì la porta di più, facendo uscire un po' del calore del luogo. «Entra prima che il tuo sistema immunitario decida che un raffreddore è la cosa migliore da fare.»
«Aspetta» ancora sulla soglia, lo interruppe, porgendo ad un Gerard stupito un pacchettino male incartato. Alla fine gli aveva trovato un regalo, e ne era piuttosto contento, per quanto l'incarto ricordasse il cervello di un'iguana. Non che avesse mai visto un'iguana. Comunque gli aveva portato un regalo. Era già riuscito a darlo a Mikey, Ray, Jamia e Bob. Lui era l'ultimo che mancava, e quello a cui teneva di più. «Tieni, ti ho fatto un regalo. Anche se mi hai detto di non portarlo. Avanti, prendilo, non è un chihuahua incazzato, puoi tenerlo in mano.»
Gerard rimase un paio di secondi a guardare il pacchetto con un'espressione indecifrabile. Ecco, Frank aveva sempre paura in quei momenti ed in un certo senso ne era tremendamente affascinato, quando dietro gli occhi vivi di Gerard calavano le serrande. Ma poi sbocciò un sorriso e lo prese, facendogli spazio sulla soglia, e per quanto Frank volesse soltanto cingerlo con un braccio o stringergli la mano, si trattenne e fece un passo in avanti, chiudendosi la porta alle spalle. Solo dopo che si fosse levato lo scaldacollo dalla faccia volse lo sguardo verso il gruppo di persone che animavano il salotto con quella serenità tipica degli esseri umani a loro agio. Riconobbe i suoi tre amici e Bob in un secondo, e fece appena in tempo a rispondere ai loro saluti che un'altra figura, seduta su una poltrona intenta a chiacchierare tranquillamente con due ragazzi che non conosceva, catturò la sua attenzione. Si fermò con le mani sullo zip del giaccone. Lindsey.
«Accompagno Frank a posare la giacca e torno.» annunciò Gerard, poggiandogli una mano sulla spalla e avvicinandosi al corridoio. Frank era ancora piuttosto sbigottito, ma prima di sparire dietro l'angolo incrociò lo sguardo della ragazza, e dentro di sé venne assalito da una nuova ventata di neve. La porta della camera di Gerard si richiuse dietro le loro spalle. La camera era esattamente come Frank se la ricordava, solo che ora era stesa una coperta in più sul letto sfatto, di un indaco colore del dormiveglia. Da dietro percepì le braccia di Gerard stringerglisi attorno ed abbassargli la cerniera, per poi sfilargli con cautela l'ingombrante indumento e prendere una delle tante stampelle dall'armadio, mettercelo sopra ed appenderlo accanto ad un'altra decina di giacconi. Frank si era incantato a guardare la fiammella che guizzava allegra in una candela profumata sul comodino, lanciando iperboli di fuoco sulle pareti scure, che se non fosse stato tanto assorto si sarebbe quasi spaventato quando Gerard tornò da lui e lo baciò. Frank si arrese a se stesso e ricambiò quella lenta e assorta pressione di labbra, che faceva sembrare la neve un po' meno fredda e mordente.
«Finalmente posso salutarti decentemente.» disse infine Gerard, poggiandogli le mani sulle spalle, carezzandogliele da sopra il maglione pesante. Frank sorrise appena, perché per la prima volta i fiocchi di neve nella sua testa stavano mormorando frasi di senso compiuto. «Mi dispiace per prima. Come stai?»
«C'è anche Lindsey?» okay, quella non era esattamente la risposta che avrebbe voluto dare, ma gli sfuggì dalle labbra, sperando che non avrebbe turbato il ragazzo, il quale cambiò espressione, tirando un po' le tende dietro i suoi occhi nocciola. Rimase in silenzio, come analizzando le parole della frase. Frank trasse un respiro tremolante, cercando di tradurre sensatamente i gelidi e biancastri bisbiglii della neve che gli vorticava silenziosa attorno. «Oggi ci sarà anche lei con noi?»
«In realtà sì, ho invitato anche lei, dopotutto nonostante ci siamo lasciati rimane una persona a me cara e avrei voluto fartelo sapere prima ma mi ha confermato proprio stamattina e... spero non ti dia fastidio.»
«No, assolutamente.» chiarì sinceramente, per quanto non poteva negare una punta di gelosia e paura. «Cioè, forse un po' sì, ma esclusivamente perché mi potrei sentire un po' a disagio visto che si tratta della tua ex ed io socialmente ho l'utilità di un fazzoletto appallottolato in fondo alla tasca e non vorrei che si causassero dei problemi. Nessuno sa che noi... insomma, che stiamo insieme, dopotutto.» ammise, un po' impacciato. Non si era mai impegnato per dirlo a qualcuno, ed ora con la prospettiva di un'intera giornata davanti a conoscenti vari con Gerard accanto non sapeva come avrebbe dovuto agire. Non voleva rovinare quell'equilibrio che gli pareva così perfetto a prescindere o meno dalla sua presenza, ma al contempo non voleva fingere. Non lo trovava giusto.
«Aspetta, parliamone un attimo.» Gerard gli prese la mano e lo portò fino al letto, dove si sedettero l'uno vicino all'altro dandosi la faccia, senza tuttavia lasciare la stretta delle loro mani. La tentazione di sdraiarsi accanto a lui e semplicemente dimenticare insieme il mondo era tanta, ma sapeva che in una relazione era importante anche il dialogo, non solo quello basato sul linguaggio fisico, ci sono concetti che non possono essere espressi con baci e tenerezze, ma con parole e discorsi, a volte perfino discussioni, e trasmetterlo in un altro modo sarebbe stato controproducente. Agganciò lo sguardo con quello di Gerard, di nuovo in quella bolla eterea che apparteneva solo a loro, e quello cominciò a parlare. «Allora, partiamo col fatto che delle persone che stanno di là alcune sono conosciute da entrambi, alcune sono in rapporti migliori con te, altre con me. Devi sapere che io non l'ho detto a nessuno che ci siamo messi insieme. A nessuno. Forse Mikey avrà capito qualcosa, ma perché ha un rapporto stretto con entrambi ed è difficile nascondergli qualcosa. In ogni caso, dalla mia bocca non è mai uscita una parola su noi due. E prima che tu vada a pensare chissà cosa sul fatto che non tenga abbastanza a te o che io non ti a... insomma, non ti ammiri o non ti ritenga degno di menzionarti agli altri, lascia che ti dica che l'ho fatto per te. Perché non ne abbiamo mai parlato di ciò, abbiamo fatto tutto un po' di fretta nella nostra relazione, ci siamo baciati in poche settimane, in meno di tre mesi ci siamo messi insieme e da subito il sentimento verso di te era estremamente forte, ma non è questo il punto. Ho imparato a conoscerti, dentro di me ti ho rivoltato come un calzino innumerevoli volte, pensandoti di giorno e sognandoti la notte nelle più svariate delle maniere, cercando di analizzarti e conoscerti, e se c'è una cosa che ho capito dalla prima volta che ti ho visto, con le mani coperte e lo sguardo cauto ma penetrante, è che sei una persona riservata. Quello che siamo riguarda entrambi, e non voglio prendere iniziative che hanno a che fare con te senza prima accertarmi che per te vada bene, che ti faccia stare bene, perché fare il contrario equivarrebbe a ferirti, l'ultima cosa che voglio farti. Per questo non ho mai parlato di noi, perché non so se per te sarebbe andato bene. Se preferisci che si sappia o no, e non avendotelo mai chiesto direttamente non lo so, e non mi sono mai azzardato per paura di sbagliare o romperti tra le mie stesse mani. Tuttavia, stiamo per passare una giornata insieme anche con altre persone, ed è fondamentale che io lo sappia, che cosa tu preferisca che si faccia. Te la senti di rimanere pubblicamente come siamo in privato? O preferisci che lo manteniamo per noi?» durante tutto il discorso la mano libera di Gerard non era mai stata ferma un attimo, se per rimettersi apposto una ciocca d'ebano dietro l'orecchio, per sfiorargli lo zigomo enfatizzando i concetti, se gli ricadeva a peso morto in grembo, ed idem per i suoi occhi, che pur rimanendo ben incollati sulla sua figura - viso, labbra, torso, mani congiunte - non si soffermavano per più di due secondi sullo stesso punto. Era palesemente agitato, un po' nervoso a dirla tutta, come un bambino alla sua prima interrogazione che ha studiato tutto, ma che ha paura delle domande in quanto esame della sua conoscenza. E anzi, Frank era contento che Gerard stesse affrontando con lui la questione, e che lo rispettasse a tal punto. Gerard era la sua persona e lui sentiva di essere la persona di Gerard, senza tanti dubbi o incertezze varie, era questo il punto. Era diverso, semplicemente, come se l'era immaginato ma proiettato sulla realtà, il che lo rendeva paradossalmente quasi surreale. L'astratto nel concreto. Gerard prese di nuovo parola. «Davvero, dimmi cosa ne pensi, ho bisogno di saperlo.»
Frank aspettò due secondi prima di respirare e alzare di nuovo lo sguardo in quello di Gerard. «Voglio smetterla di fingere davanti agli altri, o comunque celare la realtà dei fatti. Non voglio, mi sembrerebbe falso nei loro e nei nostri confronti.» asserì.
«Ne sei sicuro? Se hai paura che significhi esporsi troppo non devi forzarti.»
«Assolutamente no, voglio farlo. Mi sembra giusto.» fu ancora più fermo nella sua decisione quando vide un sorriso fare una fugace comparsa sulle labbra di Gerard. Era una certezza, un brandello della loro intesa non fisica che trapassava le barriere della coscienza di Gerard. A Frank piaceva cogliere quei segni impalpabili, era come poter leggere al contrario un testo scritto sul retro di una pagina a causa della sua sottigliezza. «Insomma, ho il migliore ragazzo della Terra.» frase a cui Gerard ridacchiò, dandogli una stretta di conferma alla mano. «Non me ne frega un cazzo che gli altri lo sappiano o meno, cioè forse sì, ma non cambierebbe tra noi, rimarremo così, e saremo così anche per gli altri, ed è strano, ma credo che tu riesca a capirlo.»
«Sì, lo capisco, è la stessa cosa anche per me.» per un attimo si guardarono, sorridenti ed ignari l'uno per l'altro, e a Frank parve che Gerard volesse aggiungere qualcosa, ma nei suoi occhi vedeva soltanto il suo riflesso, le guance tinte di una lieve tonalità rosa pastello a causa dello sbalzo tra il freddo di fuori ed il caldo di dentro e tutte le emozioni che lo avevano attraversato come la luce che si butta in un bicchiere di vetro. Ora si sentiva tranquillo, per quanto avrebbe dovuto essere agitato del coming out. Non lo era. Era semplicemente mano per mano con Gerard, era tranquillo ed il suo cuore batteva ad un ritmo regolare. Andava bene. Le parole mancate di Gerard sembrarono riempire col loro celato significato lo spazio attorno a loro. «Allora va bene così, andiamo di là e o glielo diciamo o aspettiamo che qualcuno lo capisca. Okay?»
«Okay.» Frank si chinò e lo baciò, le mani sui suoi fianchi e la leggerezza nell'animo. E per Frank fu un bacio bellissimo, non riusciva a pensare a nulla, la sua mente era come uno stralcio d'azzurro cielo primaverile con qua e là delle nuvolette di cotone bianco, paffute e leggiadre, l'azzurro intenso ed infinito, luce propria sul vasto spettro del blu. Peccato che quel momento venne interrotto da un paio di colpi sulla porta, e Frank si staccò da Gerard, voltando il viso verso destra. Sentiva le guance in fiamme e le labbra un po' gonfie, ancora con il sapore e la saliva di Gerard a proteggerle.
«Siete ancora qui dentro? È successo qualcosa?» domandò la voce di Bob dall'altra parte del muro. Gerard mise a posto il pacchetto male incartato, si alzò e si rimise apposto il maglione sui jeans.
«Hai ragione, arriviamo subito.» nessuno dei due perse tempo a mettere su due piedi una scusa, non era necessario. Frank invece accettò la mano di Gerard e si rimise in piedi, poi con un sorriso lanciò uno sguardo ad uno specchio appeso alla parete prima di raggiungere la porta con l'altro, a cui lasciò andare la mano. Era un po' spettinato e le labbra recavano ancora i segni del bacio, ma non se ne preoccupò. Uscì invece dalla stanza assieme a Gerard, con l'impressione di stare ancora camminando in quel cielo primaverile, così sensibile da non poter essere scalfito dal mondo di sotto, che appariva così innocuo e lontano, e talvolta poteva essere un bambino, e a testa in giù imparare a dare forma agli alberi.

dear psychologist 【 frerard 】Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora