【 fifteen 】

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Ci aveva riflettuto sopra veramente tanto, forse anche troppo. Ci aveva riflettuto durante la lezione di storia del venerdì, mentre delle ordinate gocce di poggia rigavano la finestra e tamburellava pigramente col pollice sul tasto della penna. Ci aveva riflettuto sotto la doccia, coi vapori caldi che danzavano confusionari attorno a lui. Ci aveva riflettuto a colazione, rischiando di addormentarsi due volte con la faccia nella tazza del caffè. Ci aveva riflettuto tornando a casa da scuola, coi passi cauti sul cemento bagnato. Ci aveva riflettuto pure all'andata e durante la giornata, anche con Mikey e Jamia che chiacchieravano imperterriti accanto a lui e Ray che maneggiava forchette con aria da esperto. Ci aveva riflettuto ovunque ed in ogni occasione: in camera con la chitarra, sotto la pioggia, mentre si infilava una felpa, quando prendeva il latte dal frigo, studiando in biblioteca con Mikey, sul punto di addormentarsi, guardando un film con i nonni.
E alla fine era giunto ad una conclusione.
Lui Gerard proprio non riusciva a capirlo.
Insomma, okay che magari lui stesso potesse aver cominciato ad affidarsi un po' troppo a Gerard e di conseguenza stesse diventando un pensiero fisso, però pure lui gli si era presentato a tradimento sulla porta con il disegno in mano. Non che non fosse stata una sorpresa gradita, ma era servito solo ad aggiungere carne al fuoco. Le emozioni provate quella sera con la testa abbandonata contro la sua spalla erano state una lingua di fuoco di quel braciere acceso un acerbo pomeriggio autunnale. Si ricordava di quando da bambino colorava quegli album da disegno le cui pagine erano tutte tracciate a linee nere raffiguranti allegri paesaggi di montagna con strani soli sorridenti, e lui, piccolo bambino dalla fervida immaginazione, colorava i cieli di verde ed i prati di viola. Si sentiva così. Gerard stava colorando a caso qua e là con le matite su di lui, un po' di rosso sulle mucche e tracce di un pallido azzurro sui recinti. A volte qualche colore lo azzeccava, tipo le nuvole dai gonfi riflessi perlacei o le farfalle tutte variopinte, ma la maggior parte sembravano opera di un'artista pazzo. Con seri problemi di daltonismo. Eppure stava nei contorni, e ciò donava un'assurda normalità all'insieme.

Perfetto, se mi comincio a sentire come uno stupido album da colorare posso considerarmi totalmente arrivato.

Rabbrividendo si tirò su il polsino della giacca, confermando così il suo dubbio: era come al solito in ritardo. Accelerò il passo sul marciapiede e attraversò all'ultimo secondo un semaforo sul punto di tornare rosso. Il suo fiato formava nuvolette pallide nell'aria fredda, che gli riusciva a pungere la pelle anche attraverso il morbido giaccone blu e la sciarpa ben annodata attorno al collo. Ai suoi nonni aveva detto che stava andando da un suo amico. Forse non aveva neanche mentito con loro così tanto. Non lo sapeva. Era stanco di tutti quei dubbi a permeare ogni ragionamento nella sua testa, chiedendogli insistentemente una risposta e creando congetture che poi lo trascinavano prigioniero solo del suo battito cardiaco e della sua mente. Si strinse il pugno in tasca. Che poi avrebbe potuto far male non gli importava. Quel giorno avrebbe chiarito con lui. Si affrettò lungo la strada cercando di non guardare il cielo scuro che prometteva pioggia e in poco più di cinque minuti raggiunse finalmente lo studio di Gerard. Il cuore batteva velocemente per la corsa appena fatta, per cui prima di entrare si concesse un attimo per chiudere gli occhi e recuperare piano piano il fiato, in modo tale da mandare ossigeno ai pochi neuroni superstiti. Poggiò le mani sulle ginocchia per poi sfregarle tra di loro, cercando invano un po' di tepore. La porta era chiusa, per cui si ritrovò costretto con immenso imbarazzo a dover suonare il campanello. Ad aprirgli fu Donna.
«Vieni dentro Frank, fuori fa veramente freddo.» disse quasi sconcertata quando lo vide fermo sulla soglia. Lui le sorrise ed entrò nel salottino, sentendosi pungere le guance per il repentino cambio di temperatura. L'ambiente odorava come al solito di fiori d'arancio. «Gerard ancora non c'è, probabilmente è in ritardo per via del traffico. Posso offrirti qualcosa di caldo?» la cordialità nella voce della donna era palese, sembrava quasi si stesse sforzando di metterlo a suo agio. Frank rimase un po' amareggiato dal ritardo di Gerard, in fondo aveva chiamato a raccolta la sua volontà per chiarire con lui ed aveva paura che nel frattempo se ne sarebbe andata via. Questo non era comunque un valido motivo per essere maleducato con Donna, in fondo lei non c'entrava nulla.
«Non si preoccupi, non vorrei disturbare.» cercò di sviare l'invito, cominciando a slacciarsi la giacca visto che la stanza era calda, impressione incrementata dal colore accogliente delle pareti, lo stesso arancio che a volte gli fluiva assieme al sangue per donargli un po' di serenità.
«Innanzitutto non darmi del lei, e poi non disturbi affatto. Dimmi cosa vorresti ed intanto se vuoi accomodati pure nello studio, ti porto io qualcosa.»
«Grazie, se possibile allora posso avere un caffè?» Donna annuì e si avviò verso il piccolo corridoio trasversale senza aggiungere altro, mentre Frank si diresse verso lo studio di Gerard ed aprì cautamente la porta. Le pareti erano ancora di quel bianco latteo su cui erano disseminati vari quadri, il che fece tornare in mente a Frank il carboncino regalatogli al compleanno. Amava guardarlo e vedere come era stato colto il suo profilo sfuggente all'ombra del tramonto con solo il puro contrasto tra il nero pastoso del carboncino e la carta. Non lo aveva appeso da nessuna parte però. Preferiva tenerlo nel cassetto del comodino, a portata di mano per ogni volta in cui avrebbe voluto un pezzetto di Gerard accanto a lui. Si richiuse la porta alle spalle e si fece scivolare la giacca di dosso, per poi metterla sullo schienale della poltroncina assieme alla sciarpa. Non aveva mai auto l'occasione di vedere quell'ambiente da solo, per cui colse l'occasione di guardarsi intorno, di camminare sulla moquette grigia che ricopriva il pavimento senza nessuno a guardarlo. Si diresse verso le ampie finestre dall'altra parte della stanza e ci poggiò una mano sopra. Attraverso la condensa che si stava formando tra le dita intravide uno scorcio di un cortile interno e qualche porta, oltre ad un via letto d'accesso. Probabilmente la finestra era orientata a sud, perché nonostante il cielo fosse pressoché del tutto coperto, alcuni deboli raggi filtravano attraverso il manto di nuvole e colpivano i fili d'erba del fazzoletto di terra, trasformando il verde intenso in uno smeraldo abbagliante. Donna gli portò praticamente subito un bicchiere di plastica con dentro il caffè e lui la ringraziò, dopodiché lei tornò nell'ingresso avendo cura di richiudersi la porta alle spalle. Frank così poté continuare indisturbato a guardarsi intorno con la sola differenza che il caffè gli scottava la lingua. Cominciava a sentirsi ansioso, per cui prese a camminare lungo le pareti per scaricare un po' della tensione accumulata. Dopo che erano passati più di cinque minuti, ma che a lui parvero infiniti, si fermò in prossimità della finestra, poggiandosi con le spalle al muro. Fu allora che gli cadde l'occhio sulla scrivania, come al solito un putiferio di libri e scartoffie varie. Si chiese se almeno Gerard ci provasse a mantenere in ordine quel tavolo, ma la risposta sembrava un no più che palese. Chissà cosa c'era nascosto in mezzo a tutti quei fogli. Immediatamente Frank si disse di levare lo sguardo dalla scrivania e di non farlo, ma cedette molto presto. Sapeva che non sarebbe stato corretto farlo, ma era troppo curioso di sbriciare un po'. Si staccò dal muro e si avvicinò alla scrivania, scannerizzandola con lo sguardo. La maggior parte delle cose presenti sul tavolo erano libri di testo e appunti dai titoli assurdi, ma c'erano anche varie penne senza tappo e alcune graffette. Si avvicinò di più al bordo del tavolo, sempre avendo la cura di non protendersi troppo nel guardare per non incorrere in figure di merda colossali. Niente, sembravano tutti fogli scarabocchiati. Poi notò nell'angolo un foglio, un po' nascosto, le cui linee non erano a penna, bensì a matita. Sembrava un disegno. Si fermò un attimo per sentire se da fuori la porta provenissero dei rumori, ma sembrava non ci fosse nessuno oltre a lui. Con un rapido gesto della mano smosse le scartoffie attorno a ciò che gli aveva catturato l'attenzione, con il cuore che gli batteva più veloce. Ora poteva vederli chiaramente, due fogli totalmente ricoperti di schizzi e bozzetti a matita, senza neanche un centimetro di carta lasciato a nudo. La bravura di Gerard nel trasmettere su un piano cartaceo tutto ciò che volesse lo affascinava sempre di più, come la carta si tramutasse in pelle e poca grafite potesse dare vita ad un pensiero. Un paio di volti dai tratti indefiniti di profilo e di lato sembravano quasi veri, con la linea della mascella leggermente curva ed i capelli morbidi a ricadere in onde appena accennate sulla fronte. E poi le mani, una marea di mani chiuse, aperte, che stringevano qualcosa o con una penna in mano, dal chiaroscuro così limpido e definito che davano l'impressione di essere vere mani, solo guardate attraverso un vetro di carta. Due profili che si baciavano, indefinibili, sembravano due figure zuppe d'acqua. C'erano anche degli occhi, poi alcuni alberi, dei passaggi ed alcuni scarabocchi su cui erano state tracciate con rabbia delle linee scure in modo tale da cancellare l'immagine sotto. Vicino a questi spiccava il profilo di gatto dalla pelliccia folta e delle labbra, delle labbra sottili e screpolate, appena socchiuse, pronte a sussurrare un segreto. Delle labbra definite, su cui spiccava la rigida curva di un labret. Il rumore della porta che si apriva in tutta fretta gli fece distogliere di scatto lo sguardo, mentre la mano gli si rituffava in tasca.
«Se dicessi che fuori è un inferno vero e proprio non esagererei.» si lamentò Gerard entrando dalla porta, per poi fissare per un secondo lo sguardo su Frank, accennandogli appena un sorriso. «Veramente, mi dispiace tantissimo. Sarei dovuto essere qua tipo... Non so? Venti minuti fa?»
«Non preoccuparti, capita a tutti qualche volta.» replicò Frank, per poi sedersi sulla poltroncina tenendo ben stretto il bicchiere di plastica tra le dita. Gerard finì di slacciarsi la giacca e la appese assieme al cappello di lana blu all'appendiabiti di legno accanto alla porta, poi si avviò verso la sedia di fronte al ragazzo passandosi una mano tra i capelli scuri. Se li scompigliò un po', poi sbuffò e rivuole tutta la sua attenzione a Frank. Lui, come di suo solito quando era nervoso, cominciò a mordersi il labbro inferiore, screpolato e già ridotto a sangue.
«E poi fa pure un freddo glaciale, che fregatura. Però almeno è una scusa per passare le serate in casa a guardare vecchi film sotto sette coperte.»
«O a leggere.» disse Frank senza pensarci, ricordandosi con un secondo di ritardo che poche sere prima Gerard gli leggeva un libro a voce misurata, nel calore confortevole di casa sua, con la testa poggiata sulla sua spalla e le punte dei capelli che gli pungevano la guancia. Incontrò lo sguardo di Gerard, il quale sbatté le palpebre e riabbassò subito il viso.
«Sì, anche leggere non è male.» quello si schiarì la voce e perse un paio di secondi a mettere in ordine un plico di fogli davanti a lui già perfettamente impilati, per poi intrecciare le mani e poggiarla sul tavolo. Inconsciamente o meno, aveva coperto col gomito il foglio dei disegni. «Allora Frank, come sta andando? Se può esserti utile, puoi usare il metodo della diga, sempre ammesso che tu voglia.» Frank si ricordava quella storia della diga, insegnatagli da Gerard qualche settimana prima. Consisteva nell'immaginare una diga, un muro metafisico nella mente a bloccare i pensieri dall'essere detti, e di aprirla, lasciando così fluire parole e concetti senza alcuna interferenza esterna. Nonostante continuasse a trovare quell'immagine un po' buffa si figurò un enorme muro di sterile cemento grigio colpito da veloci flutti scuri, turbinanti e torbidi, onde di inchiostro e giudizi repressi che si riversavano sulla diga. Chiuse gli occhi e si immaginò di aprirla. Lui una diga non l'aveva mai vista, ma gli bastò immaginare il normale clic d'apertura di una porta e il fiume straripava e correva in riccioli d'acqua nera fuori dalla precedente costrizione. Frank riaprì gli occhi, vedendo che Gerard sembrava incitarlo a parlare con lo sguardo. «Va meglio la situazione a scuola?»
«A dire la verità sì. Nessuno mi ha dato fastidio più di tanto, cioè, a volte in corridoio ancora mi indicano o cose del genere, ma provo a non pensarci e semplicemente ad ignorarli, come mi hai detto tu. E poi mi convinco che non devo farci più caso, così non ci faccio più caso veramente.» diede libero sfogo a tutto ciò che gli passava per la mente, accompagnando alcuni concetti gesticolando nervosamente con le dita o assumendo diverse espressioni facciali. «E va meglio, insomma. Però a volte ho comunque paura che riprendano, sai com è. Non lo puoi sapere, anche se quando succede...»
«Anche se...?» lo spronò Gerard, le sopracciglia scure aggrottate in un'espressione pensierosa. Frank mandò giù il groppo in gola. Non si sentiva ancora pronto ad esternare lo sconforto che gli prendeva in certe occasioni se immaginava tale scenario, a quanto si sentisse improvvisamente piccolo, stupido, insignificante e buono a nulla. Non voleva ancora dirgli quanto si sentisse risucchiato in fondo, il vuoto nel petto che gli prendeva il posto del cuore, l'assenza di calore che poi si insinuava nelle arterie e nei vasi principali, toccava e sfiorava i suoi nervi e tutte le sue funzioni vitali per poi permeargli sottopelle con un unico brivido immobilizzante, facendolo sentire vuoto, senza più emozioni né utilità né funzioni. Era tremendo, non voleva dirlo, ancora non era pronto e già al solo pensiero Frank cominciava a sentirsi soffocare. Continuò a stuzzicare il labbro stretto tra i denti, incapace di guardare Gerard negli occhi.
«Anche se nulla. Non ci faccio caso e basta.» scosse nervosamente la testa, ma poi non aggiunse più nulla. Si prese le mani l'una con l'altra e cominciò ad attorcigliarsi le dita tra di loro, sentendosi lo sguardo di Gerard puntato contro. Non alzò neanche il viso per controllare se lo stesse guardando o meno. Il silenzio comunque non durò a lungo.
«Va bene.» fece Gerard, anche se dal tono sembrava che non stesse andando bene per niente. Frank gli lanciò un'occhiata sfuggente, sperando di non sembrare così patetico come invece era sicuro di apparire. L'altro stava sistemando ancora il plico di fogli perfettamente in ordine, poche ciocche di capelli scuri oscuravano lo sguardo rabbuiato degli occhi di quel colore così bello. Avrebbe volto prenderle tra le dita e spostargliele dietro l'orecchio. «Ehi Frank, non avere paura di alzare la faccia.» il ragazzo voltò il viso verso di lui. «E invece di fare così con le mani, poggiale sul tavolo. Prova a tenerle ferme, okay?» Frank slacciò la stretta delle mani lasciando così che il sangue tornasse a fluire nelle dita, poi con un po' di titubanza le poggiò sul ripiano di legno, vicino al bicchiere di plastica ormai vuoto. Prontamente l'altro gli afferrò la mano sinistra, facendogli piccole carezze circolari sul dorso della mano, cercando di sciogliere la stretta violenta in cui era chiusa. Altra cosa che Frank non riusciva a capire. Normalmente si sarebbe dovuto sentire violato, insomma, un altro po' non permetteva neanche ai suoi amici o ai suoi parenti di toccarlo o abbracciarlo, eppure Gerard gli stava stringendo la mano con delicatezza e non si sentiva invaso. La mano poco a poco si rilassò, così come il nodo dell'ennesimo dubbio nella mente di Frank. Se a lui non importava, anzi, gli importava ma in senso buono e non lo infastidiva, non aveva bisogno dell'opinione di nessuno no? Quindi era inutile continuare a farsi tanti problemi. Gerard riusciva in qualche modo a stargli vicino e ad entrare in contatto con la sua parte fisica ed emotiva senza urtare nessun parametro, era una cosa mai successa. Non era facile lasciare che qualcuno potesse spaziare così tranquillamente tra le sue parole e le sue dita, ma continuare a ripetersi che lo stava solo aiutando e che lo faceva stare meglio allentava la morsa là in mezzo al petto. «Va un po' meglio?»
«Sì, suppongo di sì.» Frank sospirò. La mano di Gerard si rilassò appena sopra la sua.
«Preferisci che ti faccia delle domande io?» a quella richiesta Frank annuì, sentendosi un bambino stupido che non poteva neanche dare libero sfogo a se stesso senza farsi prendere d'assalto dalla sua mente. Prima o poi si sarebbe strappato il cervello con le sue stesse dita.
«Vediamo un po'... Di scuola ne abbiamo già parlato abbastanza, ti va di dirmi come ti trovi con Mikey? Mi ha detto che state legando più rispetto a prima.»
«Con lui va bene. Sì, insomma, prima non eravamo tanto amici come stiamo diventando, più che altro ci sostenevamo a vicenda durante le ore scolastiche, però ora ci troviamo più a nostro agio l'uno in compagnia dell'altro. È simpatico, anche se riservato e sembra che non rida mai, ma nonostante ciò mi ci trovo bene. Comunque ci continuiamo ad aiutare con lo studio, soprattutto per quanto riguarda gli appunti.» la domanda fece balenare in mente a Frank la settimana prima, quando in corridoio gli era caduto il raccoglitore e Mikey aveva trovato un foglio diverso dagli altri. Probabilmente stava ancora sulla scrivania a prendere polvere infilato tra le foderine di storia. Se n'era completamente dimenticato. Si ripromise di dargli un'occhiata non appena sarebbe tornato a casa.
«E con Jamia? Stai legando anche con lei?» Frank non poté fare a meno di rialzare di scatto lo sguardo a quella domanda. Gli occhi di Gerard non lasciavano trasparire nessuna emozione, così come la scioltezza del suo viso e di come aveva esposto la domanda non tradivano nulla. Frank si chiese se si rendesse conto che argomento aveva tirato in ballo. Gerard aveva ancora alcuni capelli neri sparpagliati sulla fronte, quanto avrebbe voluto in quel momento sfilarglieli da là e non pensare alla domanda.
E con Jamia? E con Jamia in parole povere era un casino totale. Rispetto a qualche giorno prima si era sciolta la tensione tra di loro, per quanto lei sembrava come se fosse rimasta delusa in qualche maniera. Ma come? Si aspettava forse che le avrebbe chiesto di chiarire per quel bacio? Di situazioni da chiarire ne aveva abbastanza, così come di pensieri per la testa. Sapeva benissimo di starsi comportando da stronzo, però ignorare la situazione fin quando questa non si fosse appallottolata da sola e fosse sparita nell'angolo più buio e polveroso della realtà gli sembrava l'idea migliore. Jamia era una buona amica, schietta, sociale e di compagnia, ma il suo affetto per lei non andava di certo oltre quei limiti. E poi, nonostante a volte senza alcun apparente motivo lo ignorasse completamente o gli rispondesse male, la maggior parte del tempo era allegra come al solito, solo forse un po' più timida. Rialzò lo sguardo sugli occhi nocciola di Gerard. Avrebbe dovuto dirgli che aveva tentato di baciarlo?
Scrollò le spalle. «Anche con lei sto legando. Forse non quanto con Mikey, o almeno in maniera diversa, però sì, stiamo stringendo. Come con Ray. A volte si comporta in maniera insolita, ma è a posto. Ascolta buona musica.»
«A proposito di Ray e Jamia, mio padre pensava che farvi incontrare sia stato utile. Vi siete aperti un po' l'uno con l'altro, è un inizio. Ora? Stai meglio?» chiese, dandogli un'intensa stretta alla mano. Aveva la pelle calda, leggera, anche più pallida della sua, che tanto amava ricoprire con dei tatuaggi. Dalle sue spalle, il sole stava tramontando ed il cielo si era finalmente liberato, il che presagiva una notte limpida, come quella in cui era uscito dalla finestra di casa di Gerard. Forse un giorno glielo avrebbe raccontato.
«Sì. Grazie.»
«Ti ricordi? Noi ci aiutiamo a vicenda.»
«Lo dici solo perché sei il mio psicologo.»
«No, assolutamente no.» Gerard scosse la testa, per poi sorridergli appena con l'angolo della bocca. Cosa intendeva? Stava aprendo la bocca per chiederglielo ma Gerard lo precedette. «Comunque, ora non importa. Ti ricordi cosa ti avevo detto riguardo alle relazioni sociali?»
E allora quando importerà? si chiese, però non proferì parola. Si morse il labbro, ripensando ai consigli di Gerard mentre lui gli accarezzava distrattamente la mano. «Di non temere il contatto umano, e anche di non tenere sempre alzate delle difese per intimidire gli altri.» elencò, alzando gli occhi al soffitto per concentrarsi, passandosi poi la lingua sulle labbra. Intravide Gerard annuire. «Ah sì, e anche di... Di provarci, ecco.»
«Esattamente.» disse Gerard con un sorriso. «E stai provando anche a seguire questi consigli?»
«Mi ci sto impegnando. Non è facile, anche perché ormai è il mio ultimo anno di liceo, ma qualche tentativo lo sto facendo. Credo che se mi ritrovassi improvvisamente in un nuovo contesto sociale potrei, ecco, evitare di isolarmi e parlare con le persone. Almeno parlare senza la paura che succeda chissà cosa.»
«Ne sono contento. L'anno prossimo comunque sarai fuori da scuola, che tu vada all'università o comincerai a lavorare sarai catapultato in un mondo diverso.» le dita diafane di Gerard si alzarono verso la fronte e se la sgombrarono dai capelli. «A proposito, non ne abbiamo mai parlato, hai già qualche idea per ciò che farai dopo?»
Frank abbassò per l'ennesima volta lo sguardo, affondando i denti nel labbro. Avrebbe dovuto smetterla, lo sapeva, anche perché stava cominciando a dargli fastidio il labret contro i denti. «No, non ci ho ancora pensato.» mentì, ripensando fugacemente all'opuscolo che giaceva sul comodino di camera sua.
«Non hai neanche una vaga idea?» chiese Gerard alzando le sopracciglia. «Insomma, qualcosa che ti piacerebbe fare o un'ispirazione in particolare?»
«Io... In realtà forse sì, ma è una cosa che non accadrà mai e poi in realtà non credo di...»
«Frank, nulla è stupido o irrealizzabile, escluso molto poco.»
«Sì, però...» Frank sospirò, ricordando con un brivido l'occhiata di sua madre qualche sera prima. «Non so. Mi piacerebbe provarci e farlo, ma credo rimarrà appunto un sogno.»
«Se non sono indiscreto, cosa ti piacerebbe fare?»
«Frequentare un'accademia musicale. Suonare, comporre canzoni, melodie, esprimermi al meglio tramite la musica. È stupido, lo so, pochi fanno veramente carriera.»
«Perché dovrebbe essere stupido? Non lo è affatto.» replicò Gerard poco dopo, intrecciando le dita con le sue. A Frank accelerò il battito. Gerard non sembrava essersene accorto, aveva compiuto il gesto involontariamente. «Anzi, se è veramente ciò che desideri fare ti consiglio di provarci. È vero, è un mondo difficile con delle regole tutte tue, ma credo che tu potresti farcela. Anche solo per passione, per quanto credo che tu possa proprio riuscirci come professione. Tante volte mi hai parlato di come ti piace suonare la chitarra e... Anzi, la prossima volta ti andrebbe di suonarmi qualcosa? Magari non per forza con la chitarra elettrica, anche con un'altra, però mi piacerebbe sentirti suonare.»
«Va bene, certo. Mi farebbe piacere.» rialzò lo sguardo ed incrociò quello di Gerard. Effettivamente gli sarebbe piaciuto suonargli qualcosa, magari seduti sul letto a gambe incrociate, senza calze, coi gomiti poggiati sulle ginocchia ed il silenzio interrotto solo dagli arpeggi. Il che lo colpiva, perché non gli era mai piaciuta l'idea di qualcuno ad ascoltarlo mentre suonava. Chissà se a Gerard poi sarebbe piaciuto. Magari sì, magari no. Gli si alleggerì il cuore in petto. «Grazie.»
«Lo penso davvero, non devi mica ringraziarmi. E poi se la musica significa davvero qualcosa per te, tanto vale la pena provarci.» Frank annuì distrattamente. Aveva senso. Avrebbe potuto quantomeno tentare di tirar fuori il discorso con sua madre.
«Cosa intendi con significa davvero qualcosa? Cioè, in che senso?» chiese poco dopo. Gerard parve pensarci su un attimo.
«Se per te compiere quell'azione ha un significato. Se, compiendola, senti che questa ti raggiunge ad un particolare livello emotivo, se riesce a farti provare qualcosa. Insomma, se per te quell'azione è particolare, unica nel suo genere e ti aiuta ad esprimerti e a sentirti parte di qualcosa. Non credo abbia molto senso detto così, ma insomma, più o meno questo.»
«Per te allora ha significato qualcosa quando mi hai baciato?» le parole gli uscirono di bocca spontanee, prima anche solo di poter pensare di fermarle. Quando si accorse di un'espressione stupefatta prendere forma sul viso di Gerard, capì cosa aveva combinato. Per una volta, sarebbe stato meglio pensare prima di agire.
«Perché me lo domandi?» replicò in un tono camuffato, quasi a nascondere qualcosa tradito comunque dalla leggera tonalità di rosa apparsa sulle sue guance. Frank sentì il cuore accelerare un po'. Ormai la figura di merda era fatta. Tanto valeva andare a fondo e risolvere una volta per tutte la questione.
«Non ne abbiamo mai parlato. Perché è successo, vero? Alla mostra d'arte, me lo ricordo.»
«Sì, sì è successo. Però non vedo perché parlarne ora.»
«Non puoi semplicemente rispondere e basta?»
«Non sono di certo domande da prendere tanto alla leggera. Frank, sinceramente, non so dirti come o perché sia successo.» Gerard slacciò la stretta delle loro mani per poi poggiare la testa contro i palmi, puntando i gomiti sui fogli stropicciati presenti sul tavolo. Il tono di voce ora lasciava presagire una certa difficoltà. «Credo... Non so, è come una di quelle cose che succedono e basta.»
«Perché lo hai fatto allora?» domandò con più veemenza, incrociando le braccia al petto.
«E allora perché tu hai ricambiato?» qui seguì una pausa di silenzio relativamente breve. «Vedi, nessuno dei due lo sa dire. Veramente, suppongo che in realtà fossimo entrambi abbastanza confusi, poi tu eri veramente arrabbiato, io avevo i miei problemi per la testa e non so, non ricordo bene.»
«Tu avevi ancora i capelli rossi.» una fulminea immagine di quei sottili capelli di un rosso vivo stretti cautamente tra le sue dita inesperte gli attraversò per un secondo la mente.
«Quello me lo ricordo. E poi ha cominciato a piovere.»
«Ed io mi sono beccato l'influenza subito dopo.» Frank sospirò, stringendosi nelle spalle. Nessuno dei due aveva il coraggio di guardare l'altro negli occhi. «Quindi? Per te ha significato qualcosa?» Gerard esitò.
«No. Non so dirlo, ma credo di no. Perché, per te?» Frank chiuse gli occhi a quell'affermazione. In fondo se lo aspettava. Si immaginò di sfilare l'accendino dalla tasca, di prendere il ricordo in mano e di dargli fuoco, come con una vecchia foto troppo carica di significato. Scosse la testa. «No, assolutamente nulla.»

dear psychologist 【 frerard 】Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz