【 nine 】

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Quasi 6000 parole.
Sì, non so come sia possibile.
Non ammazzatemi.

Il ragazzo aprì la bocca un paio di volte nel tentativo di dire qualcosa, ma dalle labbra gli uscì solo una breve, sterile emissione di fiato.
Ma in fondo cosa avrebbe dovuto dire? "Complimenti"? "Auguri e figli maschi"? "Belle bocce, chissà se ti stenderanno il birillo"?
E poi se lo ricordava bene cosa era successo -o meglio, quasi successo- nello studio l'ultima volta che si erano visti. Poteva rigirarci intorno più e più volte, invertire i fotogrammi o far finta che il tutto fosse stato solo un'enorme coincidenza o un altrettanto grande scherzo del destino. Ma era innegabile, se i loro visi si fossero avvicinati un po' di più, se avessero potuto respirare lo stesso fiato, se Frank gli fosse stato tanto vicino da poter contare una ad una le lievi lentiggini che aveva sulle gote altrimenti ceree, chissà cosa sarebbe successo. Frank ultimamente si ritrovava a rivivere quei pochi secondi nei momenti meno aspettati e opportuni, gli sembrava di avere un sassolino nella scarpa. Un pensiero piccolo, ma nel suo essere insignificante ti mordeva dolorosamente la carne finché tu avessi trovato un modo per liberartene. Ma era un pensiero piccolo e piacevole, da conservare in tasca una volta levato dalla scarpa. Una volta a pranzo si era pure ritrovato ad arrossire nel scacciarlo via, e si era dato uno schiaffo mentale, mentre Mikey lo guardava come di suo solito con fare impassibile. Si ritrovava spesso e (mal)volentieri a chiedersi se, effettivamente, non desiderasse quel contatto mai avvenuto.
Possibile che Gerard non avesse neanche un po' pensato a quella scena? O magari era tutto frutto della mente di Frank e sarebbe solo passato per pazzo facendoglielo notare? E se non fosse mai accaduto? In caso contrario, avrebbe dovuto ricordarglielo?
Anzi no, con Gerard le figure di merda avrebbero dovuto già essere capitolo chiuso da tempo. Si stava facendo troppe paranoie e si stava scollegando dalla realtà, cosa che negli ultimi tempi gli accadeva pure troppo spesso; certo, a ragione, ma comunque doveva distrarsi di meno. Inspirò col naso tornando coi piedi sulla terra, incapace di non restare a fissare Gerard e Lindsey, quest'ultima con la testa poggiata sulla spalla del ragazzo e gli occhi semichiusi, mentre lui guardava Frank assorto, i loro capelli che scossi dal vento autunnale si fondevano, un rosso e nero in continuo mutamento. Un po' come la stabilità di Frank, eterea e precaria. Il ragazzo in quel momento si sentiva come se gli avessero appena tirato un pugno.
«Uhm... Be', allora piacere Lindsey... Way.» aggiunse, cercando di fare lo scherzoso, mentre in realtà si sentiva parecchio nervoso. Ma perché? Forse aveva ancora in mente il viso della madre, stanco e sconfortato. Sentì l'ombra di un groppo in gola quando ci ripensò. O forse non si era ancora ripreso dalla rissa di prima.
«Oh no tranquillo» Lindsey rialzò il viso e rise, anche se ora quella risata, per quanto potesse essere spontanea, gli suonava quasi antipatica. «Non sono proprio sicura che si andrà fino a certi livelli.»
«Ah no?» ribatté Gerard, alzando un sopracciglio in un'espressione di dubbio.
«Eh no.» Lindsey seguì con un dito il profilo del suo naso e gli sorrise, facendo sorridere anche il ragazzo. Come il primo raggio di sole a primavera che fa schiudere il bocciolo, qualcosa si aprì nel petto di Frank, pompandogli schegge di ghiaccio e fuoco nel sangue. Improvvisamente Lindsey non gli parve più solo un'infermiera che lavorava in un liceo in una piccola cittadina del New Jersey. Ora sembrava un personaggio in più, uno schizzo d'inchiostro dove la penna si era rotta. E sentiva una specie di astio nei suoi confronti, un astio che si accese quando Gerard e Lindsey si baciarono ancora.

Quello non era astio.
Era gelosia.

Al primo impatto Frank pensò che fosse impossibile, che in fondo era assurdo che provasse un sentimento tale per un ragazzo che in fondo altro non era che il suo psicologo. Ma non c'erano alternative, per quanto il moro si stesse sforzando di nasconderlo a se stesso o di trovare una via di fuga. Non riusciva semplicemente a sopportare il fatto che Lindsey lo stesse guardando con tenerezza e gli stesse stringendo la mano, la stessa mano che pochi giorni prima aveva tranquillizzato Frank, lo aveva consolato e lo aveva aiutato.
Doveva andarsene, non poteva rimanere lì un minuto di più o chissà cosa avrebbe fatto o pensato. Borbottò un saluto e corse via sul marciapiede senza voltarsi, mantenendo un passo sostenuto fin quando non ebbe svoltato l'angolo dell'edificio. A quel punto si fermò, poggiandosi al muro e mettendosi una mano tra i capelli, tirando tra le dita le ciocche scure. Cosa gli era preso? Perché aveva avuto una reazione del genere?
Frank non si seppe rispondere e come un automa aprì la tasca posteriore dello zaino, tirando fuori un pacchetto di sigarette e l'accendino. Ne sfilò una, poi la poggiò tra le labbra e la accese, lasciando che la sensazione bruciante del fumo gli dissipasse la confusione.
Rimase poggiato al muretto con una mano in tasca ed il cappuccio in testa, prendendo boccate di fumo e cercando di pensare razionalmente. Okay, aveva avuto una reazione esagerata, però un motivo ci doveva essere. Capì con inattesa e trepidante ansia che forse, molto forse, il loro rapporto avrebbe potuto rischiare di diventare qualcosa più del semplice legame psicologo-paziente. Si ricordava quando a cena aveva quasi rischiato di strozzarsi e aveva pensato a Gerard, che magari avrebbe potuto fargli la respirazione bocca a bocca. O la volta precedente nello studio, quando effettivamente si erano quasi baciati. E lui che ultimamente era troppo tra i suoi pensieri, che era così bello e così deciso ad aiutarlo, gli aveva stretto la mano e sussurrato parole di conforto... Scosse la testa, chiudendo gli occhi.
Sebbene gli avrebbe potuto far piacere, cosa che effettivamente pensava e lo intimoriva, non poteva permettere che accadesse. Gerard era fidanzato, e poi aveva già abbastanza problemi. Non aveva la minima voglia di pensare al livido sbiadito che aveva in faccia o al litigio coi suoi. Inoltre quel sentimento gli faceva paura, per quanto infimo e sconosciuto. Non lo aveva mai provato, e poteva far male. Ma Frank non voleva sanguinare ancora. Doveva stroncare quello che poteva nascere ancora prima che potesse sbocciare.
Vide come in terza persona se stesso sfilare dalla tasca dei jeans il telefono, sbloccarlo ed aprire la rubrica. La fece scorrere e si bloccò, fermandosi solo un attimo prima di inspirare e cliccare sul nome. Al quarto squillo rispose.

dear psychologist 【 frerard 】Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora