【 eighteen 】

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«No mamma, te lo ripeto, sto bene. Non sono morto in mezzo alla neve, sto al sicuro, okay?» Frank sbuffò, mentre dall'altra parte del ricevitore sua madre sbraitava su qualcosa che suonava tanto come ipotermia. «Sto al coperto, non sto morendo in mezzo al ghiaccio.» il ragazzo si mise a gambe incrociate sul morbido divano di casa di Gerard, poggiandosi contro lo schienale. Voltò il viso ed incontrò lo sguardo curioso di Gerard, seduto lì accanto ma con le gambe inginocchiate accanto al corpo, tenendo la testa poggiata sulla mano appena chiazzata di china. Lui gli fece un cenno d'incoraggiamento col viso, gli occhi nocciola che brillavano animati da quella che sembrava una singola scintilla di felicità. Frank percepì uno strano torpore riscaldargli il torace per poi fluire in tutto il corpo, strappandogli un sorriso riconoscente. Quasi si dimenticò di essere a telefono con sua madre. «Mamma, tranquilla. No, non sto a casa purtroppo, sto da Gerard.»
«Da Gerard? E che diamine ci fai da lui?» domandò lei dall'altro capo della linea. Frank si morse il labbro, dopotutto la sua era una domanda legittima. Di certo la donna ignorava quali fossero i veri sentimenti nei confronti dello psicologo, tantomeno sapeva che conoscesse il suo indirizzo. Per non parlare del fatto che avessero da poco smesso di baciarsi accucciati l'uno accanto all'altro su quello stesso divano. Al solo pensiero di ciò che era appena successo il cuore perdeva il suo consueto battito regolare.
«Ero in zona, sono uscito oggi pomeriggio...» inventò lì per lì, cercando qualcosa da dire per evitare la spropositata frase mi sono presentato sotto casa sua e l'ho baciato. «E ho casualmente incontrato Gerard. Quando ha cominciato a nevicare forte stavamo da lui, mi aveva offerto di entrare.»
«Capisco, ma... Ed ora? Non voglio mica farti uscire con questa tempesta in atto, insomma, rischieresti la polmonite, proprio tu con la tua salute.» Gerard a quanto pareva stava prestando più attenzione di quanto sembrasse in realtà, perché fece scattare le testa verso il ragazzo e gli fece un gesto, come a dirgli di passargli il telefono. Frank aggrottò la fronte, stupito dalla richiesta, ma l'altro insisté, facendogli uno dei suoi classici mezzi sorrisetti. «Ehm, aspetta, è lui, ti vuole parlare un attimo.»
«Dài, passamelo.» gli fece eco Linda, mentre lui allungava la mano che reggeva il cellulare a Gerard, il quale si alzò e lo afferrò. Nel farlo le loro dita si sfiorarono, appena appena, ma ciò bastò a far desiderare Frank di stringerla e di non lasciarla più, quella mano. Gerard esitò un secondo di troppo prima di prenderli l'apparecchio di mano. «Sì, salve signora, sono Gerard. Frank è qui con me...» disse poi, avvicinandosi il telefono al viso ed incamminandosi verso la cucina. Frank rimase a guardarlo di sottecchi fin quando la sua voce non divenne più di un rumore soffuso in lontananza, della stessa morbida consistenza della luce emanata dalle lampade piazzate artisticamente agli angoli del salotto, che riflettevano parabole di luci sui muri decorati da quadri e mensole. Si voltò, e sempre a gambe incrociate si perse a guardare i miliardi di fiocchi di neve sospinti dal vento fuori dal vetro, creando una bufera in piena regola. Doveva fare freddo, eppure lui si sentiva piacevolmente al caldo dentro a quella casa. Non sentiva caldo solo a livello fisico, insomma, non aveva i brividi e le guance gli pizzicavano di una piacevole e tiepida sensazione pungente, ma anche dentro. Aveva caldo, si sentiva rilassato. Non freddo, si sentiva felice, caloroso, riconoscente in presenza dell'altro, pieno di cera rossa, riscaldato dalla fiamma piccola e guizzante di mille candele rosse. Avevano ragione le persone che ritenevano il rosso un colore caldo.
Dalla cucina la voce di Gerard parlava in fretta e con cortesia, sempre con quel tono melodico e lievemente cadenzato che lo caratterizzava. Lo tranquillizzava sentire quel suono. Quasi poteva immaginare le sue labbra pallide, appena dischiuse, a formare frasi che in quel momento non poteva sentire, ma che comunque raggiungevano il suo orecchio.
Quelle labbra. Alzò una mano per toccare le sue orribilmente screpolate, sfiorando appena la superficie cutanea con la punta delle dita. Un sorriso smagliante gli spuntò sul volto a ricordare un avvenimento ancora troppo vivido per essere archiviato. Lo aveva baciato, lo aveva davvero fatto! Era incredibile, ancora stentava a crederci, ma doveva essere per forza vero, altrimenti non si sarebbe trovato là a casa sua, con la bocca ancora calda dei suoi baci ed i ricordi stampati a fuoco nella memoria, per non parlare delle emozioni che gli fluttuavano impervie per tutto il corpo, alleggerendolo dal peso di una vita fino a quel momento troppo svanita nel buio. Aveva baciato Gerard Way, e non era di certo una cosa da ignorare. Gerard, almeno agli occhi suoi, ma sicuramente anche a quelli di tutti gli altri, era una persona meravigliosa e affascinante, dal punto di vista tanto fisico quando mentale. Con quello sguardo espressivo e particolare, circondato dalle ciglia fini e scure come i capelli, che gli incorniciavano il viso chiaro in un'aureola color carbone. Il portamento raffinato, i sorrisi ponderati e curvilinei e la curva appena accennata del naso, era senza alcun dubbio esteticamente attraente. Ma Frank, più di tutto, amava il suo essere una persona, tangibile e sensibile, che aveva sicuramente un passato ma che stava vivendo al presente, un presente in cui c'era anche lui. Aveva carattere, sapeva sempre cosa fare, come fare, sapeva quando una linea andava tracciata piano, con una matita a grafite H e quando invece doveva essere ricalcata a carboncino. E non solo su un foglio di carta. E poi amava i suoi abbracci. Gli piaceva pensare che quelle braccia svolgessero l'arduo compito di tenere insieme tutti i suoi pezzi. Era l'unica persona che lo faceva sentire così. In parte giusto, gli dava un posticino nel caos della vita, lo ascoltava, lo faceva sentire apprezzato, amato.
Insomma, non che pretendesse di essere insignito di un attestato di merito, ma non era comunque qualcosa da ignorare. Baciarlo era stato stupendo, lo aveva mandato tutto in subbuglio, e dopo l'annuncio alla televisione Gerard si era allontanato solo per spegnere l'apparecchio, per poi stringerlo di nuovo a sé, senza più lasciarlo andare. E con la testa poggiata contro il suo petto, senza più alcun inutile convenevole ad allontanarli, si era sentito al sicuro. Con la mano di Gerard che gli correva delicata tra i capelli, soffermandosi in carezze delicate sul viso, ed il petto che si alzava regolare aveva sentito tutti i suoi pezzi incastrarsi, senza parole superflue a rimarcare ciò che loro si dicevano senza aprire bocca, se non per farla combaciare con quella dell'altro. E a quel punto si era sollevato leggermente seduto sul divano e lo aveva guardato negli occhi, poi le loro labbra si erano di nuovo unite. Si pressavano l'una contro l'altra in una lotta pacifica, si cercavano e rappacificavano due animi fin troppo dilaniati dallo scorrere del tempo. E Frank si era seduto accanto a lui sui vellutati cuscini del divano, volgendo solo il viso di lato per continuare a vivere tramite quel contatto, con solo le ciglia dell'altro che gli sfioravano appena le guance, mentre la sua mano era stretta saldamente con quella sinistra di Gerard. Aveva tenuto gli occhi chiusi. Ma non gli era interessato. In quel momento non gli importava di tutte le informazioni che potevano essere raccolte dalla vista. Poteva solo pensare al tatto, alla stretta delicata ma certa delle due mani, allo sfiorare appena accennato delle sue ciglia mentre sporgeva poco di più il viso verso di lui, alle labbra che si incontravano senza fretta, senza forza, si toccavano appena e ciò bastava a far scattare una flebile, mortale scintilla. Gli bastava il tatto, il tessuto accogliente del divano ed i brividi a fior di pelle, l'incavo della clavicola appena lambito da due dita caute, due spalle l'una contro l'altra, un sospiro profondo contro la sua guancia. Gli bastava sentire per creare un'immagine di quel mondo ora meno ostile. Gli era bastato quello.
Sentì dei passi venire verso di lui, così si girò e si spinse verso l'alto poggiando le mani sullo schienale del divano. Gerard stava tornando verso di lui reggendo il telefono in mano, le labbra adornate da un sorriso completo, spontaneo, non mezzo o nascosto. Vedere ciò mandò una scossa a tutti i nervi di Frank.
«Allora?» domandò, il battito cardiaco ancora un po' alterato. Gerard gli porse il telefono e lui si affrettò a prenderlo e a metterselo in tasca, riuscendo ad afferrare la mano di Gerard ancora a mezz'aria. Lui non la ritrasse, ma anzi, strinse saldamente le dita con le sue, accarezzandogli distrattamente il dorso liscio con le dita. Frank poggiò il viso nell'incavo del gomito.
«Ho parlato con lei, e mi ha chiesto se per caso non sarebbe un disturbo ospitarti per qualche giorno.» la lingua di Gerard fece una rapida comparsa sulle sue labbra sorridenti. «Giusto fin quando non finisce l'allerta meteo.»
Il viso di Frank riemerse dall'incavo del gomito. «Davvero?» domandò, suscitando una piccola risata di Gerard, probabilmente dovuta alla sua reazione decisamente avventata ed entusiasta. Anche lui sorrise.
«Certo, per me non c'è alcun problema, anzi.» Gerard gli lasciò andare la mano e si spostò i capelli da davanti al viso con un gesto fluido. «Credo che per me sarebbe solo un piacere. L'importante è che a te non dispiaccia.»
«Non ne avrei motivo.» felice per la notizia, Frank saltò giù dal divano e gli andò incontro, tenendo però le mani in tasca. Si era talmente rilassato sul divano che il movimento gli provocò un brivido di freddo, subito notato da Gerard.
«Hai freddo?» e prima che Frank potesse confutare quell'affermazione sbagliata «Ti va qualcosa di caldo?» a quel punto il ragazzo si fermò, pensandoci su. Era appena consapevole di due iridi nocciola che non avevano smesso un attimo di guadarlo.
«Mi era piaciuto quel tè, la scorsa volta allo studio... Generalmente non mi piace il tè, ma quello era buono.»
«Se vuoi posso farne un po', ce l'ho in dispensa.» Frank annuì e lo seguì nella cucina, una piccola stanzetta sui toni del crema con un tavolino di legno nell'angolo più interno. Gerard gli fece cenno di sedersi su un panchetto sempre in legno al bordo del tavolo, così Frank si appollaiò sul panchetto. Era un po' troppo alto per lui, infatti i piedi penzolavano nel vuoto e toccava terra solo con le punte, ma non stava scomodo. Si sporse un po' in avanti, e a quel punto Gerard lo colse di sorpresa strappandogli un bacio a fior di labbra. Era stato appena uno sfregarsi, l'una contro l'altra, ma il contesto e la sorpresa lo resero quasi unico. Non era di certo il momento perfetto, sembrava un gesto qualunque, quotidiano ed abitudinario. Era stato fatto senza pensarci, spontaneamente. Quando Gerard si staccò, aveva ancora gli occhi aperti. «Il tuo tè sarà pronto in un paio di minuti.» annunciò, poi si girò senza alcuna esitazione.
Frank rimase tutto il tempo della preparazione ad osservarlo, lasciando oscillare i piedi nello spazio vuoto. Gerard riempì d'acqua il bollitore già precedentemente lasciato sui fornelli ed accese il fuoco, poi si mise in punta di piedi per afferrare con le dita una scatolina dalla mensola più in alto. Sforzo inutile, perché poi gli toccò tirarne giù una seconda. Ma quella era giusta, in quanto ne estrasse due filtri che poggiò là accanto. Prese anche due tazze pulite da un ripiano pieno di piatti e bicchieri, le sciacquò e scartò con attenzione i filtri, poi da un armadio estrasse una scatola di dolcetti alla marmellata e pasta frolla che gli piacevano tanto. Frank ascoltò il rumore dell'acqua che brontolava nel bollitore e la carta scricchiolante che incartava i filtri, le antine che sbattevano contro il legno come una corta melodia fatta di gesti quotidiani, che Frank sentiva tante volte a casa sua ma che mai lo avevano catturato tanto. Guardò attentamente Gerard e le sue mani, che caute e frenetiche iniziavano un gesto dopo l'altro, tirando la linguetta di carta del filtro e chiudendo ben stretto il rubinetto. Osservò le sue dita che quasi giocavano a saltare da un oggetto all'altro, che si impolveravano con lo zucchero dei biscotti e si bagnavano d'acqua, che tamburellavano sul granito del piano cucina, rimettevano apposto pochi capelli scuri d'inchiostro e reggevano in equilibrio due tazze colme di tè bollente. Dita vivaci, screziate di colori ad acquerello, affusolate, pallide, lo accarezzavano, lo toccavano, scorrevano lungo la forma del suo viso come gli occhi color nocciola che in quel momento si girarono soddisfatti verso di lui.
«Tieni, fa' attenzione, scotta molto.» Frank prese con attenzione la tazza dal manico e la poggiò davanti a sé, poi afferrò anche quella di Gerard, così che il ragazzo avesse le mani libere per prendere un piatto di biscotti misti sistemati ad arte nel piatto. Era pazzesco come una stessa persona potesse ordinare anche dei biscotti su un piatto pur di rispettare l'estetica e lasciasse la scrivania del suo studio nel caos più totale. «Intanto vai di là, porta anche la mia. Puoi poggiarla sul tavolino di fronte al divano.» gli disse lanciandogli una breve occhiata, continuando a dispose i dolcetti sul piatto. Frank obbedì ed andò in salotto, posizionando le due tazze sul piccolo tavolo di legno, accanto ad una pila di fumetti. Si sedette a gambe incrociate sul morbido divano e, sovrappensiero, mise una mano aperta sopra i fumi caldi del tè, in attesa che Gerard si sedesse vicino a lui, guardando i vapori intrecciarsi attorno alle sue dita e salire languidamente verso l'alto. Quando sentì il tintinnio del piatto poggiato lì di fronte tolse la mano da sopra la tazza e volse il viso verso l'altro, che le aveva avvolte a coppa attorno alla sua. Lui gli sorrise e si mise accanto a lui, le loro gambe che si sfioravano appena oltre gli strati di tessuto, gli skinny di Frank ed semplici jeans di Gerard, il quale gli sorrise, indicando col mento il piatto di biscotti. «Puoi prenderli se vuoi.»
«Grazie.» Frank non esitò e prese tra le dita una rosellina di pasta frolla al limone, che inzuppò generosamente nel tè. Così lo avrebbe anche raddolcito un po'. Per un attimo rimasero incantati a guardare la tempesta di neve in atto dall'altra parte del vetro. «Davvero, grazie di tutto.»
«Te l'ho detto, non c'è bisogno. Non è affatto un dispiacere ospitarti qui.» ribatté l'altro, soffiando sul suo tè. Frank prese un piccolo sorso, riconoscendo il sapore di arancia e cannella. Sentì le guance ricominciare a pungergli calorosamente per la consapevolezza di ciò che stava per dire, ma prima di parlare si pulì gli angoli della bocca col dorso della mano, poi interruppe il silenzio confortevole della casa.
«Non sto parlando solo di questo.» bastarono queste sei parole a catturare l'attenzione di Gerard, che smise di soffiare sulla sua tazza. Frank dovette inspirare profondamente – non che gli dispiacesse, casa di Gerard aveva un buon profumo – prima di poter continuare. «Cioè sì, insomma, ti ringrazio anche per l'ospitalità, però non solo. Volevo ringraziarti per il tè, sia questo che quello della scorsa volta, e poi per il passaggio sotto la pioggia a fine settembre. E grazie anche perché mi capisci, grazie per considerarmi una persona e per aiutarmi, perché per primo mi stai facendo capire che si deve crescere, ed io sto tornando a credere in me stesso grazie a te. Grazie perché mi piace il tuo disordine, e non è un modo carino per offenderti!» esclamò Frank, strappando una piccola risata da Gerard. «Ma è bello. È artistico, caotico, un po' come l'universo. E nell'universo vengono create le stelle. Grazie Gerard. Perché mi stai insegnando il valore di tante cose. Grazie di esistere.»
Gerard rimase in silenzio qualche secondo, le mani strette attorno alla tazza ed uno sguardo indecifrabile nei suoi occhi, intento a mantenere lo sguardo fisso sul tè, i capelli che gli ombreggiavano delicatamente il viso cupo. Frank avvampò, sicuro di aver esagerato, ma non fece in tempo ad abbassare lo sguardo sul suo tè, di un caldo arancio, che sentì un sussurro raggiungere le sue orecchie. «Credo di doverti ringraziare per lo stesso motivo.»
Frank riportò divertito lo sguardo nel suo, ma le sue intenzioni andarono in fumo quando si accorse della serietà espressa dal volto di Gerard. Le sopracciglia corrugate, lo sguardo pungente e le labbra chiuse, serrate. Non stava scherzando, era serio. Lo sguardo venne interrotto dall'improvvisa, appena accennata risata di Gerard. «Proprio non te ne accorgi, eh?»
«Accorgermi di cosa?»
«Di quanto io ci tenga a te.» ammise lui con una semplicità disarmante. Frank rimase a guardarlo mentre si portava la tazza davanti al viso, ne avvolgeva il bordo con le sue morbide labbra chiare e prendeva un lungo sorso. «Non te ne rendi conto. Non ti rendi conto di quanto tu mi abbia cambiato la vita, di quanto mi renda felice semplicemente la tua presenza e di quanto odi vederti piangere. Di quanto mi senta coinvolto nella tua vita quando dovrei solo aiutarti dall'esterno. Non ti accorgi di quanto tu sia bello, unico, non ce la fai proprio, vero?» la tazza venne poggiata con un tintinnio sul tavolino. Una mano di Gerard si avvicinò al suo viso, e Frank lasciò che la sua guancia venisse confortata da quella dolce, delicata carezza. Era perfettamente consapevole della loro vicinanza, e nuovo percepì quella sensazione di tepore imprigionata sotto le costole. Girò il viso nella coppa del suo palmo e vi depositò un bacio, pressando le labbra contro la sua pelle, profumata di cannella.
«Non credo di essere bello.»
«Io invece penso di sì.» le dita scivolarono lentamente lungo il suo zigomo, distaccandosi leggere quando gli sfiorarono il collo. Frank lo guardò, il cuore che ricominciava a battergli forte. «Non so neanche come descriverti, perché sei così particolare, artisticamente perfetto e così speciale... E davvero, non so come fare.»
«Come il carboncino.» mormorò lui in automatico, facendo tornare il pensiero al disegno ben nascosto nel comodino. Gerard volse lo sguardo alla finestra, colpita da milioni di fiocchi di neve, e parve soppesare la risposta.
«Sì, sei un po' così. Sei un contrasto vivente, ma al contempo vivi di sfumature. Sei polveroso, ma affascini, nascondi e sottolinei. Sei l'unico elemento capace di creare le ombre, ombre scure come i tuoi capelli, un po' come te, ma solo tu riesci a stare a contatto con la luce.» le sue dita si alzarono e presero una ciocca del suoi capelli, cominciando a giocherellarci distrattamente. Gerard si era girato di nuovo verso di lui, facendo sembrare improvvisamente il divano molto più piccolo di quanto in realtà non fosse. Le sue dita scivolarono lentamente giù dalla tempia e gli carezzarono di nuovo il viso. «A me il carboncino piace.» il viso di Frank venne spostato più verso l'alto, costringendolo così a guardare negli occhi il suo interlocutore, le cui labbra rosee erano appena dischiuse, così poco distanti da lui. E quella distanza venne ben presto annullata, Frank percepì quella bocca soffice poggiarsi sulla sua per qualche secondo, per poi arretrare con uno schiocco appena accennato. «E mi piaci anche tu, per quello che sei.»
«Ti piaccio?» chiese titubante, come timoroso di aver sentito male. Gerard gli stava carezzando lo zigomo col pollice, sembrava quasi che lo stesse modellando, creta viva sotto le sue mani. E poi la sua bocca si ritrasse in un sorriso. Un sorriso così bello che a Frank non interessava più stare né seduto sul divano, né in una strada illuminata solo dai fiochi lampioni o fuori sotto la neve gelida. Non era l'ambiente, era proprio Gerard a farlo sentire al caldo. Prese un respiro nervoso. «Cioè, ti piaccio
«Ti ho mentito quella volta. Ti ricordi quando mi hai chiesto se avessi provato qualcosa, quando ci baciammo alla fiera?» il ragazzo parlò lentamente, con una voce roca e profonda che ritardò di poco il cenno d'assenso di Frank. «Ho mentito. Perché mi è piaciuto.» ci fu una pausa, breve, intensa, in cui il moro continuò a sentire la carezza confortevole delle dita sulla pelle. Poteva sentire il respiro di Gerard contro il suo, i suoi occhi erano così vicini da sembrare marroni, due vortici d'autunno screziati d'oro. «E suppongo che tu mi piaccia tutt'ora.»
Frank deglutì a fatica, non riuscendo totalmente a credere alle parole appena sentite. Rivedeva le sue labbra piene e rosee, appena macchiate di zucchero a velo, scandire quelle parole, le stesse labbra che gli avevano dato baci caldi e soffusi. Tutte quelle emozioni allora non erano state soltanto un'illusione, non erano stati soltanto suoi i battiti mancati e la mente altrove, a setacciare l'ennesimo ricordo. Non erano stati solo suoi i sorrisi prima di addormentarsi, la sensazione di vuoto nei momenti no e quella scarica di felicità che lo pervadeva al minimo contatto visivo. Cercò conferma nei suoi occhi, e vi trovò la stessa paura e la stessa gioia confusa. Sorrise. «Per questo te lo domandai. Perché non potevo fare a meno di pensare noi due, alle emozioni che mi rievocava un ricordo nostro. Nessuno mi ha mai fatto provare qualcosa così forte, mai.» ammise, scuotendo la testa. «Ma tu mi hai aiutato. Mi hai risvegliato dal torpore. Mi hai insegnato che non c'è nulla di male ad avere paura qualche volta, che essere diversi fa parte della vita. Sei riuscito a farmi tornare, sei stato l'unico a sforzarsi per questo. Sei riuscito a farmi tornare a provare emozioni, gioia, intraprendenza, forza di volontà, hai suscitato in me qualcosa che non c'era prima. Sei riuscito a farmi provare qualcosa di rilevante per qualcuno. Mi hai praticamente resuscitato dall'accidia.» ammise con una risatina, poi si sporse e abbracciò Gerard, facendogli scivolare le braccia ai lati del collo. Percepì la sua stretta rassicurante sulla vita e le mani aperte sulla schiena che lo stringevano forte. I loro cuori battevano l'uno contro l'altro. «Ed ora sono irrimediabilmente legato a te. Perché sei stato l'unico ad amarmi per quello che sono, a dirmi di combattere per ciò che voglio, a spronarmi, sempre. Mi piaci, Gerard.» si morse il labbro, confortato dalla stretta dell'altro. «E devo ammetterlo, ho paura riconoscerlo a me stesso.»
«Frank, tu mi piaci per ciò che sei. Ora ti sto parlando da persona, non da psicologo.» disse in tono serio Gerard. Frank rifugiò il viso nell'incavo del collo, inspirando a fondo il profumo di caffè e grafite emanato dalla sua pelle calda. «Tu piaci alla persona me, piaci ad un artista con le mani colorate e la testa fra le nuvole che ascolta troppa musica e beve fin troppo caffè. È questa persona che, conoscendoti, ha dapprima apprezzato le tue qualità, poi i tuoi difetti, poi direttamente tutto Frank Iero, nonostante lo psicologo continuasse a ripetersi di non affezionarsi alla figurina scura che popolava i suoi pensieri. È lui che stanco di vederti solo nella mente ti ha disegnato un pomeriggio di Ottobre e che ti ha aperto la porta, un'ora fa, vedendoti tremante ed ansimante di fuori. È a lui che piaci.»
Frank non aggiunse nulla, qualsiasi parola superflua avrebbe rovinato l'intensità del momento. Si limitò a rimanere nel cerchio delle braccia di Gerard, confortato dalla sua stretta e dal petto che sentiva alzarsi ed abbassarsi contro il suo, i capelli scuri che gli pizzicavano piacevolmente le guance. Lo strinse più forte a sé prima di lasciarsi scivolare via, ritrovandosi in ginocchio davanti a lui, con le mani poggiate sulle sue spalle. Il cielo di fuori era di un blu sfumato, la luna era completamente schermata dai candidi fiocchi che imperversavano in balia del vento, e l'unica fonte di illuminazione era costituita dalle lampade e la loro luce soffusa, giallastra, che accarezzava i loro lineamenti e ne ammorbidiva gli spigoli. Lo sguardo di Frank percorse un'ennesima volta quel viso che era ormai impresso a fuoco nella sua memoria, gli zigomi definiti dal gioco di luci ed ombre e gli occhi che sembravano quasi neri nella penombra serale. Le ciglia gli fremettero appena quando alzò lo sguardo nel suo, per i pochi secondi prima di sporgersi e di poggiare appena le labbra sulle sue, che risposero immediatamente al bacio. Frank chiuse gli occhi, assaporando la bocca di Gerard, morbida ed arrendevole contro la sua. Nella sua mente si fece spazio un ricordo, quando per la prima volta aveva incrociato lo sguardo vivo di Gerard. Aveva pensato che quella persona, da subito particolare ed ammaliante, un giorno lo avrebbe potuto trasformare in un'opera d'arte, colmare i suoi vuoti di colore con nuove, brillanti tonalità. Sembrava quasi che le dita che gli stavano accarezzando i fianchi lo stessero dipingendo con cautela, rispettando dei malandati contorni, così come le sue labbra che ruotarono appena, aprendosi come un bocciolo a primavera, il suo viso che reggeva con le mani e la sua pelle, pallida e pura sotto le sue dita. Sì Gerard, trasformami in una delle tue opere d'arte, riempimi di colori. Qualche tratto di matita e due schizzi di tempera, quanto basta per ridarmi vita. Mi sembra di essere un bozzetto di prova uscito male, eppure tu non esiti a seguire le linee, mi trasformi da scarabocchio in bianco e nero in pura arte, le tue labbra macchiate di acquerello dipingono le mie, le dita tue sono come pennelli, intrisi di vita. Dai nuova luce ai miei dettagli, sfumi i miei contorni. Riempimi dei tuoi colori, Gerard.

dear psychologist 【 frerard 】Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora