【 fourteen 】

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Si dice che i migliori amici si distinguano dagli altri amici in un giorno di pioggia. Mentre se un normale amico ti vede senza ombrello ti sorride e ti fa spazio sotto al suo in modo tale che tu non ti bagni, un migliore amico ti lascerà sotto la pioggia battente a ridere di te sotto l'ombrello. Ecco, da quel punto di vista Bob si era appena guadagnato il titolo di migliore amico, con tanto di lode e bacio accademico. Alla fine della serata per la sua festa di compleanno, su cui era meglio soprassedere, prima di andarsene via gli aveva dato un portadocumenti in plastica colorata in cui era contenuto uno spartito di una canzone da fare con la chitarra, promettendogli che non appena gli avrebbe fatto sentire la canzone suonata correttamente e soprattutto come solo un professionista avrebbe saputo fare gli avrebbe dato il vero regalo, ossia un amplificatore nuovo che aveva già comperato e a detta sua era impacchettato nel suo appartamento ed altro non aspettava che consegnarglielo. Frank avrebbe voluto dirgli che per quanto gli riguardava poteva consegnarglielo pure in quel preciso istante (erano mesi che Frank desiderava un amplificatore nuovo di zecca), ma ormai gli era stata lanciata una sfida e Bob avrebbe potuto benissimo dimenticarsi di darglielo, per cui aveva preso con riluttanza il portadocumenti e si era messo all'opera praticamente dalla sera stessa per lavorarci su. Non gli era servito un genio per capire che il brano in questione era difficile da suonare, proprio per niente. Però già dai primi accordi gli era parso di riconoscere un certo ritmo familiare, per cui aveva provveduto a cercare su internet la successione delle note scritte, dato che Bob da bravo pezzo di merda aveva provveduto ad oscurare titolo e autore con un pennarello indelebile nero, ed aveva trovato qualche risultato. Era abbastanza convinto si trattasse dei Nirvana, doveva aver già sentito quella canzone ma in quei giorni non aveva né il tempo né la voglia di andare a risentirsi tutti i CD che aveva. Aveva di nuovo (e appena) litigato con Gerard, e la cosa lo stava facendo impazzire, perché quella era l'ultima cosa che voleva fare, ossia litigare con lui ed essere costretto a separarsene contro la sua volontà. Il fatto che lui si fosse congedato dalla sua "festa" con un cenno della mano e senza neanche guardarlo dritto negli occhi ave a contribuito a rendere la sezione della sua mente adibita ai filmini mentali ed alle paranoie ancora più efficiente di prima. Si era immaginato almeno una decina di scenari tragici, ed una di quelle finiva addirittura con un'invasione di cani in città. Non che a Frank dispiacessero i cani, tutto il contrario a dire la verità, però immaginarsi una scena che pareva il misto tra The Walking Dead ed una mostra canina lo aveva lasciato più che perplesso. Parlando seriamente Frank sapeva benissimo che nessuna navicella a forma di osso sarebbe mai atterrata in New Jersey ed avrebbe fatto sbarcare migliaia di cani-zombie, però il concetto rimaneva sempre lo stesso: aveva litigato con Gerard, c'era qualcosa di mezzo, un tasto debole probabilmente, forse appartenente al suo passato, che Frank aveva inavvertitamente portato a galla così causando un disagio in Gerard, qualcosa di tanto grave ed oscuro da causargli un atteggiamento da asociale passivo-aggressivo per tutta la serata. E sempre rimanendo sul piano razionale aveva paura che non sarebbero riusciti a chiarire, che magari sarebbe stata la volta definitiva e lui avrebbe finito di frequentarlo. O peggio, Gerard sarebbe diventato semplicemente un personaggio marginale di quel periodo di vita. Se la colpa era sua ne era tremendamente mortificato, avrebbe voluto correre da lui e scurarsi per qualsiasi parola sbagliata avesse detto, ma era perfettamente cosciente del fatto che non avrebbe potuto farlo. Oltretutto non rivedeva il ragazzo da esattamente la sera della sua festa, in quanto gli era stato detto che doveva recuperare alcune lezioni all'università e stava un po' male. Frank sospettava che non fosse del tutto vero, per quanto anche Mikey a pranzo si lamentava sempre di suo fratello raffreddato che tossiva un po' troppo spesso. Forse dopotutto con la scusa dell'influenza sarebbe potuto andare a trovarlo, magari lo avrebbe trovato in casa e lo avrebbe potuto stringere in un abbraccio caldo, confortevole e voluto da entrambi, gli avrebbe potuto chiedere scusa lasciando che le dita gli scorressero inavvertitamente tra quei capelli che l'ultima volta gli erano apparsi fili di seta color neve. A pensare quanto avrebbe desiderato avere il coraggio di farlo e smetterla di incapocciarsi sulle sue paranoie l'amplificatore promesso da Bob sembrava essere diventato una futile graffetta in mezzo al disordine della sua scrivania. Frank carezzò distrattamente le corde della sua chitarra, lasciandole suonare a vuoto. Doveva rimettersi a lavoro se voleva concludere qualcosa con la chitarra. Oltretutto secondo la tabella di marcia che si era scarabocchiato sul diario per quel pomeriggio aveva ancora mezz'ora prima che si sarebbe dovuto mettere a studiare matematica, di cui il giorno dopo aveva una verifica. Teoricamente doveva fare solo alcuni esercizi di rinforzo e magari ripassare le formule, ma non voleva comunque trascurare lo studio.
«Frank, io vado okay?» sua madre aprì la porta e fece capolino con la testa, cogliendo Frank di sorpresa mentre stava ancora facendo scorrere le dita sulle corde. Il ragazzo si girò di scatto; sua madre aveva la giacca indosso. «Mi raccomando, aspetta me ed i nonni per fare qualsiasi cosa. Il loro treno arriva tra poco.»
Come ogni anno in quel periodo i suoi nonni arrivavano da Newark e stavano con loro fino alla festa del Ringraziamento. A Frank i suoi nonni piacevano, erano una compagnia piacevole ed il fatto che non fosse sempre perennemente a stretto contatto con loro rendeva quelle visite periodiche ancora più piacevoli. Era contento di rivederli dopo che era passato tanto tempo. Il ragazzo annuì in risposta alla madre, passando lentamente le dita sulle corde metalliche della chitarra.
«Vai tu da sola?»
«E' meglio così, almeno per stavolta.» Linda fece una smorfia e guardò fisso la finestra della camera di Frank, tutta punteggiata di minuscole gocce di pioggia che cadevano incessantemente col loro fruscio caratteristico rendendo annebbiata la vista del cielo plumbeo. Be', il freddo stava decisamente marciando verso Belleville. «Non voglio che tu prenda un malanno. Ripeto, non toccare nulla, sarò di ritorno per l'ora di cena con i nonni. Ho preparato le lasagne vegetariane. E non stare tutta la serata a ciondolare con la chitarra. A dopo.»
«Non sto ciondolando.» borbottò lui, ma sua madre si era già richiusa la porta alle spalle. Frank sospirò e pescò uno Skittle dal pacchetto aperto e semivuoto sul comodino, poi si portò il confetto sulla lingua ripassando mentalmente gli accordi fin dove era arrivato. Quando sentì la porta di sotto chiudersi riprese in mano la chitarra e se la mise a tracolla, per poi alzarsi e portare immediatamente la mano sinistra sulla paletta. Doveva ammettere che suonare in piedi era confortevole, non gli dispiaceva affatto. Se prima voleva provarci dopo cinque minuti già gli facevano male le braccia, ora che invece poteva tenere la chitarra a tracolla era tutto molto più semplice. E sì, si sentiva anche parecchio realizzato. Doveva ringraziare solo Ray, Mikey e Jamia per il regalo che gli avevano fatto. Jamia. Con lei non ci aveva ancora parlato. Almeno, si erano scambiati dei saluti a scuola quando si incrociavano per i corridoi o quando andavano a lezione insieme, ma lei sembrava essere più distaccata e tendeva a nascondersi dietro i capelli come se fossero una protezione. Frank aveva paura di sapere il motivo di tale comportamento, eppure si augurava che Jamia non avesse frainteso tutto quando lui una settimana prima non l'aveva respinta sulla soglia di casa. Insomma, lo aveva baciato o qualsiasi cosa fosse quel misero sfregamento di labbra. Sicuramente non era qualcosa di non intenzionale, però anche lei aveva bevuto un po' di birra quella sera, forse lo aveva fatto senza neanche pensarci. Frank si trovò ad augurarsi che fosse così, che veramente Jamia non si illudesse che qualunque cosa stesse cercando di fare ciò sarebbe stato ricambiato. Frank non aveva mai capito perché la gente usasse il termine "farfalle nello stomaco" per indicare una situazione di tensione o comunque riferito ad un contesto romantico. Con Gerard mica aveva sentito le farfalle nello stomaco. Si era sentito leggero, privo di ogni forza gravitazionale o legame o qualsiasi altra lo tenesse ancorato al suolo, aveva sentito tutte le terminazioni nervose andare in fibrillazione e mandare questo impeto leggero di scioglimento da ogni vincolo di sinapsi in sinapsi nel sangue diventato pura, fluida energia e nelle ossa, attraverso i suoi polmoni, diventati improvvisamente minuscoli ed incapaci, fino al suo cervello. Era una sensazione soffice e come di fresca elettricità statica, come quando d'estate ti si rovescia addosso un secchio d'acqua fredda quando tu stai bruciando al sole. Era quel brivido freddo mentre i raggi ti riscaldavano pigramente la faccia e scioglieva i deboli legami delle molecole, facendoli ben presto diventare aria e donandoti una sensazione di vivido e piacevole calore, un morbido piumone sotto il quale rifugiarsi a Gennaio mentre fuori le intemperie davano pieno sfoggio di sé e sotto cui leggere o creare contesti assurdi e sognati godendosi quel lieve tepore che mano a mano ti scioglieva la tensione e ti faceva sorridere senza ragione. Quello era stato bello, fantastico a dir poco. Frank conservava gelosamente quel ricordo, ed associava tutto ciò al luogo comune delle farfalle nello stomaco. Eppure in quell'altro contesto non aveva sentito queste fantomatiche farfalle battere freneticamente le loro alucce sfiorandogli la pelle e rendendolo tanto sensibile, anzi, al massimo aveva sentito uno sciame di vespe ronzare pigramente in tutte le sue cavità mandando un sordo allarme a tutto il corpo, un allarme che segnalava un difetto nel sistema. Non sapeva cosa avrebbe potuto significare quel gesto per Jamia, ma per Frank era solo una prova in più a sostegno della sua più ferma convinzione. Che le labbra di Gerard gli erano piaciute da matti. Si accorse di essere rimasto per parecchio tempo sugli stessi tre accordi e si vergognò di se stesso. Mordendosi il labbro staccò le mani dalla chitarra per poi ricominciare tutto daccapo, stavolta con più forza, con tutta la forza di oppressa ribellione che aveva sempre dentro di sé nei confronti di ciò che gli si rivoltava contro in quel piccolo mondo. Che Jamia fosse cosciente o no di ciò che stesse facendo gli aveva fatto un regalo molto utile, del quale ora che ci si fermava a pensare neanche la aveva ringraziata. Avrebbe potuto farlo per messaggio, ma sarebbe stato davvero patetico. La fascia gli era tanto utile, la teneva sempre attaccata. Sicuramente era più utile della finta lezione morale di Bob con tutta la storia dell'amplificatore e del brano. Che poi gli stava facendo venire in mente una nuova melodia tutta sua che poco c'entrava con tutto il resto, ma in quel momento non si mise alla rincorsa di quel filo disperso nel flusso di pensieri. Sorrise di sé quando fece un passaggio un po' complicato quasi perfettamente. Mentre Bob aveva fatto il migliore amico da giornata di pioggia con raffreddore assicurato, sua madre la mattina dopo lo aveva fatto risvegliare con un pacco regalo incartato ai piedi del letto. Poco ci mancava che lo risvegliasse intonando chissà quale canzoncina di compleanno, eppure si era come evoluta da madre formato Harry Potter, briciole di popcorn e tuta di due taglie in più per star comodi ad una donna in carriera orgogliosa del figlio che cresceva. Gli aveva regalato un cappotto di buona fattura, blu scuro e molto caldo. Lo aveva definito un "regalo da grandi", che avrebbe comunque potuto continuare ad usare negli anni a venire e per lungo tempo. Gli piaceva quel cappotto, per quanto le maniche fossero un po' troppo lunghe per lui, però era bello, comodo e caldo, inoltre il pensiero era carino. Linda aveva anche accennato al fatto che quell'inverno gli sarebbe potuto essere utile, visto il freddo che stava facendo. Si diceva anche che avrebbe nevicato attorno alla festa del ringraziamento, cosa alquanto improbabile in un normale anno, ma Frank cominciava ad accettare quell'ipotesi. Insomma, sua madre gli aveva regalato un indumento utile e confortevole che lo avrebbe protetto dalla morsa del freddo, invece per quanto riguardava l'altro ramo della discendenza... Zero totale. Suo padre non lo aveva neanche contattato per fargli gli auguri. Dentro di sé era arrabbiato con lui per averli lasciati così, senza alcun preavviso o monito, come se loro non contassero nulla. Era infuriato più che arrabbiato, gli voleva bene e lui si comportava in quel modo, prima programmava un divorzio all'interno della famiglia e poi se ne andava. Spariva. E non dava più notizie di sé. E per questa apparente noncuranza Frank lo odiava. Insomma, avrebbe almeno potuto mandargli un telegramma o qualcosa del genere per il suo compleanno. Gli sarebbe bastata un'e-mail con un messaggio. Nulla. Da suo padre aveva ricevuto il silenzio. Ricordava che gli anni precedenti per quanto a volte si ritrovasse impegnato col lavoro gli faceva recapitare una lettera o lo chiamava. Sua madre aveva accennato ad una missione e ad alcune simulazioni di massima importanza, ma due minuti per suo figlio se li sarebbe comunque potuti ritagliare, no? Sbagliò di nuovo due accordi e per la rabbia staccò le mani dalla chitarra, fermandosi un attimo ad ascoltare il soffuso ticchettio delle gocce che precipitavano contro il vetro. Le punte delle dita stavano diventando insensibili, almeno quanto la scorza superficiale dell'apparenza di suo padre. Non doveva pensarci. C'erano sicuramente dei motivi alla base di questo comportamento. Ne era sicuro. Ci doveva essere qualcosa, sebbene ciò non lo giustificasse minimamente. Si sentiva impotente ed odiava quella costrizione. Odiava non poter fare nulla, eppure in quel momento non riusciva neanche a capire i problemi che stavano alla base che dovevano essere risolti. Prima che la situazione potesse prendere il sopravvento si sfilò di dosso la chitarra e scostò la sedia dal tavolino. Invece di sedersi là sopra si appollaiò sul bordo del tavolo e prese un respiro profondo, autoconvincendosi che non fosse successo nulla, che era tutto nei parametri. Aspettò pazientemente che il battito sordo del cuore si calmasse e che la sua mente non elaborasse altri pensieri nocivi alla sua stabilità in quel momento, poi guardò la chitarra poggiata sul letto. A quel punto era inutile continuare, e poi il giorno dopo avrebbe avuto la verifica, non poteva continuare a rimandare il momento in cui avrebbe cominciato il ripasso. Con un'insolita calma tirò fuori dallo zaino libro e quaderno e si mise a copiare alcuni esercizi sulla carta. A mente fredda ragionava meglio, ed infatti era quasi riuscito a finire il terzo esercizio quando vide dalla finestra là accanto una macchina parcheggiare di fronte casa sua. Era sicuramente quella di sua madre, infatti poco dopo ne uscirono sua nonna e la donna in questione, che li aiutò a prendere le valige dal portabagagli. Si mise a scrivere i numeri più velocemente possibile finché il rumore della porta d'ingresso che si apriva non gli fece poggiare la penna d'istinto.
«Frank, dove sei finito caro? Non ci vieni a salutare?» la voce di sua nonna lo chiamò dal piano di sotto, per cui il ragazzo si stampò un sorriso in faccia ed uscì dalla porta di camera sua, andando verso le scale dalle quali poteva intravedere sua madre che portava a fatica due valige mentre il nonno contemplava con occhio critico un piatto messo sulla tavola apparecchiata. Sua nonna invece lo aspettava in piedi in mezzo al salotto con le mani puntate sui fianchi. Sua nonna era una persona veramente particolare per la sua età: era quel tipo di nonna che in macchina non si faceva problemi a fare infrazioni a destra e a manca, portava con tutta tranquillità la spesa da sola ed era anzi una persona molto attiva. Sempre sorridente, sempre lì a spronare chiunque avesse accanto. Non si avvicinava al classico stereotipo di nonna, per niente. Innanzitutto non sapeva cucinare, odiava i centrini in pizzo con tutta se stessa e cosa più spettacolare quando le capitava tra le mani uno dei CD di Frank non commentava. Anzi, una volta Frank le aveva fatto ascoltare In Utero dei Nirvana, il suo CD numero uno, e le erano pure piaciuti. Per citare le sue parole, hanno grinta quei ragazzi. Le piacevano per giunta i tatuaggi del nipote.
«Frank, vieni qua che voglio salutarti per bene.» lo esortò lei, avanzando spedita verso di lui e trascinandolo in un abbraccio stritolatore. «Mi è mancato così tanto mio nipote, sono contenta di rivederti. Ed ora hai pure diciotto anni, quanto cresci in fretta. Mi ricordo io, alla tua età, che litigavo con mamma e papà perché non volevano farmi fare la patente. E tu la patente ce l'hai?»

dear psychologist 【 frerard 】Where stories live. Discover now