【 six 】

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Tutto sommato il week-end era trascorso abbastanza velocemente: dopo essere uscito dallo studio di Gerard aveva passato il sabato pomeriggio con il padre, recuperando un po' di quel tempo perduto facendo qualche passaggio di baseball, esattamente come nei classici americani. Solo che lui era una mezza sega a baseball, per cui rischiò tre volte di rompersi il naso dandosi la mazza in faccia da solo. La mattina della domenica Frank aveva scoperto i suoi mentre litigavano, ma non appena i due si erano accorti della sua presenza Linda aveva sfoderato un sorriso e li aveva trascinati a vedere un film a detta sua interessante, ma abbastanza noioso dal punto di vista di Frank.
Domenica pomeriggio fu invece costretto a studiare per la verifica del giorno dopo; Frank passò svariate ore a cercare di capire concetti contorti, maledicendo il libro di testo e meditando di scappare a bordo di una zattera in Australia, dove avrebbe vissuto come un ramingo nutrendo orfani di koala e usando per il suo sostentamento esclusivamente piante d'eucalipto.
Tuttavia nulla di tutto ciò, dal film dozzinale al tentato suicidio tramite mazza da baseball, era riuscito a levargli dalla testa le parole di Gerard, il suo tono amareggiato e quegli occhi. Dio, quegli occhi lo avrebbero fatto impazzire.

Ma ormai era lunedì (giorno che odiava e detestava con tutto il suo cuore) quindi era inutile stare a rimuginarci su troppo. Aveva appena concluso la -penosa- verifica di matematica, quindi ora stava riponendo nell'armadietto righello e compasso maledicendo le formule che gli ronzavano in testa come un fastidioso sciame di mosche. Era molto tentato di sbattere la testa contro l'armadietto fino ad andare in coma, ma chissà come lo avrebbe bollato il resto della scuola; emo, effemminato e pure pazzo suicida. Rimpiangeva i koala.
Sospirò per poi richiudere l'armadietto, caricandosi lo zaino in spalla e sussultando quando il telefono ronzò. Lo tirò fuori, notando di aver ricevuto un messaggio da Mikey che lo avvertiva che quel giorno non avrebbe potuto pranzare con lui. Socchiudendo gli occhi, Frank lo ripose nella tasca della felpa: il lunedì si sarebbe dovuto chiamare sfigadì.
Senza minimamente prestare attenzione agli studenti che gli sciamavano intorno, tantomeno quelli che guardavano con diffidenza i tatuaggi che sbucavano dal colletto della felpa, Frank si diresse con calma verso la mensa, già pullulante di alunni schiamazzanti. Molti andavano a pranzare nel cortile comunicante con la mensa, approfittando degli ultimi giorni di temperature calde. Frank non faceva parte di questa categoria e, preso un piatto di pasticcio di verdure mollicce, se ne andò ad uno dei tavoli liberi verso il fondo della sala.

Stava tranquillamente cincischiando con le verdure ancora intatte nel vassoio quando percepì un'ombra scurire la superficie del tavolo. Insospettito, Frank alzò gli occhi dal piatto, incontrando un paio di iridi marroni. Era una ragazza, e lo stava guardando.
«Ciao. Mi posso sedere qui?» chiese timidamente la ragazza, facendogli un sorriso. I capelli scuri erano raccolti in una coda alta da cui sfuggivano alcune ciocche castane, dello stesso colore degli occhi e indossava un maglione blu oltremare di almeno due taglie in più. Era carina.
Frank era incuriosito e sorpreso: a causa del suo aspetto insolito praticamente nessuno gli rivolgeva la parola all'interno dell'istituto, men che meno le ragazze. Eppure quella davanti a lui continuava a scrutarlo speranzosa, aspettando una risposta. Frank annuì e quella sorrise di nuovo mentre si sedeva sulla panca di fronte a lui, per poi poggiare i gomiti sul tavolo e scrutarlo.
«Probabilmente ti chiederai chi sono.» continuò la ragazza. «Ci siamo incontrati l'altro giorno, allo studio.» sussurrò l'ultima parola come se non si volesse far sentire. Nel farlo, lanciò anche un'occhiata circospetta al resto degli studenti, ma nessuno stava prestando particolare attenzione ai due.
Frank ricollegò mentalmente il suo viso a quello che gli aveva sorriso il sabato precedente, e poi gli balenò in mente la ragazza che aveva attirato la sua attenzione alla lezione di geografia la settimana prima. Era lei, ecco perché gli sembrava di averla già vista.
«Mi chiamo Jamia.» disse lei, porgendo una mano al di sopra del tavolo. Il polsino del maglione le copriva metà della mano, ma ciò non impedì a Frank di stringergliela goffamente, dicendole il suo nome.
«Oggi eri da solo a pranzo, ho pensato che magari avrei potuto farti compagnia.» proseguì Jamia con tono incerto, senza smettere di guardarlo.
«Io... ehm, è stato un pensiero carino.» rispose Frank, leggermente a disagio. Gli parve che Jamia avesse apprezzato il gesto, in quanto assunse un'espressione leggermente compiaciuta.
«Sai, ti capisco. Sono abituata a stare sola...» ammise, guardandosi di nuovo attorno, per poi ripararsi nelle spalle lanciando un'occhiata al piatto di verdure che aveva avanti.
«Mi dispiace per te.» rispose frettolosamente Frank, chiedendosi perché le parole gli uscissero dalla bocca senza andare a farsi una controllata nel cervello. Insomma, non gli andava tanto di fare la figura dell'idiota l'unica volta in cui una ragazza gli aveva rivolto parola di sua volontà. Tuttavia Jamia sorrise, facendo sentire l'altro in parte gratificato; forse quel giorno non sarebbe poi stato così sfortunato.

dear psychologist 【 frerard 】Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora