Capitolo I - Due donne

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Niente è mai veramente perduto, o può essere perduto,
nessuna nascita, forma, identità - nessun oggetto del mondo,
né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
l'apparenza non deve ingannare, né l'ambito mutato confonderti il cervello.

(Walt Whitman)


L'anta del pregiato armadio di rovere sbattè con violenza e lo specchio fissato al suo esterno tremò, mentre un groviglio di abiti e magliette da esso prelevate andò a finire con malagrazia in un enorme baule, il terzo della serie. Contemporaneamente, una serie di scatolette di pregiata gioielleria si librò con grazia dal primo cassetto del comodino e si diresse verso la stessa meta.
Astoria Greengrass, un metro e sessantadue di rabbia e rancore, si diresse verso il bagno attiguo alla camera da letto e la porticina del bagno quasi rischiò di essere scardinata, andando anch'essa a finire contro il muro.
- Padrona, padrona.... Vi prego... vi supplico....
Disgraziatamente, lo sguardo le cadde sul proprio riflesso allo specchio e dovette fare un notevole sforzo di autocontrollo per non fare un balzo all'indietro, inorridita e sconvolta. Davvero si era ridotta in quelle misere condizioni? Gli occhi gonfi, rossi e col trucco sbavato, i capelli sconvolti e mal acconciati, il naso gonfio e chiazzato? Non era così che una vera signora si mostrava in pubblico.
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, poi aprì l'acqua fredda e vi immerse il viso, strofinando forte per tentare di ridare alla sua splendida pelle un colore normale. Si asciugò e si truccò nuovamente, in modo leggero, poi si pettinò con accortezza ed infine rimase per un tempo indefinito con gli occhi serrati e le mani che, se avessero potuto, avrebbero stritolato la ceramica del lavandino.
Quando ritenne di aver ripreso il controllo di se stessa, riaprì le palpebre. Sì, adesso era a posto. A parte il viso un po' congestionato e gli occhi gonfi, solo un occhio attento e scrutatore che si fosse soffermato più a lungo del consentito avrebbe potuto notare qualcosa di storto.
Ma lei non l'avrebbe concesso a nessuno. Non quel giorno.
- Padrona... Padrona.... Mirty vi implora, vi implora!
Dall'armadietto prelevò i trucchi, creme, prodotti di bellezza e smalti che ficcò alla rinfusa in un piccolo beauty case, poi si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che fosse suo e che avrebbe dovuto assolutamente portare via da lì. No, non c'era più nulla che le appartenesse, tralasciando ovviamente asciugamani e lenzuola che erano la sua dote di nozze, con le sue iniziali (le loro iniziali...) ricamate in fili di puro argento sull'angolo sinistro. Ma quelli, ringraziando Merlino, erano ancora chiusi chissà dove, inutilizzati, e per quanto le riguardava, tutto quel ciarpame sarebbe potuto tranquillamente finire tra le fiamme. Quelle lettere non avevano più nessun significato.
Si girò verso la porta e un singhiozzo potente le squassò di nuovo il petto, minacciando di distruggerla definitivamente, quando un pensiero crudele le sussurrò che ce lo stava lasciando comunque, un pezzo di se stessa, in quella stanza, tra quelle pareti, in quell'intera casa.
Qualcosa, dentro di lei, era andato in pezzi.
Tasselli talmente minuscoli che non sarebbe mai riuscita a recuperare, come quando un fragile cristallo si infrange al suolo e si sbriciola in sabbia fina come aria.
No, non sarebbe stata mai più la stessa. Ed in fondo, questo era un bene.
- Padrona, padrona mia.... La mia dolce, nobile padrona...
- Ora basta, fa silenzio.
Mirty continuò nei suoi inchini e nelle sue prostrazioni in modo assolutamente silenzioso, ma i goccioloni che colpivano con un rumore secco il pregiato marmo del pavimento erano più che eloquenti.
Astoria si guardò di nuovo intorno, nervosa, attenta, quasi pazza di rabbia e dolore. Quando fu certa che non c'era in giro nemmeno una molletta per capelli, con un secco colpo di bacchetta fece alzare in aria i bauli che presero a seguirla.
- Addio, Mirty.
- NO! – strillò l'elfa, prendendo a tirarsi le orecchie con forza, tentando al contempo di fermare la donna e di punirsi per star disubbidendo all'ordine precedentemente impostole – no, padrona... padrona vi prego.... Padrona.... Mirty non sa... non sa come fare... senza la padrona!
Astoria si fermò in mezzo alle scale e si girò verso il piccolo esserino. Qualcosa di abbastanza simile al dispiacere le stava inondando le viscere, infondendole però una specie di sollievo, forse egoistico ma dolce da digerire.
Almeno, in quella stramaledetta casa, c'era qualcuno che teneva a lei.
- Mirty... sai che non posso portarti con me.
- Ma... ma padrona.... – singhiozzò l'esserino, quasi ficcandosi le unghie nelle guance – dopo... dopo quello che è successo.... Dopo l'errore che Mirty ha commesso....
La donna, in un inspiegabile quanto raro moto di compassione, si piegò sulle ginocchia e sfiorò con appena un polpastrello il profilo dell'elfa, che parve quasi svenire di gioia.
- Mi dispiace, Mirty. Non mi appartieni. Mi dispiace se... se verrai trattata con troppa severità, ma adesso devo occuparmi di altre cose. Ma tu mi hai reso un grande favore, e una Greengrass non dimentica mai chi le fa del bene. Non ti abbandonerò, Mirty, anche se sei solo un elfo. Anzi... - sussurrò mielosa, mentre una luminosa idea le sfiorava le meningi. – Mi potrai essere molto utile, Mirty cara. Vuoi?
- Oh, sì, sì, mille volte sì! – trillò la creatura, esplodendo di gioia. – Mirty farà tutto ciò che la padrona le ordinerà, si butterà nei mari ghiacciati, nei vulcani roventi, tutto, tutto quello che...
- Non arriverò a tanto, stai tranquilla. Solo... io non sono più la padrona. Non lo sono mai stata ufficialmente, ma me ne sto andando. Mi aiuterai lo stesso, anche se sei un elfo del Manor?
La piccola si dondolò sui piedini, a disagio, ma la determinazione nel suo sguardo non cambiò.
- Sì, Mirty vi aiuterà, a Mirty non importa, Mirty vuole bene a voi e...
- Se mi aiuterai, Mirty, se mi aiuterai ogni volta che te lo chiederò, ti prenderò con me.
- Grazie, padrona! – strillò quella, abbracciandosi da sola tant'era la gioia e la riconoscenza. – La padrona è sempre così buona, così cara, così comprensiva... e Mirty non può vivere senza la sua padrona... Mirty vi sarà fedele sempre, sempre!
- D'accordo. Ma adesso devo proprio andare.
Astoria raccolse nuovamente la borsetta e, preso un profondo respiro, cominciò a scendere le scale.
Passando accanto al salotto tentò disperatamente di non far percepire nemmeno un briciolo del suo nervosismo o, ancor peggio, del suo dolore. Mosse i piedi con lentezza, piano, sperando che niente tradisse la sua partenza, non era pronta ad affrontare un faccia a faccia, non era pronta per...
- Astoria.
Il cuore della giovane, semplicemente, franò. Ma non le sue gambe.
Ti prego, ti prego, ti prego fermami.
- Astoria.
Dimmi che non è vero, ti prego, dimmi che è tutto un malinteso.
- Astoria, fermati.
Prendimi per i capelli, arrabbiati, spaventati, urla che sono solo una stupida gelosa.
- Fermati, ti prego.
Sbattimi contro il muro e facciamo l'amore, dimostrami che non è vero, che ami me, che vuoi me...
- Astoria!
Il tono perentorio con cui Draco pronunciò il suo nome la fecero voltare, rossa in viso e inferocita.
Non aveva più diritto di parlarle in quel modo.
L'aveva perso, ormai, definitivamente perso.
Oh, quanto lo odiava. Non aveva mai, mai, mai provato un odio più feroce, un'avversione più cocente, una voglia così incontenibile di fare del male a qualcuno. Quanto lo odiava, quel maledetto bugiardo, che persino in un momento del genere era capace di restare così, fermo, immobile, immoto, senza nessuna espressione in viso, tranquillo come una statua di cera... no, certo che no, non si sarebbe scomodato ad implorarla di restare, a giurarle il suo amore, a combattere per la loro relazione.
Perché non gliene importava nulla. Non gliene era mai importato nulla.
E lei, cieca, ottusa, orgogliosa, innamorata, non si era mai voluta accorgere di nulla.
Oh, ma ora le cose erano diverse. Non poteva più mentire a se stessa. Aveva visto.
Bastardo.
Amore.

- Ti prego di riconsiderare la questione. Ti ho già spiegato come stanno le cose e trovo sinceramente che tu stia esagerando. Capisco il tuo turbamento e me ne dolgo, ma davvero, ciò che è accaduto non cambia nulla. Te l'ho detto, non è reale.
Un sorrisetto sprezzante le deformò il viso e, improvvisamente, ritrovò tutta l'altezzosità che le avevano insegnato ad assumere quando si ritrovava di fronte a qualcuno di inferiore.
- Non è questione di reale o irreale. Il problema è che è vero. È vero ciò che ho visto ed è falso tutto ciò che ho pensato e creduto di te in questi anni. E sai che c'è? Sono stanca morta di circondarmi di bugie. Sai che c'è, Draco? C'è che adesso te la dico tutta, la verità. Ti ho amato, sì, e tanto, fin da molto prima che ci mettessimo insieme, ma tu non te ne sei mai accorto, non te n'è mai importato, e adesso capisco perchè.
Draco aprì la bocca per ribattere, ma lo sguardo della donna fu così caustico che non ne ebbe il coraggio.
- Per te ho sopportato cene di gala, pranzi noiosi e cerimonie pompose. Ho acconsentito a tutti i tuoi capricci, ho taciuto quando avrei voluto urlare e ridere quando avrei voluto piangere, ho messo da parte i miei desideri e le mie ambizioni, per te, per non offenderti, per non umiliarti, per non farti mai, mai sentire secondario. Ho accettato tutte le tue condizioni per quel maledetto matrimonio, il posto, il rinfresco, persino il vestito... Merlino... persino su quello non ho aperto bocca. Sai che ti dico? Menomale che non ha avuto luogo, perché lo avrei odiato. Se penso che... che tra due mesi mi avresti giurato amore eterno! Fedeltà! Cristo, Draco!
- Tu ti stai ostinando a non capire! Ti ho detto che...
- Fin da quando avevo tredici anni, tredici anni, ho programmato ogni mia mossa, ogni mia azione, ogni mio respiro per essere degna di te, del tuo rispetto, della tua considerazione. E sapere che li ho sprecati in un'impresa così umiliante e totalmente inutile mi riempie di disgusto per me stessa. E sono piena di disgusto verso di te, piccolo vigliacco, uomo da niente, la cui unica preoccupazione è quella di non doversi mai affaticare.
Draco comprese che ogni protesta sarebbe stata vana. Si limitò a tirare un respiro sofferto.
- Mi dispiace, Astoria – mormorò, con lo sguardo fisso verso il pavimento.
- E sai un'altra cosa? L'anello... questo anello... - sibilò Astoria, scrutando il diamante immenso che le decorava l'anulare. Lo sfilò con cura e poi lo sollevò, per osservare la luce rifrangersi attraverso di esso. – l'anello di tua madre... fa veramente schifo.
Lo scagliò con rabbia in terra, poi, sentendo che le lacrime stavano per avere il sopravvento, gli girò le spalle e con un colpo di bacchetta aprì l'immenso portone del maniero.
- Mi dispiace da morire – biascicò di nuovo l'uomo, fissandola triste.
Astoria gli regalò l'ultima lacrima, che si infranse sul marmo rosato, ma ghignò crudele, in un sottinteso così malvagio che fece accapponare la pelle di Draco.
- Su quello puoi contarci. Ti dispiacerà da morire – rispose, prima di uscire e sbatterselo alle spalle.

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