Capitolo 8

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4 febbraio

Che cosa avrebbe pensato Matteo, il fratello di Eva, se avesse rivisto Aria in ospedale? Lei gli aveva raccontato che si trovava lì per far visita a sua nonna, mentre la verità era che sperava di sgattaiolare in terapia intensiva per parlare proprio con Eva, non la Eva che era stata investita mentre andava a pallavolo, come gli era stato probabilmente raccontato per proteggerlo dalla verità, ma la Eva che si era buttata dal secondo piano.

Aria era dovuta uscire un'ora prima da scuola per poter essere in ospedale tra le dodici e trenta e le tredici e trenta. Si era convinta che a quell'ora Matteo sarebbe stato a scuola e lei non avrebbe dovuto aggiungere bugie alle bugie per giustificare la sua presenza lì, e soprattutto al capezzale di Eva.

Non era ancora sicura di cosa avrebbe detto o fatto se si fosse imbattuta in qualcuno dei parenti della ragazza. Era determinata a evitarli. Anche se le sarebbe davvero piaciuto avere la faccia tosta di fare due chiacchiere con loro. Cercare di capire che ruolo avessero davvero avuto nello spingere Eva giù da quella finestra. Se come dicevano i giornali erano stati proprio i conflitti familiari a motivare il gesto della ragazza, la donna che aveva visto il giorno prima in ospedale doveva portarsi dietro parecchi sensi di colpa. Come ci si sentiva a essere il motivo per cui una ragazza di diciott'anni desiderava morire?

Quando Aria si ritrovò nella sala d'aspetto deserta del reparto di terapia intensiva decise di non restare lì seduta ma di tenerla controllata da un'estremità del corridoio d'accesso.

Quello dell'invisibilità era il super potere che più avrebbe desiderato, e pur non avendolo si era esercitata parecchio a casa e a scuola, nel tentativo di passare il più possibile inosservata.

Rimase in piedi dando le spalle a una finestra per diversi minuti senza che nulla si muovesse. Entrò un infermiere, uscì un uomo che prima di trovare la forza per togliersi gli indumenti protettivi rimase seduto con la testa tra le mani per parecchio tempo. Dietro quella porta si celava parecchio dolore. Aria lo sapeva. L'aveva visto negli occhi di sua nonna, quando con diverse costole rotte e un polmone perforato riusciva a malapena a respirare, e l'aveva visto negli occhi di sua madre, che seppur sana soffriva nel non poter alleviare in alcun modo quella sofferenza.

La madre di Eva arrivò all'una e cinque, Aria la riconobbe dal cappotto blu elettrico. Per un attimo ebbe la tentazione di avvicinarla e presentarsi come una compagna della squadra di pallavolo. Ma probabilmente Eva aveva compagne di squadra normali, che andavano tutte insieme all'orario di visita portando biglietti di pronta guarigione e palloncini. Rimase ferma davanti alla finestra a guardare la donna che varcava la porta che la separava dalla figlia, il confine tra sano e malato.

All'una e venti fu di nuovo fuori, pronta a rimettere il suo cappotto blu e a tornare nel mondo normale, in cui le figlie non tentano il suicidio. Aria la guardò tacchettare via.

Quando fu certa che fosse abbastanza lontana, indossò gli abiti protettivi, i copri scarpe, la mascherina e suonò per essere ammessa al capezzale di Eva.

L'infermiera la accompagnò accanto al letto avvertendola che la ragazza stava dormendo e sarebbe stato meglio non svegliarla. Aria annuì.

Di Eva si vedeva poco o niente, era coperta dal lenzuolo, che celava delle ingessature e sotto al quale anche molti tubi e cavi sparivano alla vista. Sul monitor il disegno di un piccolo cuore lampeggiava.

Sul comodino un bicchiere d'acqua e un coccodrillo di peluche.

Aria guardò meglio il viso di Eva, in parte nascosto dai capelli spettinati. Possibile che fosse la ragazza che aveva spesso incontrato in biblioteca? Quella che si sedeva sempre nel suo posto preferito davanti alla finestra? Quella per la quale aveva immaginato una vita perfetta, genitori supportivi, ottimo rendimento scolastico ed extrascolastico?

Aria e altri coccodrilliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora