CASSANDRA » tredici.

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Ho sempre adorato guardarlo leggere. Studiare quella piccola ruga che gli abbellisce la fronte ogni volta che, quello che legge, non lo soddisfa. O quel sorriso; una specie di ghigno compiaciuto e orgoglioso che mi fa capire che l'aggettivo 'prevedibile' gli balena in testa. Il mio sguardo saetta e noto che ha le spalle rilassate, la felpa color mogano è sporca di marmellata, la stessa che decora il mio leggings verde menta. Quella crostata era la fine del mondo. Il suo sguardo spento è fisso sul libro che stringe tra le mani tremanti. « Gab? » Non alza neppure lo sguardo, si limita a fare spallucce e a mostrarmi con lo sguardo il libro. Mi zittisce in silenzio e io lascio correre, di nuovo. So bene che per lui la lettura è sacra. Passa il pollice sul labbro inferiore e la pagina cambia. Un leggero fruscio e il suo sguardo incontra il mio. « Cass, smettila di fissarmi. » Il suo tono è calmo, deglutisce e i suoi occhi si chiudono. Il suo viso si arriccia in una smorfia di dolore. « Non ti sto fissando. » Un sussurro scivola nella sua direzione mentre gli occhi lo abbandonano e lui abbandona me, tornando al suo libro. Fisso la macchia rosso scuro ormai secca caduta poco prima sul mio ginocchio e sbuffo sonoramente, fastidiosamente. La sua lingua schiocca sul palato asciutto e mi fulmina con i suoi occhi stanchi. Occhi che dovrebbero spaventarmi, a suo dire. « Non sai fare di meglio? » Lo sfido a parole, lo sfido con lo sguardo. Lui sbuffa un sorriso e con uno scatto è sopra di me. Le sue dita si muovono agili sopra i miei fianchi scoperti e il fastidio causato da quel solletico calcolato si fa avanti invadendomi. « Gab! » Un urlo sovrastato dalla sua risata che invade i miei timpani e dopo, la stanza. « Hai vinto. Hai vinto! » Porto le mani sulle sue spalle e con un movimento che non definirei proprio 'agile', lo scanso. « Idiota. » Mi soffia un bacio e si rialza. Non riesco a fingere di non vedere il braccio teso che trema e fatica a sostenere il peso del suo corpo. Non riesco ad ignorare il suo volto che si contrae, nuovamente, nell'ennesima smorfia di dolore. E non riesco a frenare la lingua che partorisce nuovamente quella domanda. « Me lo diresti se qualcosa non va, giusto? » Lui annuisce, sorride e mente. Io so che mente.

« Mi nasconde qualcosa, lo conosco ». Il costante muto annuire di Andrea mi da ai nervi e glielo faccio notare con uno sbuffo,  per l'ennesima volta. « È inutile che sbuffi, Cass! » Continua a sorseggiare il suo drink senza degnarmi di uno sguardo. Il mio, al contrario, è fisso su di lui. « Siamo qui da un'ora e l'unica cosa che sei riuscita a fare è parlare di Gabriel. » Sbotta con un ringhio sordo e per un attimo i suoi occhi si posano sui miei. « E il problema quale sarebbe? » Un sibilo che sfreccia in sua direzione mentre sfoggio uno sguardo tutt'altro che amorevole e comprensivo. La sua espressione muta e finisce per mostrarsi sorpreso. Non sa cosa rispondere e fa spallucce sperando forse, che smetta di parlarne. E lo faccio. Poggio le mani sul tavolo color mirtillo dandomi una leggera spinta e mi ritrovo in piedi, di fronte a lui. Non dice nulla. Fissa nuovamente il suo drink e io, dopo un attimo di esitazione, lascio scivolare una banconota da cinque euro sotto al portatovagliolo di acciaio prima di andare verso l'uscita. Supero il portone azzurro e svolto a destra. «Non andartene Cass ». Mi arriva alle spalle e sento il suo respiro irregolare dietro di me. Aumento il passo e lui fa lo stesso, sento il rumore dei suoi anfibi sbattere contro il cemento fumante. « Potresti rallentare? » Lo faccio. Rallento fino a fermarmi e lui mi si para davanti. « Cosa vuoi? » Cala il silenzio dopo le mie parole, un silenzio imbarazzante che mi agita. Andrea ha lo sguardo fisso sulla punta nera delle sue scarpe mentre il mio insiste sul sui suoi occhi scuri che mi evitano come la peste. Mi arrendo. Scuoto il capo e giro i tacchi. Prontamente mi blocca. La sua mano stringe saldamente la mia. « Voglio te, Cass. Ma sopratutto voglio che anche tu, mi voglia.» Sussurra l'ultima parte è rimarca al contrario, la prima. «Ecco cosa voglio.» Tremo. Continuo a dargli le spalle e lascio che la sua mano abbandoni la mia. Rimango in silenzio anche quando il tonfo assordante dei suoi anfibi si fa lontano. Mastico le mie lacrime quando il suo profumo di agrumi mi abbandona e riprendo a camminare senza voltarmi. Senza voltarmi mai.

• Un breve, brevissimo capitolo di passaggio solo per ricordarvi che esisto «3

VentunoWhere stories live. Discover now