【 seven 】

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Il mattino seguente Frank si risvegliò stranamente ristorato e perfettamente riposato: il sole faceva timidamente capolino dalla finestra, lasciando alcuni dei suoi raggi entrare dalla finestra per illuminare la stanza silenziosa, mischiandosi col leggero pulviscolo in sospensione nell'aria fredda. Frank represse uno sbadiglio e si mise seduto scostandosi con una mano i capelli neri dalla faccia, trovando strano quel risveglio che sembrava perfetto. Poi gli venne un flash della sera precedente, della discussione a cui aveva assistito e si sentì ghiacciare. Ma era accaduto di notte, forse era tutto un sogno, un incubo che in fondo non era altro che cenere.
Tuttavia le sensazioni sembravano reali, gli parve ancora una volta di sentire lo sconforto alla parola divorzio.
Frank si impose di non pensarci, di non apporsi un altro peso supplementare prima ancora di accertarsene l'esistenza. Si preparò in fretta per poi prendere le scarpe e scendere giù in cucina, dove la madre lo salutò con un cenno prima di tornare a bere il suo caffè. Anthony non staccò lo sguardo dal giornale, tanto assorto com'era. Il ragazzo si versò un po' di caffè nella tazza per poi sedersi, godendosi l'abituale sensazione del liquido bollente, se non ustionante, solcargli la lingua e l'esofago fin quando sua madre non insisté affinché prendesse almeno un biscotto, quelli di pastafrolla dalle forme stravaganti.
Fu allora che accadde: Linda si era alzata per prendere il vassoio, ma girandosi aveva messo male i piedi ed era inciampata, facendo cadere tutti i biscotti.
«Dannazione, ma che casino ho combinato!» si lamentò lei, cominciando a raccattare da terra i frammenti di pastafrolla e le briciole, borbottando sottovoce altre imprecazioni. Tuttavia, suo padre non mosse un dito. Aveva abbassato il giornale, ma invece di aiutare la consorte a ripulire il pavimento era rimasto seduto, rivolgendo a Linda solo uno sguardo. Scusami, mi dispiace sembrava dire.
Eccola. La nota che stonava col resto della composizione, facendo aleggiare una sensazione d'erroneità che in quel momento parve percepibile solo a Frank.
Non era normale. Suo padre ci teneva al l'unità familiare, aiutava sempre quando poteva dare una mano e soprattutto non sarebbe rimasto immobile nel momento in cui sua moglie avrebbe richiesto un aiuto. E lei non glielo aveva fatto notare, non aveva alzato un secondo gli occhi dal pavimento cosparso di briciole.
Ma quella nota sbagliata doveva essere stata scritta, prima di essere suonata.
La consapevolezza colpì Frank come uno schiaffo: era accaduto sul serio tutto ciò che aveva sognato, nessuna invenzione malsana della sua mente. Improvvisamente il piccolo sorso di caffè sembrò una marea, riempì ogni sua cavità e gli soppresse l'ossigeno nei polmoni, risucchiandogli via tutta l'aria.

Non era stato un incubo.
La piccola, l'unica melodia per lui ancora integra stava per spezzarsi definitivamente.

«Frank. Frank, ti senti bene?» la voce di sua madre attraversò la cortina di echi, riportandolo violentemente alla realtà. Si accorse di avere davanti a lui Linda che lo guardava apprensiva. Stava stringendo la tazza tanto forte che le punte delle dita avevano assunto una tonalità biancastra. «Sei impallidito improvvisamente, forse hai avuto una leggera intoss...»
«Sto bene.» disse secco suo figlio. Forse l'intossicazione l'aveva presa sul serio perché si sentiva lo stomaco tutto attorcigliato, quasi in preda alla nausea. Spostò lo sguardo da sua madre che lo scrutava preoccupata a suo padre, apparentemente distaccato da ciò che gli accadeva intorno. I ricordi della notte precedente tornarono come un secondo schiaffo, costringendolo a poggiare la tazza di caffè sul tavolo onde evitare di rovesciarne il contenuto. Prese un respiro profondo. Respingi tutto in fondo alla mente. «Sto bene.»
La madre aggrottò la fronte ma non proferì parola, si limitò a sedersi accanto a lui e a cercare di parlare con suo marito, ogni tanto lanciandogli qualche sguardo eloquente. Lui cercava di rispondere, ma sembrava più per un obbligo imposto dalla moglie che per piacere di scambiare qualche parola.
Quella conversazione puramente ipocrita fece quasi venire un conato di vomito a Frank, che si alzò di scatto e spinto dall'esigenza di fuggire da quell'atmosfera da casa di bambole biascicò in fretta un devo andare e corse fuori dalla cucina senza fornire alcuna spiegazione ai genitori. In pochi secondi prese lo zaino e scattò fuori di casa, ritrovandosi solo e confuso in preda al vento sferzante dell'autunno da poco iniziato. Forse i suoi genitori lo stavano scrutando dalla finestra, chiedendosi il perché di quel gesto improvviso, ovviamente incoscienti della sua presenza al teatrino della sera prima. Ma Frank, noncurante di eventuali spettatori, rimase in piedi fermo, gli occhi rivolti verso il marciapiede molto metri più in là ed il cappuccio tirato su in fretta e furia. Il suono del silenzio si faceva sempre più opprimente. Ed il suono del silenzio c'era solo quando non si aveva nessuno al proprio fianco disposto a romperlo, quel silenzio.
Frank ci si era abituato alla solitudine, come un'amica un po' gelosa che se ne andava non appena arrivava qualcun altro. Ci aveva sempre convissuto in santa pace, non le era mai pesata come compagnia. Con lei le azioni più semplici erano facili: andare a scuola, mettersi in fila per prendere il vassoio, accordare la chitarra e giù di lì. Ma come una piccola montagna di foglie, messe singolarmente l'una sopra l'altra, il peso di queste singole azioni tutte insieme a volte ti coglieva impreparato, ed in quel momento Frank si sentì oppresso da un vortice di vento freddo, monotonia e solitudine, confusione e sconforto tale da farlo vacillare un attimo. La sua amica lo stava abbracciando un po' troppo forte, sussurrandogli parole all'orecchio che si tramutavano in pipistrelli in poco tempo. Cercava di non ascoltarla, ma rendeva ogni giorno più difficile l'approccio umano, il semplice scambiare due parole che fossero anche solo dei convenevoli. Ogni giorno si aggiungeva inconsciamente una foglia, un mattone, una molecola di vetro alla campana trasparente che quotidianamente, impercettibilmente, lo separava sempre di più, rendendogli anche più difficile una fuga.
Sarebbe stato compito di Gerard, in qualità di psicologo, aiutarlo a scavalcare quel baratro? Avrebbe potuto allontanare da lui una compagnia invadente, magari sostituendola con quella di qualcuno disposto a frantumarla, quella campana?
Frank non lo sapeva.
Sapeva solo che in quel preciso istante, in preda al turbinio di emozioni scomposte e raffiche di vento leggero, riusciva a percepire la sua realtà andare a pezzi.

dear psychologist 【 frerard 】Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora