【 eleven 】

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Ma voi siete matti

«Scusami, scusami davvero.» mormorò il ragazzo, strusciando la faccia contro la giacca di Frank come a mimare un no. Frank pensò che forse ci si stesse asciugando le lacrime, e sembrava così distrutto e demoralizzato che non riuscì a fare nulla se non avere l'istinto di stringerlo a sé tanto forte da soffocarsi entrambi, ma la sua mente era ancora ferma alle parole che aveva pronunciato prima. Lindsey mi ha lasciato. «Non dovresti vedermi così.» aggiunse tirando su la testa senza uscire dal cerchio delle braccia per poi sfregarsi gli occhi, col solo risultato di irritarli ancora di più.
Si chiese se baciarlo avesse portato a qualcosa.
«Non fa nulla.» replicò atono il moro, lo sguardo fisso davanti a sé mentre Gerard era ancora intento a passarsi le mani sugli occhi umidi, per poi tirare impercettibilmente su col naso. Non riusciva a fare a meno di ripetersi in testa quelle parole come la traccia di un vecchio disco impolverato. Si sentiva una persona schifosa al pensiero, ma doveva ammetterlo, non era per niente dispiaciuto per quello. Forse lo era per Gerard -era ridotto veramente male-, ma il pensare di poterlo stringere tra le braccia e consolarlo, accarezzare la sua maglietta morbida, sapendo che c'era solo quella barriera in tessuto a separarlo dalla sua pelle, chiara come la curva della clavicola che intravedeva attraverso lo scollo, gli dava un'irrefrenabile voglia di baciarlo ancora e gli faceva agitare il cuore in petto. E quei capelli scuri, che gli stavano veramente bene, facevano risaltare le ombre del viso e le ciglia, gli occhi chiusi che se fossero stati aperti avrebbero mostrato due gemme circolari lucide ed esauste, due mezzelune di onice posate là, tra zigomi e naso. Voleva provare se anche questi, sfregandogli la pelle, gliela avrebbero solleticata leggermente. Era spaventato, cazzo se lo era, mai avrebbe pensato di poter rivolgere certi pensieri a qualcuno, tantomeno ad un ragazzo a dirla tutta, eppure ora con il viso di Gerard davanti, distrutto dal dolore e con le ciglia abbassate, voleva rischiare.
Ora però quelle mezzelune scure erano incrostate di minuscole lacrime, ed una di queste si staccò da lì e gli scivolò mollemente lungo la guancia. Rispondendo ad un istinto improvviso, Frank alzò una mano e gliela pose sulla guancia, asciugando via la lacrima con un semplice gesto del pollice. Solo dopo averlo fatto si chiese che cosa gli fosse passato per la testa. Gerard rialzò il capo con lo stesso sguardo confuso che probabilmente aveva anche Frank, e per un attimo di troppo si abbandonò contro il palmo appoggiato contro il suo viso.
«Vieni dentro, ti faccio strada.» disse improvvisamente come risvegliandosi da un sogno, alzando la testa e girandosi, entrando nella casa. Frank per un attimo rimase con la mano a mezz'aria, poi la fece ricadere e seguì l'altro dentro, richiudendosi poi la porta alle spalle.
La prima cosa che notò era che la casa era davvero piccola. Il salotto aveva le pareti di una tonalità appena più chiara della maglia di Gerard ed era pieno di disegni, bozze e librerie, in gran parte ricolme di fumetti. Verso un angolo due divani accerchiavano un tavolino basso (Frank fece finta di non notare tutti i fazzoletti appallottolati che lo ricoprivano) e lì di fronte si trovava un televisore, poco distante dalla finestra. A sinistra c'era la cucina, senza un muro vero e proprio a separarla dall'ingresso. Tra le due, un corridoio che terminava con una porta a vetri, attraverso la quale intravedeva un piccolo cortile. Il tutto sarebbe stato immerso nel buio se la finestra nel salotto non avesse avuto le tende aperte.
La seconda fu che la casa profumava di grafite, caffè, pelle e amarezza. Sapeva di Gerard, ed il poter sentire quell'essenza che tanto lo aveva tormentato mentre era malato lo distrasse, facendogli arricciare le labbra in un sorriso spontaneo. Tuttavia, quel sentore di amarezza gli faceva capire che quella casa era stata muta testimone della rabbia e della tristezza di un ragazzo che, incurante del freddo, camminava davanti a lui come fosse sospeso su una lastra di ghiaccio, senza fare rumore, come se non volesse disturbare quella quiete cacofonica che era il resto del modo con il suo silenzio, con qualcosa che per la prima volta era riuscito a portare via il colore dal suo sorriso.
«Era casa di mia nonna.» disse Gerard senza girarsi, facendo riscuotere Frank dal suo stato di torpore. Il ragazzo si riscosse e si levò la giacca, pensando inizialmente di tenerla in mano. Però Gerard gli indicò con un dito l'appendiabiti accanto alla porta e lui la appese lì, poi lo seguì verso uno dei due divani. Gerard camminava silenziosamente a piedi nudi, col capo chino, apparentemente noncurante del freddo. Si sedettero uno accanto all'altro sul divano grigio, e Gerard poggiò le braccia sulle gambe, incrociando le mani. Sospirò. Frank rimase composto, quasi con la paura di rovinare il divano se ci si fosse accomodato sopra. Poteva percepire il corpo dell'altro in tensione vicino al suo, con il timore della fionda di Davide prima di scattare contro Golia, consapevole che se avesse sbagliato il tiro tutto sarebbe stato perduto. Quante volte la gente sbaglia.
«Frank, di te posso fidarmi?» chiese guardando fisso davanti a sé, verso la finestra da cui entrava poca luce, nella quale danzava un leggero pulviscolo. L'altro invece guardava Gerard, il suo profilo, gli zigomi più sporgenti del solito e la stanza riflessa nei suoi occhi. Sembrava una creatura sospesa nella realtà, assente dal resto, come se appartenesse solo a quella luce morente così volubile. Voleva accarezzargli la guancia e sfiorargli le labbra, ma poi cosa sarebbe successo? Quello non era il momento. Gerard lo stava implorando di gettargli il salvagente, e Frank si chiese se lo avesse fatto anche prima ma, essendo anche lui in alto mare, non l'avesse sentito. Si sentì un po' in colpa.
«Questo dipende da te, da quanta fiducia riponi nei miei confronti. So solo che io, dal canto mio, non vorrei mai che questa fiducia si spezzasse e farei di tutto per conservarla integra. Non voglio essere io a farti star male.»
Gerard fece una risata amara, poi si voltò a guardarlo con un vero sorriso che gli trasformò il viso in un'opera d'arte. Prima che potesse accorgersene gli afferrò il braccio destro e fece in modo che gli circondasse le spalle, poi si accoccolò in quell'abbraccio, contro il torace magro del moro. Frank prese coraggio e lo strinse a sé facendo scivolare la mano sul suo braccio, la cui pelle era morbida e pura al tatto, mente l'altro gli poggiava la testa sopra la spalla e strusciava la guancia sul tessuto della felpa grigia, pizzicandogli il collo con i capelli neri che ancora sapevano di tintura fresca, respirando il profumo soffocato che emanava. Poteva sentire i suoi muscoli rilassarsi, facendo sciogliere quello strato di timore che gli era per forza di cose scivolato addosso. Si piantò le unghie nei palmi e allungò l'altro braccio, tirando Gerard a sé. Il ragazzo sussultò. E diventarono tutt'uno, un intrico di braccia, capelli scuri, carnagioni come carta ed una debolezza che li aveva costretti a mostrarsi forti. Per un qualche motivo, dopo quel gesto, nei momenti di difficoltà per loro fu difficile immaginarsi in un posto diverso da quello, uno che stringeva l'altro come si stringe la corda per sollevarsi dal dirupo. Frank poggiò il viso sulla testa dell'altro lasciando che la punta del naso accarezzasse i suoi capelli neri, facendogli delle lente carezze sulla schiena con la mano. Gerard lo stringeva forte, finalmente si era rilassato, lo si capiva dalla spontaneità con cui gli si era abbandonato contro. Si fidava. Ora non stava piangendo, sarebbe potuto sembrare quasi sereno se non fosse stato per quegli occhi lucidi e le profonde occhiaie, ma poco gli interessava. Lo aveva così vicino che poteva sentire il suo respiro, e niente di più avrebbe voluto. Gli si sentiva più vicino che mai, ancora più della settimana scorsa. Ora Gerard era esposto e vulnerabile, avrebbe potuto sbattergli la porta in faccia, ma invece lo aveva fatto entrare ed ora era sotto il suo braccio, quasi intimando una protezione da quel mondo pieno di spigoli appuntiti, che a quanto pareva lo avevano graffiato. Si chiese se anche lui si fosse sentito così quando alla mostra gli aveva urlato contro che non stava bene. O quella volta al parco. Avere qualcuno che ti protegge è dolce e rassicurante, ma il proteggere qualcuno ti fa sentire in dovere di essere forte, di amare quella persona. Ed era bellissimo sapere che qualcuno era disposto a fidarsi di te fino a quel punto.
«E allora preparati.» mormorò. Frank sentì le parole vibrare anche nella sua cassa toracica. Lo guardò, poi poggiò la testa contro la sua mentre Gerard si rannicchiava ancora di più contro di lui, rifugiando la testa contro la sua spalla. Era un momento quasi intimo, entrambi avevano trovato il modo di aprirsi all'altro e stavano creando come una specie di atmosfera tutta loro, impenetrabile a qualsiasi altra realtà. «E non interrompermi. Potresti essere la prima persona dopo tanto tempo a cui racconto la verità.»

dear psychologist 【 frerard 】Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora